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Autore: LazySoul    02/07/2020    1 recensioni
Trama:
Diana ha 17 anni, è la secondogenita dell'Alpha ed è trattata da tutti come una bambina.
Nel tentativo di dimostrare di essere grande abbastanza per combattere e difendersi da sola, chiederà aiuto alla persona che più la confonde, suscitando in lei sentimenti contrastanti, Xavier O'Bryen.
Tra uno spasimante indesiderato, una migliore amica adorabilmente pazza e un assassino in circolazione, riuscirà Diana ad accettare i sentimenti che prova per Xavier?
Estratto:
«Sei giovane, ancora non hai imparato che spesso gli odori celano delle emozioni», spiegò, appoggiandosi al materasso con le mani e avvicinando il viso pericolosamente al mio: «E sai cosa mi sta urlando il tuo odore in questo preciso istante?», mi chiese, anche se era palese che non si aspettasse una risposta.
«Prendimi», sussurrò ad un soffio dalle mie labbra.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Riassunto del capitolo precedente: Diana e Xavier si conoscono meglio, guardando cosa contiene il misterioso borsone di quest'ultimo. La mamma e il papà di Diana sono a cena dall'Alpha Rice e la nonna prepara per i nipoti dei pancake per cena. Dopo cena Diana raggiunge Xavier e dopo essersi baciati, decidono di dormire insieme.

Buona lettura!




 

Capitolo XVIII: Parli nel sonno, lo sai?




 

Svegliarsi circondata dalle braccia e dall'odore di Xavier, mi fece istantaneamente sorridere e premere maggiormente il naso contro il suo petto.

La sera prima, dopo avergli dato la buona notte, avevo impiegato pochi minuti ad addormentarmi, sentendomi al sicuro in quel letto, con lui.

Durante la notte mi ero svegliata un paio di volte, destata dai suoi movimenti e del suo respiro che mi solleticava la pelle, ma tornare a dormire era stato poi facile, cullata dal battito regolare del suo cuore.

Non avevo idea di che ore fossero e in parte avrei voluto non dovermene preoccupare, ma ero sempre più consapevole di dover andare a scuola e di dover abbandonare il caldo tepore delle braccia di Xavier.

Mi sollevai quel tanto che bastava per sbirciare oltre le spalle di Xavier verso il comodino, dove sapevo esserci una vecchia sveglia.

Lasciai ricadere la testa sul cuscino quando realizzai che avevo ancora un po' di tempo prima di dover correre in camera a cambiarmi per la scuola.

«Buongiorno», mormorò la voce di Xavier, accarezzandomi in punta di dita la schiena: «Hai dormito bene?»

«Sì, tu?», chiesi, puntando il gomito sul cuscino, così da poterlo guardare bene in volto.

«Parli nel sonno, lo sai?»

Sbarrai gli occhi, rimanendo per una manciata di secondi senza parole: «Non è vero», riuscii infine ad articolare, pentendomi subito di quella risposta infantile.

Xavier sorrise, mostrando le fossette: «Oh, sì che è vero».

«Cos'ho detto?», domandai con un filo di voce, temendo la risposta. Dato che non ricordavo cosa avevo sognato quella notte, cominciavo a temere di aver detto qualcosa di altamente imbarazzante.

«Le noci sono meglio delle arachidi», disse lui, il sorriso che si accentuava ulteriormente, mentre io tiravo un mentale sospiro di sollievo.

«Chissà cosa stavo sognando», borbottai, lanciando un'occhiata verso la sveglia, le cui lancette, inesorabili, si spostavano verso l'orario in cui avrei dovuto abbandonare quel dolce momento.

«Probabilmente delle noci e delle arachidi», disse Xavier, sollevando il capo, in modo da avvicinare il viso al mio: «Sono d'accordo comunque, meglio le noci».

Arricciai le labbra in un sorriso e cancellai il poco spazio rimasto con un veloce bacio a stampo.

«A parte le mie perle di saggezza pronunciate nel cuore della notte, hai dormito bene?», gli chiesi, godendo della sensazione di contentezza che provavo.

«Scalci nel sonno, lo sai?»

Sbuffai, spostando lo sguardo sulla sveglia; avevo sempre meno minuti.

«C'è qualcos'altro che faccio di fastidioso durante la notte di cui vuoi rendermi partecipe?»

