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Autore: LazySoul    09/07/2020    1 recensioni
Trama:
Diana ha 17 anni, è la secondogenita dell'Alpha ed è trattata da tutti come una bambina.
Nel tentativo di dimostrare di essere grande abbastanza per combattere e difendersi da sola, chiederà aiuto alla persona che più la confonde, suscitando in lei sentimenti contrastanti, Xavier O'Bryen.
Tra uno spasimante indesiderato, una migliore amica adorabilmente pazza e un assassino in circolazione, riuscirà Diana ad accettare i sentimenti che prova per Xavier?
Estratto:
«Sei giovane, ancora non hai imparato che spesso gli odori celano delle emozioni», spiegò, appoggiandosi al materasso con le mani e avvicinando il viso pericolosamente al mio: «E sai cosa mi sta urlando il tuo odore in questo preciso istante?», mi chiese, anche se era palese che non si aspettasse una risposta.
«Prendimi», sussurrò ad un soffio dalle mie labbra.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Riassunto del capitolo precedente: Diana e Xavier dopo aver dormito insieme, si svegliano e si punzecchiano un po'. I genitori di Diana le fatto un discorso imbarazzante sul sesso e lei fugge alla fermata dell'autobus in anticipo pur di non lasciarli parlare troppo. A scuola Isabel sembra molto triste, perché lei ancora non ha trovato qualcuno con cui stare bene ed essere se stessa. Una volta a casa Diana trova Xavier nel bosco e gli dice che si sarebbe occupata lei di convincere nonna a lasciarli combattere.

 

Buona lettura!

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo XIX: Lezione di combattimento

 

 

 

Le sue mani forti mi bloccarono i polsi, impedendomi di colpirlo.

 

La sua stretta era ferrea; non riuscivo a liberarmi, così decisi di colpirlo al petto con una testata, che lo fece indietreggiare per la sorpresa e allentare di quel tanto che bastava la presa intorno ai miei polsi, così da permettermi la fuga.

 

Indietreggiai di un paio di passi, osservandolo.

 

Quando provai nuovamente ad attaccarlo, riuscii a colpirlo con un pugno allo stomaco, ma l'istante successivo ero avvolta dalle sue braccia contro il suo petto. La sua stretta era talmente forte da farmi temere per l'incolumità della mia cassa toracica. 

 

Faticavo a respirare e i miei tentativi di liberarmi questa volta consistevano nel cercare di sfuggire dalla presa, muovendo le gambe, in modo da colpire le sue.

 

La sua stretta si fece ancora più ferrea e per qualche secondo vidi tutto nero.

 

Quando riemersi dall'oblio, pochi istanti dopo, lo sguardo preoccupato di Xavier era a pochi centimetri dal mio, il viso contratto in una smorfia colma di apprensione.

 

«Diana? Stai bene?», mi chiese, accarezzandomi il volto con una dolcezza tale da farmi sorridere.

 

«Mr. X», gli dissi, con la voce roca e bassa: «Sei più scaltro di quanto pensassi».

 

Mi sollevai a sedere, aiutata dalla sua mano bollente che mi sosteneva la schiena.

 

«Mr. X?», mi chiese, con un'espressione divertita.

 

«Ritieniti onorato», lo avvisai, puntandogli contro il petto l'indice: «Professor X è troppo lungo e poi non sei abbastanza meritevole da poter avere lo stesso nome del grande Charles Xavier».

 

La risata divertita di O'Bryen mi fece aggrottare le sopracciglia; odiavo profondamente essere presa in giro.

 

«Oh, Diana, non fai altro che sorprendermi», disse, sollevandosi in piedi.

 

La mia schiena, non più scaldata dalla sua pelle bollente, divenne ad un tratto fredda.

 

Mi alzai a mia volta, pronta a prenderlo a calci nel sedere per il modo poco velato in cui si stava prendendo gioco di me. Ci ero andata piano con lui fino a quel momento perché ero convinta che fosse ancora in convalescenza e non volevo infierire. Era chiaro che invece non si meritava affatto la mia apprensione.

