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Autore: LazySoul    23/06/2020    1 recensioni
Trama:
Diana ha 17 anni, è la secondogenita dell'Alpha ed è trattata da tutti come una bambina.
Nel tentativo di dimostrare di essere grande abbastanza per combattere e difendersi da sola, chiederà aiuto alla persona che più la confonde, suscitando in lei sentimenti contrastanti, Xavier O'Bryen.
Tra uno spasimante indesiderato, una migliore amica adorabilmente pazza e un assassino in circolazione, riuscirà Diana ad accettare i sentimenti che prova per Xavier?
Estratto:
«Sei giovane, ancora non hai imparato che spesso gli odori celano delle emozioni», spiegò, appoggiandosi al materasso con le mani e avvicinando il viso pericolosamente al mio: «E sai cosa mi sta urlando il tuo odore in questo preciso istante?», mi chiese, anche se era palese che non si aspettasse una risposta.
«Prendimi», sussurrò ad un soffio dalle mie labbra.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Riassunto del capitolo precedente: nonna racconta a Diana delle leggende legate alla loro specie, Diana dice una volta per tutte a Michel che lo vede solo come un amico, poi va in camera di Xavier, che scopriamo essere geloso di Michel.

Buona lettura!

 


 

Capitolo XVII: Tutta la mia vita in una borsa



 

Xavier aprì il borsone con lentezza esasperante, fermandosi ogni pochi secondi per guardarmi e sorridermi.

L'impazienza e la curiosità mi stavano consumando viva.

Allungai il collo per spiare il contenuto della borsa, ma Xavier mi coprì gli occhi con una mano, impedendomi di sbirciare.

«Hey!», protestai, liberandomi dalla sua presa.

Le fossette di Xavier erano in bella vista e il borsone era completamente aperto sul suo grembo.

La prima cosa che mi mostrò fu un libro dalla copertina e dorso rovinati, sembrava di terza o quarta mano da quanto era danneggiato. Il modo quasi reverenziale con cui Xavier maneggiava il volume mi lasciò intendere che dovesse avere un grande valore sentimentale per lui.

«Questo era il libro di poesie preferito di mio padre, me l'ha regalato per il mio sedicesimo compleanno», disse porgendomelo.

Sfiorai la copertina di quell'edizione di "Foglie d'erba" di Walt Whitman con cura, sentendo il materiale ruvido contro i polpastrelli.

Avrei voluto fare alcune domande a Xavier a proposito di suo padre, ma sapevo che quello era un argomento delicato e non avevo intenzione di rovinare il momento, così mi limitai a osservarlo, mentre affondava nuovamente le mani all'interno del borsone.

Un sorriso triste comparve sulle sue labbra, mentre estraeva una scatola di latta sulla cui superficie si diramavano illustrazioni natalizie.

Dovetti attendere solo pochi secondi prima che aprisse la scatola, tirandone fuori alcune cartoline, foto e fogli di carta.

«Questa è l'unica foto che ho di mia madre», disse con la voce che gli tremava leggermente per l'emozione.

Appoggiai "Foglie d'erba" sul letto, allungando una mano verso la fotografia che stava scrutando con aria sperduta: «Posso?», chiesi, aspettando che fosse lui a mostrarmela.

Voltò l'immagine , così da permettermi di vederla, e non potei fare a meno di sorridere appena, colta da una profonda malinconia: sua madre era stata una bella donna, con lunghi capelli scuri e occhi chiari. Nella foto stava sorridendo alla telecamera e metteva in mostra due fossette molto simili a quelle che aveva Xavier agli angoli della bocca.

Incerta su come comportarmi, mi limitai a spostare lo sguardo dalla foto al viso del ragazzo che, a mezzo metro da me, mi osservava con aspettativa.

«Come si chiamava?»

«Theresa», rispose, sorridendo appena: «É morta dandomi alla luce».

Sbarrai leggermente gli occhi dalla sorpresa e, senza pensarci, intrecciai la mia mano alla sua, sedendomi in modo da essergli più vicina.