«Russi e hai anche cercato di appropriarti di tutte le coperte», disse Xavier, facendomi arrossire per l'imbarazzo: «Però, malgrado tutto, sì, ho dormito bene».

Non riuscii ad articolare una frase di senso compiuto per qualche secondo, troppo imbarazzata per trovare qualcosa con cui ribattere: «Come puoi dire di aver dormito bene se ho fatto tutte queste cose?»

Xavier sorrise, mostrandomi le sue adorabili fossette: «Perché è la verità».

«Secondo me tu stai mentendo, ma non riesco a capire perché», borbottai, constatando con un'occhiata veloce che il tempo a mia disposizione era finito e dovevo assolutamente scendere per prepararmi.

«Devo andare», dissi, stiracchiandomi brevemente prima di scostare le coperte e mettermi seduta.

«Se tua nonna mi dà il permesso, potremmo fare la nostra prima lezione di combattimento, oggi», disse Xavier, bloccando con quelle poche parole la mia ritirata.

Mi voltai verso di lui, trovando il suo viso molto vicino e per un paio di secondi lasciai che lo sguardo finisse sulle sue labbra, per poi tornare a guardarlo negli occhi: «Sarebbe fantastico».

«Mi aspettavo un maggiore entusiasmo», disse, aggrottando appena le sopracciglia.

«Sono ancora mezza addormentata, devo andare a scuola e tutto quello che riesco a pensare in questo momento...», lasciai la frase in sospeso, rendendomi conto di quello che stavo per dire e sentendo immediatamente le mie guance andare a fuoco.

«Cosa? Cosa stai pensando in questo momento?»

Capii che anche lui avrebbe voluto baciarmi, quando vidi il suo sguardo abbassarsi sulle mie labbra.

Senza pensarci mi sporsi e lasciai che la mia bocca entrasse in contatto con la sua, iniziando a muoversi a un ritmo lento e conturbante. Xavier gemette appena contro le mia labbra, allungando una mano per accarezzarmi la guancia e poi attorcigliarsi i miei capelli corti tra le dita.

«Mi porterai alla follia, Diana», sussurrò appena interruppi il bacio, decisa ad alzarmi e correre a vestirmi.

Infilai le ciabatte pelose e sorrisi: «Esagerato!»

«Buona scuola».

«Grazie! Ti auguro un grande in bocca al lupo, non sarà facile convincere mia nonna a farti uscire dal letto», dissi, sorridendo sotto i baffi alla mia ridicola battuta; augurare a un ragazzo-lupo l'in bocca al lupo era sempre divertente.

Xavier scoppiò a ridere: «Ne avrò bisogno, tua nonna è tosta».

Resistetti alla tentazione di lasciarmi cadere tra le coperte e le sue braccia, non ancora sazia di lui, e dopo un ultimo sorriso abbandonai la stanza, chiudendomi la porta alle spalle.

Scesi le scale di corsa, rischiando di finire addosso a mio fratello che girava mezzo nudo in corridoio.

«Vestiti ogni tanto!», gli dissi, storcendo il naso.

«Cosa ci facevi in mansarda?», chiese Kyle, legandosi i lunghi capelli in uno chignon disordinato.

«I fatti miei», ribattei, prima di chiudermi in camera.

Presi un profondo respiro ignorando i borbottii di mio fratello oltre il legno della porta e mi guardai intorno.

Controllai che nello zaino per scuola ci fosse tutto quello che mi serviva, poi mi vestii e cercai di domare le ciocche ribelli indossando il mio fidato cappellino.

Sprecai qualche minuto a cercare il cellulare, prima di ricordarmi che ce l'avevano i miei genitori, dato che ero in punizione, e sbuffai sonoramente mentre mi dirigevo in cucina.

La mia voglia di iniziare un nuovo giorno scolastico era molto bassa, ma rispetto al solito ero stranamente felice e cominciavo a sospettare che il merito fosse tutto di Xavier e della notte che avevo passato tra le sue braccia, inebriata dal suo odore.

«Buongiorno», dissi, dirigendomi verso il mio solito posto al tavolo della cucina.

Papà stava, come suo solito, leggendo il giornale e bevendo il caffè nella sua tazza rosa. Mamma invece era indaffarata con la preparazione di panini e nonna sedeva al mio stesso tavolo, una tazza di tè bollente tra le mani e lo sguardo perso nel vuoto.

