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Autore: Dhialya    25/06/2020    0 recensioni
Una serie di eventi sconnessi tra loro, il rimorso graffiante di troppe parole taciute.
La sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Sbatté varie volte le palpebre, quasi sperando che in quel modo tutto tornasse alla normalità. La libreria svuotata, i fogli sparsi per il divano, il tavolino rovesciato e una tazza andata in pezzi. Qualche buco sul muro, la vetrata che dava sul balcone crepata. E il sangue. Sul pavimento c'era una scia di chiazze di sangue.
-Che cazzo è successo?-

Una storia dove passato e presente s'intrecciano riportando a galla ricordi di una vita intera, dove i rimpianti esondano e non sempre certe situazioni sono così facili da affrontare o sistemare.
Dove la speranza è l'ultima a morire o forse se n'è andata già da tempo.
Osservò il cielo azzurro fuori dalla finestra e il sole illuminare la stanza con una prepotenza che quasi le fece male agli occhi, la testa ogni tanto le mandava delle fitte acute e le ferite sotto le bende bruciavano.
Faceva caldo, ma lei sentiva solo freddo.
-Ho perso l'Unicità.-

[Altri generi: Mistero, Malinconico, molto Introspettivo;]
Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou, Nuovo personaggio, Ochako Uraraka, Shouto Todoroki
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Cherry Blossom Tree
Primo Petalo










Marzo.


-Grazie Uravity!-

Ochaco si passò una mano sulla fronte sudata, cercando di togliersi la maggior parte delle gocce che le stavano cadendo lungo le tempie insieme a delle ciocche di capelli umidi che le ostruivano la vista, lanciando uno sguardo alla donna che aveva appena portato in salvo allontanarsi con un agente di polizia mentre si sbracciava per farsi notare.

Tossì un paio di volte, sentendosi a disagio per la nausea che le stava venendo sempre più spesso a causa dell'uso prolungato che stava facendo del suo Quirk e sforzandosi di mimare un sorriso rassicurante nella sua direzione. La gola le bruciava come se avesse ingoiato della sabbia e gli occhi pizzicavano a causa del fumo che infestava l'aria in modo pressante, ma le espressioni sollevate delle persone attorno a lei furono abbastanza significative per farle mettere momentaneamente quei dettagli in un angolo della propria mente.

Non poteva ancora lasciarsi andare alla stanchezza.

Puntò nuovamente lo sguardo di fronte a sé, inchiodandolo sull'edificio in fiamme che si trovava davanti con una nota di determinazione e corrugando le sopracciglia. Iniziava a sentirsi debole, il fumo non la faceva respirare bene e il calore sprigionato dal fuoco le stava facendo appiccicare la tuta da Hero alla pelle in un modo fastidioso a causa del sudore.

Avanzò di qualche passo, saggiando le finestre con sguardo febbrile per cercare di notare se ci fosse qualcun altro rimasto all'interno dell'ospedale che era stato evacuato in tutta fretta. Non avevano saputo spiegarle nei dettagli, ma sembrava che ci fosse stato una sorta di cortocircuito che aveva causato un'esplosione in un ala dell'edificio e lei fosse stata una delle prime Pro ad avere notato la cortina di fumo innalzarsi verso il cielo.

Pazienti e medici si erano riversi in strada sotto gli sguardi allucinanti e terrorizzati dei passanti mentre i pompieri e gli Heroes cercavano di contenere i danni.

-Per favore state indietro, è pericoloso!- gridò notando dei giornalisti cercare di superare la folla di persone per poter riprendere al meglio e mettendo in difficoltà i vari agenti che cercavano di non farli avanzare per tenerli al sicuro. Uraraka corrugò la fronte, limitandosi a tirare le labbra senza commentare altro.

Dannati avvoltoi, avrebbe detto qualcuno di sua conoscenza, e non ebbe il coraggio di pensare che fosse un commento esagerato data la situazione.

-Oddio, sta crollando!-

Uravity voltò di scatto la testa, notando le crepe che si stavano estendo sempre più spesso lungo una delle pareti dell'edificio come se fossero una pianta rampicante. Le poche finestre che ancora erano intatte si ruppero sotto la pressione della costruzione ormai instabile e dalla folla si alzarono varie grida di terrore nel momento in cui oltre ai vetri iniziarono a staccarsi visibilmente dei mattoni.

Ochaco fece dardeggiare gli occhi sull'ambiente circostante, assicurandosi che non ci fossero più persone nei paraggi che potessero venire coinvolte. Tornò a studiare la parete ormai rotta, la sua mente che lavorava freneticamente per cercare d'immaginare la traiettoria che avrebbero percorso i detriti. Fu con un sussulto di orrore che si accorse di un gruppetto di persone intrappolato nell'angolo di un altro edificio senza poter avere una via di fuga, alle loro spalle un camion che gli bloccava la carreggiata.

Erano troppo vicini alla parete che si stava rompendo. Non sarebbero mai riusciti a rimanere in quel punto della strada uscendo indenni dall'imminente crollo.

Uraraka si morse un labbro iniziando a correre con tutta la forza di cui era ancora capace nella loro direzione, pregando di avere abbastanza tempo per poterli scortare al sicuro. Perché non si era accorta prima, dannazione?

-Dovete allontanarvi, è pericoloso restare qui.- esalò quando gli fu arrivata di fronte, respirando affannosamente. Sentì la gola secca e una ventata di aria le portò del fumo negli occhi, facendole notare solo dopo vari secondi gli sguardi spaesati che le stavano rivolgendo e le veloci occhiate che lanciavano in alto. Strinse un pugno cercando di mantenere la calma, imponendosi di mostrarsi più sicura che poteva di fronte ai cittadini intuendone i pensieri.

