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Autore: MaikoxMilo    06/07/2020    4 recensioni
La serie principale di Saint Seiya dagli occhi di Sonia, allieva di Milo. La sua vita, il suo percorso, i suoi ricordi che si intersecano e coesistono con la vita dei Cavalieri d'Oro al Santuario di Atene prima, dopo e durante la Battaglia delle 12 case fino ad arrivare al 2011, il nuovo corso per tutti, la conseguente rinascita.
Dal cap. I:
“Ti manca tuo fratello, vero?”
La fisso imbambolata per qualche secondo... giusto, mio fratello Camus! Ecco il perché di questo mio malessere, ecco a cosa stavo pensando prima, a lui... come ho potuto scordarmelo, anche se per pochi, brevi, istanti?!
“Sì, ma tu come lo sai?”
La ragazza mi sorride ancora una volta, sedendosi poi vicino a me.
“Sono tutte uguali le persone che soffrono la perdita di qualcuno, affettiva, o più banalmente fisica, è irrilevante .. si mettono in disparte e guardano il vuoto, sperando di rivedere il volto del proprio caro. Lo capisco bene, sai? Milo era così quando ha perso Camus nella battaglia delle Dodici Case...”
Per comprendere meglio la storia, è necessario aver letto la mia serie principale: "Passato... presente... futuro!", buona lettura!
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aquarius Camus, Cygnus Hyoga, Kraken Isaac, Nuovo Personaggio, Scorpion Milo
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Passato... Presente... Futuro!'
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Capitolo 13: L’Anatema della rovina (prima parte)

 

 

Piandeisio, il pianoro della Grande Foresta, febbraio 2015

 

 

Il viaggio sta procedendo bene, senza intoppi, né rallentamenti. La meta finale mi è ancora preclusa, io stessa non so bene dove sto andando, né dove sto conducendo gli altri, ma so che devo proseguire, in qualche modo, so che devo farlo per mio fratello, per la sua salvezza, per riportare questo mondo ad acque limpide, e perché questa è la mia strada, lo è sempre stata, fin da quando rispondevo ancora al nome di Seraphina. Ci sono momenti in cui ho paura, altri in cui le mie radici paiono sfuggirmi, ma devo andare avanti. Camminare, camminare, ancora camminare, finché il cuore non mi dirà di fermarmi, finché la mia crescita non sarà completa.

E tornerò. Tornerò a salvarti, fratellino, te l’ho promesso. Aspettami… romperò il ciclo!

Un movimento dietro di me attira la mia attenzione. E’ notte, non ci dovrebbe essere nessuno, qui, ma meglio stare in guardia. Fortunatamente dalle fronde fa di nuovo capolino Sonia, che mi sorride con dolcezza.

“Tendi sempre ad isolarti, Marta… non so quanto ti faccia bene!” mi rimprovera bonariamente, togliendosi qualche foglia dalla veste e dai capelli.

“Scusatemi, sono sempre altrove con la mente...”

“Lo vediamo… e non sappiamo come raggiungerti”

“Non voglio essere raggiunta… - le rivelo, sospirando, stringendo i pugni, cambiando poi discorso – Gli altri?”

“Davanti al fuoco, come sempre… sai, quando te ne vai, non sappiamo mai se raggiungerti o lasciarti andare, sappiamo bene come sei fatta, sappiamo bene che hai bisogno di stare spesso per conto tuo, soprattutto dopo quello che hai scelto di sacrificare per perseguire la tua via, ma… più avanziamo maggiori saranno i pericoli e, in fondo, noi siamo i tuoi Guardiani!”

Non le rispondo subito, abbassandomi lentamente a sedere con le gamba incrociate. Sonia non segue il mio movimento, rimane in attesa, indecisa se andarsene o restare, ma il mio braccio si muove automaticamente nell’atto di indicarle una roccia vicina a me, passandole il messaggio che non mi da affatto fastidio. Rimaniamo in silenzio per un po’, fino a quando non sono io a decidere di parlare.

“Tra poco sarà il suo compleanno, sai? 26 anni… vorrei essere con lui, festeggiarli in sua compagnia, anche se, probabilmente, mi guarderebbe con quell’espressione severa, il sopracciglio inarcato, dicendomi di impiegare meglio le mie forze, che non occorre fare stupide feste per lui, che conta esserci giorno per giorno e bla bla… - lo scimmiotto amabilmente, ridacchiando tra me e me. Dei, quanto mi manca! – Proprio non gli passa per l’anticamera del cervello quanto lui sia speciale per noi, si meriterebbe un compleanno normale, come quello del 2012, ricordi? Anche se era acciaccato… vorrei… o, quanto vorrei, poterlo festeggiare ancora!”

Mi sento esposta a rivelarle tutto questo, nonché un po’ scema a continuare a rinvangare i ricordi, mio fratello non lo vorrebbe, ma so che Sonia mi ascolterà.

Le scocco una breve occhiata, vedendola sorridere intenerita, mentre mi guarda in attesa, ciò mi spinge a continuare.

“Sai… in uno dei suoi compleanni, perché pensavo che dopo esserci riuniti non ci saremmo più separati, mi sarebbe piaciuto riportargli indietro Isaac. Io so… perché lo percepisco… che è vivo, ma… non ho idea di raggiungerlo! Sarebbe il regalo più bello che potesse ricevere, lo farebbe felice, gli darebbe forza, ma… non ho abbastanza potere, non ancora!” mi guardo turbata le mani, stringendole poi a pugno. Sono lì lì per continuare quello che, alle sue orecchie, apparirà come uno sproloquio, ma le sue parole bloccano i miei propositi.

“Scusami… di cosa stai parlando, ora?”

“E-eh?”

La guardo, quasi sconvolta, la bocca semi-aperta, gli occhi smarriti. Non sta reagendo come avrei pensato, sembra quasi che le manchi qualche tassello, che le manchi…

“Posso capire che Hyoga, prima di diventare Cavaliere dell’Acquario, abbia perso il suo migliore amico, nonché fratello, ma… non è forse lui stesso a dire di lasciar perdere quel passato, di… concentrarsi sul futuro?”

...Il ricordo stesso…

“Hy-Hyoga il Cavaliere dell’Acquario… che accidenti stai?!”

“Parli di lui, no? Parli di Hyoga, il...”

“HYOGA NON HA MAI AVUTO QUEL RUOLO! - inaspettatamente scatto in piedi, infervorandomi e dibattendomi, come un pesce nella rete da pesca. Mi sento così… arrabbiata, così furibonda… quell’armatura spetta ad un’unica persona, voglio bene al Cigno ma quel titolo no, non è il suo, non potrà mai esserlo! – Io stavo parlando di… di...”

Mi fermo, gli occhi spenti, la mente vuota, una dissonanza sbatte tra le pareti del mio cervello. Il mio cuore perde un battito, poi un altro. E mi rendo conto di non sapere di chi stia realmente parlando. Ho un capogiro, devo divaricare le gambe per impedirmi di cadere, mentre i contorni si fanno sfumati.

Quale… quale fisionomia aveva quel volto a me tanto caro che sta sfuggendo via dalla mia mente, come acqua via dalla fonte?

Mi viene da piangere, ma non cedo alle lacrime e agisco d’istinto: premo la vena ben visibile sul polso sinistro, uso tutte le mie energie per farlo, fin quasi a farmi male e sanguinare. I battiti del mio cuore riescono a cambiare grazie a questo, accelerando all’improvviso, anche i pensieri nelle mia mente, che vanno a ritroso, sono più veloci, mi conducono finalmente là, a quel volto tanto amato che è sempre più annebbiato. Mi devo concentrare al massimo per riportarlo totalmente a galla.

“Ca-mus… - il solo tirare fuori quel nome mi procura addosso una stanchezza colossale, No, non sfuggire, ti prego, non sfuggire… rimani con me, almeno nel ricordo… - M-mio… fratello! Sto parlando di lui, anf...”

A questa nuova frase vedo Sonia abbassare lo sguardo, fissando il vuoto per diversi secondi prima di darsi una manata in fronte come se avesse appena detto una castroneria.

“Giusto! Camus… è Camus il Cavaliere d’Oro dell’Acquario, tuo fratello, non Hyoga!” constata, fremendo visibilmente, faticando anche lei a recuperare i ricordi.

“Lo… rammenti, adesso?” chiedo, stremata ma speranzosa, lei annuisce, posandosi una mano sotto il mento.

“Ora sì, grazie a te… non so perché, Marta, ma prima… prima era come se Camus per me non fosse mai esistito… assurdo! Gli voglio bene, come è possibile?!”

Vedo nei suoi occhi la mia stessa paura, lo stesso terrore. Mi mordo il labbro inferiore, massaggiandomi dolorante lo stomaco, dove sento un dolore infittirsi sempre di più.

Sono così spaventata… cosa stava succedendo?! Ci stiamo forse dimenticando di lui?! No… no!!!

“Camus… Camus… Camus...” ripeto più volte, prendendomi la testa tra le mani e scrollando disperatamente il capo. Il solo rammentarlo mi causa dolore, acuisce la mancanza che sento di lui, ma… è l’unico modo per… per salvarlo! Si sta sgretolando, la sua stessa essenza va scomparendo...

Avverto una leggera pressione sul fianco sinistro, riapro gli occhi, vedendo che Sonia si è avvicinata a me e mi sta abbracciando, come a cercare la forza.

“Sono spaventata come te, Marta… io… noi… ci stava sfuggendo, vero? Accade sempre più spesso ultimamente...”

Annuisco, ingoiando a vuoto, ricambiando l’abbraccio e massaggiandole le spalle. Forse dovrei davvero tornare indietro, sincerarmi delle sue condizioni, del perché il ricordo va svanendo, ma… non so nemmeno se posso e, fare dietrofront, mi è stato detto limpidamente, significherebbe gettare la spugna, non diventare più ‘ciò che sono nata per essere’, come dice il Sommo Elisey, e quindi non riuscire a salvare la persona che mi sta più a cuore.

“Camus… resisti, ti prego! Qualunque cosa tu stia passando… resisti, fratellino! Otterrò quel potere e tornerò a salvarti, te l’ho promesso, ricordi? Non mollare...” sussurro tra me e me, sperando che lui mi possa udire, nonostante il legame del CIMP sia quasi totalmente spezzato.

“Marta… prima stavi parlando di tuo fratello, giusto? - riprende Soniam al mio cenno di assenso prosegue il discorso – Mi chiedevo se potessi parlarmi di qualche ricordo inerente a lui, visto che con il vostro potere siete riusciti, in passato, a vedervi anche in frammenti di tempo che non fossero avvenuti al presente”

“Vuoi… che ti parli di lui?” le chiedo per conferma, mentre la mia espressione si fa più dolce.

“Sì, per favore! Ho pensato che, forse, se parliamo di lui, tanto e spesso, non rischieremo di dimenticarlo! Io devo ancora narrarti di come vissi il 2008 e gli anni dopo, ma… l’argomento è delicato e vorrei farlo con la massima attenzione”

Annuisco, comprensiva, rimuginando prima di decidere di cosa trattare. Sussulto un poco, rivedendomi, ben stampata in mente, l’immagine di Isaac e il mio obiettivo di recuperarlo, in qualche modo.

“Anche io ho ricordi suo risalenti al 2008…” inizio, un poco titubante.

“Sono tutta orecchi!” prende posizione Sonia sedendosi e guardandomi con interesse. Recupero un po’ ci coraggio, grazie a lei.

“Mancavano pochi giorni al compleanno di mio fratello e, questa storia, parla di come uno Sciamano abbia intrapreso un viaggio duro e faticoso solo per salvare alcuni neonati in fasce, e di come, i suoi allievi, non seguendo le direttive del maestro, lo abbiano raggiunto comunque lungo il fiume Kolyma, nella Siberia Orientale, per combattere, a tutti i costi, al suo fianco...”

“Come te, in sostanza, che nonostante le direttive di tuo fratello cercavi sempre e comunque il modo per dagli manforte!” mi fa notare Sonia, bonariamente, gli occhi luminosi.

Ridacchio completamente rilassata, il cuore mi batte forte in petto a seguito del suo velato complimento.

“Come me, esatto! - sorrido, gli occhi luminosi e l’espressione un poco malinconia – Ma, in fondo, Isaac ed io siamo fatti della stessa pasta, per lui faremmo l’impossibile, andando anche contro tutto e tutti e… beh, eccedendo un po’ con la misura...”

“Volete proteggerlo… ed è il sentimento più nobile che possa provare un essere umano, Marta!” mi incoraggia ancora una volta Sonia, rilassata.

Sospiro, le mani tremanti, il cuore sussulta.

“Vogliamo proteggerlo, sì, e, per farlo, saremmo anche disposti a precipitare nelle tenebre più nere, dove la luce non arriva più e puoi solo lordarti ulteriormente con l’oscurità...”

 

 

* * *

 

 

Siberia dell’Est, 3 febbraio 2008

 

“...Non ci sono motivazioni giuste con il Kraken, Isaac! Lui disintegra, non solo condanna, lui non si limita a sconfiggere, annichilisce!”

“Il Kraken colpisce solo le navi con persone malvagie a bordo, non ha mai ucciso gli innocenti! Me lo avete detto voi, mi avete fatto leggere il libro, perché ora non posso più...”

“Ti ho fatto leggere il libro per cultura generale, non ti ho MAI detto di prendere il Kraken ad esempio per assurgere al tuo ruolo di Cavaliere di Atena!”