 

Senza dargli tempo di rendersi conto di quello che stava succedendo, allungai una gamba e gli feci lo sgambetto, facendolo finire a terra, ai miei piedi.

 

Con uno scatto gli fui addosso, bloccandogli le bracci a terra con le mie mani. Quella posizione mi ricordava la prima volta che ci eravamo incontrati; quel pensiero fece tingere di rosso le mie guance.

 

«Non prendermi in giro», dissi, con la fronte aggrottata e la voce colma di stizza.

 

La sua espressione divertita era ancora lì, solo che un altro sentimento sembrava aver preso il sopravvento: lo stupore.

 

«Non ti stavo prendendo in giro», disse, ribaltando le nostre posizioni e prendendomi il viso tra le mani: «Sono piacevolmente sorpreso che tu sia una fan degli X-Men, tutto qua».

 

Sollevai un sopracciglio, indecisa se credergli o meno.

 

«E mi ritengo molto più che onorato, Didi», mormorò, il volto pericolosamente vicino al mio.

 

«Non storpiare il mio nome», dissi, riuscendo a scansarmelo di dosso, per poi tentare nuovamente di bloccarlo a terra col mio peso.

 

«Non ti piace, Didi? Tutti ti chiamano D, ho pensato di poter...», lo zittii colpendogli il ventre con un pugno, che lo fece rimanere senza fiato per un paio di secondi,

 

«Taci», gli dissi, mentre mi preparavo a colpirlo ancora.

 

Le sue mani mi avvolsero i fianchi e mi spinsero di lato, facendomi rotolare tra l'erba. Quando tornai in piedi, lui non perse tempo e mi imprigionò il braccio destro dietro alla schiena, girandolo in modo da farmi male, quel tanto che bastava per impedirmi di pensare a qualsiasi altra cosa.

 

«Mai lasciarsi guidare dalla rabbia o dal nervosismo, Didi», disse Xavier al mio orecchio, continuando a tenere il mio braccio in quella dolorosa angolazione; gli sarebbe bastato davvero poco per spezzarmelo.

 

«Mr. X, mi fai male», sibilai tra i denti, mentre con il braccio libero cercavo di colpirlo in qualche modo. Riuscii ad immergere la mia mano tra i suoi capelli e non ci pensai due volte prima di tirare forte, nel tentativo di ricambiare il dolore con altro dolore.

 

All'improvviso mi liberò e io a mia volta lasciai la presa.

 

Mi voltai per fronteggiarlo, mentre mi massaggiavo il braccio, che formicolava per la scomoda posizione in cui era stato costretto.

 

«Coraggio, Didi, fatti sotto», mi incitò, sorridendomi in quel suo modo arrogante che mi faceva venir voglia di tirargli uno schiaffo.

 

Sapevo che stava continuando a chiamarmi con quel soprannome, perché voleva innervosirmi e sapevo che,per non dargliela vinta, avrei dovuto semplicemente far finta di niente, ma non ne ero in grado. Il suo comportamento era semplicemente troppo snervante, meritava una bella punizione.

 

Con un urlo di battaglia che assomigliò molto ad un ringhio di rabbia, abbattei la mia spalla contro il suo torace, nel tentativo di fargli perdere l'equilibrio e farlo cadere a terra. Le sue mani si avvolsero intorno ai miei fianchi e l'istante dopo volavo.

 

Atterrai scompostamente a un paio di metri di distanza, col fiato corto e un forte dolore al polso destro; non era rotto, ma di sicuro stava meglio prima. Ignorando il male, mi rialzai e lo cercai alle mie spalle. Appena i nostri occhi s'incontrarono notai la sua espressione preoccupata.

 

Afferrai da terra un sasso e glielo lanciai contro, creando il diversivo perfetto che mi permise di saltargli addosso e avviluppare le mie gambe intorno al suo collo, facendogli perdere l'equilibrio.

 

Una volta atterrato, strinsi ulteriormente la presa delle mie gambe, nel tentativo di strozzarlo e soffocarlo insieme, mentre con le mani cercavo di tenere ferme le sue braccia.