Non avrei dovuto essere tanto sorpresa, avevo immaginato da quel poco che mi aveva raccontato che sua madre non era mai stata particolarmente presente nella sua vita, ma avevo sperato — per lui — che fosse ancora viva.

Non osavo immaginare cosa si dovesse provare nel perdere una persona tanto importante così presto e non avere l'occasione di conoscerla.

Avrei voluto fargli domande al riguardo; chiedergli se suo padre gli avesse mai parlato di sua madre, sapere che tipo di persone fossero entrambi, ma mi limitai a un semplice: «Mi dispiace», malgrado temessi di risultare banale.

«Papà non mi parlava spesso di lei, era doloroso per lui ricordare», disse, spostando la foto in modo da tornare a guardare il volto sorridente di sua madre.

«Le somigli», mormorai, stringendo maggiormente la stretta intorno alle sue dita, muovendo il pollice sul dorso della sua mano, nel tentativo di trasmettergli l'affetto di cui sembrava aver bisogno in quel momento. Non doveva essere facile parlare di cose tanto dolorose e non potevo fare a meno di provare ammirazione.

«Avrei voluto conoscerla», disse, appoggiando la foto sulla copertina di "Foglie d'erba", mentre spostava lo sguardo verso la finestra alla sua sinistra.

Senza pensarci sciolsi l'intreccio delle nostre dita e mi sporsi verso di lui, accoccolandomi accanto al suo torace, nel tentativo di confortarlo.

Dalla sua espressione inizialmente sorpresa, capii che non si era aspettato un gesto simile da parte mia, ma presto i suoi lineamenti si addolcirono e le sue braccia mi avvolsero più vicino a sé.

«Non è facile parlarne», mormorò contro la mia fronte, prima di lasciarvi un bacio leggero: «E mi dispiace ma non penso di essere pronto a condividere altri dettagli. Pensi di riuscire a sopravvivere malgrado la curiosità?»

Sorrisi, scuotendo la testa: «Sarà dura», scherzai, intrecciando la mia mano destra alla sua sinistra.

Avrei voluto rimanere in quella posizione per sempre; a inebriarmi del suo profumo e a godermi la sensazione del suo corpo caldo contro il mio.

Dopo qualche secondo di silenzio Xavier sciolse la stretta delle nostre mani solo per afferrare all'interno della scatola di latta una cartolina raffigurante le cascate del Niagara.

«Quasi mi ero dimenticato di esserci stato, papà voleva portarmi in un posto speciale per il mio dodicesimo compleanno e dato che in quel periodo vivevamo in una cittadina a poche ore dalle cascate ha pensato che potesse essere una buona idea», raccontò: «Quel giorno mentre eravamo in fila per salire su uno dei battelli turistici, mi sono sentito male. Per fortuna papà ha colto subito i segnali e mi ha portato lontano da occhi indiscreti impedendo a qualche curioso di assistere alla mia prima trasformazione».

Mi spostai leggermente, così da poter vedere l'espressione serena sul suo volto mentre mi raccontava l'accaduto.

«Una volta tornato in forma umana ero così scosso e spossato che papà ebbe giusto il tempo di aiutarmi a rivestirmi e portarmi alla macchina prima che mi addormentassi di botto. Ho dormito fino alla mattina del giorno dopo. L'espressione fiera sul viso di mio padre quando mi svegliai... non l'avevo mai visto tanto felice».

«Io mi sono trasformata a dieci anni. Era estate e stavo giocando alla lotta con mio fratello in giardino, ci rotolavamo nell'erba ringhiandoci contro, mentre nonna a pochi passi raccoglieva le verdure nell'orto. Per scherzo mio fratello mi morse il braccio, ma strinse troppo, facendomi male. Mi bastarono pochi secondi per trasformarmi e morderlo a mia volta. Ricordo chiaramente lo sguardo sconvolto di nonna mentre abbandonava il cestino pieno di verdure per terra e iniziava a correrci incontro. Era convinta inizialmente che fosse stato Kyle a perdere il controllo e trasformarsi, quando vide che ero io quella in forma di lupo rimase senza parole, nessuno si aspettava che mi trasformassi così presto», raccontai, sfiorando la cartolina che Xavier stringeva ancora tra le dita: «Mamma e papà mi misero in punizione per una settimana perché avevo fatto male a Kyle».