Si dannazione, lo sapeva che l'edificio poteva crollare da un momento all'altro, e loro avevano paura. Ma non potevano rimanere lì.

-Forza, non c'è tempo.- incalzò, allungando una mano per forzarli ad alzarsi e seguirla. Rivolse un sorriso alla giovane donna che gliela afferrò con esitazione, chinandosi leggermente verso di lei e lanciando poi un'occhiata generale al piccolo gruppo.

-Andrà tutto bene, dobbiamo solo raggiungere quel punto laggiù, vedete? Non è lontano.- rassicurò, indicando loro uno spiazzo con vari agenti e Kamui che si sbracciavano per farsi notare. Appena sarebbero stati alla sua portata l'uomo li avrebbe afferrati e portati al sicuro, Ochaco ne aveva intuito le intenzioni da come la stava guardando e dagli anni passati sul campo ad osservare il modo di lavorare del Pro Hero. Ma per farlo dovevano vincere la paura e avvicinarsi.

Con sollievo malcelato notò la donna iniziare ad avanzare nella direzione che le aveva indicato, gli occhi lucidi di lacrime che cercava di trattenere. Il suo gesto fece prendere coraggio anche agli altri che la seguirono dopo pochi secondi, correndo ed evitando i detriti per strada.

Uraraka rilassò le spalle mentre si allontanavano e mosse un passo per poter tornare indietro, ma si scontrò con lo sguardo sconcertato che qualcuno le stava restituendo e delle grida. Prima che potesse ancora solo formulare qualche domanda si ritrovò a rotolare per terra, le orecchie che fischiarono prepotentemente. Pestò la faccia contro l'asfalto e sentì un profondo tonfo alle proprie spalle, le ginocchia graffiare contro il terreno duro mentre cercava di rimettersi in piedi prima che poteva.

-Attenta!-

-Uravity!-

Uraraka si girò su se stessa, sgranando gli occhi alla vista del grande pezzo di cemento che le era caduto a pochi metri di distanza. Provò ad alzarsi, ma ci fu un'altra esplosione sopra di lei che fece vibrare la terra dandole un conato di vomito. Vari pezzi di vetro le caddero addosso come schegge impazzite portandosi dietro pezzi di mattone e Ochaco chiuse gli occhi d'istinto per cercare di proteggersi, il panico della consapevolezza che probabilmente non sarebbe riuscita ad evitare di sentire dolore che le ghiacciò il sangue nelle vene.

Erano troppo piccole, non sarebbe riuscita a farle fluttuare, e la nausea che le attanaglia-

-Smash!-

Uraraka sussultò, rendendosi conto di essere illesa e della figura che le era arrivata accanto portandosi dietro una sferzata prepotente di aria.

La figura di Izuku era circondata da bagliori verdi che saettavano attorno a lui come piccoli lampi. Il ragazzo tenne lo sguardo fisso sull'edificio in fiamme fino a quando non fu circondato dal ghiaccio. Shouto non ci mise che pochi secondi a cristallizzare la struttura facendo guadagnare del tempo alle autorità per sgomberare l'area del tutto.

-Stai bene?- le domandò quando non ci fu più il pericolo del crollo, voltandosi finalmente ad osservarla. Ochaco notò come stesse stringendo le labbra quasi fino a farle sbiancare, il tremore che gli muoveva impercettibilmente la mano stretta a pugno con cui aveva spazzato via i frammenti di vetro e detriti che le stavano cadendo addosso.

Deku le aveva salvato la vita.

Il suo sguardo non la abbandonò mai fino a che non si fu tirata in piedi, ma apprezzò il fatto che glielo fece fare da sola. Ochaco gli sorrise, sentendo il proprio battito accelerare quando lui ricambiò il gesto e notando vagamente il gelo che si era sparso per l'ambiente insieme alle grida entusiaste delle persone attorno a loro.

Era marzo e faceva freddo, ma il sorriso di Izuku le scaldò il cuore come il sole primaverile.

-Si, grazie.-



***


Luglio.


-Accidenti è tardi... io vado! Ciao mamma!-

Il salone venne invaso dal rumore dei passi che rimbombarono per tutto l'ambiente, sovrastando quasi quello della televisione. La donna, seduta al tavolo da pranzo situato al fianco della grande vetrata che dava sul giardino ed impegnata ad ascoltare le notizie mattutine, si voltò, attirata da quel baccano che le aveva iniziato a tartassare le orecchie, smettendo di sorseggiare il caffè.

Fece appena in tempo a scorgere la figura della figlia girare l'angolo accanto alle scale per dirigersi verso la porta.
 
-Tesoro, aspetta! E il pranzo?-
scattò in piedi come se fosse stata pungolata da qualcosa, lasciando la tazza sul tavolo.

La ragazza si bloccò giusto in tempo prima che si chiudesse anche l'ultimo spiraglio che le permetteva di scorgere l'interno della casa, attirata dal richiamo concitato della donna ed occhieggiando lo sguardo al cielo sereno con sconsolazione. Spalancò di poco la porta, osservando sua madre fare la sua comparsa dalla cucina con un sacchetto in mano.