 

Riuscii nel mio intento per solo pochi secondi, prima che le sue mani forti e determinate mi afferrassero le cosce e me le allargassero, liberandolo dalla mia stretta.

 

Aveva in volto uno sguardo che mi disorientò, tanto che non riuscii ad oppormi quando mi scansò, facendomi rotolare accanto a lui.

 

Avevo il fiato corto e il cuore che mi batteva ad un ritmo irregolare.

 

Voltai il capo verso sinistra, incontrando gli occhi verdi di Xavier: «Sei pazza», disse semplicemente, gli occhi che gli brillavano, come se mi avesse appena fatto il complimento del secolo.

 

Aggrottai le sopracciglia gli colpii il fianco con una gomitata, facendolo gemere di dolore.

 

«La prossima volta combattiamo nudi, voglio vedere se hai il coraggio di saltarmi addosso come hai fatto poco fa».

 

Un imbarazzante rossore si diffuse sulle mie gote. 

 

"Non l'ha detto davvero", pensai, portandomi le mani al viso, anche se dovevo ammettere che non aveva tutti i torti; ero stata io, in fondo, a tentare di soffocarlo con le mie cosce e non il contrario.

 

«A cosa stai pensando?», chiese Xavier, riportandomi alla realtà e facendomi arrossire ancora di più.

 

«Niente», borbottai troppo in fretta.

 

Un sorriso compiaciuto comparve sulle sue labbra, mentre si appoggiava ad un gomito e si sporgeva su di me: «Quando arrossisci, Didi, sei particolarmente carina».

 

Diventai ancora più rossa: «Smettila».

 

«Altrimenti che fai? Provi a soffocarmi tra le tue cosce? Sarebbe una morte dolce e...»

 

Stanca delle sue provocazioni, provai ad attaccarlo di nuovo, ma lui fu più veloce e riuscì ad evitare il mio pugno, bloccandomi il polso destro.

 

La sua mano sinistra circondò la mia guancia, accarezzandola con dolcezza.

 

Prima che mi potessi rendere conto di ciò che stava facendo, troppo intenta a tentare di liberarmi - di nuovo - dalla sua presa, sentii le sue labbra scorrere contro la pelle della mia guancia, fino ad arrivare alla mia bocca.

 

«Posso baciarti?», sussurrò, mescolando i nostri respiri.

 

Il desiderio che traspariva dai suoi gesti, dal suo sguardo e dalla sua voce, mi fece sciogliere interamente.

 

Annullai le distanze, scontrando con forse troppa foga le mie labbra contro le sue, sentendo la stretta intorno al mio polso destro allentarsi fino a scomparire ed entrambe le sue mani circondarmi il volto. 

 

La sua bocca bruciava, così come la pelle dei suoi palmi sulle mie guance.

 

Le sue labbra, esperte, presero il sopravvento, guidandomi nella danza che le nostre bocche, unite, stavano eseguendo. Riuscii a stargli dietro solo per pochi secondi, prima di ribellarmi allo schema prefissato del ballo, mordendogli il labbro inferiore, per poi succhiarlo. Lo sentii gemere e reagire, spingendo la sua lingua dentro alla mia bocca, in modo da torturarmi lentamente con la sua maestria.

 

Per quanto quel bacio non perfetto, ma non per questo meno piacevole, mi stesse facendo perdere la testa, la parte di me terrorizzata dalle forti emozioni che stavo provando mi spinse ad allontanarlo, appena, così da permettermi di guardarlo negli occhi.

 

Avevo il fiato corto e anche Xavier sembrava faticare a respirare. La mano che avevo appoggiato al suo petto per allontanarlo si spostò sul suo viso, accarezzando le sue labbra ancora socchiuse e umide per il nostro bacio.

 

«Se Didi non ti piace, come posso chiamarti?», mi chiese in un sussurro, giocando con una ciocca dei miei capelli.

 

«Diana?», borbottai, imbronciandomi.

 

Era da circa un'ora che ci trovavamo nel bosco, in quella piccola radura in cui avevo dormito con Sab la notte in cui Xavier era tornato ferito gravemente. Mi sembrava incredibile che fosse passata quasi una settimana da quell'avvenimento.