«Com'è stato?», mi chiese, posando la cartolina per intrecciare nuovamente le nostre dita e iniziare a giocherellarci.

«Intendi la prima trasformazione? Dolorosa», dissi con una smorfia, mentre richiamavo alla mente quel giorno: «Ma durò molto poco, due o tre secondi e poi era tutto finito», spostai il capo in modo da incontrare lo sguardo di Xavier: «La prima trasformazione più veloce della storia, eppure finii lo stesso in punizione».

«Impressionante», mormorò ironicamente, facendomi sollevare gli occhi al cielo: «Lo so», confermai, osservandolo con un sorriso petulante in attesa della sua risposta.

«Ne hai abbastanza per oggi o vuoi continuare?»

«Che domanda è?», chiesi, sollevandomi abbastanza da sciogliere il nostro abbraccio, ma rimanendo comunque vicino a lui, così da godermi il calore del suo corpo: «Continuiamo».

Xavier non si lamentò della mia improvvisa distanza e si limitò a estrarre altre cartoline dalla scatola di latta: New York, il Gran Canyon, Seattle, New Orleans, le Rocky Mountains. Per ogni posto aveva un aneddoto da raccontare; come si era perso a New York, racconti sui musei che aveva visitato, le persone che aveva conosciuto, i piatti tipici che aveva assaggiato.

«Tra tutti i posti che hai visto», lo interruppi, osservando attentamente il suo volto assorto: «Qual è il tuo preferito?»

Capii dalla sua espressione stupita che non si era aspetto di dover rispondere a una domanda simile.

Si prese qualche minuto per pensarci, poi scosse la testa con aria sconfitta: «Non ho un posto preferito».

«No? Come mai?», chiesi, sempre più curiosa.

«Era mio papà quello a cui piaceva viaggiare. Fin da piccolo ho vissuto i traslochi e i trasferimenti come delle punizioni; non riuscivo mai a rimanere abbastanza in una città da farmi degli amici. Col senno di poi sono felice di aver viaggiato e aver visto quasi ogni angolo d'America, ma ai tempi volevo solo essere un bambino normale».

Annuii lentamente, cercando di immaginare come doveva esser stato difficile non avere amici con cui costruire legami duraturi. Mentre mi mostrava le cartoline, tutto quello che ero stata in grado di provare era stata invidia nei suoi confronti per tutti i luoghi che aveva visitato. Ora vedevo l'altra faccia della medaglia, la sofferenza di non appartenere a nessun luogo e di non avere nessuno all'infuori di se stessi.

«Diana?», mi chiamò, risvegliandomi dalle mie riflessioni.

«Scusa, stavo...», lo guardai negli occhi e scossi brevemente la testa: «Pensavo a quello che hai detto, non dev'essere stato facile».

«No, ma ho comunque avuto una vita felice, mio papà non mi ha mai fatto mancare nulla», disse, riposando le cartoline e la foto di sua madre nella scatola di latta.

Rimanemmo in silenzio per qualche secondo.

Avrei voluto fargli altre domande, chiedergli cos'altro contenesse il borsone, ma sentii nonna chiamarmi dal piano di sotto e mi resi conto che era quasi ora di cena.

«Devo andare», dissi, cercando di nascondere il forte dispiacere che provavo all'idea di allontanarmi da lui in quel momento, mentre mi alzavo in piedi.

«Prometti di tornare?», mi chiese, allungando una mano per impedirmi di allontanarmi troppo.

Senza pensarci mi sporsi per lasciargli un veloce bacio sulle labbra, poi indietreggiai prima che lui potesse fermarmi.

Sul viso di Xavier potevo vedere chiaramente il disappunto e non potei fare a meno di sorridere a quella vista.

«Lo prometto», gli dissi, facendo comparire sul suo volto le fossette che tanto adoravo.

«Potremmo guardare un film insieme», mi propose, indicando il computer portatile che si trovava sulla sua scrivania.

