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Autore: AlexSupertramp    19/06/2020    8 recensioni
Dopo aver saputo della relazione tra Hayama e Fuka, Sana decide di sparire e non tornare più a scuola e tutto quello che succede nel manga/anime non accadrà mai, compresa la famosa dichiarazione in TV di Kamura. Dopo quattro anni Akito ritrova una lettera di Sana, la stessa lettera che lei scrive durante le riprese de "La villa dell'acqua".
Cosa c'è scritto e cosa è successo in questi quattro anni? Riusciranno Sana ed Akito a ritrovarsi dopo così tampo tempo?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Naozumi Kamura/Charles Lones, Sana Kurata/Rossana Smith | Coppie: Akito/Fuka, Naozumi/Sana, Sana/Akito
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Fine febbraio 2007
 
«Chissà cosa c’è scritto… ma di quanto tempo è? Oh mamma Akito, non sto più nella pelle. Ma ti rendi conto? Una lettera di Sana!» Tsuyoshi lanciava parole a raffica come una mitragliatrice su un carrarmato in piena guerra. Akito si sentiva colpito e affondato ad ogni sillaba pronunciata dal suo amico, come se il suo cervello da solo non avesse fatto già il suo sporco lavoro per tutta la notte precedente. «Che cosa farai ora? La ritirerai vero? Gli uffici postali chiudono tardi, se ci sbrighiamo siamo ancora in tempo», lo esortò Tsuyoshi, controllando il suo orologio da polso e scattando in piedi pronto ad andare in missione. Akito, dal canto suo, non si mosse di un millimetro dalla sua posizione. Era da quando aveva trovato quell’avviso che cercava di far confluire tutte le sue forze verso la terra della pace interiore ed era davvero fiero di sé stesso per il fatto che ci stesse riuscendo. Se non teneva conto degli scatoloni in soffitta che aveva fatto volare con un calcio la sera precedente.
Non riusciva a non pensare al fatto che quella ragazza sarebbe per sempre rimasta un’egoista, e quell’ultimo evento aveva confermato la sua già solida tesi. Era una ragazza egoista e basta.
«Tu mi fai troppe domande», constatò soltanto, riprendendo a seguire nuovamente il turbinio di pensieri che lo stavano schiacciando come un macigno. Tsuyoshi si voltò bruscamente verso il suo amico: «Akito, dobbiamo leggere quella lettera», si intromise. «Semmai devo leggerla», precisò lui, alzandosi dal prato e infilandosi le mani nelle tasche dei pantaloni. Cosa credeva Tsuyoshi? Che non ci avesse già pensato ad andare subito a ritirare il pezzo di carta della ragazza egoista? Il vero problema non era come e quando leggerla, quelle erano mansioni abbastanza facili da svolgere. La domanda era: aveva realmente voglia di sapere, dopo quattro anni, cosa ci fosse scritto su quella lettera? O meglio, aveva davvero voglia di ripiombare in questioni morte e sepolte?
«Io non ti capisco… magari è importante. Magari quella lettera potrebbe davvero cambiare ogni cosa. E poi non avevi detto che la questione era chiusa? Che male può farti leggere le parole della tua vecchia migliore amica?» lo provocò apposta, sperando di scatenare la reazione che desiderava: lui che andava alle poste e leggeva quella lettera. «L’hai detto, la questione è chiusa. E ora non mi scocciare più!» concluse, dando un calcio al cestino della spazzatura e dicendo addio per sempre alla terra della pace interiore.  Senza voltarsi verso il suo amico si allontanò da lì, rimuginando sul da farsi incurante dei richiami di Tsuyoshi e del fatto che, in lontananza, lui continuava a lanciargli frasi offensive sulla sua strafottenza. Akito in realtà non si sentiva per niente strafottente, e proprio non capiva perché nessuno riuscisse a mettersi nei suoi panni. «Dico ma siamo matti», iniziò a dire ad alta voce, camminando distrattamente sul prato verde. «E io ora dovrei pure andare alle poste e ritirare quella stupida lettera… dopo quattro anni. Ma chi me lo fa fare», continuava noncurante della gente che lo guardava come se fosse appena uscito da una casa di cure. Non sapeva proprio come affrontare quella situazione, dopo così tanto tempo. Il problema non era il contenuto della lettera, ancora ignoto. Per quanto ne sapeva poteva tranquillamente essere una cartolina con su disegnata una caricatura buffa della faccia di Sana, oppure un insulto per lui da parte della sua ex migliore amica. No, il contenuto non era affatto importante. Ciò che davvero contava era quel maledetto collegamento a qualcosa che aveva tentato di seppellire sotto strati di cemento armato e che, a quanto pareva, tanto armato non era stato. Si sentiva ancora terribilmente legato a Sana e quella leggera debolezza che provava proprio non gli andava giù. «Dannata, dannata Kurata!» esclamò in un impeto di rabbia. Ma perché la ragazza egoista non ne voleva proprio sapere di uscire dalla sua testa? Era già uscita dalla sua vita, cosa le costava ora andarsene via anche da quel luogo così intimo?