 

Non era stato facile convincere nonna a lasciarci fare la nostra prima sessione di combattimento; avevo dovuto tormentarla per tre giorni, più di quanto mi sarei mai aspettata, ma alla fine avevo raggiunto il mio scopo.

 

«Il tuo è un bellissimo nome, ma se tu puoi chiamarmi Mr. X, non vedo perché io non possa chiamarti Didi», ribatté Xavier, percorrendo con una mano la mia schiena, lasciando dietro di sé brividi di desiderio.

 

Erano tre giorni che cercavamo ogni scusa per passare più tempo possibile insieme. Mercoledì pomeriggio avevamo anche guardato "Winnie The Pooh" con Edith, accoccolati sul divano, pur di non separarci.

 

Ogni giorno a scuola, non facevo altro che pensare a lui, per poi tornare a casa e cercarlo come farebbe una cocainomane in astinenza. 

 

Quando giovedì Xavier aveva ripreso a lavorare, avevamo iniziato una nuova tradizione e andavamo e tornavamo da scuola insieme, prendendo la sua moto. Lui continuava a guidare come un pazzo e io a lamentarmi per ogni curva presa con troppa velocità, ma non avrei cambiato per nulla al mondo quei momenti insieme.

 

Dopo il nostro pigiama party in camera sua, lunedì notte, avevamo deciso entrambi di non ripetere l'esperienza. Lui, scherzando, diceva che non voleva rischiare di beccarsi altri calci o di essere svegliato ogni pochi secondi dal mio russare o dal mio parlare nel sonno. Io, invece, volevo evitare di dare ulteriori motivi ai miei genitori per farmi di prima mattina discorsi imbarazzanti.

 

Il piano aveva funzionato fino a un certo punto, dato che continuavo comunque a passare molto tempo con lui e agli occhi dei miei genitori quel mio improvviso avvicinamento a un ragazzo, di qualche anno più grande, faceva venire voglia di chiacchierare di argomenti che prima non avevano mai sfiorato.

 

Quella mattina, mamma mi aveva anche chiesto, se volessi che mi prenotasse una visita ginecologica da Cora, la mamma di Ann, che avendo studiato per anni medicina, era considerata un'esperta per quanto riguardava metodi di guarigione moderni. Cora e nonna Diana erano le uniche "dottoresse" del branco, anche se appartenenti a due approcci completamente differenti. 

 

Nonna prediligeva infatti una medicina tradizionale e antica, che curava le ferite non con medicinali prodotti in laboratorio, ma con elementi derivati dalla terra e dalla natura.

 

Cora invece preferiva un approccio più moderno e basato su studi umani, che cercava di applicare anche alla nostra specie.

 

Quando avevo rifiutato l'offerta di mamma, papà era intervenuto dicendo che, se anche non avessi voluto provare a prendere la pillola, essendo ancora una bambina, dovevo fare attenzione e trovare metodi alternativi per non rimanere per sbaglio incinta.

 

Kyle aveva riso per tutto il tempo sotto i baffi.

 

Trovavo quelle conversazioni molto imbarazzanti, ma ero abbastanza matura da rendermi conto che i miei genitori mi parlavano di certi argomenti solo per il mio bene, quindi le accettavo senza lamentarmi troppo.

 

Avevo iniziato a temere, da un momento all'altro, di trovarmi un pacchetto di preservativi sul letto e mamma pronta a spiegarmi come usarli.

 

«A cosa stai pensando?», chiese Xavier, premendomi lievemente un bacio sul naso.

 

«Niente di che», risposi, cercando di scacciare quei pensieri imbarazzanti, pronta a sostituirli con qualcosa di più allegro.

 

«Non ti ho ancora chiesto com'è andata la scuola oggi», disse, incitandomi con lo sguardo a parlargli.

 

Sospirai e mi sdraiai comodamente tra l'erba, lasciando che il mio sguardo si perdesse nel grigio-azzurro del cielo sopra di noi: «Sab continua ad essere triste e Frida è molto contenta per il voto che abbiamo preso per la ricerca di spagnolo. Oh, e Francine continua a guardarmi male e a ignorarmi».