Il sole di luglio che le arrivò negli occhi la costrinse a socchiuderli per qualche attimo mentre le si avvicinava, uscendo sul portico. Fu investita dal cambio di temperatura e per un attimo le mancò il fiato per l'aria calda che le seccò la gola costringendola a tossicchiare per schiarirsi la voce.

-Ho ventisette anni, non c'è bisogno che mi prepari ancora da mangiare.- fu l'osservazione che le fece, sospirando leggermente. Tuttavia, si affrettò a sorridere scorgendo lo sguardo affranto che sua madre le aveva iniziato a rivolgere. L'azzurro dei suoi occhi sembrò incupirsi, come un cielo sereno che si scurisce quando il sole viene nascosto dalle nuvole. Quella donna l'avrebbe fatta ammattire, prima o poi.

-Sono tua madre, è naturale che lo faccia, Lume.- le spiegò quella, senza mostrare risentimento e dandole in mano il sacchetto ripiegato con cura che si affrettò a mettere nella borsa. Mentre era distratta a mettere in ordine le proprie cose e controllare che avesse tutto la donna ne approfittò per sistemarle il colletto della camicia e lisciarle i capelli, in una serie di gesti premurosi che ricordava l'avevano sempre accompagnata fin da quando era bambina.

Sua madre era sempre stata presente, a volte fin troppo, tanto che Lume si era spesso domandata in tarda adolescenza se tutti quegli accorgimenti non fossero solo un modo per esprimere angoscia e tensione. Una donna premurosa, amorevole, sempre disponibile e devota alla famiglia, ma con un bisogno di fare parte della sua vita che a volte le era venuto il dubbio avesse dietro qualcosa di patologico, un trauma irrisolto – ma si era sempre ben guardata dal dare voce a quei discorsi.

Si affrettò a scacciare quei pensieri, occhieggiando l'orologio e trasalendo.

-Devo andare, è tardi!- la madre si allontanò di scatto, spiazzata per il tono agitato della figlia e rimanendo con le mani a mezz'aria mentre questa le dava le spalle senza che le potesse dire nulla.

La vide voltarsi leggermente e salutarla con una mano e si portò le mani al petto, reprimendo l'impressione che le stessero strappando via un pezzo di cuore. Si sforzò di sorriderle e ricambiare il gesto, gli occhi iniziarono a pizzicarle. Ogni volta che la vedeva allontanarsi aveva la terribile paura che le succedesse qualcosa.

-Ti voglio bene!- le gridò dietro, non riuscendo a trattenersi.

Rimase a fissare il punto in cui l'aveva vista scomparire per minuti interi.


***


Lume si fece spazio tra la gente in coda a suon di "Permesso" e "Mi scusi", sentendo l'afa della giornata iniziare ad appiccicarle i vestiti alla pelle già di prima mattina.

Dover superare una folla di persone ammassate per poter entrare il prima possibile nell'edificio ebbe solo la capacità di aumentarle il caldo che sentiva addosso insieme all'agitazione del tempo che scorreva inesorabilmente contro di lei. Qualcuno la guardò male e borbottò qualcosa, ma cercò di non farci caso, salutando l'impiegata della reception con un cenno del capo e dirigendosi verso l'area privata per i dipendenti sentendosi addosso degli sguardi brucianti e sperando che la scritta "Accesso riservato" che spiccava sulla porta che stava aprendo fosse una spiegazione abbastanza chiara.

Scosse la testa percependo la tensione scemare lentamente mano a mano che respirava l'aria condizionata che aleggiava per la piccola stanza con avidità.

Ogni volta era la stessa storia. Forse avrebbe dovuto dare ascolto al signor Fukuda e iniziare ad utilizzare l'ingresso riservato al personale, eppure le sarebbe costato del tempo in più girare intorno al Museo per raggiungere l'entrata secondaria – ed era risaputo che lei fosse spesso con i minuti contati. Molte volte era stata ripresa per quello e si meravigliava non l'avessero ancora licenziata.

Aprì l'armadietto, mettendovi all'interno la borsa e il pranzo, timbrò e poi uscì, dirigendosi verso il piano superiore, salutando garbatamente i clienti che incontrava per le varie stanze che attraversava. Occhieggiò i corridoi che iniziavano a riempirsi di persone e si affrettò a raggiungere il suo ufficio, sistemandosi il colletto della camicia e passandosi una mano tra i capelli con gesti automatici.

Fuori faceva caldo e il sole scottava sulla pelle, ne sentiva ancora il calore addosso ed aveva l'impressione che il passo frettoloso che aveva dovuto tenere per non fare ritardo l'avesse solo fatta sudare maggiormente, donandole un aspetto trasandato nonostante le recenti premure della madre.

Per fortuna il suo luogo di lavoro era ben attrezzato per affrontare ogni tipo di stagione e all'interno la temperatura non superava la ventina di gradi. Il suo capo pensava in grande ed amava ogni tipo di comfort e smaniava per fare bella impressione sugli altri, quindi si era premurato di rendere l'ambiente del Museo il più accogliente possibile. Sorrise tra sé, compiaciuta, beandosi delle ventate fresche che le scorrevano sul collo quando passava sotto un climatizzatore.

Entrò nel piccolo ufficio che era diventata la sua postazione di lavoro da ormai quattro anni, sedendosi e adocchiando le due porte chiuse che si trovavano di fronte alla sua scrivania. Aggrottò le sopracciglia, trovandole entrambe chiuse, ma non ci badò troppo, iniziando a trafficare con i documenti che avrebbe dovuto analizzare e mettere a posto mentre il pc si accendeva.
L'orologio appeso alla parete segnava le otto e mezza, ma il sole che entrava dalla finestra dava l'impressione che fosse già mattina inoltrata.

