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Autore: PaleMagnolia    13/08/2009    2 recensioni
Testo pesantemente rimaneggiato il 31/10
Nonostante Ben sia universalmente conosciuto come un manipolatore, è lui, in fondo, il primo ad essere usato dagli altri per raggiungere i loro scopi. E tutti i sacrifici che l'Isola ha preteso da lui non valgono a salvarlo da ciò che Jacob ha in serbo per lui.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Locke
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Io Ben lo amo proprio tanto. E il finale della Quinta serie mi ha lasciato male male male. Ma male.
Non è che questa storia abbia un senso particolare; in effetti, non ce l'ha. Però la pubblico lo stesso. Un po' perchè ci son troppe poche storie dedicate a questo personaggio. Un po' perchè, non si sa mai, a qualcuno potrebbe non dispiacere. Spero di produrre qualcosa di più sensato sul fandom di Lost dopo che mi sarò adeguatamente informata sulle teorie attualmente in giro sulla Season 6.

Sapeva che non avrebbe dovuto farlo

Lo sapeva, oh, sì: ogni più microscopica particella della sua fredda e straordinariamente cinica mente sapeva, senza ombra di incertezza, che non avrebbe dovuto farlo.

Che non avrebbe dovuto nemmeno sfiorare l'idea di farlo.

Sapeva che sarebbe stata una catastrofe, e sapeva anche che sarebbe stata la fine di ogni cosa; che avrebbe annientato, in un istante, e spazzato via senza possibilità di redenzione, qualsiasi cosa giusta e sensata avesse fatto negli ultimi trent'anni.

Eppure, eppure, nonostante il suo brillante cervello gli gridasse istericamente di non farlo, talmente forte che poteva quasi sentirne la voce nella propria testa, quando Benjamin Linus aveva incontrato quello sguardo distaccato, indifferente, noncurante, con sua grande sgomento - e per la prima volta nella sua frustrante vita - non era riuscito a controllarsi.

 

“Per trentacinque anni ho vissuto su quest’isola”, aveva detto - le mani che formicolavano per l’agitazione, la rabbia, l'angoscia - con voce rotta. “E in tutto questo tempo non ho fatto altro che sentire ripetere il tuo nome, all’infinito, all’infinito...!”

Jacob l’aveva fissato: il suo viso, illuminato debolmente dal fuoco, era immobile; senza emozione, senza espressione, senza nemmeno tanto interesse. Non aveva detto una parola.

“E Richard mi portava le tue istruzioni – tutti quei fogli, tutte quelle liste!...” Ben aveva alzato lo sguardo su di lui, la voce che si affievoliva in un gemito, in un sussurro. “...E io, io non ho mai messo in dubbio niente. Facevo quello che mi si diceva di fare.”

 

Seduto sulla sabbia, la camicia inzuppata di sangue che gli si appiccicava al corpo, Ben si prese la testa fra le mani. Un vento leggero faceva fremere la stoffa attorno al suo collo, gli rinfrescava il viso madido di sudore, la pelle febbricitante. I suoi lineamenti pallidi e duri - la linea dura della bocca, i pallidi occhi ("Non guardarmi con quei tuoi orribili occhi", aveva detto Charles, in un altro tempo, in un altro luogo; in un'altra vita) - erano contratti dall’angoscia, il suo viso era bianco come gesso, fra le dita delle mani macchiate di sangue.

Nonostante tutto, Jacob aveva preferito John a lui. Che cosa aveva fatto, John, per lui? Che cosa aveva dato, lui, all’isola?

Ben si lasciò sfuggire un gemito. Era lui che aveva perso sua figlia, l’unica persona per cui avesse mai provato autentico affetto, lui che era stato quasi ucciso da un tumore al midollo. Lui aveva avuto la spalla trafitta dalla balestra di Sayid, lui aveva subito le torture nella Botola. Non John!

Tutto ciò che John era stato capace di fare, era andarsene in giro blaterando del destino, di quanto lui fosse speciale, e dell’Isola, dell'Isola, dell'Isola...

L’isola! Come se John potesse saperne più di lui, che in quel luogo aveva passato tutta la sua breve, solitaria, miserabile vita. Lui, lo scialbo, esile uomo dietro le quinte, dal viso slavato e scarno e dai pallidi occhi severi, che eseguiva gli ordini senza una parola. Eppure, l’isola parlava a John. Jacob si faceva vedere da John, non da lui.

Per Jacob, dunque, lui non era mai stato null’altro che un ripiego, un rimpiazzo? Per tutti quegli anni in cui aveva sofferto e sperato, durante i quali si era illuso di essere speciale, non era stato, in realtà, che la seconda scelta?

 

“Cosa c’era di così sbagliato in me?” Ben aveva alzato la voce, le labbra che tremavano.

“Che mi dici di me?”