«Diana, se vuoi c'è ancora del caffè», disse mamma mettendomi davanti una tazza vuota, il contenitore dello zucchero, del caffè caldo e un piatto di biscotti fatti in casa.

Rimasi momentaneamente colpita da quel gesto gentile, non perché mamma non fosse premurosa con me, ma perché mi ero abituata ormai a procacciarmi da sola la colazione; era da qualche anno ormai che ero stata promossa a "bambina grande" e trovarmi servita e riverita faceva uno strano effetto.

«Grazie», esclamai felice, preparandomi una tazza di caffè come piaceva a me, con poco caffè e tanto zucchero.

Papà abbassò il giornale quel tanto che bastava per lanciarmi un'occhiata veloce, sul suo volto aleggiava un sorriso divertito.

«Buongiorno, Diana», disse, bevendo un sorso di caffè e ripiegando il giornale sul tavolo accanto a sé.

Capii che stava per succedere qualcosa, quando sentii mamma sedersi nel posto alla mia sinistra e mi ritrovai ad avere entrambi i miei genitori intenti a fissarmi con sguardi divertiti.

Aggrottai le sopracciglia, quando notai che anche nonna sembrava avere la stessa espressione.

«Che c'è?», chiesi, immergendo un biscotto nel caffè: «Che avete da guardare?»

Mamma spostò lo sguardo su papà, sembrava volerlo incitare a dire qualcosa.

«Sappiamo che non hai dormito nella tua stanza questa notte», disse alla fine mamma, puntando i suoi occhi nei miei.

In un primo momento pensai di aver sentito male, poi inorridii e percepii chiaramente le mie guance diventare bollenti.

«Non c'è nulla di male nel voler... esplorare il proprio corpo o quello di un'altra persona, io e tua madre vogliamo solo che siate prudenti», disse papà, sorridendomi in modo rassicurante.

«Non è successo niente», cercai di giustificarmi, cercando intorno a me una scappatoia al discorso imbarazzante che speravo di evitare.

«Non vogliamo conoscere i dettagli, Diana, vogliamo solo che tu sappia che puoi contare su di noi se hai bisogno di chiederci qualcosa che non sai», disse papà, sorseggiando tranquillamente del caffè.

«E speriamo che tu sappia che alla base di un rapporto sano ci devono essere il consenso e la comunicazione», aggiunse mamma, sorridendo in modo strano, sembrava anche più a disagio di me.

Annuii, nascondendomi dietro alla tazza di caffè: «Va bene», dissi semplicemente, nella speranza di interrompere sulla conversazione.

«Sappiamo che non sono discorsi facili da affrontare, soprattutto con i tuoi genitori, ma il sesso è...»

«Buongiorno!», esclamò Kyle, entrando in cucina con un sorriso smagliante e i capelli legati in una treccia: «Uh, biscotti», aggiunse, iniziando ad abbuffarsi, mentre si versava una tazza di caffè.

Cercai di pensare quand'era stata l'ultima volta che ero stata grata di vedere mio fratello, ma non mi veniva nulla in mente, quindi desistetti, limitandomi a ringraziarlo mentalmente.

«Kyle», disse papà, facendogli cenno di sedersi vicino a me: «Stavamo giusto facendo a Diana un discorso che dovresti ascoltare anche tu».

Tutta la mia gratitudine venne spazzata via da quelle parole, sostituita dalla rassegnazione.

«Va bene, di cosa parliamo?»

«Sesso», gli dissi con un finto sorriso, mentre finivo di bere il mio zucchero con caffè.

Kyle rischiò di strozzarsi e iniziò a guardarsi intorno con occhi sbarrati: «Cosa?», chiese con voce stridula.

«Io e vostra madre vorremmo che voi siate consapevoli del fatto che un rapporto intimo con un'altra persona è un passo importante e deve essere compiuto con le giuste precauzioni e ponendo alla base consenso e comunicazione», disse papà, ripetendo ciò che già mi avevano detto a beneficio di Kyle.

«Mh-mh», annuì mio fratello, sembrando molto più a disagio di quanto fossi io in quel momento.

«Il sesso non deve essere un tabù», aggiunse mamma e papà annuì: «Esatto».

«Dovremmo prendere l'autobus», disse Kyle, alzandosi come una molla: «Andiamo, Diana!»

Finii il mio zucchero con caffè, raccogliendo con un cucchiaino i granelli dolce-amari che rimanevano sul fondo, poi salutai tutti.