 

Era da martedì ormai che Isabel mi preoccupava.

 

Dopo lo sfogo che aveva avuto con me sull'autobus, non aveva più voluto parlare dell'argomento, cercando di farmi credere di stare meglio.

 

Sfortunatamente per lei ci conoscevamo da anni e mi era impossibile credere a quelle che erano, palesemente, bugie.

 

Avevo notato che, per quanto sorridesse negli ultimi giorni, era raro vedere quella stessa gioia nei suoi occhi. Spesso, inoltre, quando pensava di non essere notata, si chiudeva in se stessa, isolandosi in pensieri che non mi era dato conoscere.

 

Mai, come quella settimana, percepivo l'imposizione di non poter andare a trovare Sab come una vera a propria tortura.

 

Avevo pensato di ignorare la punizione che mi era stata data e di fuggire di notte per raggiungere Isabel e parlare con lei da sole, senza distrazioni di ogni sorta intorno a noi.

 

Avevo desistito quando mi ero resa conto che, se i miei genitori mi avessero beccata, avrei rischiato un'altra settimana di punizione e non ci tenevo a prolungare di così tanto quella tortura.

 

Da quando, il giorno prima, avevo fatto notare a Sab che sembrava molto distante e pensierosa, la mia migliore amica aveva deciso di impostare una recita a dir poco magistrale per dimostrare a tutti di stare bene.

 

Quel venerdì infatti mi era parsa, anche se ero consapevole che fosse solo una facciata, la Isabel di sempre; aveva chiacchierato di ogni cosa, spettegolato su Carol — "l'amica" cheerleader di Francine — e mi aveva chiesto nel dettaglio quale vestito avessi intenzione di indossare per il Plenilunio di sabato sera, ricordandomi che avevo promesso di uscire dalla mia zona di comfort per provare qualcosa di diverso dal solito. Non contenta aveva chiesto a Frida come stesse la ragazza con cui aveva ballato alla festa di Ling, e aveva chiesto a Jules se ci fosse qualche ragazza o ragazzo che gli piacesse della scuola.

 

Sab era stata, per quasi tutte le ore di scuola, l'uragano a cui ero abituata, e per qualche minuto mi ero illusa che forse, stesse effettivamente meglio.

 

Durante l'ultima ora, quella di educazione fisica, avevamo giocato a pallavolo e, mi ero impegnata molto per evitare che la presenza di Xavier monopolizzasse tutti i miei pensieri, studiando con attenzione le espressioni della mia migliore amica e le occhiatacce che lanciava a Francine ogni volta che la loro squadra segnava un punto.

 

Mi era sembrato tutto nella norma, inizialmente, fino a quando non avevo notato nello sguardo di Sab una tristezza che avevo imparato a conoscere bene negli ultimi giorni, una tristezza che fece subito suonare una campanello d'allarme nella mia testa.

 

Era in momenti come quelli che avrei voluto avere il superpotere di leggere nel pensiero delle persone.

 

Cosa continuava a tormentare la mia migliore amica?

 

Mi sembrava assurdo pensare che tutto quel dolore fosse stato generato dal semplice fatto che Sab non avesse ancora incontrato qualcuno, che le facesse provare le stesse cose che sentivo io, quando mi trovavo con Xavier.

 

Per questo avevo iniziato a sospettare che ci dovesse essere qualcos'altro che non mi voleva dire.

 

Osservandola, mentre giocavamo a pallavolo, avevo pensato in un primo momento che centrasse Francine e mi chiesi se Sab non fosse triste, perché anche lei avrebbe voluto riallacciare i rapporti con la nostra ex amica.

 

Poi mi ero resa conto che non poteva essere quello, altrimenti Isabel non si sarebbe fatta problemi a parlarmene apertamente. 

 

«Hai mai desiderato leggere nella mente di qualcuno?», chiesi a Xavier, voltando il volto, in modo da incontrare i suoi occhi verdi.

 

«Sì, in questo preciso momento vorrei leggere la tua», rispose, coricandosi sul fianco e allungando un braccio, in modo da cingermi la vita.