Sentii un piacevole nodo al petto e annuii, mordendomi il labbro: «Va bene», acconsentii, prima di uscire dalla stanza e chiudere la porta alle mie spalle.

Mi resi conto del sorriso fin troppo radioso che avevo stampato in volto, solo quando mi trovai di fronte a nonna, che ai piedi delle scale mi osservava con aria interrogativa e una punta di malizia. Mi preoccupai all'istante di nascondere dietro a un'espressione impassibile tutta la mia felicità, così da evitare domande imbarazzanti da parte sua o da chiunque altro.

«Mi aiuteresti con la cena?», chiese semplicemente nonna, evitando di farmi il terzo grado che temevo, mentre si dirigeva in cucina senza attendere una mia risposta.

La seguii senza fiatare, osservandola con aria titubante: cominciavo a pensare che nonna si fosse fatta un'idea sbagliata di quello che era successo in mansarda tra me e Xavier. Temevo però di peggiorare soltanto la mia situazione se avessi provato a spiegarmi, così optai per il silenzio.

Stavo per chiedere dove fossero mamma e papà, ma mi ricordai ben presto del loro appuntamento a cena con l'Alpha Rice, così posi un'altra domanda: «Cosa prepariamo?»

Nonna fece spallucce: «Edith vuole dei pancake e dato che devo mantenere il mio status di "nonna più migliore di sempre", penso che l'accontenterò».

Sorrisi sotto i baffi, osservando mia sorella che stava guardando la televisione in salotto: «"Più migliore"?», ripetei, sentendo chiaramente una dolcezza infinita mentre pensavo a quanto erano adorabili gli errori che, da quando aveva iniziato a parlare, Edith faceva con sempre meno frequenza.

Anche se non lo mostravo spesso, volevo molto bene a mia sorella.

In quel momento, addolcita dalla conversazione che avevo avuto con Xavier fino a poco prima, provai la voglia improvvisa di abbracciare mia sorella e baciarle la fronte.

Senza pensarci troppo raggiunsi Edith in salotto e misi in pratica i miei pensieri, disturbandola dalla visione del suo cartone preferito: Winnie The Pooh. 

«D, smettila», si lamentò ridendo: «Se ti metti davanti non vedo».

Mi sedetti accanto a lei sul divano, osservando distrattamente le immagini colorate che mostravano il Bosco dei Cento Acri e Winnie The Pooh con Christopher Robin, senza preoccuparmi di seguire effettivamente quello che stava succedendo sullo schermo.

Disturbai ulteriormente mia sorella, facendole il solletico, poi fui costretta a fuggire in cucina, prima che mia sorella potesse contrattaccare o arrabbiarsi tanto da volermi fare del male.

Iniziai subito ad aiutare nonna con la pastella dei pancake, mentre cercava la padella adatta per cuocerli.

Ben presto l'odore di quello che stavamo preparando, giunse in salotto, attirando l'attenzione di Edith, che ci raggiunse in cucina con un enorme sorriso in volto, saltellando felice, all'idea di mangiare pancake per cena.

«Nonna sei la più migliore e anche tu, D!», disse, sbirciando la padella sul fuoco e il composto che si cuoceva al suo interno, con fare famelico.

«Che ne diresti di andare a chiamare tuo fratello?», le disse la nonna, sorridendo.

Appena Edith scomparve in corridoio, nonna aggiunse: «Non mi piace l'idea di condividere il titolo di "più migliore"», mi disse, arricciando leggermente le labbra in una smorfia.

«Temo che dovremo sfidarci, allora».

Nonna mi pizzicò il fianco, facendomi sussultare per la sorpresa.

«Sarò vecchia, ma questo non vuol dire che non sia abbastanza arzilla da tenerti testa», mi disse, prendendo il mio posto ai fornelli, mentre mi indicava il tavolo da apparecchiare.

Proprio mentre sistemavo i piatti, mi chiesi quand'era stata l'ultima volta che mi ero sentita altrettanto bene.

Pensai a quando Xavier mi aveva baciato per la prima volta, ma il ricordo di quello che era successo subito dopo — il modo in cui mi ero allontanata bruscamente per evitargli di approfondire il contatto — mi fece stringere le labbra in una linea sottile.