“Perché?!? In cosa si discosta il Kraken da Atena?! In cosa si discosta da voi?! Non siete voi stesso a dire che bisogna essere irreprensibile contro il male?! Però il Kraken non va bene, non ha...”

“Non ha dirittura morale, sì, è un mostro che rappresenta il male estremo, sì, come può anche solo essere preso ad esempio per un Cavaliere di Atena?!”

“Un Cavaliere di Atena deve eradicare il male, lo stesso male che ha ucciso la mia famiglia, che massacra gli innocenti e che distrugge questa bella Terra! Ora voi mi state dicendo che...”

“Qualunque colpa, se sproporzionata alla pena, non può che diventare un ciclo di devastazione che non avrà mai fine. Un Cavaliere di Atena dovrebbe...”

Ma Camus fu costretto a fermarsi, una sferzata di vento gli aveva smosso violentemente i capelli, prima di andare a cozzare contro il muro e rompere un vaso che cadde sul pavimento, infrangendosi ulteriormente in tanti minuscoli frammenti.

“Porca puttana! MI FATE FINIRE UN DISCORSO SENZA PARLARMI SOPRA?! - gli urlò Isaac, con quanto fiato avesse in corpo, prima di ridurre di una tacca la sua voce – Siete dannatamente irritante quando siete così, come se le cose le sapeste solo voi!”

“Modera il linguaggio, ragazzino… - sibilò sinistramente Camus, con una voce tale che, persino Isaac, che si sentiva ben lanciato nel discorso, sussultò – La prossima volta che fai imprecazioni sessiste ti sbatto fuori dall’isba a pedate in culo e dormi fuori al gelo, chiaro?!” i suoi occhi si illuminarono pericolosamente.

“I-io non volevo insultare nessuno, v-volevo utilizzare un’espressione colorita e...” tacque, abbassando lo sguardo e stringendo i pugni. Sembrava vinto. Sembrava, perché di fatto non lo era, aveva solo preso una pausa, forse intimorito dal sibilo del maestro e dal suo modo di esprimersi.

Non era mai un bene quando Camus si lasciava sfuggire delle parolacce. Mai. Isaac lo sapeva e anche Hyoga, seduto all’altro angolo della stanza in attesa che la tempesta si placasse. SE si sarebbe placata.

Era diventata una routine dell’ultimo periodo, ormai, maestro e allievo avevano smesso di parlare e di ascoltarsi, perdendosi in una lotta di principi che non aveva mai fine. Isaac aveva da ridire su tutto ciò che faceva, o non faceva, Camus; Camus, dal canto suo, era diventato sempre più secco e perentorio al solo sentirlo nominare, il Kraken, al punto da impedire allo stesso Isaac anche solo di tirare fuori l’argomento, ma più gli vietava di seguirne l’esempio, più l’allievo, abbagliato da quell’essenza misteriosa e mostruosa al tempo stesso, ne traeva giovamento per assurgere al ruolo di paladino della giustizia e quindi Cavaliere di Atena.

Isaac era sempre stato un bastian contrario, un anticonformista. Hyoga lo sapeva bene e lo apprezzava, stimandolo genuinamente. Lui una motivazione giusta per diventare forte ce l’aveva; l’aveva sempre avuta, fin da piccolissimo. Era sempre stato vittima della rabbia, era vero, ma i lutti che aveva subito lo avevano spinto a reagire, sublimando il tutto in un ideale da raggiungere: impedire agli altri di patire ciò che lui stesso aveva sofferto. Al biondo, invece… non importava, era tutto lì il discorso! Hyoga avrebbe solo voluto ricongiungersi alla madre morta e, in tutti quegli anni con il Maestro Camus e suo fratello Isaac, la cosa non era cambiata. Gli voleva bene, erano la sua famiglia, ma il dolore per quella perdita era troppo netto e invasivo per essere sopperito. Semplicemente non poteva rinunciarci… era tremendamente ingiusta la maniera in cui era stato strappato dalle braccia della sua mama.

Si ritrovò a sospirare, scacciando via i tristi pensieri per tornare a concentrarsi sui due contendenti, che sembravano quasi ringhiarsi da distanza. La tregua prima della tempesta, nel vero senso della parola. I muscoli di Camus erano rigidi, l’espressione severa, le labbra assottigliate in un’unica linea… tutti quegli elementi non facevano ben sperare in una riappacificazione veloce, ma Isaac -Hyoga si voltò verso di lui, scrutandolo- era messo fin peggio. Il suo amico, infatti, pareva uno di quei leoni in gabbia innervosito dal poco spazio a disposizione, voleva tornare nella savana, riconquistando il suo territorio, il posto che gli spettava nel mondo, ma era lì, rinchiuso, senza possibilità di muoversi, a causa di quelle sbarre. Le sbarre, per Isaac, erano Camus.

“Ora ricominceranno a litigare tra… tre… due… uno...” pronosticò Hyoga, poggiandosi a braccia conserte sul tavolo in attesa della ripresa della tempesta, che non tardò a manifestarsi.

“Pensate di sapere tutto, di indirizzarmi come volete, ma io non sono un vaso da riempire, ho la mia testa, e voi non avete che 19 anni, come pretendete di comportarvi da padre, quando siete poco più che un ragazzo?!”

“E tu sei ancora un bambino, Isaac, hai 13 anni ma ti atteggi da duro, non conosci bene le cose, ma pretendi di saperle! Sei un presuntuoso, oltre che uno sciocco! Non sei ancora pronto per camminare da solo e già vorresti compiere imprese eroiche!”

“Voi a 13 anni eravate già Cavaliere d’Oro! A 13 anni mi avete raccolto e mi avete fatto da maestro, non eravate troppo piccolo, voi?! Solo io sono troppo piccolo per decidere da me?!”

Camus tacque per una serie di secondi, livido, ma era tutto fuorché vinto, aveva ancora molte frecce al suo arco e le avrebbe usate per far capire a quel ragazzino ottuso chi è che comandava, perché Isaac sembrava volesse pretendere di agire da solo a suo modo, quando invece era ancora sotto la sua tutela e… doveva proteggerlo, a qualunque costo!

Fece per aprire bocca, ma la timida voce di Hyoga si palesò nella stanza.

“Veramente… tu, Isaac, hai ancora 12 anni e voi, Maestro, 18… ma, in ogni caso, ciò su cui vi state prendendo ha poco a che fare con la vostra...”

“TU ZITTO, HYOGA!” esclamarono entrambi, perfettamente all’unisono, con una sinergia che meravigliava e colpiva al tempo stesso. Finalmente in qualcosa erano finalmente uniti!

“...età...” finì di brontolare Hyoga, sospirando sonoramente, prima di gettare la spugna. Ci aveva provato, a farli riappacificare, tutto inutile, entrambi erano due testoni colossali che si scornavano vicendevolmente, impossibile farli desistere, a meno che non l’avessero deciso loro.

Si alzò con lentezza, gli occhi socchiusi, prima di fare il giro del tavolo con passo in apparenza tranquillo, superarli e dirigersi verso la porta senza degnarli più di uno sguardo.

“Bene, mi vado a fare un giro… ciao!” disse solo, un poco infastidito. Prima che gli altri due potessero obiettare, si era già allontanato, i suoi passi scricchiolavano nella neve, le mani nelle tasche dei pantaloni. Aria, finalmente!

Il sole era perennemente basso in quella stagione, da poco l’Inverno Artico era terminato, ma le giornate erano sempre corte, non si arrivava neanche a sei ore di luce, a quelle latitudini, e i raggi solari, pur sopra l’orizzonte, non riuscivano comunque a riscaldare i corpi di chi, in quelle lande timorate dagli dei, ci viveva.

Hyoga si era ormai abituato a quel clima, un po’ perché comunque aveva metà, sangue russo, essendo un ‘figlio di Siberia’ da parte materna, un po’ perché gli allenamenti con il maestro Camus davano i loro frutti. Gli occhi e il corpo del ragazzo erano perfettamente ambientati a quel luogo, erano avvezzi a riconoscere i pericoli anche nel buio più profondo, a muoversi lestamente, anche in mezzo alle tenebre e, non in ultimo, a vedere comunque il bello anche in un luogo così inospitale. Era tutto merito di Camus, pensò, ma quell’ultimo particolare, la bellezza delle cose, lui lo aveva già imparato dalla sua cara Mama.

La sua Mama…

Hyoga si rese conto appena di essersi recato, quasi inconsciamente, proprio nel luogo in cui lei riposava, separata dal figlio da metri e metri di banchisa e dal mare della Siberia Orientale, che il biondo sapeva insidioso per via delle correnti. Era stato Camus ad informarlo, e poi, quando la verità era venuta a galla, anche Isaac. Suo fratello non aveva preso affatto bene la motivazione reale per cui il suo compagno di addestramento si prodigava negli allenamenti. Affatto. Hyoga, dopo quasi 5 anni di silenzio e varie occhiate colpevoli, si era sentito in dovere di dirglielo e ne era scaturita una accesa baruffa in cui Isaac, colto dall’ira, lo aveva prima preso a pugni, e poi danneggiato irreversibilmente la parete di ghiaccio eterno per non sfondare, molto probabilmente, la sua, di testa.

Con un solo pugno, ben assestato, aveva rovinato per sempre un qualcosa che stava lì, quasi imperituro, da millenni.

Quella era la potenza di Isaac.

Quella era la capacità di un Cavaliere di Atena.

Quella era la forza di un VERO allievo di Camus dell’Acquario.

Dopo quell’acceso dibattito il discorso non era più saltato fuori, semplicemente l’amico e il maestro lo sapevano. Hyoga a sua volta sapeva che, per loro, era un desiderio sbagliato che lo avrebbe portato alla morte.

Ma come poteva essere errato desiderare di ricongiungersi alla persona più importante della sua vita?! A sua madre, che gli era stata barbaramente strappata quando ancora le sue membra profumavano di tiepido latte materno, perché proprio a lui?!

Le palpebre di Hyoga si fecero umide nel guardare sotto di sé quello spesso strato di ghiaccio che lo separava da Natassia. Qualcosa gli solcò le guance e cadde dal suo mento, ma non ebbe nemmeno il tempo di toccare la banchisa che si congelò all’istante. Era proprio così, le sue lacrime gli si erano congelate in petto nell’esatto momento in cui aveva perso sua madre, lui stesso era un morto che camminava, come poteva essere un errore, visto che il cuore gli si era già spezzato, desiderare di metterlo a tacere?! Non avevano senso le sue continue pulsazioni… sarebbero dovute cessare!

Quello era l’unico luogo in cui si sentiva davvero tranquillo. Lentamente, con gesto delicato, tolse la polvere ghiacciata da sotto le sue mani, in modo da rimanere a contatto con la banchisa. E la vide. La nave. L’acqua in quel periodo era così limpida che ci si poteva vedere attraverso, ciò gli procurò una fitta al petto.

Così vicina, così lontana, così… inaccessibile.

Hyoga si domandò se dopo 5 anni di allenamento con il maestro Camus anche lui potesse riuscire a spaccare quel ghiaccio e a ricongiungersi finalmente a lei. Non ci aveva ancora provato, ma, in fondo, forse quello era il momento adatto per farlo. Alzò quindi il braccio destro, chiudendolo a pugno, con l’intenzione di spaccare finalmente quell’ostacolo, l’ultimo, tra sé e la madre, ma prima di poterlo fare udì che qualcuno lo stava chiamando tutto trafelato. Si trattenne ancora una volta.

Si alzò in piedi, voltandosi verso la fonte sonora, in tempo per assistere all’arrivo di un agitatissimo Jacob completamente in lacrime.

“Hyoga! Hyoga!!! Aiuto! Aiut...”

“Jacob, che succede? Calmati, sei in iperventilazione!” lo tprese delicatamente tra le braccia, perché il piccolo, sbilanciandosi, stava per cadere. Sembrava terrorizzato.

“Hyoga, dov’è Camus?! Serve il suo aiuto, è un’emergenza! Ti pre… ti pre… l-la mia sorellina, l-la mia...”

“Non riesco a capirti se parli così a raffica, fai un bel respiro e butta fuori l’aria, coraggio!” provò a tranquillizzarlo il biondo, dandogli delle piccole pacche sulla schiena. Il piccolo si sforzò di seguire il suo consiglio, malgrado le guance traboccassero di lacrime.

Anche Jacob era un “figlio di Siberia”, era nato 6 anni prima nello sperduto villaggio di Kobotec, a poca distanza dall’isba siberiana. Si diceva, perché Isaac glielo raccontava ogni volta, anche se non lo aveva effettivamente visto, che fosse stato Camus ad aiutare sua madre a partorirlo, perché il travaglio era stato più difficile del previsto, aveva rischiato di prendere non solo la sua, di vita, ma anche quella della mamma, la signora Leya, e il maestro era intervenuto per fermare tutto quel sangue. Era riuscito a salvare entrambi, grazie alle sue doti da Sciamano, due vite, due esistenze.

Hyoga era sempre rimasto carpito da quel racconto narrato dal fratello, che si perdeva sempre in mille e più particolari aggiuntivi che facevano trasparire la sua grande ammirazione per il maestro. Era incredibile, per il biondo, che un uomo, anzi un ragazzo, riuscisse ad operare un tale miracolo, almeno finché 5 anni dopo, nel 2007, non era accaduta la stessa cosa con la sorellina di Jacob, Avrora, anche lei venuta al mondo grazie alle mani esperte di Camus. A quello, sì, sia Hyoga che Isaac avevano assistito, riuscendo finalmente a comprendere il miracolo della vita.