 

«Non ci troveresti niente di interessante, temo; continuo a pensare a Sab».

 

Xavier annuì: «È normale che tu sia preoccupata per la tua amica», mi disse, con tono comprensivo.

 

«Non mi ha mai tenuto nascosto niente, non la capisco», mi confidai, girandomi a mia volta sul fianco, così da fronteggiarlo: «Ho paura di perdere anche lei».

 

Xavier cancellò le distanze tra di noi, stringendomi in un caldo abbraccio rassicurante: «Perché dovresti perderla?»

 

«Perché non mi racconta la verità, si chiude in se stessa e finge di stare bene, quando non è così. Anche Francine faceva allo stesso modo quando ci siamo allontanate, sembrava non avere mai nulla da dirmi, quasi ce l'avesse con me per qualcosa, e col passare dei giorni e delle settimane abbiamo finito coll'allontanarci così tanto da non ricordarci più perché eravamo amiche in primo luogo. Non penso potrei sopportare di perdere anche Sab allo stesso modo».

 

«A me non è sembrato che ce l'avesse con te», disse Xavier, giocando con una ciocca dei miei capelli corti: «Oggi a lezione sembrava più avercela con se stessa».

 

Sospirai, inspirando a fondo l'odore umido della terra, il profumo di Xavier e quello della pioggia in avvicinamento.

 

«Penso che dovremmo avviarci verso casa, a meno che tu non voglia prenderti un raffreddore», dissi, scostandomi dal suo abbraccio, abbastanza da scrutare i nuvoloni scuri che si erano ammassati fino a nascondere completamente l'azzurro limpido del cielo.

 

«Sono d'accordo, non voglio che tua nonna abbia ulteriori motivi per tenermi chiuso in casa», borbottò Xavier.

 

Sorrisi, sollevandomi in piedi: «Soprattutto non il giorno prima del Plenilunio, rischieresti di perderti una festa coi fiocchi!»

 

«Esatto, rischierei di perdermi una bellissima serata con la mia ragazza».

 

Mi bloccai lungo il sentiero che portava verso casa, sollevando lo sguardo sul volto di Xavier per osservare la sua espressione serena.

 

«La tua ragazza?», ripetei, saggiando quelle parole e il significato in esse contenuto.

 

Non ero mai stata la ragazza di nessuno e temevo che fosse un po' troppo presto per etichettare quello che eravamo l'uno per l'altra, ma non potevo impedirmi di sentirmi elettrizzata, all'idea di essere una persona tanto importante per Xavier, il ragazzo che era riuscito ad abbattere tutte le mie difese.

 

Intrecciò le nostre dita, sorridendomi: «Sarei onorato di essere il tuo ragazzo, Diana. E sarei ancora più onorato se tu volessi essere a tua volta la mia ragazza».

 

«Sei un po' esagerato, ma ho afferrato il concetto», dissi, sorridendo a mia volta.

 

«Allora?», chiese, piegandosi leggermente, in modo da portare i nostri occhi alla stessa altezza e le nostre labbra pericolosamente vicine: «Vuoi essere la mia ragazza, Diana?»

 

Mi sporsi, cancellando le distanze, ammaliata dal suo odore e dalla dolcezza nella sua voce.

 

Ci baciammo per qualche secondo, persi l'uno nell'altra e interrompemmo il bacio solo quando cominciammo a sentire le prima gocce di pioggia colpirci il viso.

 

«Era un sì?», chiese Xavier, accarezzandomi le guance, così da creare disegni d'acqua piovana sulla mia pelle.

 

«Ci devo pensare, ma avrai una risposta al più presto», dissi, prima di avviarmi con passo deciso verso casa mia, seguita dai suoi passi alle mie spalle.

 

«Sei crudele», commentò, sbuffando, facendomi sollevare gli occhi al cielo.

 

«Se fossi crudele ti avrei detto di no, senza pensarci nemmeno», gli feci notare, accelerando il passo, quando sentii la pioggia aumentare d'intensità.

 

Rimanemmo in silenzio per qualche secondo, mentre percorrevamo il sentiero.