Lume adorava la stagione estiva, la sensazione del calore sulla pelle ed i riflessi dorati che assumevano i suoi capelli sotto la luce accecante di quei mesi. Le metteva buon umore e avrebbe davvero voluto avere la possibilità di sdraiarsi sotto il sole a riposare, come una lucertola, facendo assumere alla sua pelle quel colore ambrato che secondo sua madre – non doveva darle tutti i torti – le donava particolarmente.

Eppure, avrebbe dovuto passare tutti i giorni in ufficio, a mettere a posto pile di documenti e conti bancari e rispondere al telefono e alle mail, organizzando gli incontri del suo capo come una brava e diligente assistente. Lume non gli aveva mai detto che a volte si scordava perfino i propri, di appuntamenti, e che per essere sicura di non fare errori tendeva a segnarsi tutto su un'agenda che si portava sempre dietro – altrimenti era sicura le avrebbe riso in faccia indicandole la porta di uscita senza nemmeno preoccuparsi di guardarla.

Si morse un labbro, rilasciando un grande sospiro frustrato. Ed era solo lunedì. Il fine settimana le sembrò troppo lontano, anche se quello precedente era terminato da nemmeno quindici ore. Al piano inferiore poteva sentire le voci ovattate del pubblico venuto ad ammirare le opere esposte nel Museo e i messaggi di benvenuto che passavano dagli altoparlanti. Già aveva nostalgia del suo giardino e della piscina...

-Ho detto di no!-

Lume trasalì, facendo cadere la penna con cui stava segnando un appunto su un post-it con uno scatto della mano. Si guardò intorno, spaesata, domandandosi se avesse fatto qualcosa di sbagliato per essere ripresa.

-Ma, Tobio, non capisci il valore…-

La ragazza tese le orecchie, riconoscendo le voci ovattate che sentiva provenire da dietro la porta del suo capo, non riuscendo a cogliere altro se non frasi spezzate. Rimase immobile, percependo il proprio respiro improvvisamente troppo rumoroso.

-Non è una cosa che si può vendere, Markus. Scordatelo.-

Lume aggrottò la fronte, piegandosi per raccogliere la penna sul pavimento, continuando ad ascoltare. Di cosa stavano parlando?

-Possibile che non mi dai mai retta? Ho già degli acquirenti!-

Dall'interno della stanza provenne il suono di qualcosa che viene pestato contro altro, seguito da un lungo momento di silenzio che fece rimanere l'assistente con il cuore in gola ed il respiro sospeso. Poi, dei borbottii.

-Non capisci niente, Tobio!-

La porta venne spalancata con così tanta irruenza che i vetri delle finestre tremarono e sbatté contro il muro con un tonfo, e Lume si affrettò a far finta di continuare a lavorare, come se fosse totalmente estranea a quello scambio di pareri di cui era stata involontariamente testimone. Non era la prima volta che succedeva, ma negli ultimi mesi sembrava che i dissapori tra i due uomini fossero aumentati.

Si morse un labbro, senza il coraggio di alzare lo sguardo dai fogli che aveva davanti e stringendo la penna con la mano fin troppo tesa. Le lettere che scrisse a casaccio le vennero fuori dai bordi tremuli e quasi illeggibili come se fosse una bambina di prima elementare che viene sgridata dalla maestra.

-Pensi solo a te stesso e a ciò che ti fa comodo, adesso ne ho davvero pieni i coglioni!-

Lume si strinse nelle spalle con disagio crescente, occhieggiando la figura dell'uomo comparso sulla soglia della porta e sentendo le sue urla trapassarle le orecchie. Si immaginò il suo capo ribollire di rabbia dietro la grande scrivania del suo ufficio mentre il suo collaboratore gli stava facendo una scenata senza curarsi dei clienti che avrebbero potuto sentire.

Era una cosa a cui Tobio teneva molto, le apparenze. E rendere pubblici le discussioni ed i problemi era una cosa che non tollerava.

Come se lo avesse chiamato, la figura imponente del suo datore di lavoro comparve nella stanza mentre Markus se ne stava andando con passo infuriato senza guardarsi indietro nemmeno per sbaglio. Lume occhieggiò quel poco di viso che riuscì a scorgere notando la sua espressione distorta dall'irritazione e quasi stentò a riconoscerlo, lui che era sempre il primo a sorridere a chiunque.

Tobio sbuffò pesantemente.

-Non tornare finché non ti sarai dato una calmata!-


***


Agosto.


​-Signorina Swartz, mi accompagnerà lei oggi pomeriggio. Prepari la documentazione necessaria.-

Lume alzò lo sguardo dallo schermo del pc, puntando gli occhi azzurri sulla figura dell'uomo che le stava davanti e sgranandoli leggermente. Lo osservò interdetta per qualche attimo sentendo la testa pizzicare di imbarazzo ed ebbe la certezza di stare facendo una pessima figura, mentre lo guardava con la bocca spalancata.

-Io, signor Bushijima?- domandò in un sussurro, trattenendosi dall'impellente voglia di alzarsi per sfogare la tensione che sentiva esserle piovuta addosso. Era la prima volta che Tobio le chiedeva di accompagnarlo ad un incontro e non seppe come considerare quella richiesta. Solitamente era sempre stato il signor Fukuda Markus, stretto collaboratore di Bushijima da quando ancora non aveva costruito il Museo in cui esporre le reliquie di cui era entrato in possesso, a fargli da accompagnatore, ad aiutarlo nelle trattative e consigliarlo con le vendite.