Camus, Sciamano dei Ghiacci sopra e sotto la Siberia, nonché Cavaliere d’Oro dell’Acquario, era davvero un mago; un mago dagli incredibili poteri!

“L-la piccola Avrora sta male?”

Jacob continuava ad avere i lacrimoni agli occhi, singhiozzava, sembrava molto agitato, ma riuscì comunque ad accennare un sì con la testa.

A quel punto Hyoga decise di prendere la situazione in mano. Raccolse l’amico, prendendolo in braccio, salendo poi sulla slitta con cui Jacob era venuto. Non c’era tempo da perdere.

Si raccontava in Siberia, che i figli della banchisa e della steppa imparassero prima a comunicare non verbalmente con i cani Husky anziché cominciare a verseggiare alla propria madre, a gattonare e, infine, camminare, come invece accadeva dalle altre parti del mondo. Ed era vero. Hyoga se ne era ampiamente accorto nel veder crescere la piccola Avrora, già di salute cagionevole. Lei, a quasi un anno di età, non era ancora in grado di tenere gli oggetti con le manine, né di gattonare, avendo grossi problemi di coordinazione, ma aveva sviluppato quasi un legame embrionale con i cani della muta dei suoi genitori, primo fra tutti Sharik, il leader, dal pelo fulgido e tendente al marroncino.

Quelle difficoltà a muoversi e a coordinarsi avevano destato preoccupazione sia per i genitori che per Camus, ma quella era la prima volta in assoluto che Jacob arrivava lì, implorando aiuto, con quell’espressione terrorizzata. La situazione doveva essere seria!

Arrivarono all’isba il più in fretta possibile, Hyoga quasi scese saltando dalla slitta, seguito a breve distanza dal piccolo, ancora sconvolto. Non si preoccupò di spalancare e sbattere la porta dell’entrata, nonostante avvertisse ancora i toni, più che alti, dei due contendenti.

Il cozzare della suddetta contro il muro, che vibrò, fece sussultare sia Isaac che Camus, ancora intenti a discutere, ma prima di poter chiedere spiegazioni, Jacob sfrecciò disperato in direzione del Cavaliere dell’Acquario, le braccia sollevate in alto come a chiedere aiuto. Anche così, con quelle manine sollevate, non gli arrivava che alla cintola da quanto fosse ancora piccolo.

“Maestro dei Ghiacci!!! L-la mia sorellina… l-la mia...”

“Jacob? Che succede?” chiese Camus con una calma quasi imperturbabile, chinandosi un poco verso di lui per guardarlo negli occhi.

“Avrora… sta male, piange senza mai smettere, ha la febbre alta e non riusciamo a capire cosa abbia, la mamma mi ha detto di venire a chiedere a voi, vi prego!”

“Da quando… ha questi sintomi?”

“Da… da ieri sera, non sapevamo se chiamarvi, Maestro dei Ghiacci, non volevano disturbarvi, non… - singhiozzò, disperato – Sta.. sta morendo? La mia sorellina sta...”

A quel punto Camus gli posò una mano sulla testa, accarezzandogliela teneramente per tentare di calmarlo.

“Portami da lei, farò quanto in mio potere per farla stare meglio!” disse, deciso, senza troppi convenevoli. Il tempo stringeva.

Jacob tirò su con il naso, stringendo la mano del giovane uomo per farsi forza, gli occhioni verdi lucidi, i capelli rossicci tutti arruffati a seguito del cappuccio. Camus si permise di scostargli uno di quei ciuffi, che gli ricadevano, corti, sulla fronte, con gesto un poco burbero, ma ugualmente delicato, prima di concentrarsi sugli allievi.

“Hyoga! Isaac! Voi rimanete...”

“Se ci state per dire di rimanere qui, dovremmo declinare, Maestro Camus! Non siamo più dei mocciosi, possiamo dare una mano anche noi!”

“Isaac, non è questo il momento per...”

“Noi veniamo, PUNTO!

“Mi sareste solo d’intralcio, non...”

“Dimostreremo che non è così, ve lo ripeto, non siamo dei...”

“Va bene, agisci come vuoi, basta che non mi fai perdere altro tempo prezioso!” tranciò il discorso di netto, dandogli le spalle. Era ancora più furente rispetto a prima, si ben capiva dal tremore del suo corpo, ma Isaac sorrise beffardamente, come se, in quel particolare raffronto, l’avesse spuntata lui.

“Molto bene, andiamo a prepararci, Hyoga!”

Aveva scelto tutto lui, ancora una volta, il biondo non poteva fare altro che seguirlo, anche se, in parte, condivideva i suoi pensieri. Diede un’ultima occhiata a Camus, teso sulle sue, prima di annuire. Forse sarebbe stato meglio davvero rimanere lì, forse davvero sarebbero stati solo di peso, ma Isaac voleva seguire e perseguire il maestro in tutto e per tutto, camminare al suo fianco, combattere insieme a lui ed essere un suo emule. Lo ammirava troppo e voleva dimostrare di essere un degno allievo, tutto lì, ma c’erano cose che sfuggivano ancora dalle loro giovani menti.

L’umore di Isaac era notevolmente migliorato dopo quell’ultimo confronto in cui credeva di essere stato vincitore, era tornato vivace come di consueto mentre, frenetico, prendeva una sacca e si preparava. Stava proprio passando al fianco del maestro quando, quest’ultimo, ancora paurosamente irritato, si mosse, imprimendo la sua espressione negli occhi dell’allievo. Isaac sussultò a quel contatto visivo, un brivido lo percorse.

“Quando imparerai a non fare una guerra per ogni lotta di principio tra te e l’altro… allora, solo allora, sarai cresciuto! Fino a quel momento per me resterai sempre un bambino capriccioso… Isaac!”

 

 

* * *

 

 

Un bambino capriccioso… per tutta la durata del, breve, viaggio, le ultime parole rivoltogli dal maestro, gli erano rimbalzate in testa, rendendolo ancora più furente. Isaac si sentiva ancora avvampare dalla rabbia e dallo sdegno per quell’ultima frase buttata lì, giusto per avere l’ultima parola. Non gliela avrebbe perdonata!

Camus odiava perdere, odiava non avere ragione… e ciò gli dava incommensurabilmente fastidio, esattamente come la consapevolezza che lui, il maestro, non riusciva a capire i suoi desideri. Isaac voleva essere semplicemente come lui, né più né meno… Camus era il suo mito, il suo eroe e lui voleva dimostrare di esserne degno, ma gli era costantemente impedito.

Non fare questo… non fare quello! Pensate solo ad allenarvi per diventare Cavalieri di Atena, null’altro vi deve importare…

La vita all’isba, in quell’ultimo anno, era diventata un sentiero di divieti e cose da non fare, era tremendamente irritante.

Camus non capiva.

Camus non lo capiva

Si ritrovò a fremere tra sé e sé, arrabbiato, le mani strette a pugno.

“Maledizione… non sono più un bambino, perché vi ostinate a trattarmi come tale?!” si ritrovò a ringhiare tra i denti nello stesso momento in cui la porta della camera in cui era entrato Camus si spalancava e Hyoga chiamava a gran voce il loro maestro per chiedere informazioni circa lo stato di salute della piccola.

Isaac rialzò lo sguardo, soffermandosi sulla figura alta ed elegante del maestro, che teneva la piccola in braccio, finalmente acquietata. Vide un movimento da parte di Jacob, che teneva stretta la mano di Hyoga, e poi dalla madre dei due bambini che, tutta tremante, con la mano sopra il cuore, si alzò in piedi dalla sedia.

“Maestro dei Ghiacci...”

“Sono riuscito a calmarla solo ora, devo ancora visitarla...” disse solo Camus, in apparente tono neutro, ma dai suoi occhi si scorse una scintilla di preoccupazione che Isaac comprese bene. Probabilmente il maestro non aveva mai visto una cosa simile in vita sua.

“E’… è già molto, credetemi, stanotte non ha dormito affatto, non capivamo cosa avesse, piangeva ininterrottamente, si è quasi sgolata per urlare, l-la mia… creaturina...”

“Leya… farò quanto in mio potere per farla stare meglio!” provò a tranquillizzarla Camus, lo sguardo un poco caldo. La donna annuì, tornando a sedersi, mentre Jacob corse ad abbracciare la madre.

Hyoga ed Isaac stettero in attesa, guardando il maestro con apprensione, in attesa di un qualche movimento da parte sua. La sua espressione non prometteva nulla di buono, ma non dissero comunque niente. Non era il momento.

Camus sospirò, prima di sistemarsi meglio la piccola sulla spalla e cullarla dolcemente con le braccia, accarezzandola ritmicamente con fare protettivo. Le sussurrava all’orecchio parole in una lingua arcana, mentre le piccole dita della bimba stringevano la maglietta del Cavaliere, come a ricercare sollievo nella sua corporeità e nella sua voce, che le parlava con suoni dolci in un linguaggio antico.

Isaac si permise di osservarlo, sempre più sbalordito. Malgrado tutte le divergenze tra loro quel suo modo di fare, quel prodigio, non avrebbe mai smesso di sorprenderlo genuinamente.

Camus dell’Acquario era restio ad ogni tipo di contatto fisico, anche quando si scioglieva, i gesti che riusciva a donare erano brevi e schivi, non perché non fosse capace di amare, tutt’altro, ma non gli riusciva affatto bene rompere quel muro che si era imposto come difesa tra sé e il mondo, nella speranza di non rimanerne ferito.

Ma il Camus Sciamano dei Ghiacci sopra e sotto la Siberia era ben diverso. Lui, con le sue mani di velluto, quasi come uno dei mitologici re Taumaturghi, riusciva a compiere imprese eccezionali con l’ausilio del solo tatto. Poteva aiutare le donne a partorire, riusciva a scacciare via il dolore con le dita sinuose, cedeva agli altri le proprie energie psico-fisiche, salvava vite umane, come aveva fatto con lui dopo la morte del compagno Lisakki. Isaac riconosceva quei gesti, quel tenere una creatura fragile vicina al petto per calmarla con i propri battiti cardiaci. Li riconosceva, perché aveva fatto lo stesso con lui, per lui, cedendogli tutte le sue energie per farlo stare meglio.

Se Camus dell’Acquario proteggeva la vita con la propria forza e perseveranza, con la sua imponenza, come una montagna alta e inaccessibile, il Camus Sciamano lo faceva con la sua dolcezza, infondendo calore nelle cose apparentemente morte, donando vita e forza, le sue, per far rinascere qualcosa di nuovo.

Gli occhi di Isaac si inumidirono automaticamente nel vederlo in tutto il suo splendore. Era difficile capire quale Camus si avvicinasse di più alla sua reale essenza, il Cavaliere? Oppure lo Sciamano? Ma era più che certo che mai, come sotto quella forma, riuscisse a luccicare più che in ogni altro frangente, apparendo davvero come un vero e proprio sostegno per gli altri.

“Ha davvero la febbre troppo alta...” constatò Camus ad un certo punto, dopo aver posato le labbra sulla fronte della piccola – Leya, posso…?” chiese, lasciando sottintesa la frase.

“La sua vita è nelle vostre mani, Maestro dei Ghiacci, agite come meglio credete...” disse la madre, sofferente, stringendo a sé il figlio più grande.

“Grazie… la ricoprirò subito, ma ho bisogno di vedere e toccare il suo corpo, avverto… una forte energia negativa dentro il suo corpicino...” spiegò brevemente, in tono chiaro, sforzandosi di non mostrare emozioni, sebbene le si percepissero dagli occhi.

“Mamma, ce la farà, vero?” chiese allora Jacob, sempre tra le lacrime, portando la donna ad accarezzargli i capelli per tranquillizzarlo.

“Dobbiamo credere fermamente in Camus… Avrora è in buone mani!”

Si vedeva che avesse paura ma che al contempo si facesse forte per tranquillizzare il figlio. Hyoga sostò su di loro con lo sguardo, un sorriso, il suo, a metà strada tra il malinconico e l’intenerito. La forza di una madre riusciva a fare anche quello, la forza di una madre era incrollabile ed eterna, era il segno dell’amore… e l’amore rimaneva dentro anche laddove la persona fosse scomparsa.

Isaac intanto si era avvicinato al mentore, che nel frattempo aveva posato la piccola sul divanetto.

“Permettete un’osservazione, Maestro?”

“No!”

Hyoga si voltò nella loro direzione, avvertendo di nuovo spirare aria di tempesta. Sperò in cuor suo che non volessero litigare anche lì, in quella situazione disperata, con la bimba che stava male e Jacob totalmente in lacrime, ma Isaac non sembrava intenzionato a demordere.

“Mi sembra una follia spogliarla… ha la febbre alta, fa freddo, non...”

“Pure aspirante Sciamano sei, oltre che smanioso di diventare Cavaliere di Atena, ma che bravo!”

Isaac accusò il corpo, irritato, il sopracciglio sinistro vibrò appena. Non era da lui arrendersi, anche se Camus, occupato a togliere i pesanti vestiti alla piccola, aveva già dato segno di tacere e non proseguire nel discorso, che ancora grazie fosse lì e non all’isba, non poteva certo permettersi di parlare.

“Io dico solo che è follia, la piccola sta già male e...”