Si fermò un istante a riflettere, accorgendosi solo allora che involontariamente si era trovato proprio davanti all’ufficio postale non troppo distante dalla scuola. Prese l’avviso di giacenza tra le mani, leggendone ancora una volta il breve contenuto. C’era scritto solo il suo nome, l’indirizzo e il mittente. Data di spedizione: 16 giugno 2003. Quando lei era impegnata con le riprese di quello stramaledetto film. Aveva sempre sostenuto, a sé stesso naturalmente, che quel periodo aveva segnato la loro separazione, un graduale allontanamento iniziato proprio il primo giorno delle medie, quando aveva scoperto che non sarebbero più stati compagni di classe.
Abbassò lo sguardo, pensando con rammarico che era bastato davvero poco per far sì che quell’amicizia, apparentemente profonda, finisse nell’abisso dei ricordi. Poi era arrivato quel film, Kamura e infine Fuka. Tutto era stato irrimediabilmente compromesso, fino a quel giorno di quattro anni dopo, quando aveva scoperto per puro caso che Sana aveva cercato di mettersi in contatto con lui durante il suo ritiro in montagna ma, per chissà quale strano scherzo del destino, l’aveva scoperto troppo tardi perché quella lettera non gli era mai arrivata.
Una voce meccanica annunciò il numero di prenotazione che corrispondeva a quello che aveva ritirato lui una volta entrato nell’ufficio postale. Di nuovo rimirò il foglio che gli avrebbe permesso di agganciarsi di nuovo a lei dopo così tanto tempo. Era giusto quello che stava facendo? Probabilmente no, per nessuno, ma le sue gambe si mossero in automatico senza rispondere ai neuroni razionali del suo cervello orgoglioso, raggiungendo la gentile signorina allo sportello che lo accolse con un sorriso di forma.
«Come posso esserti utile?» gli chiese. Akito non le rispose, si limitò a fornirle la prova tangibile del fatto che tra i loro scaffali, probabilmente quelli più impolverati, c’era qualcosa che gli apparteneva. «Dunque vediamo… una lettera. Tesoro, ma è del 2003, non sono sicura che sia ancora nei nostri uffici. Sai la posta non ritirata dopo così tanto tempo viene semplicemente catalogata e archiviata, sarà molto complicato trovarla», lo informò dispiaciuta, forse perché l’espressione afflitta del suo viso era più eloquente di mille parole di supplica. Akito guardò l’impiegata stringendo i pugni sul banco dinanzi a lei, gesto che le fece capire che doveva tentare il tutto e per tutto per trovare quel pezzo di carta. «D’accordo, ora faccio un tentativo e cerco nel nostro database generale, ma non ti prometto nulla», disse soltanto, iniziando a premere velocemente i tasti del portatile che aveva davanti. Lui seguì ogni minimo movimento, non era possibile che la vita si prendesse così gioco di lui, era veramente tutto ridicolo. Perché mai aveva trovato quel dannato avviso se poi non poteva avere la sua lettera? Evidentemente lassù c’era qualcuno che si divertiva proprio a prenderlo in giro. Magari stava facendo uno sforzo inutile, magari su quella lettera non cera scritto niente di troppo importante, magari Sana gli aveva solo raccontato inutili aneddoti sulle giornate di ripresa del film, o peggio ancora voleva dirgli che si era messa con Kamura, cosa che lui sapeva fin troppo bene. A quel pensiero avrebbe voluto tirare un calcio a qualcosa di molto pesante ma dovette trattenersi, «Lasci perdere!» disse solo, condizionato dalla sua stessa immaginazione. «Ma no, lasciami provare, non mi costa nulla cercare…», rispose lei distrattamente, senza distogliere lo sguardo dal computer. Il rumore dei tasti stava innervosendo Akito, che si maledisse per essere entrato lì. «Me ne vado», le comunicò voltandosi velocemente verso l’uscita, mangiato vivo dall’orgoglio che gli stava dicendo in tutte le lingue del mondo di non farsi più prendere da Sana, come un tempo.