Era risaputo si conoscessero fin dai tempi dell'università, periodo in cui avevano frequentato dei corsi assieme e avevano iniziato a fantasticare sulle loro carriere future, trovando la comune passione per tutto ciò che aveva a che fare con la parola "antico".

Tobio Bushijima era un uomo con le idee chiare e un ego abbastanza importante da motivare le sue azioni, un grande amore per il denaro e l'ammirazione altrui e si era impegnato fin da subito per costruirsi un nome all'interno della società. Le sue origini aristocratiche e la ricchezza della sua famiglia gli avevano spianato la strada già alla fine degli studi, ma Lume era sicura che se anche non avesse avuto uno spicciolo avrebbe trovato comunque il modo di raggiungere i propri obiettivi.

Nella sua voglia indomita di spiccare tra tutti Lume gli riconosceva l'impegno e la dedizione per far si che ciò accadesse.

Lui le lanciò un'occhiata che la fece sentire in soggezione, costringendola a infossarsi nelle spalle diradando quei pensieri.

-Markus è irraggiungibile e dall'altro ieri non si presenta a lavoro. Direi che non posso contare sulla sua presenza nelle prossime ore.- le disse con voce lievemente roca, come se fosse una spiegazione abbastanza chiara e inchiodandola alla sedia con lo sguardo. Si lisciò un baffo, schiarendo la voce e sistemandosi la giacca elegante chiudendo un paio di bottoni nella zona del petto.

Lume non commentò, limitandosi ad annuire senza il coraggio di dire nulla mentre osservava distrattamente la sua corporatura imponente troneggiarle addosso.

Dopo i primi giorni successivi alla discussione a cui aveva assistito si era immaginata che le cose sarebbero tornare alla normalità che conosceva da anni, ma il comportamento del signor Fukuda era solo peggiorato in quelle settimane successive: aveva iniziato a saltare le giornate di lavoro sempre più spesso e non sembrava intenzionato a parlare con Tobio per chiarirsi come invece aveva sempre fatto, trincerandosi nel suo ufficio solo lui sapeva a fare cosa, con grande disappunto dell'uomo. Inoltre era arrivato ad avere un aspetto sempre meno curato tanto che le era venuto il dubbio si fosse messo a bere, se non fosse stato per il fatto che di testa sembrava lucidissimo e le rare volte che le rivolgeva parola sembrava non fosse successo nulla.

Lume aveva dato la colpa di quel comportamento ad una sorta di crollo nervoso.

Sembrava che fosse giunto davvero al limite della sopportazione di quel rapporto in cui Bushijima era sempre un gradino più in alto di lui e la cosa lo stesse frustrando parecchio da non riuscire più ad accettarlo. Non si sarebbe stupida se da un momento all'altro li avrebbe informati di voler abbandonare il lavoro per continuare le sue ricerche e farsi una carriera indipendente e solitaria.

Non se la sentiva di dargli tutti i torti, perché Tobio effettivamente non era una persona con cui era sempre facile avere a che fare. Talvolta bisognava farsi forza per ingoiare i bocconi amari che riservava, e la pazienza o la capacità di farsi scivolare addosso i commenti erano qualità che non potevano mancare, se si voleva tenere il lavoro senza farsi prendere dalla voglia di prenderlo a sberle per la supponenza che mostrava.

Lume ringraziava di avere sempre un po' la testa tra le nuvole, perché le permetteva di evitare almeno in parte la pressione che stare troppo a contatto con l'uomo le metteva addosso. Aveva sempre l'impressione di non fare mai abbastanza, eppure rispetto ai primi mesi le volte in cui la riprendeva erano diminuite drasticamente. A volte le aveva fatto perfino dei complimenti e si era ritrovava a pensare che avrebbe davvero voluto sentire di nuovo quelle parole che raramente scappavano dalla bocca del suo capo per potersi crogiolare nel suo poco orgoglio.

-Trovi il necessario nell'ufficio di Markus.- riportò lo sguardo su Bushijima, pensando già a dove aveva messo l'agenda perché non ricordava quale appuntamento gli avesse fissato per quella giornata e cosa avrebbe dovuto preparare, ma si sforzò per mostrargli la migliore espressione che le riusciva in quel momento e si alzò in piedi per guardarlo dritto negli occhi. Non avrebbe sprecato quell'occasione.

-Ho capito, signore. Sarà tutto pronto.-


***


Ispirò profondamente una boccata di sigaretta, non distogliendo lo sguardo dall'orizzonte. Il sole stava tramontando in uno spettacolo di bagliori aranciati e violacei, il mare al di sotto che ne rifletteva il calore che sprigionava quella visione in modo limpido e perfetto quasi come se fosse un quadro o una foto. Era una serata tranquilla, la leggera brezza estiva che quando soffiava si portava ancora dietro il calore della giornata e increspava leggermente la superficie dell'acqua.

Fukuda saggiò il sapore del fumo che gli riempì la bocca e la gola con calma regolata, ascoltando il proprio respiro calmarsi repentinamente quando la nicotina iniziò a tornare in circolo e trovando conforto in quei gesti automatici. E dire che era riuscito a smettere per qualche mese...

Si appoggiò alla macchina, socchiudendo gli occhi ed ascoltando il rumore delle onde contro gli scogli, il rombo lontano di qualche auto di passaggio che gli fischiava nelle orecchie non riuscendo a reprimere un ghigno di disprezzo.