“Non ho altro modo! Devo abbassarle la temperatura corporea, inoltre le cure sciamaniche prevedono il passaggio della propria forza psico-fisica tramite il contatto corporeo e il respiro… quali altre soluzioni hai, quindi, Isaac?! Magari la tua mente geniale e densa di esperienze pregresse può giungere dove io non sono ancora arrivato!” esclamò, in tono quasi derisorio. Era ancora arrabbiato per la discussione di prima, era così lampante, ma aveva contro un avversario ugualmente testardo e orgoglioso, mal disposto a non avere l’ultima parola.

Isaac infatti coniugò tutte le sue forze per non mandarlo a quel paese. Aveva ben percepito il sarcasmo dietro alla sua voce, ma dargli corda in quel momento avrebbe significato dimostrare che lui era davvero ancora un bambino, e non voleva.

“Anche se avessi dei consigli… tanto voi non mi ascoltereste!” arrivò alla conclusione, guardando altrove.

“Anche se tu avessi dei consigli, cosa che comunque NON hai, non ascolterei comunque i tuoi, quelli di un cucciolo d’uomo che si reputa già grande!”

“Uhmpf, e allora arrangiatevi, io non...” ma si bloccò, e lo stesso fece Camus nel notare sulla pelle della piccola qualcosa che non avrebbe dovuto esserci. Sussultarono. Lo sguardo d’urgenza si impresse nei suoi occhi verdi.

“Isaac, tienila un attimo con le mani, cullala, se puoi, mentre io le sfilo il maglioncino...” disse all’allievo, il quale, lesto, fece immediatamente quanto chiesto. Il vestiario venne levato nello stesso momento in cui la piccola cominciò ad ansimare con maggior patimento.

Camus si alzò in piedi, indietreggiando di qualche passo, gli occhi perennemente puntati sul corpicino della neonata che, intanto, aveva preso a calciare, ricominciando a piangere.

“Che succede?” si mise in allerta anche Hyoga, presagendone la gravità, avvicinandosi a sua volta. Leya e Jacob si strinsero di riflesso l’un l’altra.

“Ha dei segni neri, come delle strie, sul corpicino…”

“COSA?!”

A quel punto anche la madre scattò in piedi, avvicinandosi alla figlia più piccola. Un nodo le si strinse in gola, mentre le mani corsero a coprirsi la bocca, chiusa in una muta ‘o’ che però non aveva suono alcuno.

“Ieri sera, quando l’abbiamo cambiata, non ne aveva...”

La situazione sembrava sempre più disperata, Hyoga e Isaac, ancora con la piccola tra le braccia, si scambiarono uno sguardo d’urgenza, Camus tornò su di lei, toccandole con dolcezza quelle orrende strie scure che, partendo dall’ombelico, sembravano diradarsi a tutto il corpo come una spirale. Per il momento, solo la pancia era lordata da quel nero, ma le strie sembravano in perenne espansione, quasi… a vista d’occhio.

Camus le toccò più volte la pancia, sistemandole la testolina meglio, accarezzandola per tranquillizzarla ancora una volta. Isaac non aveva più il cuore di lasciarla lì, priva del loro tocco, sembrava soffrire parecchio, anche se le mani esperte del maestro agivano come un vero e proprio calmante, mentre Hyoga teneva in braccio Jacob, corso nuovamente da lui dopo essere scoppiato a piangere.

“Non ha rigonfiamenti sottocutanei, né perdite di sangue...”

“E allora cosa diavolo sono queste strie nere che…?”

“Aspetta un attimo, Isaac!” lo fermò Camus, con più dolcezza, notando che il respiro della piccola era ancora accelerato e irregolare. Si chinò su di lei, mentre, con l’indice e il medio, gli premeva poco sopra il diaframma con mille e più premure per non farle male. Il ragazzo lo guardò ancora più ammirato, mentre gli occhi del maestro si chiudevano e le sue labbra tornavano a posarsi sulla fronte della neonata.

“Sei un miracolo, piccolina, non cedere! Tua mamma è qua e, con lei, il tuo fratellino, ti vogliono bene, sei amata e protetta, non cedere… piccola Avrora! Hai un nome bellissimo, sai? La imparerai ad amare l’aurora di cui porti il nome, sei tu stessa... luce... e hai portato speranza nei cuori della tua famiglia. Non cedere!”

Continuava a sussurrarle con voce di miele, quasi non sua, in una intonazione crescente, sembrava quasi una melodia che si ripeteva in una strofa con parole leggermente diverse ma che si posizionavano una davanti all’altra per darle forza. La bocca di Isaac era spalancata in un ‘o’ altrettanto muto, ma denso di ammirazione.

Quando Camus finì, la piccola sembrava un po’ più tranquilla, la febbre era scesa, ma quelle strie erano sempre ben visibili sul pancino. Pareva comunque finalmente dormire in un sonno profondo.

“Non riesco a capire la causa prima del suo male, senza quella non… non posso fare altro che un mero palliativo...” ammise il Cavaliere dell’Acquario, alzandosi in piedi e stringendo i pugni. Il non poter fare di meglio, il sentirsi impotente lo frustrava più di ogni altra cosa, quella rabbia era ben visibile nelle sue iridi.

Jacob continuava a piangere, lamentandosi che il giorno dopo era il suo compleanno, che non voleva perdere la sorellina quel giorno, che non voleva proprio perderla perché le voleva bene. Hyoga faceva del suo meglio per provare a calmarlo, ci sapeva fare con i bambini, ma il piccolo era inconsolabile.

La madre si accasciò sulla sedia, sul punto di piangere, ma si trattenne alla ben meglio, scrollando più volte la testa, il petto gremito di sighiozzi.

“Maestro, davvero non potete fare più di così?” chiese Isaac, incredulo, costernato, guardandolo intensamente negli occhi.

“Non… non è un male ordinario, Isaac, è qualcosa di oltre, di… malefico… non è un qualcosa che le erbe medicamentose possano guarire, né la medicina tradizionale, questo l’ho ben avvertito, toccandola… - disse, con voce tremante, scosso – Ho… ho le mani legate!”

“Un… un demone? Una maledizione?” tentò ancora il ragazzo, cercando un qualche modo per venirne a capo.

“Non… non saprei dirlo con certezza...”

“E’ l’Anatema della Rovina...” disse ad un tratto Leya, gli occhi verdi fissi e vuoti contro il pavimento.

“Che cosa significa?”

“Elisey… ne parla da un po’...”

Al suono di quel nome, gli occhi di Camus si fecero scuri, i pugni gli si strinsero ancora più a forza e divenne livido. Isaac ne conosceva il motivo.

“I-il Sommo Elisey è stato qui?” chiese Hyoga, sistemandosi meglio Jacob sulle spalle.

“Sì… - gli occhi di Leya erano spenti – Ci ha detto che la bonaccia è finita, che già nei paesi limitrofi alcuni… bambini… sono caduti malati e a-alcuni già morti. Erano tutti figli della Siberia...”

“L-l’anatema della Rovina? La bonaccia?” ripeté Hyoga, confuso, scambiando un’occhiata con Isaac, che in genere gli dava conforto, ma che, in quel frangente, sembrava sbigottito almeno quanto lui.

Camus parve capire il vero significato di quelle parole espresse, pertanto, mascherando la smorfia di disgusto nell’udire quel nome mal sopportato, si avvicinò alla donna, posandole maldestramente una mano sulle spalle.

“Sai dove è andato adesso Elisey? Ti ha detto quali altri bambini stanno male come Avrora?” le chiese con determinazione e un pizzico d’urgenza, anche se in tono caldo e comprensivo.

“I-Io… non so dove sia lui, nello specifico, ma so che questo anatema sta colpendo sempre più bimbi dei paesi circonvicini, arrivando persino a lambire Pevek, s-so c-che soffrono terribilmente prima di… O-DDIO!”

Stava per crollare a terra, ma due mani forti e decise si mossero lestamente per sorreggerla.

Leya, guardami! - lo sguardo di Camus si impresse nei suoi, deciso, affilato, ma dolce, così genuinamente dolce – Non permetterò ad Avrora di morire, né agli altri bambini di fare una fine così triste, fermerò questa endemia una volta per tutte!”

“M-maestro dei Ghiacci...” biascicò lei, prima di scoppiare a piangere e reggersi a lui, vinta da tutta quella pressione.

“Li salverò, te lo prometto! Tu tieni Avrora al caldo, ti darò dei rimedi, da aggiungere al latte che la faranno stare meglio, irrobustendo le sue difese immunitarie. Non arrenderti, attendi al mio arrivo, la salverò!” ripeté Camus più volte, con ancora più determinazione, sfiorandola con le lunga dita sottili, sebbene quel contatto così spontaneo lo mettesse in forte disagio.

Hyoga e Isaac si guardarono per l’ennesima volta, ricercando il sostegno reciproco in un universo di dubbi e domande prive di risposta. Hyoga con in braccio Jacob, ancora singhiozzante, stretto a lui, con il viso nascosto nel suo collo, Isaac con la piccola, che sembrava dormire tranquilla, malgrado quelle orrende strie nere sul suo pancino. Il ragazzo l’aveva coperta con un pesante pile, e ora la cullava tra le braccia, sebbene un poco imbarazzato. Non era abituato ad avere a che fare con i bambini, men che meno così piccoli, ma aveva visto come farlo grazie a Camus.

“Hyoga! Isaac!”

L’attenzione dei due allievi fu subito su di lui, il quale, dopo aver calmato alla ben meglio la donna, si girò a mezzo busto verso di loro, imprimendo il suo sguardo caparbio nei loro.

“Prendete Nikita e Sasha e tornate all’isba con la slitta, io andrò nei villaggi vicini a controllare la situazione, vedere con i miei occhi le condizioni degli altri bambini, dargli dei palliativi e rintracciare Elisey!” decretò, in un tono che non ammetteva repliche, che tuttavia Isaac si sentì comunque di esporre.

“Elisey, Maestro? Non lo vedete da anni, non sapete dove sia!”

“Non so dove sia ma so come rintracciarlo… - lo accontentò placido Camus, voltandosi di nuovo per dargli la schiena – Mi raccomando, Hyoga! Isaac! Fate quanto vi ho chiesto, la situazione è grave e… dimostratemi di essere dei futuri, degni, Cavaliere di Atena!” calcò l’ultima frase, mescolandoci insieme tutto l’orgoglio che provava per loro e che lasciò trasparire dal tono della sua voce.

 

I due allievi avevano fatto esattamente quello che aveva ordinato loro il maestro, recandosi immediatamente all’isba e aspettandolo lì, trepidanti. Le tenebre però erano calate da un po’, le ore passate, scandite da un tic-toc che irritava al solo udirlo e di Camus non c’era alcuna traccia. L’oscurità a quelle latitudini scendeva molto velocemente, del resto la lunga Notte Artica aveva ceduto un poco alla luce solo da qualche giorno, ma il sole non era comunque in grado di riscaldare quelle lande ghiacciate, né di illuminare distintamente i dintorni. Il susseguirsi delle giornate era un passare dalla notte più cupa alla velata e stentata luminosità della sera.

Hyoga ed Isaac erano circondati dal buio, non perché le lampade ad olio non funzionassero ma perché aspettavano ansiosi Camus, del tutto immobili nelle loro posizioni, senza dirsi una parola al di là di scambiarsi qualche gesto d’intesa. Il maestro non si vedeva. Il cuore dei due giovani allievi era denso di preoccupazione. Non avevano compreso pienamente ciò che si erano detti Leya e Camus, il maestro non gli aveva mai insegnato nulla a proposito dello Sciamanesimo, se non qualche accenno, ma la gravità dei loro sguardi, la disperazione di una giovane madre che rischiava di perdere la figlia e le lacrime di Jacob gli avevano fatto provare un’inquietudine crescente.

Passarono le ore, tante, troppe, ma non sufficienti al buio imperituro per cedere un po’ alla timida luce. Non era ancora tempo per l’alba. Isaac si sforzò di raccapezzarsi su quanto tempo fosse trascorso, di certo era passata la sera, poi la mezzanotte, poi ancora forse altre tre ore, non lo sapeva bene, il sonno stava cominciando a prendere la meglio. Accanto a lui, sul sofà, il respiro di Hyoga si era fatto via via più intenso, testimonianza che l’amico e fratello aveva infine ceduto al sonno. Isaac di alzò, camminando nell’oscurità senza accendere la lampada ad olio, si diresse verso l’armadietto, ne estrasse una coperta con la quale coprì poi il corpo di Hyoga. Certo, ormai erano ampiamente avvezzati al clima rigido della Siberia dell’Est, ma aveva comunque l’istinto di coprirlo, come moto di protezione. Tornò quindi a sedersi sul divano, sempre a tentoni, dove anche i suoi, di occhi, si accorse, stavamo cominciando a cedere all’incoscienza.

Si riscosse. Una. Due. Tre volte. Prima di darsi delle sonore sberle nel tentativo di non crollare. Voleva aspettare il Maestro Camus. Voleva essergli utile, in qualche modo, perché era certo che, visto il tipo, il giovane Cavaliere dell’Acquario non si sarebbe dato pace prima di aver controllato tutti i bimbi delle zone limitrofe. Sarebbe quindi tornato stremato, senza comunque concedersi un minimo di riposo, cocciuto, testardo, caparbio… così caparbio! E Isaac, ora che finalmente si sentiva grande, desiderava finalmente essere un vero e proprio sostegno per lui, combattere al suo fianco, ricambiando così tutto ciò che il maestro aveva fatto per lui, per loro.