«Aspetta!» urlò la giovane impiegata con un sorriso soddisfatto stampato in volto. Lui invece non si voltò, deciso ad abbandonare l’assurda idea di leggere quella lettera. «Ci sono, l’ho trovata!» lo informò più felice di lui. Akito si fermò, smettendo nuovamente di essere razionale, e si girò di scatto verso la donna. «Dunque, eccola. È stata depositata proprio qui, sei fortunato», concluse con un grosso sorriso. Beh, fortunato non era proprio il suo aggettivo ma, per una volta, Akito si sentì sollevato. Almeno non avrebbe dovuto fare i salti mortali quella volta… si sentì di colpo stanco.
Dopo qualche minuto d’assenza la donna ritornò alla sua postazione con una busta tra le mani. Lo sguardo di Akito si fece profondo e il suo cuore prese a battere un po' più forte. Nemmeno ci fosse lei in quella busta, pensò scioccamente cercando di reprimere ogni emozione.
«Mi sembra di capire che questa lettera sia molto importante per te… buona lettura allora», concluse la donna. Akito si allontanò, pensando che le parole di quella giovane impiegata fossero l’ennesima presa in giro di quella giornata. Se avesse considerato la lettera di Sana una buona lettura allora doveva essere diventato matto sul serio.
Strinse la busta e iniziò a correre, sperando di fuggire dai suoi stessi pensieri ma sapeva bene che sarebbe stato tutto inutile. Ormai aveva iniziato a giocare per cui a che serviva farsi tanti problemi? Avrebbe letto quella lettera e poi l’avrebbe gettata nell’immondizia, tornando a fare la sua vita di sempre.
Si ritrovò nel parco, seduto su una panchina che aveva preso il posto di quel gazebo teatro di tanti ricordi con lei. Era proprio lì che lei lo aveva salvato e sarebbe stato proprio lì che lui l’avrebbe lasciata andare. Stupidamente si riscoprì intento a cercare con lo sguardo un cestino della spazzatura e lo trovò proprio a pochi passi dalla panchina. Sentendosi un po' più sicuro si sedette e aprì la busta.
 
Caro Akito,
non riesco proprio a finire questa lettera. A dir la verità non ti ho raccontato tutto quello che mi è successo. Ho avuto parecchi problemi a causa di un articolo pieno di falsità in cui si dichiarava che io e Naozumi Kamura ci amiamo. Ho preso un sacco di botte da un gruppo di sue ammiratrici. L’unica cosa che mi consola e mi dà forza è sapere che tu ci sei…
 
Alzò le sopracciglia sorpreso da quelle prime parole… prima di tutto Sana di rado lo chiamava per nome. In realtà erano anni che non lo chiamava affatto, pensò. Poi quando mai gli aveva raccontato qualcosa prima di quella lettera? Si fermò su quella frase riguardo Kamura, sempre e solo Kamura. Gli dava sui nervi e ogni volta che lo vedeva in TV doveva affrettarsi a cambiare canale per preservare l’integrità fisica del loro televisore. L’ultima frase lo tramortì perché lui pensava la stessa cosa, a quel tempo il solo pensiero della sua esistenza su questa Terra lo spingeva ad andare avanti e a sentirsi quasi felice.
 
sai, mi sono ritrovata a contare i giorni che mi separano dalla fine delle riprese. Mancano esattamente quattordici giorni e mezzo, non so dirti quante ore perché sai che la matematica non è il mio forte, ma quello che conta è che questo periodo è quasi finito e io non vedo l’ora di tornare da te.
Mi manchi moltissimo, ogni tanto cerco di immaginare tu cosa faresti al mio posto quando non so proprio che granchi prendere e devo dire che questo mi aiuta molto a fare chiarezza dentro e prendere la giusta decisione. A proposito di chiarezza, penso ancora a quella mattina quando sei venuto a salutarmi e mi chiedo ogni giorno cosa tu volessi dirmi. Sarà qualcosa di bello? È così strano pensare che tu, sempre così musone e taciturno, sia corso da me per dire di volermi parlare. Non riesco proprio ad immaginare che notizia tu voglia darmi ma sono molto contenta che abbia scelto me come confidente. Sono contenta di quanto profondo sia il nostro rapporto e, anche se spesso litighiamo perché per capirti ci vorrebbe un interprete, penso che io adesso senza di te non possa proprio più stare.