Jacob l’aveva guardato, con un'espressione, negli occhi chiari e fermi, di pura commiserazione, e Ben aveva capito, in un soprassalto di disperazione, quel che stava per dire prima ancora che avesse aperto bocca. Improvvisamente tutta l’umiliazione, l’angoscia, la mortificazione - per essere stato usato, per essere stato ignorato e trascurato per tutti quegli anni, per essere stato privato di ogni cosa - erano state spazzate via, e al loro posto non era rimasto che un freddo, lucido, consapevole odio.

Benjamin Linus aveva perso tutto, aveva rinunciato ad ogni cosa, per il bene dell’isola. La sua vita era stata un interminabile susseguirsi di sacrifici, un’infinita serie di obblighi. E per tutta ricompensa, cosa aveva ottenuto?, aveva avuto un tumore, sua figlia era stata uccisa, Juliet lo odiava. Per tutto il tempo Ben aveva sperato che ci fosse, alla fine, una ricompensa, un risarcimento per le sue sofferenze, qualcosa che desse un senso a tutto ciò che era successo. Voleva soltanto che qualcuno gli spiegasse a cosa era servito, perchè tutto ciò che era stato, era stato. Perchè a lui.

Non voleva, in fondo, nient'altro che l’approvazione di Jacob, l’assicurazione che ciò che aveva fatto era giusto, che era servito a qualcosa. Che voleva, poi, se non una mano sulla spalla, un cenno, qualcuno che gli dicesse "sei stato bravo"?

E invece, tutto ciò che aveva ricevuto era stato uno sguardo frettoloso,  distratto.

C’era una punta di pietà, nella sua voce, si era chiesto Ben, o era solo fastidio, quando aveva sussurrato: “Cosa vuoi che ti dica?”

Tutt’a un tratto, il coltello che gli aveva dato John si era fatto inspiegabilmente pesante e solido nella sua mano. L’aveva stretto, fra le dita che tremavano, e col cuore che batteva e una gelida, disperata determinazione si era gettato su Jacob e l’aveva colpito una, due, tre volte, con fredda e deliberata brutalità. Jacob era caduto in avanti, addosso a lui, si era aggrappato alla sua camicia.

Ben non aveva previsto l’orrore che aveva provato nel sentire d’un tratto il calore del suo corpo contro il proprio, lo scomposto tentativo di aggrapparsi a lui. 

Aveva sentito, con un brivido di raccapriccio, le dita di Jacob che gli artigliavano il braccio; il peso del suo corpo, che crollava su di lui, l’aveva sbilanciato, costringendolo a fare un passo indietro. Guardando Jacob che si accasciava a terra, lasciando un’orrenda striscia di sangue, innaturalmente rosso, sulla sua camicia, Ben si era reso improvvisamente conto dell’enormità del gesto che aveva compiuto.

Il resto si era svolto in una specie di irrealtà. Aveva visto, come se si trattasse di un sogno, Jacob sputare, con un singulto, un fiotto di sangue, John chinarsi per ascoltare le sue ultime parole e poi, inaspettatamente, incomprensibilmente, spingerlo con un calcio fra le fiamme. Ancora in quella sorta di trance, si era reso vagamente conto del fatto che John l’aveva preso per un braccio e lo stava strattonando di nuovo fuori, sulla spiaggia. A contatto con l’aria fresca e umida della notte, Ben aveva riacquistato lucidità.

Si era guardato intorno, assurdamente sorpreso che nulla fosse cambiato: le stelle erano fisse al loro posto, il mare sciabordava tranquillo poco distante. Non lontano brillava il falò che Richard e gli altri avevano acceso. Si accorse distrattamente che Alpert parlava con la donna dell’aereo, ma era troppo sconvolto per chiedersene il motivo.

 Aveva sbattuto le palpebre, aspirato con un singhiozzo una boccata d’aria notturna.

“Mio Dio, che cosa ho fatto?”, aveva pensato, in preda all’angoscia.

 

Ben sentì una mano posarglisi su una spalla. Alzò gli occhi, per vedere un John stranamente calmo che si chinava su di lui. Sorrideva appena.

Ben si puntellò con una mano sulla sabbia e si girò verso di lui, strinse le labbra, lo fissò da sotto in su. Senza togliere la mano da sopra la sua spalla, John si accucciò accanto a lui.

“Non avrei potuto farlo senza di te”, disse, semplicemente. Gli strinse brevemente la spalla, poi si alzò di nuovo in piedi e si allontanò senza fretta.

Ben appoggiò le braccia sulle ginocchia e chinò la testa.

Per l’ennesima volta, si erano serviti di lui.

Stava ancora pensando a cosa avrebbe fatto, adesso, quale giustificazione avrebbe usato, quale scusa... Quando la bomba esplose, e il tempo scivolò fuori dal suo asse, il mondo si dilatò e si contrasse per affusolarsi in una puntina luminosa. E niente, a quel punto - nè John, nè il coltello fra le sue mani, o il sangue sulla sua camicia; nè sua figlia morta, o trentacinque anni di ordini da un uomo che non aveva mai visto - ebbe più un senso.

 

 

 

  
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