A questo cogitava la mente del ragazzo per tenersi sveglia.

Questo fu il suo ultimo pensiero, più volte ripetuto, prima di crollare definitivamente, travolto dalla stanchezza.

Il tempo parve congelarsi in un istante. Trascorsero ore, o forse minuti, ne perse il contatto, almeno finché lo sbattere leggero di una porta non lo ridestò. Subito saltò su in piedi, pronto, riconoscendo quell’inconfondibile suono di passi. Finalmente accese la lampada ad olio per fare chiarore. La situazione si bloccò.

Gli occhi blu e la bocca del maestro si spalancarono per la sorpresa, lo stesso accadde ad Isaac, lo sguardo ora fisso sulla sua figura sempre famigliare, ma… insolita, così insolita!

Alla fine Camus, racimolando aria che evidentemente gli mancava, trovò il coraggio di parlare.

“I-Isaac, scusami, non volevo svegliarti...”

Era in evidente imbarazzo per qualcosa che Isaac abbinò subito al suo vestiario, lo fissò a lungo, sostando sulla sua figura alta, longilinea e slanciata, prima di accorgersi che il soffermarsi così tanto su di lui, in quella tenuta, lo avrebbe messo ancora più a disagio.

Come diavolo vi siete conciato?!

Avrebbe voluto chiedergli, continuando ad osservarlo con quel particolare… costume? Abito? Mantello? Non sapeva neanche lui come definire ciò che aveva indosso.

“Avete… trovato Elisey” constatò solo, abbassando lo sguardo, capendo che c’era il suo zampino in quell’improvviso cambio di look in cui Camus non si trovava per niente.

“Sì...”

“E…?”

“Mi ha detto cosa fare… dove andare...”

Pausa. Non ci furono altre parole da parte sua, i muscoli rigidi, lo sguardo altrove. Isaac capì che Camus era in partenza, dove non si sapeva, ma lo avrebbe scoperto, in un modo o nell’altro. Era finito il tempo in cui lui stava buono a casa a non far niente, era giunto il momento di combattere al fianco del maestro, spalla contro spalla. Decise comunque di prenderla larga. Molto alla larga.

“Quel look… vi dona… anche se vi rende un poco impacciato”

“E’ stato Elisey a… - Camus scrollò la testa, sbuffando, le guance si erano fatte rosse – Lascia perdere, non… non indagare oltre!”

“Mi chiedo solo perché farvi indossare quel… mantello… è più corto davanti che dietro, vi scopre parte dell’addome e… sarebbe una, per così dire, divisa da Sciamano? Serve per i rituali? Non faceva prima a mandarvi… a busto scoperto? Tanto il freddo non lo patite!”

“Ci ha… provato… sai, uno Sciamano, dice, deve essere più vicino alla natura possibile quando opera le cure, ma… non mi sentivo a mio agio”

Isaac inarcò un sopracciglio, scettico. D’accordo, con quel mantello non era del tutto nudo nella parte superiore del corpo, ma era comunque un indumento corto, gli sarebbe bastato alzare una mano per preparare un attacco, o anche un semplice gesto, e avrebbe scoperto interamente l’addome fino a quasi lo sterno.

“E così vi sentite a vostro agio?”

“No, certo che no… il mantello mostra proprio la parte del busto che mi imbarazza di più - disse Camus, massaggiandosi e coprendosi con la mano proprio la zona esposta - ma… mi sento più coperto, almeno...”

Isaac conosceva bene la riservatezza del suo amato maestro, il suo disagio nel mostrare semplicemente la propria pelle, era sempre stato così, fin da quando lui era piccolo. Anche Hyoga condivideva la sua stessa discrezione, lo stesso disagio a farsi vedere privo di vestiti, per lui, invece era semplicemente indifferente, e comunque si era tra maschi, era già capitato di vedersi accidentalmente nudi, come quella volta che lui e il biondo, per fargli uno scherzo, erano riusciti ad entrare in bagno furtivamente per giocare ai ‘pirati’, mentre il maestro faceva il bagno e, forse a causa della stanchezza, si era dimenticato di chiudere la porta a chiave. Ne era scoppiato un vero e proprio putiferio e loro due erano finiti in punizione. Si ritrovò a ridacchiare, suo malgrado, soffermandosi, ancora una volta sull’outfit del mentore.

Di certo quegli indumenti che Elisey aveva scelto per lui, calzavano pienamente come Sciamano, ma non per l’attitudine di Camus, il quale aveva lo sguardo fisso da tutt’altra parte, il viso ancora rosso, la mano sempre sull’addome, in una postura che emanava il suo disagio crescente.

Uno Sciamano doveva essere più vicino alla natura possibile, ed ecco la motivazione per quegli abiti così assurdamente insoliti! Camus aveva indosso un mantello ampio, di color celeste, un poco rassomigliante a quello che portava con l’armatura dell’Acquario. Come già ampiamente osservato, esso aveva due lunghezze dispari, dietro arrivava quasi alle caviglie, ma davanti era assai più corto, tanto da arrivargli appena sopra l’ombelico, lasciandoglielo scoperto insieme al basso ventre. Sulle gambe portava dei pantaloni di velluto color sabbia a vita bassa, attillati, che scendevano giù fino ad incontrare nella degli stivaletti neri, quasi lucenti. Ad ogni modo, erano i cosiddetti accessori, ciò che gli donava di più un’apparenza strana, insolita, non dal Camus Cavaliere dell’Acquario, ecco.

Isaac per esempio non lo aveva mai visto indossare degli orecchini, cosa che invece, in quella particolare tenuta aveva, pendenti, a forma di piuma; una piuma insolita di non si sapeva bene quale animale, perché era di un intenso color celeste, il ragazzo non aveva mai visto nulla di simile. Poi i segni sul viso, di color cobalto, che formavano quattro segmenti, due per guancia, che erano stati disegnati e calcati con i pigmenti, o con il gesso, chissà, probabilmente testimoniavano qualcosa di magico. Per concludere il tutto, un bracciale sul polso sinistro, fatto di pietre preziose color blu, zaffiri, per l’esattezza, che a seconda della luce davano un luccichio diverso.

Isaac non indagò oltre, ma sapeva che per lo Sciamanesimo Siberiano, glielo aveva accennato proprio Camus, le pietre avevano un significato a sé, non erano interscambiabili, ognuno aveva la propria ed essa rispecchiava l’animo del possessore; i più esperti, si narrava, ne possedevano anche due di preziosi. Il reale senso, però, al ragazzo sfuggiva.

Ad un certo punto lo sentì prendere un profondo respiro e Isaac seppe con certezza che stava arrivando al “giro di boa” ed era pronto, come mai.

“Isaac, il tempo stringe, molti bambini hanno bisogno di una cura ed è mia intenzione procurargliela il prima possibile. Puoi occuparti tu degli allenamenti di...”

“NO!”

La ferma risposta dell’allievo, quella scintilla nei suoi occhi, destabilizzò Camus. Sapeva che sarebbe stato difficile convincere l’allievo a rimanere al sicuro all’isba, ma non si sarebbe mai aspettato una presa di posizione così netta, senza neanche permettergli di finire la frase. Per un solo secondo, rimpianse il piccolo e coraggiosissimo Isaac che, da bambino, lo guardava con adorazione ed era più che pronto a seguire le sue direttive sempre e comunque.

“Isaac, per favore, non c’è più...”

“No, Maestro, non mi affiderete alcun allenamento, io verrò con voi!”

“Non se ne parla neanche! Non è tuo...”

“...Compito?! Non mi interessa! Guardatevi, siete sfinito, a quanti bambini avete alleviato le pene? Quante energie psico-fisiche avete adoperato?! Ma non ve ne curate, siete già pronto a partire, ma non vi lascerò solo, questa volta!”

“...”

Camus si stava paurosamente irritando, al punto che l’imbarazzo di farsi vedere in quella tenuta dall’allievo era scivolato via, sostituito da un fastidio sempre più acceso. Non disse niente, ma il suo volere non era cambiato, non avrebbe permesso al ragazzo ribelle di fare ciò che voleva, lui era il maestro, lui decideva. Sempre!

“Dove siete diretto?”

“Non sono affari tuoi!”

“Lo sono, invece! Perché non mi sposterò da qui se non per seguirvi ovunque voi andrete!”

“Spostati, Isaac, prima che ti costringa a farlo con la forza!”

“Non lo farò!”

“Spostati… ho detto!”

A quel sibilo paurosamente strascicato, il coraggio di Isaac, per un secondo, venne meno. Indietreggiò di un passo, ma riuscì in qualche modo a sostenere il suo sguardo, raddrizzando nuovamente la schiena per poi fissarlo con determinazione. Che gli si imprimesse in petto quel suo volere, non lo avrebbe lasciato solo!

“Io verrò con voi, non...”

“Tu non vai con nessuno! Per l’ennesima volta… TOGLITI!”

Quella volta il tono non era più un sibilo, si era paurosamente incrinato. Hyoga lo avrebbe chiamato “la fase due dell’esplosione della bomba”, il biondo lo ben sapeva. Anche Isaac, perfettamente, ma invece di calmarsi si ritrovò ben presto a fremere incontrollabilmente, sempre più arrabbiato.

Il fatto che Camus continuasse a non capirlo e anzi che lo ostacolasse, proprio lui, che invece avrebbe dovuto essere il suo sostegno, non era più tollerabile per il giovane. Quasi senza accorgersene, diede un calcio al tavolino di lato, prima di imprimere i suoi occhi furenti in quelli del maestro.

“Perché diavolo non capite?!? Perché diavolo non capite che vi voglio proteggere?!? - sbraitò, rosso in viso, del tutto intenzionato a non cedere per nessuna ragione al mondo, avvicinò il suo volto a quello del maestro, con l’ovvia intenzione di sfidarlo. Non cedere. Mai, mai arrendersi – VOGLIO COMBATTERE AL VOSTRO FIANCO, NON GUARDARVI RISCHIARE SEMPRE LA VITA SENZA POTER FARE MAI...”

Schiaff!

Non finì la frase, semplicemente capitombolò per terra, lo sguardo incredulo, proiettato verso quello di Camus, la mano destra sulla guancia che in quel momento bruciava come non mai, ma non quanto il suo orgoglio. Si massaggiò la zona lesa, ancora sconvolto da quello che aveva subito. Camus lo aveva limpidamente schiaffeggiato, senza mezze misure. Diretto. Istintivo. E in quel momento lo fissava ancora con severità, sebbene essa fosse velata sempre più da una certa dose di rimorso.

Aveva perso il controllo, né più né meno, arrivando a mollargli senza mezzi termini una sberla. A lui. Ad un suo allievo! Non lo aveva MAI colpito in quel modo, MAI! Gli occhi di Isaac si inumidirono, mentre la mascella si strinse, producendo rumori brevi ma striduli. Per un solo secondo, ebbe l’impulso di alzarsi e ricambiare il favore, in qualche maniera, non sapeva ancora come, ma di sicuro gli avrebbe urlato tutto ciò che gli veniva in mente in quel momento, rincarando la dose. Gli argini si erano rotti. Irreversibilmente. A romperli era stato proprio Camus, per cui non ci sarebbe stato nulla di male a riversare interamente su di lui tutta la sua foga, era stato lui stesso a volerlo!

“I-Isaac...”

Il ragazzo sussultò nell’udire la voce di Hyoga. Si voltò verso di lui, accorgendosi che il biondo era, molto probabilmente, sveglio da un po’ e aveva assistito a tutta la scena. Ora stava lì, non sapendo bene come agire, negli occhi un misto di compatimento e dispiacere.

Per Isaac fu ancora peggio che appurare di essere stato schiaffeggiato. Si sentì bruciare dentro, dall’umiliazione. Non davanti a Hyoga, maledizione, non davanti a lui! Strinse le palpebre, alzandosi barcollante in piedi e correndo via, verso la propria camera. Non gliela avrebbe perdonata, quella, giammai, aveva superato il segno! Passò oltre il Cavaliere dell’Acquario, non prima di avergli regalato un’ultima occhiata di fuoco, poi sparì via. Il rumore dei suoi passi scomparve nell’esatto momento in cui si sentì lo sbattere della porta della camera di sopra. Non sarebbe più uscito per quel giorno.

Camus sospirò, incassando la testa fra le spalle prima di appoggiarsi leggermente al muro con la schiena, gli occhi serrati, l’espressione colpevole. Si sforzò di ricacciarla indietro nel più breve tempo possibile, le vite di quei bambini dipendevano da lui, non era il momento per stupidi rimpianti o sentimentalismi, anche se aveva percepito distintamente il senso di vergogna che aveva provato il suo allievo a seguito del suo gesto.

“Hyoga...”

Il biondo si riscosse, meravigliandosi di sentire la voce del maestro come quella di sempre, malgrado il raffronto di poco prima. Lo vide riaprire gli occhi, determinati come non mai, prima di raddrizzarsi e avvicinarsi a lui. Il mantello ondeggiò appena, come smosso da una imperitura brezza.

“Sì, Maestro?”

“Devo ultimare i preparativi, mi… puoi dare una mano?”

“Certo, Maestro Camus, ma Isaac?”

“Gli passerà… ora non posso pensare a lui, ho questioni più urgenti...” disse, lasciando cadere il discorso sull’altro allievo. La testa proiettata verso i suoi obiettivi ma il cuore dolente, tremendamente dolente.