Oddio, ahahah questa lettera è diventata una sorta di confessione… ah, ti ho raccontato della gelosia di Rei verso la signorina Asako? Dovresti vederlo, si è calato nei panni del manager distaccato ma si vede lontano un miglio che dentro di sé bolle di rabbia quando lei è costretta a girare le scene a letto con il suo partner. E tu, Hayama, sei mai stato geloso? Non riesco a spiegarti perché ma non mi sento per niente a mio agio a girare certe scene con Naozumi. Mi vieni sempre in mente tu e penso a cosa diresti se mi vedessi tra le sue braccia. Ti assicuro però che tra noi non c’è niente! Ti ho già detto che mi sono arrabbiata molto quando ho letto quegli articoli falsi sul nostro conto e ho pensato subito a te, avrei voluto telefonarti per spiegarti come stavano le cose ma qui il telefono non prende da nessuna parte. Sembra di stare su un’isola deserta ahaha! Io penso che sarebbe molto strano per me vederti con qualcuna, lo so che non sei un attore e che non c’è pericolo che tu ti ritrovi a girare scene romantiche ma, se ci penso, la cosa non mi rende affatto felice. La nostra amicizia potrebbe finire e io non voglio questo, nella maniera più assoluta. Quindi, fammi il favore di non diventare mai un attore. Ah, a proposito, come vanno gli allenamenti? Io sono molto fiera di te e spero che tu possa sentire lo stesso per me, mi sto impegnando moltissimo per questo film e se riuscirò a fare un buon lavoro, sarà solo merito tuo, perché ti penso sempre e questo mi aiuta a non essere triste per la tua lontananza.
Oh mamma, mi sembra di aver scritto così tanto, probabilmente ti sarai già annoiato e non sarai nemmeno arrivato a questo punto. Però sappi che presto tonerò da te e voglio che ci vediamo più spesso, anche se questo vorrà dire rinunciare a qualche lavoro. Recitare mi piace moltissimo ma qui, su queste montagne, ho capito che per la mia felicità tu sei assolutamente necessario.
Ora ti lascio, perché devo preparami alla prossima scena e mettere il ghiaccio alla gamba. Questa è un’altra storia che spero di raccontarti molto presto, quando finalmente ci rivedremo.
Con affetto
Sana.
 
Forse lesse quella lettera qualcosa come sei o sette volte e in nessuna di queste il suo cuore smise di battere così forte. Aveva lo sguardo ipnotizzato da quella moltitudine di parole che si susseguivano sul foglio bianco, pronte a colpirlo come gli aghi di mille spilli invisibili. Le sue mani cominciarono a tremare leggermente, non seppe capire se per la rabbia o l’emozione. Ma come diavolo le era venuto in mente di scrivergli quella lettera? Come si era permessa di dirgli quelle cose e poi sparire nel nulla? Il cuore non voleva saperne di rallentare la sua corsa e ora la rabbia iniziava ad aumentare sul serio. Strinse le dita sul foglio fino ad accartocciarlo, tentato come non mai di dargli fuoco e dimenticare quella storia. Ma come faceva? Lei non immaginava nemmeno quante volte lui avesse sognato di sentirle dire quelle parole e ora che invece erano addirittura scritte, indelebili nero su bianco, come faceva a dar fuoco a quel passato che stava ritornando lentamente a galla?
«Stupida ragazzina egoista… sei solo una stupida!» imprecò, stringendo talmente forte i pugni da sentire le unghie conficcarsi dolorosamente nella pelle. Lui le mancava? Avrebbe rinunciato a lavorare così tanto per poterlo vedere più spesso? E allora perché aveva permesso che si sentisse così solo? Si alzò di scatto, dando un forte calcio alla panchina sulla quale era seduto solo pochi istanti prima. Un calcio, due, tre, quattro… non smetteva di colpirla come le parole di Sana non smettevano di colpire lui. «E dove sei finita allora? Dov’è finito tutto questo sentimento di mancanza, eh? Sciocca babbea!» continuò borbottando e calciando la panchina, finché questa si schiodò appena dal terreno.
Si era sbagliato di grosso quando, quattro anni prima, le aveva detto che finché erano vivi non si sarebbero persi di vista perché era successo esattamente il contrario.
Di colpo si bloccò ripensando a quella frase. Restò immobile per un secondo prima di scattare come un lampo e iniziare a correre, lontano da quel parco, lungo una strada che conosceva alla perfezione. Corse più veloce di sempre, più veloce di quando correva per allenarsi in vista delle gare di karate mentre tuoni in lontananza annunciavano l’arrivo di quello che probabilmente sarebbe stato un forte temporale. Continuava a stringere la lettera tra le mani quando le prime gocce di pioggia si posarono sul suo viso senza arrecargli il minimo fastidio. Era troppo impegnato a controllare i battiti del suo cuore.