Corsi alla fermata dell'autobus, dopo aver recuperato zaino e giacca, e rimasi in piedi accanto a mio fratello nel più completo silenzio per qualche secondo.

«Tu sai perché hanno pensato di farci un discorso simile di prima mattina?», chiese all'improvviso Kyle, le mani affondate nelle tasche e le labbra atteggiate in una smorfia.

«Ho dormito con Xavier in mansarda», dissi, facendo spallucce.

Gli occhi di mio fratello si spostarono su di me: «E?»

«"E" cosa?», chiesi, guardandolo a mia volta.

«Avete fatto...», lasciò la frase in sospeso, sollevando appena le sopracciglia per farmi capire cosa intendeva.

«No», dissi, sollevando gli occhi al cielo: «Non abbiamo fatto un bel niente, abbiamo solo dormito».

Kyle annuì: «Se avete solo dormito perché mamma e papà hanno deciso di parlarci di "consenso e comunicazione"?»

«Dovresti chiederlo a loro, non a me», gli feci notare, sorridendo appena alla vista dell'autobus in avvicinamento.

«Vi siete baciati?», mi chiese, cogliendomi alla sprovvista.

«Sì, perché?»

Kyle non disse niente e continuò a rimanere in silenzio anche quando salimmo sull'autobus e ci sedemmo ai nostri posti.

«Farai attenzione, vero?», mi chiese all'improvviso, voltandosi a guardarmi.

«Ti ci metti anche tu?», borbottai, sollevando gli occhi al cielo: «Certo che farò attenzione», aggiunsi, osservando con la coda dell'occhio l'espressione un po' più tranquilla sul suo viso.

Per il resto del viaggio rimanemmo in silenzio.

Continuavo a pensare alle cose che avevo fatto durante la notte: russare, rubare la coperta, parlare...

Era davvero possibile che Xavier fosse riuscito a dormire bene?

«Buona giornata, sorellina», mi disse Kyle, pizzicandomi il fianco, prima di scendere dall'autobus, una volta arrivati alla sua fermata.

Il suo posto a sedere venne occupato poco dopo da Sab: «Ciao. Come va?», mi chiese svogliatamente, addentando un bastoncino di liquirizia.

«Da quando ti piace la liquirizia?»

«Non mi piace infatti, mamma dice però che fa bene alla pressione... o era al cuore? Non ricordo, fa bene a qualcosa e non vuole che muoia prima dei centocinquanta anni o qualcosa di simile».

Annuii osservandola con occhio critico: «Ti percepisco confusa».

«Questa notte ho dormito male», fece spallucce, sospirando: «Mamma e papà stanno continuando ad attentare alla mia sanità mentale. Ieri li ho beccati a pomiciare come degli adolescenti in salotto. Vorrei che ci fosse un modo per cancellare quell'immagine dalla mia mente».

Scoppiai a ridere, beccandomi una gomitata al fianco da una Isabel a dir poco scocciata: «Non è divertente».

Per farmi perdonare decisi di raccontarle l'imbarazzante conversazione di quella mattina, ma tutto quello che ottenni fu un terzo grado su come fosse stato dormire con Xavier quella notte.

Le raccontai ogni minimo dettaglio, tralasciando quello che Xavier mi aveva raccontato della sua famiglia, dato che erano questioni private e non mi sembrava il caso che anche Sab le conoscesse.

«Io ho dormito con te e posso assicurarti che tutto quello che dice Xavier è vero, neanche quando dormi riesci a stare zitta e ferma», disse Isabel, sorridendo divertita.

«Perché non me ne hai parlato?», le chiesi, indispettita. 

«Stai scherzando? Certo che te ne ho parlato! Solo che tu hai questa fastidiosa abitudine di negare le cose che ti danno fastidio o che non hai voglia di ascoltare e dimenticarle nell'arco di pochi minuti».

«Non è vero», mi lamentai, prima di realizzare che così facendo avevo appena confermato le sue parole.

«Visto?», disse Sab, mentre ci alzavamo per scendere dall'autobus e dirigerci con passo svogliato verso l'edificio principale del complesso scolastico.

«Ora che me lo fai notare, potresti aver ragione», dissi, sollevando gli occhi al cielo.

«Potrei? Solo...»

Sab si era fermata a pochi passi dall'ingresso, lo sguardo allucinato: «Mi sono appena ricordata di non aver fatto i compiti di scienze», disse con un filo di voce, prima di correre verso scuola: «Ci vediamo dopo! Devo scappare!»