 

 

* * *

 

 

Siberia dell’Est, 5 febbraio 2008

 

 

Erano passati due giorni, e Camus non era ancora tornato, di lui non vi era traccia alcuna, il suo cosmo era lontano, appena percettibile.

In circostanze normali, Isaac non si sarebbe allarmato. Era già capitato diverse volte che il maestro di allontanasse per un tempo prolungato, ma li aveva sempre avvertiti circa i suoi spostamenti. Non quella volta. Camus non aveva avvertito né lui né Hyoga su dove fosse diretto, né come avrebbe fatto a trovare la cura, era partito e basta e la situazione era seria, sempre più seria, le condizioni di Avrora erano ulteriormente peggiorate e nessuna coordinata su come comportarsi. Si percepiva solo una crescente inquietudine, un’intensa disperazione.

Isaac strinse con impeto il foglio che aveva in mano, scritto in bella calligrafia, nascondendoci il viso per poi passare, in un secondo momento, a grattarsi i capelli, un tic che aveva fin da quando era piccolo nei momenti in cui si sentiva agitato.

“Siete uno sconsiderato… INCOSCIENTE! Così… incosciente!” continuava a ripetere tra sé e sé, come a tentare di sfogarsi in qualche modo.

Camus, infine, prima di partire, gli aveva lasciato una lettera, scritta di sua mano un poco di fretta ma sempre bella ed elegante con la sua scrittura minuta e sinuosa.

Gli aveva lasciato una lettera non di spiegazioni su dove andava, certo che no, ma una lettera di scuse, in cui si sforzava di spiegare le sue ragioni.

Quella lettera… da sola era riuscita a far scomparire tutta la rabbia che Isaac aveva covato dentro, tutto quel bruciore che avvertiva si era raffreddato in un battito di ciglia, riscaldandolo con qualcosa di più tenero e persino più profondo.

Solo una lettera… solo quella era bastata a farlo sentire dannatamente bene, a raddrizzare tutto, a spegnere il furore, ma… Isaac si morse il labbro, per quanto bella fosse, lasciava lui con molte cose in sospeso da dire. Parole di scusa, a sua volta, spiegazioni che non era riuscito a dare nella foga del momento e, perché no, parole d’affetto che sentiva soffiare in cuore. Ma Camus non era lì. Il bisogno di ristabilire un dialogo si era fatto più intenso man mano che le ore passavano.

Camus non era lì, eppure… c’erano così tante cose da dirgli!

 

Caro Isaac,

Scusami per averti schiaffeggiato così, su due piedi, davanti a Hyoga, non era mia intenzione umiliarti in quella maniera, ma, come avrai capito, ho perso il controllo.

Mi è… facile… con te, lasciarmi andare alle emozioni, nel bene e nel male e questa volta è stato male.

Sai, ogni tanto mi sembra che tu stia crescendo troppo in fretta, mio coraggioso allievo e… ne ho paura, una paura atroce! Tu, probabilmente, sentirai come se io ti stessi tarpando le ali, non è mia intenzione, credimi, e me ne rammarico. Ultimamente non facciamo che discutere e ciò mi dispiace enormemente, a volte è come se non riuscissi più a raggiungerti, come invece accadeva quando eri bambino, quando eri un… soldo di cacio!

Soldo di cacio, lo rammenti? Mi piaceva chiamarti così e… mi piace ancora, ma… hai ragione, stai diventando grande, Isaac, ed io forse, non riesco ancora totalmente ad accettarlo…

Voglio che tu sappia, però, che il mio desiderio di non coinvolgerti in missioni simili, non dipende dal considerarti debole, tutt’altro. Conosco bene il tuo valore, perché l’ho visto fiorire di giorno in giorno nel crescerti e… Atena sa che questa, per me, è stata la gioia più grande della mia vita, vedere crescere te e Hyoga, ognuno al proprio ritmo, zoppicando, a volte, ma sostenendovi l’un l’altro, reciprocamente. Sempre.

Sono fiero di voi, ricordalo bene, questo non potrà mai, MAI, cambiare, anche se ultimamente litighiamo sempre, anche se mi fai tribolare, anche se a volte mi sembra di non riuscire a raggiungerti. Sei il mio orgoglio, Isaac!

Tuttavia questa dello Sciamano è una via che non vi compete, è un sentiero che ho scelto per me, consapevole dei rischi e delle difficoltà, voi avete un altro ruolo, quello di diventare Cavalieri di Atena e di proteggere questo meraviglioso mondo come paladini della giustizia, sarebbe egoistico quindi chiedere il vostro aiuto in una missione che non ha nulla a che fare con il vostro futuro incarico.

Mio caro Isaac, ci sarà un giorno in cui combatteremo insieme, fianco a fianco, spalla contro spalla, la mia vita sarà nelle tue mani, e così la tua nelle mie, ma, almeno per il momento, quel giorno è ancora lontano. Il tuo obiettivo è allenarti e diventare ancora più forte grazie alla caparbietà che ti contraddistingue e so che lo farai, per questo ti affido sempre gli allenamenti di Hyoga. Ho grande fiducia in te, lo sai.

Non strafare come tuo solito, mi raccomando, Isaac! Hai un innato spirito di competizione che ogni tanto ti porta a non curarti del tuo stato pur di raggiungere l’obiettivo, (devo ricordarti quando per poco non rischiavi di annegare per superare il record di apnea di Hyoga?! Ancora non so come recuperarli gli anni di vita che mi hai fatto perdere!), devi invece imparare a prenderti cura di te stesso e a sentire i limiti del tuo corpo, perché sei un uomo, prima di tutto, ancora un ragazzo, per l’esattezza, è normale non riuscire in determinati compiti, non fartene un cruccio più del dovuto.

Come dicevo… conto su di te per tutto e tornerò prima di quanto pensi, non angustiarti per la riuscita della missione, né per la mia sorte. Come Sciamano, salverò Avrora e gli altri bambini, lo prometto!

 

tuo

Camus

 

“Io sono ancora un ragazzo, prima che Cavaliere, per cui non devo strafare, ma voi potete, vero, Maestro? Siete sempre, sempre, il solito...” commentò tra sé e sé Isaac, producendo un lungo sospiro affranto.

Aveva una brutta sensazione a riguardo di quell’endemia di cui avevano parlato Leya e Camus, davvero brutta, avrebbe voluto intervenire a tutti i costi, cambiare le sorti di quei poveri bambini e mostrare finalmente i frutti dei suoi 6 anni di addestramento, ma tutto ciò che aveva era una lettera a tratti struggente e nessuna indicazione, né coordinata, su dove andare. Null’altro.

Fece per alzarsi in piedi, non sopportando più quell’inedia, quel senso di oppressione, ma ebbe appena il tempo di darsi la spinta che qualcuno bussò per tre volte alla porta.

Scambiò uno sguardo partecipe con Hyoga, a poca distanza da lui, prima di precipitarsi insieme a lui ad aprire in fretta e furia.

“Mae...” dissero entrambi, sorridendo raggianti, ma il loro sorriso si cancellò nell’esatto momento in cui scorsero la figura alta di un uomo, dotato di bastone, che conoscevano bene. Gli occhi scuri, scurissimi, come vittime di una perenne tempesta che tuttavia, con gli anni, si era placata, rimanendo comunque a soffiare lì dentro, in quelle iridi a tratti inespressive, i capelli bianchi, con riflessi argentati, insoliti.

“Oh? Siete ancora qui?” chiese il nuovo venuto, entrando comodamente nella piccola isba siberiana, senza aspettare il loro invito. Nello stesso momento, una trottola di bassa statura si fiondò tra le braccia di Hyoga, con ancora gli occhi arrossati dal troppo pianto ma senza tuttavia più lacrime.

“J-Jacob, Sommo Elisey, cosa fate qui?” chiese Hyoga con tutto il rispetto possibile, mentre prendeva nuovamente in braccio il piccolo, che si nascose nell’incavo della sua spalla.

Isaac sbuffò, seguendo i movimenti di Elisey con gli occhi ridotti a due fessure. Suo fratello era troppo gentile e rispettoso con chiunque, anche con chi non lo meritava, e lì vi era proprio il capostipite di chi non era degno di tanta cordialità.

“Cosa vuoi, Elisey? Non sei il benvenuto, qui!” lo freddò all’istante, chiudendo la porta dietro.

“La domanda è: cosa fate ancora qui, voi?” riprese il quesito di Hyoga, ribaltandoglielo come avrebbe fatto Camus.

“La vecchiaia ti sta rincoglionendo?! Ci abitiamo qui, sei tu l’estraneo!” ribatté Isaac, sempre sul piede di guerra.

“Umphf, ragazzo, vedo che il tuo maestro non ti ha dato abbastanza bastonate per moderare il tuo irrispettoso linguaggio...”

Isaac saltò su, del tutto intenzionato a dare pan per focaccia anche a lui, ma quella volta Hyoga si mise in mezzo, placando a viva forza gli animi.

“Isaac, fallo parlare, per favore, se è giunto qui una ragione ci deve essere!”

Isaac acconsentì con un grugnito, sedendosi sgarbatamente sul divano e incrociando le gambe, come in attesa di spiegazioni. Non c’era dubbio: Hyoga era di gran lunga troppo gentile con chiunque e quell’essere, stante quello che aveva fatto passare al Maestro Camus non lo meritava, anche se il biondo non lo sapeva bene dei dettagli, non conoscendo tutta la storia.

Hyoga intanto diede qualche pacca sulla spalla di Jacob, che era lì, con le manine intorno al suo collo, come una scimmietta appesa al suo ramo preferito.

“Come sta… Avrora?” gli chiese gentilmente, dandogli un buffetto sulla guancia.

“M-male… - bofonchiò il piccolo, stringendosi ancora più a lui – Stiamo pregando affinché il Maestro Camus tornì presto, le è di nuovo salita la febbre e le strie… sono in espansione...”

“Andrà tutto bene, le date ciò che vi ha consigliato Camus? – provò a tranquillizzarlo il biondo, cullandoselo, con voce di miele, all’annuire del bambino continuò – Dobbiamo credere fermamente nel maestro, farà di tutto per aiutare gli abitanti di Kobotec e dei villaggi limitrofi, come sempre!”

Jacob annuì di nuovo, asciugandosi i residui delle lacrime e chiedendo a Hyoga, con un gesto deciso, di ricondurlo giù. Era finito il tempo delle lacrime.

“Ammirevole la fiducia che riponete in lui, ma… se permettete un consiglio, giovani pulli, io sarei tutto fuorché tranquillo...” asserì enigmatico Elisey, sorreggendosi al bastone mentre passava, con lo sguardo, da un allievo all’altro.

Inutile dire che Isaac saltò come una molla dal divano, le iridi vibrarono sinistramente, come avvertimento.

“Che intendi dire, vecchio?” esclamò, iracondo, perché il tono usato non gli era piaciuto affatto.

In verità Elisey non era proprio ciò che si poteva definire ‘vecchio’. Aveva già vissuto oltre metà della sua vita, era vero, ma malgrado i capelli bianchi, ben tenuti, con alcuni riflessi argentati, non aveva che una sessantina d’anni ed era ancora incredibilmente in forze.

“Intendo dire qualcosa di simile al fatto che Camus, là dove è andato, per ciò che si è prefissato di fare, è più o meno limpidamente spacciato!”

“C-COSA?!?”

Anche Hyoga aveva sussultato a quell’ultima frase, fremendo visibilmente, le mani strette a pugno, mai come Isaac, comunque, che sembrava una miccia appena accesa. Jacob si mise le mani davanti alla bocca, incredulo, quasi spaventato, mentre, come gli consentivano le sue condizioni d’infante, cercava di seguire il filo logico dei ‘grandi’.

“E’ così quando un Guaritore si improvvisa Evocatore...” aggiunse ancora Elisey, criptico producendo un sonoro sbuffo mentre con le cavillose dita, si grattava la barba ben ordinata.

“Sommo Elisey, vi prego di dirci dove si è recato il Maestro Camus!” trovò il coraggio di chiedere il biondo, accennando un passo nella sua direzione.

“Ohoho, non ve l’ha riferito?”

“NO! E sarebbe meglio per te parlare, vecchio, prima che...”

“Si è recato alla Kolyma...”

Isaac avrebbe voluto chiedergli che cappero significasse, perché quel nome strano, da finlandese, forse, lo aveva sentito un paio di volte da bambino, nei discorsi degli adulti che rabbrividivano al solo nominarla, ma nulla di più. Kolyma poteva essere tutto e niente allo stesso tempo, non era un’indicazione precisa, era come dire una parola a caso, tuttavia Hyoga al suono di quel nome si irrigidì visibilmente, tanto da spingerlo a guardarlo con occhi profondi. Gli fu subito chiaro che lui sapeva molto di più rispetto alle sue conoscenze.

“A-alla Kolyma, S-sommo Elisey, quel luogo maledetto?!” barbugliò, gli occhi spalancati in un urlo silente.

“Oh sì, alla Kolyma… - si compiacque Elisey, sorridendo sinistramente, andando verso la finestra per contemplare il sole basso sull’orizzonte – Quella regione putrida, lungo il corso del fiume da cui prende il nome, quel territorio che odora, fin nei suoi recessi, di decomposizione, alcool, fumo, immondizia… Nessuno si arrischia ad avventurarsi là senza un’adeguata preparazione, il confine tra i vivi e i morti è talmente labile, talmente irrisorio, che, coloro che ci vivono, non sanno quasi neanche più loro se stiano ancora respirando...”