Non era stato il tipo di ricordo perfetto che mi sarei immaginata di conservare per sempre, ma potevo fingere che quel mio momento di paura e codardia non fosse mai esistito, sostituendolo con il bacio che ci eravamo scambiati poco prima. 

Era difficile ammetterlo, ma mi stavo arrendendo ormai ai sentimenti che provavo per lui e l'idea di farlo non mi creava più la paura e la repulsione di pochi giorni prima.

Kyle entrò in cucina con Edith in spalle e un sorriso in volto: «Qualcuno mi ha detto che si mangiano pancake per cena», annunciò, appostandosi alle spalle di nonna, per osservare il suo lavoro: «Hanno un bellissimo aspetto!»

«Potresti anche aiutare», gli feci notare, incrociando le braccia al petto.

Una delle cose che non sopportavo di mio fratello era il fatto che non aiutasse mai con le faccende domestiche, tranne quando non lo si costringeva con la forza o con qualche occhiata minacciosa.

«Penso che nonna se la stia cavando benissimo anche senza il mio aiuto», mi disse, facendo scendere Edith dalle sua spalle.

«Parlavo della tavola», specificai, sollevando gli occhi al cielo.

Kyle sbuffò sonoramente, ma fece lo sforzo di recuperare dal cassetto apposito le posate e poi i bicchieri.

«Attento a non rovinarti la manicure», gli dissi, decisa a stuzzicarlo fino a quando non avrei ottenuto una qualche sorta di reazione.

Mio fratello mi lanciò un'occhiata d'avvertimento, poi recuperò lo sciroppo d'acero, della Nutella e granella al cocco, mentre io mettevo in tavola il miele e della marmellata di fragole.

«Com'è andata la partita a baseball?», gli chiesi, riferendomi ai suoi impegni pomeridiani con alcuni ragazzi appartenenti al branco dell'Alpha Rice: «Hai perso?»

«No, la mia squadra non ha perso», mi disse, facendomi la linguaccia: «Ho visto il signor Montgomery, è venuto a vederci giocare per qualche minuto, poi è tornato verso casa sua».

Completamente dimentica del mio desiderio di far arrabbiare mio fratello, mi sentii all'improvviso molto triste all'idea di come si dovesse sentire uno dei membri più anziani del nostro branco, a due mesi dalla morte di sua moglie.

«Poveretto», disse nonna, scuotendo lentamente la testa: «Non volevo intromettermi nel suo dolore, ma forse è il caso che vada a trovarlo uno dei prossimi giorni. Parlare potrebbe aiutarlo».

«Ti accompagno», dicemmo all'unisono io e Kyle, prima di guardarci male.

«L'ho detto prima io», borbottai, anche se sapevo che non era vero.

«Bugiarda», disse mio fratello: «E comunque possiamo accompagnarla entrambi».

«Non litigate, ci penseremo quando sarà il momento», ci zittì nonna, prima di posare al centro del tavolo il piatto su cui erano impilati i pancake che aveva preparato fino a quel momento: «Chi ha fame?»

«Io!», urlò Edith, sedendosi subito al suo posto, con un sorriso entusiasta.

Iniziammo a mangiare in silenzio, ben presto nonna chiese a mia sorella della sua giornata a scuola e venimmo deliziati da un avvincente racconto di come una compagna di classe di Edith, una certa Nora, aveva perso un dentino a pranzo e aveva rischiato di ingoiarlo, spaventandosi molto, tanto che la maestra aveva dovuto chiamare i genitori.

Kyle rise così forte da rischiare di cadere dalla sedia.

«Non capirò mai il tuo senso dell'umorismo», dissi, confusa, prima di tornare a mangiare il mio pancake con sopra la Nutella.

«Mi sono semplicemente immaginato la scena», disse lui, il sorriso che gli aleggiava ancora sulle labbra.

«Complimenti, nonna, i pancake sono venuti molto buoni», dissi mentre masticavo l'ennesimo boccone, beccandomi un rimprovero da Kyle, che mi ricordò che parlare con la bocca piena non era un gesto molto educato.