Nell'arco di pochi secondi mi trovai da sola, ma non durò molto, dato che venni affiancata da Francine, che mi studiò con sguardo annoiato: «Le è venuto un attacco di diarrea?»

Sollevai gli occhi al cielo: «Ciao anche a te, Francine, io sto bene, grazie per averlo chiesto. Tu come stai?»

Usai un tono di voce scocciato, ma mi ricordai ben presto della promessa che avevo fatto a mio fratello e mi morsi la lingua per evitare di aggiungere qualche commento acido finale.

«Perché dovrebbe fregartene qualcosa?»

Mi infastidì il suo tono sulla difensiva e cercai di pensare alla nostra vecchia amicizia, nel tentativo di cercare l'origine di tutto quel risentimento e odio che provavamo l'una per l'altra.

Quando non riuscii a trovarlo, mi voltai verso di lei: «Cosa ci è successo, Francine?»

Vidi gli occhi della ragazza accanto a me sbarrarsi per la sorpresa e le sue labbra socchiudersi: «Cosa intendi?»

«Eravamo amiche, poi cos'è successo?», specificai, bloccandomi in mezzo al corridoio che stavamo percorrendo.

Rimanemmo a fissarci per qualche secondo, studiandoci a vicenda.

«Siamo cresciute, credo», disse Francine, scuotendo le spalle: «Abbiamo iniziato a interessarci a cose diverse e non siamo state in grado di rimanere amiche».

Mi morsi il labbro, pensierosa: «Non ti manca mai?»

«Cosa?», chiese, sembrava scocciata.

«La nostra amicizia: io, te e Sab», specificai, osservando le sue labbra socchiudersi nuovamente per la sorpresa.

«Perché dovrebbe mancarmi? Ho altre amiche», rispose, riprendendo a camminare, Francine, il naso verso l'alto e una smorfia in volto.

«Tipo Carol? Non ti viene mai voglia di avere una conversazione intelligente con qualcuno?», le chiesi, sostenendo il suo passo.

«Carol è intelligente», disse lei, bloccandosi nuovamente nel corridoio.

Iniziai a notare solo in quel momento il viavai crescente di studenti che ci guardava male perché ostruivamo il corridoio, ma li ignorai e continuai la mia missione: capire cos'era successo davvero tra me e Francine.

Era indubbio che crescendo avessimo iniziato ad avere interessi diversi o aspirazioni diverse, ma questo non spiegava i nostri continui litigi e l'odio, a cui ormai mi ero abitata tanto da non ricordarne l'origine.

«Carol? Intelligente? Mi stai dicendo che fa apposta ad essere rimandata a quasi ogni corso che frequenta?»

Francine distolse lo sguardo e riprese a camminare, e io la seguii.

«Non dovresti andare a lezione?», mi chiese all'improvviso, incrociando le braccia al petto.

«Sì, ma speravo che prima mi dicessi cosa ho fatto per farmi odiare così tanto da te».

«Esisti», disse Francine, prima di riprendere a camminare e perdersi tra la folla.

Sospirai e decisi di lasciarla andare; avremmo parlato un altro giorno, quando sarebbe stata pronta.

Mi diressi verso il mio armadietto per recuperare dei libri e poi andai in aula.

Il resto della giornata trascorse in modo fin troppo tranquillo.

Raccontai della chiacchierata con Francine a Sab, che sembrò sorpresa della mia volontà di voler sotterrare l'ascia di guerra e iniziare ad avere toni più civili con quella che un tempo era stata una delle nostre più care amiche. 

Anche Isabel sembrava non ricordare la causa scatenante della rivalità che c'era tra noi e Francine, il che mi fece sentire meno in colpa.

La giornata scolastica si concluse con un test a sorpresa di matematica che nessuno si aspettava e per cui non ero molto preparata, ma cercai di rimanere positiva e mentre mi dirigevo alla fermata dell'autobus mi chiesi se Xavier avesse ottenuto il permesso da nonna di tornare alla sua vita normale.

«Comincio a pensare che io e Alan potremmo non essere una bella coppia».

Le parole di Sab mi fecero tornare alla realtà e un'espressione perplessa apparve sul mio volto: «Perché dici così?»