Hyoga abbassò lo sguardo, mordendosi il labbro inferiore, mentre le occhiate di Isaac e del piccolo Jacob andavano da una parte all’altra in cerca di spiegazioni.

“Quel luogo… si dice sia disseminato di morti, sepolti anche solo due o tre metri sotto terra, non è raro trovarvi dei cadaveri marcescenti, buttati lì e coperti con un leggerissimo strato di terreno congelato...”

“Oh, sì… - Elisey sembrava euforico per qualche ragione sconosciuta e inquietantissima, tanto da disgustare ancora più Isaac, che lo stava fissando livido di rabbia – Per ciò che ha subito quella terra in quest’ultimo secolo, dalla caduta degli zar in poi, è anche fin poco… coloro che vivono quei luoghi sono reietti umani, moralmente e fisicamente, o delinquenti da strapazzo, giunti in quella zona per arricchirsi, stante le enormi quantità d’oro...” proseguì, del tutto carpito dal racconto.

“E’ un luogo potenzialmente pericoloso anche per lo stesso Camus… - biascicò Hyoga, quasi tremando – Ci sono orsi bianchi feroci, ladri, farabutti di ogni tipo, fuorilegge...”

“L’elenco che stai puntando, giovane Hyoga, è davvero il minore dei problemi per il vostro maestro, credimi...” disse ancora Elisey, in tono neutro.

“Qualcuno mi può spiegare? Non sono russo, non so di cosa stiate parlando!” tentò di attirare l’attenzione Isaac, teso come non mai e ancora più desideroso di intervenire, ma per farlo doveva entrare in possesso di informazioni che, per il momento, non aveva.

“E’ la Kolyma, Isaac… uno dei luoghi più inaccessibili del pianeta, per noi russi è tristemente famoso perché sede di alcuni dei Gulag più terribili, una delle pagine, se non LA pagina più brutta della nostra storia! E’… un luogo maledetto sopra ogni dire!”

“L-le… purghe staliniane?” cominciò a comprendere Isaac, rabbrividendo a sua volta.

Hyoga annuì, rialzando lo sguardo che si impresse in quello dell’amico, che lo guardava con apprensione crescente. Entrambi condividevano le stesse paure, gli stessi timori per il loro giovane maestro.

“Io lo conosco anche per un’altra ragione, l-le mie origini… sono lì!”

“C-cosa?”

“E’ così. Il nonno di mia madre conobbe sua moglie proprio lì, in uno di quei campi di lavoro, c’era… fame d’amore… ebbero così un figlio, il mio dedushka, che fu preso immediatamente e portato all’orfanotrofio, prima di essere dato in adozione. Diventato più grande, fece delle ricerche per rintracciare la sua famiglia di origine, ma… scoprì che erano morti alcuni anni dopo averlo messo al mondo. Decise comunque di stabilirsi in quella regione, si innamorò di un’altra figlia di quei campi di lavoro e dalla loro unione nacque mia madre, Natassia. L-le mie origini sono legate a quel luogo maledetto...”

“Non me lo avevi mai raccontato, Hyoga...” mormorò Isaac, posandogli una mano sulla spalla, con fare comprensivo.

“Mia madre non amava parlarne… è scappata da lì per rifuggire la maledizione che, si diceva, lambisse quel luogo, voleva per me… un’altra aria” spiegò ancora, prima di discostare lo sguardo altrove. Non avrebbe più parlato, troppo gli doleva ancora rinvangare il ricordo della persona a cui aveva voluto così tanto bene.

“E Camus si è recato lì da due giorni, facendo perdere le sue tracce...” entrò nel discorso Elisey, del tutto indifferente al racconto del giovane. Sembrava quasi che ci provasse gusto a rammentare ai due allievi che il loro maestro correva un pericolo mortale.

Isaac saltò per l’ennesima volta su, ancora più furibondo di prima, stringendo forte il pugno destro con cui avrebbe tanto voluto colpire la sua faccia. Più volte.

“E’ andato lì perché ce lo hai mandato tu, Elisey!”

“E’ andato lì perché è suo dovere di Sciamano proteggere le genti della tundra e della taiga russa, né più né meno! Il ragazzo ha scelto consapevolmente la sua strada, io gli ho solo indicato la via!”

“Ma tu hai appena parlato di un grosso pericolo, e del fatto che i poteri di Camus potrebbero non bastare!”

“Ho detto potrebbero?! Sono stato ottimista, mi correggo: non basteranno di certo!”

“MALEDETTO! Se gli dovesse succedere qualcosa, io...”

Isaac sembrava davvero intenzionato a fare a botte, pareva una mina vagante, tanto era la preoccupazione per il mentore, fu di nuovo Hyoga a fermarlo, più pacato e tranquillo anche se ugualmente in pena per il mentore.

“Elisey, ci serve sapere perché Camus è dovuto andare là, per quale ragione? Leya ha detto che la bonaccia è finita, e ha parlato di una certa endemia che sta decimando i bambini. Dalle sue parole, sembra che questo male colpisca più volte, questa non è la prima!”

“Le genti del popolo di Blue, sì, è corretto… anche se quella stirpe si è ormai estinta, i loro eredi si sono collocati in tutta la Siberia e soffrono, ogni svariati anni, di questa malattia che, come hai detto tu stesso, è endemica, nonché ciclica...”

“Camus è andato là… per trovare una cura?” chiese ancora Hyoga, pronto e sull’attenti come non mai, ma Elisey scosse la testa.

“Non solo. Camus è andato là anche per fermare, una volta per tutte, l’orrenda creatura che provoca tutto questo, dovrà sconfiggerla, con tutte le sue forze, solo così il male cesserà di procurare vittime, almeno per un paio di anni, perché, come vi ho accennato, è un supplizio ciclico e necessario...”

“Glielo avete riferito che questo male ritorna, ne è consapevole?”

“Mmhm, qualcosa dovrebbe sapere...”

“In che senso?” chiese ancora Hyoga, il cuore a mille.

“L’intervento di Camus, a rischio della sua stessa vita, dovrebbe bloccare l’endemia per un tempo imprecisato, ma l’anatema tornerà, DEVE tornare, per punire il popolo ribelle; il popolo che non rispettò il volere della creatura, il popolo che non rispettò il lascito di Zima Siyaniye...”

“Cioè… hai mandato Camus a immolarsi contro una bestia simile ben sapendo che, anche se il suo intervento dovesse avere successo, è comunque solo una soluzione temporanea e che questo male tornerà?!? Che cosa hai al posto della testa, le tartarughe?!? Le cicale?!? - gli urlò contro Isaac, fuori di sé dalla rabbia, tentando di afferrarlo malamente con le mani, inutilmente, perché quel vecchio da strapazzo era agile, malgrado gli anni sulle sue spalle – A tal punto vuoi ucciderlo?! Così tanto lo odi?!? Per… per tuo fratello? Lo fai per lui?!? RISPONDI, DANNATO!”

Per un fugace, breve, attimo, gli occhi inespressivi di Elisey divennero a loro volta gremiti di rabbia malcelata; rabbia che non riusciva a trovare sfogo al di fuori di lui, ma che rimaneva dentro, dove covava, come principio oscuro.

“Ma certo che no, idiota! Ciò che il tuo maestro ha fatto a Fyodor, portandolo alla morte, è acqua passata, ormai... - lo freddò istantaneamente, ricomponendosi - Camus si è voluto recare là di sua iniziativa, non sotto un mio ordine, per dare una speranza a quei bambini, ma… lui è solo un Guaritore, non basta di certo per fermare quell’orrida creatura, ci sarebbe voluto un Evocatore, ma Camus è un vigliacco, ha rifiutato quel ruolo e quindi farà ciò che riuscirà nella forma che si è imposto, quella di un mero dottorino che si diverte a maneggiare le erbe medicamentose!”

“E-ehi, pezzo di merda, stai parlando del mio maestro, ritira quello che hai detto!!!”

“Ma come siamo protettivi con Camus...”

“I-Isaac…!” provò a calmarlo Hyoga, frapponendosi di nuovo tra loro, un poco titubante. Tratteneva l’amico per le spalle, puntellando i piedi, anche se non era impresa facile perché sembrava un animale in una trappola. La collera di Isaac colpì così anche lui.

“Non senti come parla di Camus??? Come puoi startene lì, a non prendere posizione?! D’accordo, non conosci tutta la storia, ma sta parlando del nostro maestro come di una pezza da piede! Io non ti capisco, Hyoga!!!”

“I-io è proprio perché non conosco tutta la storia che n-non posso sbilanciarmi...” cercò di spiegare il biondo, tentennante.

Gli occhi di Isaac si ridussero a due minuscole fessure e, come troppo spesso accadeva in quell’ultimo periodo, si lasciò contagiare dalla rabbia che sempre naturalmente provava. Se lo scrollò via di dosso, sostando a lungo su di lui con lo sguardo, in modo molto simile al loro mentore.

“Ah, già… dimentico che a te frega solo di tua madre, di una morta! Camus ed io non siamo nulla per te, che sciocco che sono a pensare che tu possa cambiare!” gli soffiò contro, furioso.

“N-non è così, Isaac, v-voi siete la mia famiglia, ma...”

TONC! TONC!

Hyoga e Isaac si ritrovarono ben presto a massaggiarsi la testa dolorante, mentre Elisey posava nuovamente il bastone a terra, soddisfatto di averli percossi.

“Ok, ora basta, bimbi, non ho la pazienza del vostro mentore! Volete aiutare Camus sì o no?”

“Co-cosa?” chiesero entrambi i due allievi, sbattendo le palpebre e guardandolo con espressione stranita.

“Sono qui per questo!”

“Significa che… ci darai una mano?” chiese conferma Isaac, ancora incredulo. Elisey che voleva aiutare, quando se ne era sempre fregato, era una cosa che puzzava, ma non era il momento per farsi domande.

“Io posso indicarvi la zona in cui si trova Camus e condurvi là, il resto dovrete farlo voi, distruggendo Zima Siyaniye...”

“Zima Siyaniye?” volle un’ulteriore conferma Isaac, gli occhi attenti e il cuore a mille per l’impazienza.

“Sì, il mitico canide, maledetto, che provoca questa perenne endemia… se spazzerete via lui una volta per tutte, forse ci sarà una piccola speranza di rompere il ciclo!” disse, un’insolita luce negli occhi neri che brillarono sinistramente. A quella strana variazione di luminosità Isaac non ci diede peso, del tutto intenzionato ad aiutare il mentore, ma Hyoga, forse più attento, assottigliò le labbra.

“Spazzarlo via… è lui che si diverte a causare tutto questo e ad uccidere i figli di Siberia?” domandò ancora Isaac, quasi ringhiando.

“Oh sì, lo fa da oltre 250 anni, da quando lui, anche se si dice fosse una lei, ha causato la caduta di Bluegrad, la Leggendaria e, insieme, lanciando sul popolo della Siberia l’Anatema delle rovina”

“E’ stata… lei, quindi! Non so per quale ragione, ma un comportamento simile è imperdonabile! E’ un mostro che vive sulle disgrazie degli innocenti, lo estirperò dalla radice! - sibilò a denti stretti Isaac, furente, prima di proseguire – E Camus è andato da solo ad affrontarla, ma non sarà solo ancora per molto, lo aiuteremo noi, a tutti i costi!”

Hyoga era rimasto un po’ in disparte in tutto quel discorso, rimuginava sulle frasi di Elisey, percependone una certa discrepanza che lo impensieriva. Zima Siyaniye… così si chiamava il grosso canide che, sua madre glielo aveva raccontato da piccolo, con le sue corse nella steppa produceva il fenomeno dell’aurora boreale, e ora saltava fuori che era un essere malvagio, che aveva maledetto i figli di Siberia con quell’Anatema, e che, per quello, neonate come Avrora, prive di colpe, stavano patendo un dolore insopportabile, un po’ come il Peccato Originale del Cristianesimo...

Quella consapevolezza lo fece sentire oltremodo a disagio. No, non poteva essere, c’era qualcosa che non tornava, lo stesso Elisey sembrava volutamente ambiguo, ma… perché?

“Perché hai mandato proprio Camus, là?! Dici che serviva un Evocatore, perché quindi spedire lui?! Conosci il suo senso del dovere, sapevi che si sarebbe precipitato là, incurante dei rischi, e sai che darà il massimo, anche oltre, per fermarlo!” volle ancora sottolineare Isaac, non dandosi pace per la decisione di Elisey di mandare Camus a rischiare la vita.

“Lo sapevo, sì, conosco bene quel ragazzo...”

“Rischia la vita, Elisey!”

“Lo ben so!”

“E allora perché diavolo…?!”

“...Nondimeno, è l’unico che può fare qualcosa di concreto per queste genti, gli Sciamani Evocatori non esistono più, si sono estinti, le persone hanno smesso di credere agli spiriti superiori, affondando le proprie certezze nella Scienza, nello Sviluppo e nelle Industrie… il mondo sta cambiando troppo velocemente, la Natura non riesce più a seguire i ritmi umani, di questo passo avverrà un cataclisma...”

Spiegò Elisey, una nota malinconica nella voce e negli occhi, che tuttavia nascose subito. Hyoga, quella nota, la acciuffò con il suo sguardo, per Isaac invece, non abituato a cercare di comprendere chi non gli andasse a genio, avulso dal forte desiderio di raggiungere Camus, passò inosservata.