Quando la cena-colazione terminò, aiutai nonna a sparecchiare, mentre mio fratello ed Edith tornavano in salotto per guardare ancora un po' di televisione, prima di andare a letto.

Mi offrii volontaria per portare un paio di pancake avanzati a Xavier, ma nonna bloccò sul nascere la mia fuga: «Aspetta, preparo una tisana veloce, così gli porti anche qualcosa di caldo da bere».

Fui tentata di dire a nonna ciò che mi aveva detto Xavier, sul fatto che non avesse mai bevuto così tanti tè in vita sua, ma avevo paura di ferire i sentimenti di nonna, così rimasi zitta e annuii semplicemente, caricando la lavastoviglie mentre nonna metteva a scaldare dell'acqua.

«Avete chiacchierato molto oggi», disse nonna, lanciandomi uno sguardo di sottecchi: «Tu e Xavier intendo».

«Sì», confermai, anche perché sarebbe stato molto stupido e poco credibile dire il contrario.

«Vi state conoscendo?», mi chiese, sistemando su un vassoio un piatto con un paio di pancake avanzati, la marmellata di fragole e il barattolo della Nutella.

«Sì», ripetei, chiedendomi se sarei riuscita a soddisfare la curiosità di nonna con quelle risposte monosillabiche.

«E come ti sembra?»

Chiusi lo sportello della lavastoviglie e incrociai le braccia al petto, osservandola mentre rovesciava l'acqua calda in una tazza su cui c'era disegnato sopra Bugs Bunny. 

«Ancora non lo so», ammisi, aggrottando le sopracciglia, pensierosa.

«È normale, ricordati solo di non essere troppo impulsiva», aggiunse, porgendomi il vassoio su cui aveva sistemato la tisana.

Sapevo che con quelle parole si stava riferendo alla conversazione di qualche giorno prima, quando mi aveva parlato del nonno, del loro incontro e di come lei inizialmente aveva pensato di affrettare le cose tra di loro.

«Certo, nonna», la rassicurai, sporgendomi per lasciarle un bacio sulla guancia, sentendo la rugosità della sua pelle contro le mie labbra.

«Buona notte, Diana», mi disse nonna, sorridendomi, prima di voltarsi verso i miei fratelli che stavano ancora guardando Winnie The Pooh: «Voi due, non pensate che sia ora di andare a dormire?»

Kyle mise il broncio, mentre Edith iniziò a chiedere a nonna se poteva guardare ancora un po' di televisione, cercando di fare leva sul fatto che aveva la nonna più migliore di sempre e che non era stanca.

«Tua sorella è fin troppo furba», disse a mezza voce nonna, facendomi ridere di gusto, tanto che rischiai di rovesciare il contenuto della tisana sul vassoio.

Abbandonai nonna, diretta in mansarda, certa che sarebbe stata in grado di cavarsela egregiamente con Kyle e Edith anche senza di me. 

Mi resi ben presto conto che, mano a mano che salivo i gradini, una dolce impazienza s'impossessava di me.

Abbassai la maniglia col gomito e aprii la porta della mansarda con la spalla, trovando Xavier al solito posto nel letto, aveva però sulle gambe il computer portatile e appena mi vide i suoi lineamenti si distesero in un dolce sorriso.

«Un altro tè?», mi chiese, sistemandosi meglio a sedere contro alla testiera del letto.

«Tisana», dissi, appoggiandogli il vassoio in grembo: «E pancake».

«Mi fai compagnia mentre mangio?», domandò, osservandomi attentamente, il sorriso di poco prima sostituito da un'espressione più seria.

Rimanemmo in silenzio per qualche secondo, studiandoci a vicenda.

«Se ti fa piacere, rimango», dissi, confusa dalla sua espressione pensierosa.

«Mi piacerebbe che rimanessi, ma non voglio che tu ti senta in dovere», spiegò, abbassando lo sguardo: «Magari non hai più voglia di vedere un film insieme».