 

«Posso sapere cosa indosserai domani sera?», mi chiese dopo un po', facendomi arrossire.

 

«Perché me lo chiedi?»

 

«Curiosità, mi chiedevo se la figlia dell'Alfa dovesse indossare o meno qualcosa di specifico», spiegò con tono casuale: «Inoltre non sono sicuro di cosa io, dovrei indossare».

 

«Dovresti parlarne con mio padre o mia madre, non con me», gli feci notare, con un sorriso divertito sulle labbra: «Non so se te ne sei accorto, ma non sono il tipo di ragazza che si interessa di moda e tendenze».

 

«Avevo avuto questo sentore», mi disse, ridendo di gusto alle mie spalle.

 

Calò nuovamente il silenzio, ma non era teso o imbarazzante, era quel tipo di silenzio che permetteva di godere della compagnia di un'altra persona senza sentire l'impellente necessità di spezzarlo con una battuta, delle frasi o una qualsiasi parola.

 

Quando il sentiero si allargò, Xavier mi affiancò, allungando la mano per afferrare le mia e intrecciare le nostre dita.

 

«Non hai risposta alla mia domanda», mi fece notare, urtandomi lievemente con la spalla, così da farmi perdere per un secondo l'equilibrio.

 

«Lo so».

 

Xavier sorrise, mostrando le sue irresistibili fossette: «Quindi non vuoi dirmi cosa metterai domani sera?»

 

«Esatto».

 

«Secondo me non me lo vuoi dire perché ancora non sai cosa mettere», mi disse, sorridendo furbescamente.

 

Cercai di non lasciare trapelare dalla mia espressione alcun tipo di emozione e scossi la testa: «Sbagliato», mentii, guardando dritto di fronte a me.

 

«Sei adorabile quando cerchi di dirmi delle bugie».

 

«Io non sto mentendo», ribattei, fulminandolo con un'occhiataccia.

 

«Non c'è bisogno di essere sulla difensiva, Didi, volevo solo sapere il colore della maglietta o maglione che pensavi di mettere, magari riusciamo ad essere coordinati».

 

«Perché dai per scontato che indosserò una maglietta?»

 

«Perché per tua stessa ammissione so che non ti piace "agghindarti" per le feste e che non ti consideri un'esperta "di moda e tendenze"», disse.

 

«Oh, giusto», borbottai, abbassando lo sguardo, incerta se anticipargli o meno, che per la festa di sabato sera le cose sarebbero andate diversamente.

 

Ricordavo chiaramente di aver promesso a Sab che avrei indossato un vestito per il Plenilunio, l'unico problema era che il mio armadio non conteneva alcun abito particolarmente femminile e per colpa della punizione non potevo nemmeno andare in centro a comprarmi qualcosa di nuovo.

 

Molto probabilmente avrei dovuto chiedere a mamma se aveva qualcosa da prestarmi.

 

«Facciamo a gara a chi arriva prima a casa?»

 

Le parole di Xavier mi animarono e decisi di mettere da parte la questione vestito, annuendo con entusiasmo alla sua proposta.

 

L'istante dopo avevamo entrambi iniziato a correre lungo il sentiero.

 

Fu lui ad arrivare per primo, vincendo per un soffio, ma non mi rattristai molto, certa che avrei avuto modo di chiedergli la rivincita nei giorni successivi.

 

 

 

 

***

 

Buongiorno popolo di EFP!

 

Finalmente Diana e Xavier hanno fatto la loro prima sessione di lotta, anche se sono molti i pensieri che frullano nella testa della nostra protagonista!

 

Secondo voi cos'è che affligge tanto Sab? Solo il fatto di essere sola o, come pensa Diana, c'è qualcos'altro?

 

Spero che abbiate tempo e voglia di farmi sapere cosa ne pensate!

 

La prossima settimana, come vi avevo già anticipato, non ci sarà un aggiornamento, dato che sarò in vacanza, ma per quella dopo ancora dovrei tornare.

 

Per chi fosse interessato mi può trovare su Instagram, il nome dell'account è lazysoul_efp.

 

Un bacio,

 

LazySoul

  
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