“Ad ogni modo stiamo continuando a perdere tempo, voglio sentirlo dalla vostre voci: volete aiutare il vostro mentore, o no?!”

“Certo!!!” risposero i due allievi all’unisono, più pronti che mai.

“Molto bene, spero per voi sarete determinati in battaglia così come lo siete con i vostri sguardi, vi servirà!”

Isaac e Hyoga annuirono di nuovo, risoluti, ma a loro si aggiunse una vocina, rimasta in silenzio fino a quel momento.

“V-vengo anche io...”

“Non se ne parla, Jacob, sei un fagiolo, ci saresti solo d’intralcio!” Isaac tranciò di netto ogni velleità del piccolo, fulminandolo con lo sguardo.

Jacob mise su il broncio, ma da buon Acquario come era anche lui, non si arrese, sostenendo fiero il suo sguardo.

“E’ la mia sorellina a stare male, e altri bambini, alcuni della mia età!!!” protestò, quasi saltando per farsi vedere più alto.

“E noi vi porteremo la cura, sconfiggendo quell’essere, ma tu non ti muovi di qui!”

“Io vi seguirò!”

“Non se ne parla neanche!”

“Ti comporti come il Maestro Camus!” si puntellò con i piedi Jacob, le guance gonfie.

“Non è vero, non mi sto comportando come...”

“E invece sì, vedi? Tale e quale a lui, stessa postura, non vuoi sentire ragioni...”

“Z-zitto, soldo di calcio, o...”

“...stesse parole utilizzate!” gli fece ancora linguaccia il piccolo, sorridendo sornione.

Isaac cercava le parole per ribattere, ma fu interrotto dalle risate di Hyoga, evento più unico che raro.

“Che ti ridi, tu?!?” esclamò, mezzo ridacchiando a sua volta, come se quella discussione avesse rinvigorito gli animi di tutti.

“Rido perché Jacob ha pienamente ragione, ti stai comportando come lui, vuoi impedirgli di venire perché lo consideri piccolo!”

Jacob mise le mani sui fianchi, sorridendo sornione come a dire: “visto? Mi da ragione!”

“Lui è piccolo, Hyoga… non è neanche in età scolare, e tu vuoi portarlo in una missione simile?! In un luogo che, da quanto mi avete detto, trasuda morte da tutti gli angoli?!”

“Hai ragione, è piccolo… - acconsentì il biondo, prendendolo in braccio – ma ci siamo noi a proteggerlo ed è un figlio di Siberia come me e te, anche se tu sei, per così dire, di adozione, comunque il significato non cambia. Questa è la nostra storia, in gioco ci sono le persone che amiamo e, per quelle, un essere umano farebbe di tutto!” disse saggiamente, con una intensità che Isaac non gli aveva mai visto, se non quando parlava della sua mama.

“E’ pericoloso laggiù, ci sono gli orsi polari che se lo divorano in un boccone...”

“Lo terrò in spalla, per tutto il tempo, non gli permetterò di scendere e staremo in guardia!”

“Camus non lo vorrebbe...” si oppose ancora Isaac, combattuto. Da una parte comprendeva il desiderio del piccolo, dall’altra aveva paura di mettere in pericolo le persone a lui più care. Non voleva in tutti i modi che si ripetesse un qualcosa di lontanamente simile all’ingiusta sorte di Lisakki.

“Camus non vorrebbe neanche che noi ci recassimo là, lo sai, vero? Una punizione non ce la toglierà nessuno, al nostro ritorno, ma… questo basta a fermarci?”

“No, certo che no… - sorrise Isaac, deponendo infine le armi, avvicinandosi poi al fratello e al piccolo, ancora tra le braccia del biondo, e permettendosi di accarezzargli la testolina – Allora ci penseremo noi a te, soldo di cacio, cerca di non esserci troppo d’intralcio!” lo punzecchiò, in tono comunque caldo.

“Farò del mio meglio, maestro!” esclamò vivace la piccola peste, alzando, in un gesto la mano destra, come a dire che aveva recepito. Isaac si ritrovò suo malgrado ad arrossire a quell’appellativo, mentre Hyoga riprese tiepidamente a ridacchiare, quasi disteso.

“Sei in tutto e per tutto il Maestro Camus, hai preso così tanto da lui! Posso chiamarti anche io così?!”

“S-stai, zitto, Hyoga!”

“Sì, maestro!

E scoppiarono tutti e tre a ridere, una boccata di ossigeno in mezzo a quell’ondata di distruzione che era causata da una creatura incattivita e mitica, probabilmente più forte di ogni altra cosa che avesse partorito la Siberia, forse incarnazione della Siberia medesima, come nelle leggende più antiche.

Anche Elisey sorrise tra sé e sé, mettendosi poi a picchiare per tre volte il bastone sul pavimento.

“Mi spiace interrompere il vostro siparietto, ma mi occorre farvi una domanda: come pensate di raggiungere la Kolyma? Come pensate di rintracciare il vostro maestro?”

“Con i piedi, con le slitte, con qualunque mezzo ci troveremo davanti, non lasceremo il Maestro Camus da solo, né ora né mai!” esclamò temerario Isaac, fiero del suo ruolo di leader che sia Hyoga che Jacob gli avevano riconosciuto. Era così galvanizzato che quasi le problematiche non lo scalfivano neppure.

“Ottimo piano, Signor Mentore, se non difettasse di un particolare: la Kolyma non è esattamente una cosuccia da niente, è grande quasi quanto la Francia intera e… selvaggia sopra ogni dire, neanche gli Husky possono resistere a lungo là, e non avete neanche un cane Laika, che vi possa difendere dagli orsi...”

“Agli orsi ci siamo abituati, l’importante è raggiungere quel luogo il più in fretta possibile e, per farlo, abbiamo te, Elisey, dico bene?” lo indicò Isaac, caparbio.

“Vedo che non ti piace proprio chiedere, Isaac, vai dritto al punto… - commentò Elisey, sbuffando, riaprendo gli occhi, segnati da alcune rughe per guardarli uno ad uno – Ad ogni modo sì, io conosco uno stratagemma che vi possa portare direttamente là, ma trovare… vivo… il vostro maestro, dipenderà dalla vostra bravura!”

A quella parola, pronunciata tra due lunghe pause, Isaac si rizzò, indignato.

“Certo che sarà vivo, Camus è l’uomo più puro e giusto che ci sia, non c’è nemmeno da dubitarlo!”

“Anche gli orsi polari di quel luogo sono piuttosto singolari rispetto a quelli a cui siete abituati qui, se continuerete a perdere tempo, ciò che dovrete reperire sarà solo qualche sparuto osso del fu amato Camus dell’Acquario. Qualunque essere umano, in quelle zone, è una renna priva di corna e piuttosto lenta, la preda preferita degli orsi, che se la spolpano in quattro e quattr’otto…. Se volete cercare il vostro maestro VIVO sarebbe meglio per voi andarvi a preparare e seguire parola per parola le mie indicazioni, chiaro?”

Isaac fremette ancora una volta, mentre Jacob si strinse spaventato a Hyoga, nascondendosi nell’incavo della sua spalla.

“Sai dove te lo puoi infilare il tuo umorismo nero, Elisey?! Prega piuttosto che Camus torni qui senza nemmeno un graffio, altrimenti vedi come ti concio io, altroché gli orsi che spolpano, di te non rimarrà proprio niente, neanche la polvere!”

“Andate a prepararvi, ragazzi irruenti!” tagliò corto lui, indicando le scale e uscendo poco dopo dalla porta, per rimanere a sostare poco fuori dalla piccola isba, che Camus aveva ereditato dal suo maestro Fyodor, l’amato fratello che Elisey aveva perso diversi anni prima. Dopo l’arrivo degli allievi, il Cavaliere Sciamano ne aveva fatto un nido intimo, un posto da chiamare casa, un rifugio.

Sorrise mestamente, tracciando con il palmo della mano una delle grosse travi in legno. Per un solo secondo gli occhi gli si inumidirono, prima di scacciare indietro i ricordi e dirigere il suo sguardo al sole morente. Il tempo per tentare il primo volo dei pulli era finalmente arrivato.

“Un guerriero che è nato per essere un Evocatore ma che rifiuta tutt’ora quel ruolo, i suoi allievi impazienti, che smaniano dalla voglia di essergli d’aiuto, non prestando sufficiente attenzione ai rischi e un piccolo figlio di Siberia che vuole salvare a tutti i costi la sua sorellina e gli altri bambini… ma che bel quadretto!” commentò ad un tratto, sollevando il capo in direzione del cielo plumbeo, mentre un vento freddo gli alzava i capelli con forza in uno strambo miscuglio di sensazioni. Pareva quasi una carezza, pegno dell’amore che lei aveva provato, ma anche una sberla, simbolo dell’odio che lei aveva comunque sentito come parte di sé, risultato della fiducia tradita che aveva donato agli esseri umani.

Eppure erano passati secoli dalla sua ultima apparizione fulgente, si era corrotta, sporcata, imputridita. Era stata dileggiata dalle genti che, un tempo, la veneravano, ed era ormai irriconoscibile, ma percettibile ancora per chi sapeva ascoltare, anche se la maggioranza degli uomini erano diventati sordi.

Il patto, il vincolo, era stato tradito, non poteva salvarla, non lui, che recava dentro di sé i germi del sangue dello spergiuro, non lui, ma forse… Camus, sì…

Elisey sbuffò ancora una volta, osservando per un attimo il suo bastone, che era decorato con delle piume bizzarre, di color celeste acceso, forse possedute, in passato, da un uccello altrettanto mitico. Due gliele aveva regalate a Camus prima della partenza, raccomandandosi di indossarle come orecchini, lo avrebbero protetto e, forse, lei lo avrebbe riconosciuto proprio grazie a quelle.

“Ti ho preparato proprio una bella scacchiera, eh? Ogni pedina ha una propria volontà, sarà impossibile predire cosa accadrà, quali scelte porteranno dove… - sospirò, battendo di nuovo il bastone sul permafrost, solido come non mai – Sarà davvero interessante assistere ai prossimi avvenimenti futuri, non lo pensi forse anche tu, Zima, vecchia amica mia?”

 

 

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Ed eccomi infine qua, come promesso, a pubblicare il primo dei capitoli speciali della Sonia’s side story che, come ho scritto nella Melodia della Neve, vede vistosi parallelismi con il cap. 8 della terza storia, dal titolo Nero Priest :)

Chiedo scusa per il ritardo nella pubblicazione, questa storia è ferma da più di 6 mesi, ma, come vi ho già detto, c’era bisogno di pubblicare prima altri capitoli di altre storie, e quindi l’ho messa nel Limbo fino ad ora.

Non starò ad elencarvi i parallelismi che ho messo, spero si notino da soli, ma devo ugualmente precisare alcune cose di dovere, spero di non annoiarvi troppo.

Dunque, partiamo dalle ispirazioni più corpose, che sono in effetti due: Final Fantasy X e un libro, che si vedrà meglio nel prossimo capitolo, intitolato “I Diari delle Kolyma” di Jacek Hugo-Bader (urrà, la Laurea in Storia finalmente mi serve a qualcosa! XD).

Di Final Fantasy X ho preso spunto per la faccenda del male ciclico, anche se qui è sotto forma di Endemia, e per la questione degli Evocatori, che nella mia storia sono Sciamani; nella parte iniziale vengono citati anche i “Guardiani” anche qui presi come spunto sempre dal gioco per Playstation, ma ci sarà tempo più in là per approfondire.

Del libro, invece, in questo primo capitolo il riferimento è giusto appena accennato (ho fatto convergere le origini di Hyoga nella Kolyma), si vedrà molto di più nel prossimo capitolo sia come modalità di scrittura (la prima parte del racconto DOVREBBE, se riesco, essere narrata in prima persona da Camus), sia dal punto di vista descrittivo, ma mi sembrava giusto citarlo già qui e già ora. :)

Veniamo alle altre questioni, che sono essenzialmente due: Elisey e Zima Siyaniye.

Chi è veramente Elisey? E’ già stato detto in altra sede, che è fratello di Fyodor, il maestro di Camus, ma… è buono o è cattivo? Quali intenti ha? Perché parla di distruggere Zima Siyaniye ma poi si rivolge a lei in quel tono cordiale, come ad una vecchia amica? Perché spinge Isaac e Hyoga a raggiungere il loro maestro? E, ancora, disprezza Camus, ma ha fiducia in lui… è davvero un tipo ambiguo!

E Zima Siyaniye? La lasciamo nel 1741, come titolo di una delle mie fic, come amica di Seraphina, un essere puro e immacolato e ora si scopre che causa una endemia ciclica… sarà vero? E’ davvero così? Ha fatto cadere Bluegrad, trasmettendo il male a tutti i figli della tundra e della steppa? Cosa aspetterà Camus alla Kolyma? Elisey ha detto anche a lui queste cose cattive su Zima? (ve lo anticipo, sì, ma… perché???).

Dovrei aver finito con le domande prive di rispose! XD Avrei molto da dirvi e raccontarvi, ma, per il resto, preferisco che leggiate voi e che arriviate ad una vostra conclusione, se volete discorrerne io sarò ben felice di rispondere alla recensioni! Alla prossima, sperando che anche questo capitolo vi possa piacere!

 

  
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