Tutta colpa di Tobio.

Osservò la sigaretta bruciare lentamente tra le proprie dita, indeciso se spegnerla o lasciarla andare in balia di se stessa e sentendosi molto vicino a quella visione. Si passò una mano tra i capelli, portandosi indietro i ciuffi che erano scappati dal codino mezzo sfatto in cui li aveva legati quella mattina, percependoli stopposi al tatto. Si sentiva sudato e aveva l'impressione di puzzare, la camicia che indossava era piena di pieghe e le guance gli iniziavano a prudere a causa della barba che iniziava a crescere sempre più incolta.

Si occhieggiò nello specchietto, distogliendo velocemente lo sguardo dal proprio riflesso non riuscendo a sostenerne la visione. Amarezza a risentimento si accavallarono come onde impazzite che si infransero contro il suo animo rassegnato da giorni alla frustrazione.

Markus spense la sigaretta con un gesto stizzito, digrignando i denti fino a sentire un ringhio nascergli in gola.

Era tutta colpa di Tobio.

Eppure glielo avevano detto, ai tempi, che era una persona da cui era meglio stare lontani. Una persona egoista, egocentrica, concentrata unicamente su se stessa e su ciò che avrebbe potuto portargli più profitto. Incapace di vedere al di fuori del proprio piccolo orto, impostata nei suoi vestiti di marca e trincerata dietro la facciata di persona ambiziosa.

Ma Markus si era subito trovato in sintonia e aveva scacciato quelle voci, difendendo quella nuova conoscenza – quella nuova amicizia – come se ne dovesse andare della propria vita. Lo aveva fatto per mesi, anni, finché non era più stato toccato dalla cosa, perché persino le malelingue si erano spente, forse ricredute sulla natura del loro rapporto che stava durando nel tempo e che, forse, Tobio Bushijima non era poi così freddo come appariva.

Lui lo conosceva, avevano iniziato a uscire insieme chiacchierando dei loro studi e fantasticando sempre più spesso su un futuro riguardante ciò che più apprezzavano – un futuro che pensava avessero costruito insieme, con fatica e dedizione.

Invece... non era così. Non era mai stato così.

Bushijima negli ultimi tempi gli aveva solo dimostrato di considerarlo l'ennesima persona che gli stava appresso perché da solo non sapeva stare, non avrebbe saputo che fare, o a chi appoggiarsi per emergere. Come se tutti i consigli che gli aveva dato, i suggerimenti, le vendite o le conoscenze che gli aveva procurato e a cui si era approcciato con dedizione fossero piaceri che Tobio aveva concesso di fargli.

Dei contentini.

Aveva davvero creduto che avesse iniziato ad ascoltarlo, ad assecondarlo nelle proprie idee. Bushijima era sempre stato quello più fisso nei propri obiettivi, con la testa sempre rivolta verso il guadagno, verso il successo, verso ciò che era meglio per l'attività, e Markus era consapevole di venire considerato quello un po' tra le nuvole tra i due – la cosa gli faceva persino piacere, perché senza sogni che vita sarebbe?

Tobio aveva sempre funto da appoggio per non perdersi troppo nelle proprie fantasie ma potendo raggiungere comunque il sapore dell'aspettativa che riponeva per il futuro, la bellezza di vedere concretizzati i propri desideri insieme a qualcuno che condivideva la propria passione e con cui riusciva ad aprirsi senza problemi, senza che venisse guardato con sconsolazione come se fosse un bambino che non capisce l'importanza di ciò che sta dicendo.

Eppure Tobio ultimamente non lo ascoltava – lo sentiva, ma non lo ascoltava mai sul serio, forse non lo aveva mai fatto – e Markus si era reso conto di contare sempre meno mano a mano che il tempo passava.

Aveva iniziato a notare difetti e crepe nel loro rapporto sempre più spesso, forse anche dove non c'erano sul serio, probabilmente esagerando, forse perché negli ultimi tempi si era potuto concentrare maggiormente sulle reliquie rispetto a dover tenere in ordine l'ufficio e gli appuntamenti dal momento che quel compito spettava ormai a Lume.

Aveva avuto più respiro ma era come se si fosse scontrato con il duro muro che era stata la realtà in cui aveva vissuto fino a quel momento e che mai aveva visto da un'altra prospettiva. Che mai gli era sembrata così brutta, così soffocante.

Bushijima non lo ascoltava e allora lui aveva iniziato a fare le cose da solo, spinto dalla rabbia e dalla frustrazione. E si era messo nei casini. Se solo gli avesse dato ascolto, almeno per una volta, se solo si fosse fidato del suo giudizio come sempre...

Markus tirò un lungo sospiro sconsolato, mordendosi un labbro per l'irritazione e grattandosi il collo, sentendo la stanchezza imprimersi in quei gesti e guardandosi attorno con sospetto. Era solo questione di tempo prima che i pezzi rattoppati della propria vita andassero tutti a quel paese.

Si staccò dall'auto, cercando alla cieca il pacchetto di sigarette nelle tasche dei pantaloni e avvicinandosi pericolosamente alla scogliera.

Si era cacciato in una situazione di merda e non aveva idea di come uscirne.

Una folata di vento arrivò dal basso e ispirò profondamente fumo misto salsedine mentre si portava alla bocca la sigaretta appena accesa, il sole ormai quasi del tutto oltre la linea dell'orizzonte e le prime stelle visibili in cielo.

Decise che sarebbe stata l'ultima.  