«Certo che ne ho voglia!», esclamai, sfilandomi le ciabatte pelose per salire sul letto e sdraiarmi accanto a lui, facendo attenzione e a non fare movimenti troppo bruschi, che potessero far rovesciare il contenuto della tazza sul suo vassoio.

Xavier sorrise: «Bene, allora, cosa vorresti guardare?»

«Non sono una fan delle commedie romantiche», ammisi con una lieve smorfia, allungandomi in modo da recuperare dalle sue cosce il computer, per appoggiarlo sul mio grembo: «Volendo potremmo iniziare una serie insieme, guardare un episodio ogni tanto», proposi.

«Perché no?», disse Xavier, spalmando un po' di Nutella sul suo pancake: «Hai già qualcosa in mente?»

«Forse», ammisi, spostando lo sguardo dallo schermo del computer al volto sorridente del ragazzo seduto accanto a me: «Frida l'altro giorno mi ha consigliato una serie che pensa potrebbe piacermi».

«Teen Wolf?», chiese Xavier, il sorriso sul suo volto che si allargava ulteriormente.

Risi alle sue parole scuotendo la testa: «No, quello lo guarda Sab e non mi fido molto dei suoi gusti, sono troppo diversi dai miei quando si tratta di film o libri».

Xavier posò sul comodino la tisana — così da lasciarla raffreddare al sicuro da movimenti bruschi, che avrebbero potuto rovesciarla — e si sistemò in modo tale da portare un braccio intorno alle mie spalle, così da sbirciare meglio quello che stavo cercando col computer. 

Sentii chiaramente il mio cuore aumentare i battiti nel sentirlo così vicino, ma cercai di non dare a vedere il mio turbamento.

«Westworld?», chiese, leggendo il titolo della serie che avevo appena cercato.

«Sì, la conosci?»

Voltando il capo verso di lui mi resi conto di quanto fossimo vicini e della macchia di Nutella che aveva all'angolo della bocca, e una morsa di desiderio mi si strinse nello stomaco.

«No», disse lui, lo sguardo sulle mie labbra, prima di tornare a guardare lo schermo del pc: «Sembra interessante dalla trama».

Mi impedii, facendo uno sforzo incredibile, di pulirli la Nutella dal labbro e tornai a mia volta a concentrarmi sulla puntata che si stava caricando.

«Lo sai che lo streaming è illegale?», chiese a bassa voce, facendomi sorridere.

«Siamo lupi mannari in un mondo di umani che non sanno niente della nostra esistenza, a parte vecchie leggende a cui non credono più, davvero ti preoccupi di ciò che è legale?»

Xavier rise: «Hai sempre la risposta pronta».

Inizialmente pensai che la sua fosse una critica e mi voltai, pronta a litigare e a fargli vedere quando potevano essere taglienti le mie risposte, ma mi resi conto dalla sua espressione che la sua non era intesa come una critica.

Sorrisi: «E tu sei sporco di Nutella».

Xavier iniziò a passarsi la lingua sulle labbra, senza distogliere lo sguardo dal mio: «Sono pulito ora?»

Scossi la testa e mi costrinsi nuovamente a non allungare la mano — o la mia bocca — per pulirlo, decidendo di dargli indicazioni per aiutarlo a trovare da solo la Nutella: «A destra, sul labbro».

Xavier sorrise: «Lo so cosa stai pensando», mi disse, immergendo un dito nel barattolo di Nutella sul vassoio ancora davanti a lui: «Sicura di non volerlo fare? A me non dispiacerebbe».

Prima che potessi rendermi conto di quello che era intenzionato a fare, sentii il suo dito sporcarmi la bocca con la Nutella e il nodo di desiderio, che sentivo al basso ventre, si strinse maggiormente.

Poi con un gesto veloce si portò l'indice in bocca, pulendolo.

Abbassai il monitor del portatile e mi preoccupai di appoggiarlo sul comodino, lontano dalle mie dita tremanti, e sentii chiaramente Xavier fare lo stesso col vassoio dei pancake.

Quando tornammo a guardarci misi da parte ogni mia titubanza e mi allungai verso di lui, appoggiando la mano sulla sua guancia.