«È un bel ragazzo, è simpatico e molto educato, penso che potremmo andare d'accordo, ma non credo che sia la persona giusta per me», disse Isabel, guardandomi pensierosa: «Ho visto il modo in cui tu e Xavier vi guardate, vedo il modo in cui mia mamma e mio papà si completando a vicenda, in un modo che non riesco a spiegarmi. Io e Alan non abbiamo niente di simile».

«Non ancora, magari è questione di tempo», le feci notare, salendo con lei sull'autobus e occupando i nostri soliti posti.

«No, Diana, non credo sia questione di tempo», disse lei, giocherellando con il braccialetto dell'amicizia che le avevo regalato anni prima. Un tempo avevo anche io un braccialetto uguale, ma l'avevo perso; per fortuna Sab era stata comprensiva e non se l'era presa, ma aveva anzi deciso di indossare il proprio braccialetto, ogni giorno, per entrambe.

Mi ero impegnata per creare io stessa quei due braccialetti, io che non ero mai stata molto creativa, proprio per dimostrare a Sab quanto tenessi a lei. Avevo anche iniziato a creare un braccialetto per Francine, poi le cose erano andate come erano andate e non avevo più avuto occasione di terminarlo e darglielo.

«Penso ci sia qualcosa di sbagliato in me», sussurrò Isabel, tenendo lo sguardo basso.

Appoggiai la mano sulla sua spalla, stringendo appena la presa: «Non dire così, Sab. Non c'è nulla di sbagliato in te».

Gli occhi grandi ed espressivi della mia migliore amica si puntarono nei miei, quando capii che era ad un passo dalle lacrime, sentii un fastidioso dolore al petto.

«Devo andare, è la mia fermata», disse Sab, alzandosi prima che potessi dirle qualcosa.

Mentre scendeva dell'autobus la vidi passarsi la manica della giacca sul viso per asciugarselo dalle lacrime.

Stavo per scendere a mia volta, decisa a raggiungerla e chiederle spiegazioni, quando venni intercettata da mio fratello che, mi ricordò con una risata che quella non era ancora la nostra fermata e mi sospinse verso i nostri posti a sedere.

«Sei pallida, D», disse Kyle, osservandomi con occhio critico: «Altra intossicazione alimentare?»

«No, penso che Isabel stia passando un brutto periodo, ma non me parla molto e non so cosa fare», ammisi, guardando fuori dal finestrino, individuando la figura della mia migliore amica che si dirigeva verso casa sua.

Cominciavo a temere che la colpa della tristezza di Sab fosse Michel e il fatto che non fosse interessato a lei.

«Strano, Isabel è un chiacchierona», disse Kyle, scrollando le spalle: «Vedrai che quando sarà pronta ti dirà cos'ha», aggiunse passandomi un braccio intorno alle spalle.

«Lo spero», sospirai, osservando le case, i parcheggi e i giardini filare via oltre il finestrino dell'autobus.

Kyle mi tirò una gomitata, svegliandomi dal mio stato di trance: «Come sta Ann?»

Scrollai le spalle: «Non ci ho parlato molto oggi, ma mi è sembrata stare bene», dissi osservando l'espressione fin troppo interessata di mio fratello: «Sai che è inquietante la tua ossessione per una ragazzina di quattordici anni?»

Kyle sollevò gli occhi al cielo: «Non sono ossessionato».

«Certo che no», dissi con tono sarcastico.

«Sono solo... io... non lo so spiegare, ok?», borbottò Kyle, incrociando le braccia al petto.

Decisi di non infierire oltre e non gli feci altre domande.

Appena scesi dall'autobus corsi in casa e provai a chiamare Isabel con il telefono fisso di casa, ma non rispose nessuno e desistetti dopo tre chiamate a vuoto.

Mi diressi quindi in camera a cambiarmi e subito dopo salii le scale diretta in mansarda.

Fece strano trovare la stanza vuota e il letto rifatto.

Non potei impedirmi di pensare, per pochi secondi, che Xavier se ne fosse andato senza dire niente. I miei timori vennero subito smentiti dal fatto che il suo borsone, il computer, i vestiti si trovassero ancora tutti al loro posto.

Corsi giù per le scale con il cuore in gola, raggiungendo subito nonna in bagno, dove stava pulendo lo specchio che si trovava sopra al lavandino.

«Dov'è Xavier?», chiesi con il fiato corto, appoggiandomi allo stipite della porta.

«È andato a fare una passeggiata per sgranchirsi le gambe», disse nonna, sorridendomi: «Non penso si sia allontanato troppo».