Dopo pochi minuti si ritrovò dinanzi a quella villa, dopo così tanto tempo pensò che non era cambiato proprio niente e si sentì quasi più tranquillo, come se percepisse la possibilità di riprendere il controllo della situazione. La luce del sole orami era già un ricordo e la pioggia si era fatta più incessante quando accorciò rapidamente la distanza tra lui e la porta d’ingresso. Cominciò a battere un pugno abbastanza forte da farlo trasalire. Che cosa avrebbe fatto ora? Di colpo iniziò a pensare di aver commesso un errore, ma fu solo un istante perché la rabbia che provava dentro era molto più forte di qualsiasi altro debole sentimento.
Fu proprio lei a comparire dietro la porta ormai spalancata. Indossava dei pantaloncini corti e una maglia sottile coperta da un cardigan di lana che le arrivava a metà coscia. Si strinse nei vestiti quando una folata di aria gelida li soprese scompigliando i capelli ad entrambi.
«H-Hayama? C-che ci fai qui?» domandò sorpresa, con un filo di voce che stava quasi per spezzarsi come un ramoscello secco. Lui aveva lo sguardo abbassato, aveva bisogno di tempo per trovare il coraggio di guardarla in faccia ma quando lo fece, notò che i suoi capelli le arrivavano fino al seno. Si riscoprì sorpreso nell’arrossire leggermente. Strinse poi la lettera tra le dita più forte che poteva inchiodando lo sguardo in quello di lei.
«Sei una babbea», disse soltanto, raccogliendo tutta la volontà che possedeva affinché lei non notasse il tremito nella sua voce. Chissà se ci era riuscito.
Sana sbatté le palpebre per qualche istante, adattando il suo viso ad un’espressione interrogativa. «Ma che vuoi?» riuscì solo a replicare corrucciando il viso. Akito sollevò un braccio allentando la presa estenuante sul foglio di carta stropicciato per fare in modo che lei capisse cosa gli stava succedendo.
«Tu… sei solo una babbea!» aggiunse con rabbia senza toglierle gli occhi di dosso. Capì subito che lei stranamente aveva collegato tutto, lo capì dalla sua bocca semi aperta e dall’espressione triste che le si era disegnata in volto, «E non sai nemmeno scrivere», concluse a voce bassa. Quell’istante in cui si guardarono durò un milione di anni, lui con lo sguardo duro e lei con gli occhi lucidi. Da dove saltava fuori quella lettera dopo così tanto tempo?
Quel gioco di sguardi fu interrotto da una voce fuori campo che stava pronunciando il nome di Sana un po' troppe volte. Quella era una voce che Akito conosceva molto bene, nonostante volesse dimenticarla.
Kamura comparve alle spalle della ragazza e lo salutò con un’espressione decisamente poco amichevole. Quello era un imprevisto che lui non aveva calcolato mentre metteva in atto il suo piano di raggiungerla. Si rese conto che quel piano faceva acqua da tutte le parti e che aveva fatto davvero una gran cazzata a farsi vedere così da lei. Indietreggiò di qualche passo, ormai zuppo fino all’osso.
«Dovresti rientrare altrimenti ti prenderai un malanno», Kamura si rivolse a Sana, senza però distogliere lo sguardo da Akito. «Dovresti andartene a casa anche tu Hayama, sembri un pulcino bagnato», aggiunse senza cambiare minimamente l’espressione sul volto. Sana, dal canto suo, non riuscì a dire proprio nulla perché mai nella sua vita si sarebbe aspettata di dover affrontare una situazione del genere. Akito le si era palesato davanti con quella lettera, dopo tanto tempo, dandole della babbea e sconvolgendole l’esistenza per l’ennesima volta. Non fece in tempo ad emettere suono che Hayama le aveva già dato le spalle, dileguandosi come un fulmine sotto quel diluvio torrenziale, scomparendo rapidamente nel buio della sera. Istintivamente alzò un braccio come per fermarlo «No, aspetta…» emise flebilmente, non potendo fare a meno di pensare che in quella situazione si sentiva veramente una gran babbea.  
 

**Note d'autrice
Ciao a tutti e rieccomi con un aggiornamento. Pensavo di metterci più tempo a scrivere questo capitolo, e invece è praticamente venuto giù da solo.
Come al solito vediamo il nostro Akito alle prese con la sua doppia personalità e con un destino che sembra sempre andargli contro. Oppure no? xD
Quale sarà la reazione di Sana alla scenetta di Kamura? E Akito riuscirà a mettere l'orgoglio da parte?
Spero che questa parte vi sia piaciuta e che continuerete a leggere questa storia. Ringrazio tutte voi per aver recensito i capitoli precedenti e chi preferisce, segue o semplicemente legge la storia.
Al prossimo aggiornamento.

Alex
   
 
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