Leccai via la Nutella dal suo labbro, poi lasciai che lui facesse lo stesso con quella che si trovava sulla mia bocca. Fu inevitabile baciarsi subito dopo, spostandoci nel letto in modo da stare più vicini.

Circondata dal suo profumo, vezzeggiata dai suoi baci di fuoco, mi lasciai andare, sopraffatta dalle sensazioni.

Non mi preoccupai del fatto che nonna o Kyle o Edith avrebbero potuto sentire qualcosa, non mi preoccupai delle ferite che si stavano rimarginando sul corpo di Xavier, non mi preoccupai della mia inesperienza e mi sedetti a cavalcioni su di lui, approfondendo il bacio.

Xavier mi sistemò su di lui in modo da non pesare troppo sulla sua ferita al fianco, poi le sue mani iniziarono a percorrere la lieve curva dei miei fianchi, la mia vita e la mia schiena.

«Ti faccio male?», gli chiesi, scostandomi abbastanza da guardarlo negli occhi.

«Non troppo», disse, sorridendomi.

Tornai a baciarlo, portando le mie mani ad intrufolarsi sotto la maglia che indossava, così da sentire il calore della sua pelle contro le mie dita.

«Hai le mani fredde», mi disse, prima di copiare i miei movimenti e insinuare le sue sotto al maglione che indossavo, sfiorandomi la schiena.

«Anche tu», ribattei, continuando la mia esplorazione, esponendo alla mia vista sempre più centimetri della sua pelle.

«Cosa vuoi fare, Diana?», mi chiese, osservando i miei movimenti con occhi languidi. 

Scrollai leggermente le spalle, spostando il mio sguardo dalla sua pancia ai suoi occhi: «Hai un ombelico buffo», dissi la prima cosa che mi passò per la mente, ottenendo come risposta una risata fragorosa e le sue bellissime fossette.

Mi sollevò il maglione, osservando il mio ombelico con occhio critico: «Il tuo è carino», mi disse, prima di coprirmi nuovamente la pancia. 

«Non sono sicura di voler iniziare una serie tv in questo momento», ammisi, abbassandomi in modo da appoggiare la guancia contro il suo petto e sentire il battito cadenzato del suo cuore.

«Sai, l'avevo intuito», disse, avvolgendomi in un abbraccio, il naso premuto contro i miei capelli.

Senza pensare a quello che stavo per chiedergli sollevai appena il capo, così da incrociare il suo sguardo: «Posso dormire con te questa notte?»

In un primo momento Xavier sembrò essere colto alla sprovvista, poi sorrise e mi diede un bacio lieve sulla punta del naso: «Certo che puoi».

«Intendo...»

«Lo so cosa intendi», mi rassicurò, mentre ci sistemavamo in modo da sdraiarci entrambi comodamente: «Non ho intenzione di affrettare le cose o costringerti a fare qualcosa che non ti senti di fare», mormorò contro le mie labbra, prima di rubarmi un bacio: «Buona notte, Diana».

Mi allungai per spegnere l'interruttore della luce sul comodino, poi tornai tra le sue braccia: «Buona notte».

 

 

***

Buongiorno popolo di EFP!

Come prima cosa chiedo perdono per non aver aggiornato da un bel po' di tempo questa storia, assicurandovi che non ho intenzione di lasciarla in sospeso ma ti terminarla con calma. Cercherò di aggiornare una volta a settimana, ma se non dovessi farcela ve lo farò sapere su Instagram (il nome del mio account è lazysoul_efp) o qua su Wattpad tramite la bacheca dei messaggi.

Detto ciò spero che il capitolo vi sia piaciuto e che abbiate tempo e voglia di farmi sapere cosa ne pensate.

Diana e Xavier sembrano aver raggiunto una sorta di tregua, entrambi sono consapevoli della forte attrazione che provano l'uno per l'altra e vogliono esplorare con calma i loro sentimenti, senza affrettare le cose.

Vi chiedo di non essere tirchi e farmi sapere con precisione cosa ne pensate e per chi vuole sapere quando aggiornerò, spero di farcela entro martedì o giovedì prossimo.

Un bacio,

LazySoul

  
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