Provai un forte sollievo nel sentire quelle parole e ignorai il fatto che avrei dovuto fare dei compiti e studiare, decidendo di correre fuori casa per cercare di raggiungere Xavier, ovunque si trovasse in quel momento.

Mi lasciai guidare dall'olfatto, seguendo l'odore di sandalo e cannella lungo il sentiero che portava al bosco.

Ricordavo chiaramente le parole dei miei genitori e il fatto che mi era proibito avventurarmi da sola tra gli alberi in quel periodo, ma decisi di addentrarmici lo stesso.

Non dovetti cercare molto, Xavier si trovava a cinque minuti a piedi da casa mia, era appoggiato al tronco di un albero e mi sorrise quando lo raggiunsi.

«Ti ho sentita arrivare, così mi sono fermato ad aspettarti», mi disse, notai subito nel suo tono di voce una felicità e serenità che mi resero istantaneamente tranquilla: «Ho vinto contro tua nonna, mi ha lasciato uscire dal letto».

Gli gettai le braccia intorno al corpo e affondai il volto contro il suo petto, ispirando a fondo il suo odore: «Sei stato fortunato», gli dissi, godendo della sensazione di pace e appartenenza che sentivo in quel momento: «Nonna è un osso duro di solito».

Xavier mi circondò a sua volta con le sue braccia, dandomi un bacio tra i capelli: «Devo averle fatto pena».

Dimenticai in quel momento la confusione di Kyle, la tristezza di Isabel, la discussione vagamente pacifica che avevo avuto con Francine, il discorso dei miei genitori e lasciai semplicemente che le sue braccia mi stringessero, che il suo odore mi inebriasse e che la sua voce mi cullasse.

«Ho dovuto insistere per fare questa passeggiata, tua nonna voleva che rimanessi in casa. Poi le ho fatto notare che le ferite si sono ormai rimarginate perfettamente e che non era necessaria tutta quella premura... Stai bene, Diana? Non sono abituato a tutto questo affetto da parte tua».

«Per un attimo ho pensato che te ne fossi andato», ammisi, rimanendo col volto premuto contro il suo petto.

Si scostò leggermente dal mio abbraccio, sistemandomi alcune ciocche di capelli dietro alle orecchie: «E me ne andrei senza salutare? Per chi mi hai preso, Diana?»

Scossi la testa, sorridendo: «Infatti l'ho pensato solo per un attimo».

«Un attimo di troppo», disse, pizzicandomi il fianco con una mano: «Ti va una passeggiata?»

«Quando mi darai lezioni di combattimento?»

Xavier scoppiò a ridere e intrecciando le dita della sua mano sinistra a quelle della mia mano destra, iniziò a muovere qualche passo, seguendo il sentiero: «Domani, forse».

«Forse?», ripetei, aggrottando le sopracciglia e ignorando, per quanto possibile, il caldo languore che sentivo allo stomaco nel vedere le nostre mani unite.

«Tua nonna potrebbe impedirmelo», mi fece notare, scrollando le spalle.

«Ci parlo io con nonna, tu non ti preoccupare», dissi con tono sicuro.

Xavier sorrise: «Sissignora».

Continuammo a passeggiare e chiacchierare per qualche minuto. Finii ben presto col perdere la cognizione del tempo, ma non me ne preoccupai.

Ero con Xavier, ero felice; tutto il resto poteva aspettare.




 

***


Buongiorno popolo di EFP!

Eccoci alla fine del diciottesimo capitolo di questa storia.

Spero che abbiate tempo e voglia di farmi sapere cosa ne pensate, rimango a vostra disposizione per qualsiasi dubbio o domanda.

Ho calcolato che dovrei scrivere ancora nove o dieci capitoli prima di concludere la storia, quindi abbiamo ancora un bel po' di strada davanti a noi.

Vi comunico che dal 10 Luglio fino al 25 sarò in vacanza, quindi avrò meno occasione di scrivere. Magari riesco comunque ad aggiornare, ma preferisco mettere le mani avanti e dirvi di non aspettarvi molto da me.

Ovviamente il capitolo della prossima settimana dovrebbe arrivare senza problemi, ma dal 10 al 25 Luglio chi può dirlo?

Ricordo, per chi vuole, che mi potete trovare su Instagram: il nome dell'account è lazysoul_efp.

Un bacio,

LazySoul

  
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