***


Lume corse per raggiungere il Museo abbastanza in tempo per timbrare senza accumulare troppo ritardo. Si era ripromessa di iniziare ad alzarsi più presto e fare le cose con calma, cominciando ad utilizzare quella dannatissima porta di servizio stanca di farsi guardare male, ma ogni mattina sembrava che qualcuno ce l'avesse con lei e trovava sempre un motivo per tardare.

Sua madre che la tratteneva per salutarla fin troppe volte, ad esempio, o la sveglia che sbagliava a schiacciare e invece di posticiparla la annullava, finendo per riaddormentarsi. I vestiti da lavoro che non trovava in mezzo al casino della sua camera o la borsa che dimenticava puntualmente da qualche parte mentre girava per casa come una disperata sotto lo sguardo esasperato di sua mamma, perché nella borsa c'era l'agenda e senza l'agenda lei sarebbe stata una segretaria morta nel giro di poche ore.

C'era sempre qualcosa che le intralciava i piani.

Strinse i denti, cercando di non fare caso alle gambe che chiedevano pietà per lo sforzo improvviso a cui le stava sottoponendo di prima mattina. Evitò le persone sul marciapiede e si fiondò verso l'ala dei dipendenti quasi saltando contro la porta per accedere agli spogliatoi. Il bip che le arrivò alle orecchie dalla timbratrice la risollevò un pochino. 8.27.

A differenza della giornata tranquilla che si poteva vedere dalle finestre, dove il sole aveva fatto la sua comparsa su un cielo tanto azzurro da sembrare dipinto e sbuffi di nuvole erano sparsi qua e là, quell'ora e mezza passata dal suo risveglio era stata parecchio traumatica, tanto che pur cercando di imprimersi nella mente quella visione mentre si concedeva un minuto per riprendere fiato sentiva serpeggiarle addosso l'agitazione in modo sempre più frenetico.

Era come se le stesse dando l'effetto contrario e quella constatazione la lasciò interdetta per vari secondi, cercando di prendere grossi respiri per calmare il battito del suo cuore.

Swartz scosse la testa, cercando di ricomporsi e concedendosi un lungo sorso di acqua prima di uscire per salire negli uffici e iniziare a lavorare portandosi dietro la bottiglietta. Si lasciò andare sulla sedia non avendo la forza di reprimere un grosso sospiro di sollievo, nascondendo gli occhi azzurri dietro le palpebre abbassate e massaggiandosi le tempie con mani tremanti.

Prima o poi le sarebbe venuto un infarto a continuare in quel modo, ne era certa.

Cercò la motivazione necessaria per abbandonare lo stato di torpore che la stava assalendo, socchiudendo gli occhi ed osservando l'ambiente che le stava intorno riservandogli uno sguardo perplesso e confuso. Il silenzio la circondava, interrotto solo dal ronzio del pc e dal ticchettio dell'orologio appeso alla parete, l'aria fresca che arrivava da un angolo del soffitto togliendo l'afa estiva. Per quanto la rilassasse avere un ambiente solo per sé, improvvisamente le fece venire l'angoscia, tutta quella solitudine.

Tirò le labbra, quando la sua attenzione venne attirata dalla porta dello studio del signor Fukuda, rigorosamente chiusa. Sentì un lungo brivido lungo la schiena e un magone in gola che le spezzò il respiro.

Non voleva ricordare, eppure la notizia le girava in testa senza pietà.

Congiunse le mani come in una preghiera mentre chiudeva gli occhi sentendoli pizzicare e si costrinse a prendere profondi respiri con la bocca.

Markus Fukuda era morto. Suicida. Si era buttato da un dirupo.

Lume non voleva nemmeno immaginare cosa si provasse a perdere la vita in quel modo. In realtà non voleva immaginare cosa si provasse a perdere la vita e basta. La sola idea le faceva contorcere lo stomaco dal terrore. Terrore puro.



Lume si allontanò dalla propria scrivania con calma, muovendo il collo per cercare di scacciare l'intorpidimento che sentiva pressarle sulle spalle e percependo le ossa scricchiolare. Non vedeva l'ora che arrivasse il giorno del suo massaggio settimanale, ne sentiva estremo bisogno. Stare seduta tutto il giorno chinata su uno schermo a sforzare la vista non era propriamente salutare.

Prese la propria borsa dall'attaccapanni, iniziando a muoversi verso la porta per uscire dall'area privata in modo da raggiungere lo spogliatoio e la timbratrice. Erano quasi le cinque e mezza del pomeriggio. Forse sarebbe riuscita a prendere del sole in giardino fino all'ora di cena se arrivava a casa senza troppi intoppi.

Rimase imbambolata ad osservare la segretaria della reception avvicinarsi seguita da due uomini.

-Mikura?- domandò Lume, corrugando la fronte in una muta domanda. Era sicura non avessero in programma nessuna visita, nessuna riunione... possibile che il signor Bushijima avesse organizzato da solo un incontro? Vide la donna scuotere leggermente la testa e solo allora notò i distintivi appesi alla cintura dei due uomini che la seguivano.

-Sono qui per il Signor Fukuda.- annunciò, come se quella fosse una spiegazione abbastanza plausibile. Lume rimase ferma sulla soglia, sbattendo la palpebre senza capire.

-Il Signor Fukuda non è presente in ufficio.- spiegò, guardandoli senza nascondere la sensazione di disagio che le aveva attanagliato le viscere. Qualcosa non andava. Qualcosa non andava. Cosa volevano due poliziotti da Markus? E perché erano venuti sul suo luogo di lavoro?

-Ne siamo consapevoli Signorina... - iniziò uno, superando la receptionist e occhieggiando l'interno dell'ufficio come per sincerarsi delle sue parole, prima di tornare a guardarla.

-Swartz.- lo aiutò Lume, spostandosi per farli entrare e capendo che non sarebbe stata una cosa da qualche minuto. C'era qualcosa nel modo in cui stava guardando il tutto, nelle occhiate che i due colleghi si stavano scambiando che non la lasciavano tranquilla.

-Swartz.- ripeté quello, come saggiandone le sillabe. Lume fece finta di nulla, aspettando ed ignorando la delusione di non potersi sdraiare al sole tanto presto.

-Signorina Swartz, sono l'ispettore Toshinomu Koganei. Avrei bisogno di parlare con il signor Bushijima Tobio.- Lume alzò un sopracciglio, domandandosi se il suo capo fosse a conoscenza di quell'intrusione e come l'avrebbe presa. Posò la borsa su una sedia, invitando i due detective a sedersi sul divanetto per gli ospiti.

-Al momento il signor Bushijima è fuori per una riunione, dovrebbe rientrare più tardi. Posso sapere cosa riguarda questa visita?- domandò, offrendogli un bicchiere d'acqua fresca ciascuno per prendere tempo e cercando di risultare il più imparziale possibile. L'educazione e la discretezza che le aveva insegnato sua madre in certe circostanze tornava utile.

Non le sfuggì lo scambio di sguardi tra i due e strinse la bottiglietta fino a sentire la plastica stridere per il suo gesto, in ansia, posandola sul tavolino non appena intercettò lo sguardo stralunato che le lanciò Mikura e tornando a fissare l'ispettore negli occhi con rinnovato interesse.

-Siamo qui a proposito del signor Fukuda Markus.- l'uomo la vide alzare un sopracciglio e sospirò pesantemente, prendendo un sorso di acqua che diede tregua alla sua gola perennemente secca. Il caldo estivo non aiutava quella sua condizione.

-Si... lo ha detto prima. Non potete provare a cercarlo a casa?- gli fece notare Lume, trattenendosi dall'incrociare le braccia al petto per non mostrarsi stizzita. Non ci stava capendo niente.

-Purtroppo no, signorina. Markus Fukuda è morto.-


-Ben arrivata, signorina Swartz.- Bushijima occhieggiò la ragazza seduta dietro la scrivania intenta a battere qualcosa al pc. La vide alzare lo sguardo verso di lui come se avesse spezzato irrimediabilmente la profonda concentrazione in cui era immersa. Cercò di non far caso all'espressione apprensiva che vi leggeva nei tratti mentre distoglieva velocemente lo sguardo, i capelli raccolti in una mezza coda disordinata, le labbra tirate e il viso smunto, schiarendosi la voce ed avvicinandosi alla porta del suo ufficio.

-Buongiorno...- gli mormorò lei, poco convinta, ma non commentò quella titubanza che gli giunse intrisa tra le parole. Non ne era in vena.

Tobio si umettò le labbra, facendo scorrere gli occhi per l'ufficio, sul frigobar in cui erano riposte delle bevande fresche per eventuali ospiriti e il divanetto di pelle nera per farli sedere nel caso dovessero attendere. L'aria gli sembrò improvvisamente troppo pesante ed occhieggiò la porta del suo ormai ex collaboratore in modo così veloce che per un attimo si immaginò di averlo fatto realmente.

Perché si era ucciso? Perché?

Bushijima non ne capiva il motivo, ma non poteva fare a meno di tediarsi internamente ogni giorno che passava.

Possibile che Markus stesse così male da non essersene accorto? Che la loro ultima discussione gli avesse pesato così tanto?

Tobio ci ripensava ogni volta e non poteva fare a meno di domandarsi se non avesse potuto fare di più. Forse il suo amico aveva dei problemi al di fuori del lavoro e non era mai stato abbastanza attento nei suoi confronti da accorgersene, da dargli la possibilità di parlargliene e sfogarsi. Un passo in più. Una parola in più. Uno sforzo in più. Qualsiasi cosa che avrebbe potuto evitare di fargli prendere quella decisione.

Sarebbe bastato?

Strinse i pugni, amareggiato e tornando a guardare la sua assistente sforzandosi di mantenere un'espressione impassibile. Sentiva il corpo teso come una corda di violino e capì che recitare le apparenze dell'uomo d'affari sempre posato in quel momento gli stava venendo davvero male.

Ringraziò che Lume fosse impegnata a cercare di fare altrettanto per non distrarsi dal lavoro da intuire quanto in realtà si sentisse sciupato, dentro di sé, stanco di quella recita che portava avanti da troppo tempo.

-Quando hai tempo metti a posto l'ufficio di Fukuda. Quello che serve lo ha già portato via la polizia, ma per sicurezza metterei il resto nel magazzino.-

Tobio Bushijima non sapeva di averli appena condannati entrambi.



































































































Ciao a tutti e ben ritrovati :)
Dunque, capitolo ancora un po' confusionario perché deve mettere le basi per la trama futura, ma vi garantisco che le cose andranno a posto. Nel prossimo capitolo faremo un salto nel passato e spero possa essere più coinvolgente da leggere, immagino che trovarsi molti OC e nessun personaggio di nostra conoscenza magari faccia rimanere poco coinvolti nella lettura.
Graze di essere arrivati fin qui
Love,
D. <3


   
 
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