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Autore: Miharu_phos    14/07/2020    0 recensioni
[Kyouten]
Kyoto, Giappone, epoca Bakumatsu.
Kyousuke è il componente della famiglia Tsurugi incaricato di garantire la discendenza della loro casata, deve sposarsi e mettere al mondo degli eredi.
Quando però incontrerà Tenma, un senzatetto debole e ferito, dimenticherà presto tutti i propri doveri, mettendo al primo posto la salvezza della persona che ama: si sposerà, ma la sua sposa sarà un ragazzo.
Genere: Angst, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Yaoi | Personaggi: Matsukaze Tenma, Okita Souji, Tsurugi Kyousuke, Tsurugi Yuuichi
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Era una bella giornata quella in cui per la prima volta incontrai Tenma, il ragazzo più dolce e bello della terra, l'amore della mia vita.

 

Io sbuffavo annoiato mentre la mia tata non faceva che blaterare su quanto la mia dieta fosse sbilanciata, camminando di fianco a me con il suo grazioso cestino colmo di verdura e frutta fresca appeso al braccio.

 

Un ragazzo di buona famiglia come me non dovrebbe andare a spasso per il mercato cittadino, per di più insieme alla propria domestica; eppure fin da piccolo io amavo passare del tempo con lei, che mi donava amore più di quanto potesse darmene la mia famiglia.

 

Ero spensierato, punzecchiavo Midori di continuo facendola arrabbiare per dispetto e lei era così presa dai nostri battibecchi che quando quell'urlo furioso attirò la nostra attenzione, fu totalmente inaspettato.

 

Tenma era lì, scaraventato per terra a pochi metri dai nostri piedi. Aveva appena rubato del pane, un semplice e minuscolo panino per potersi sfamare, ma il fornaio non era stato affatto clemente con lui e lo aveva cacciato fuori dalla panetteria a suon di palate sulla schiena.

 

Ero stato cresciuto come un gentiluomo, non potevo restare impassibile di fronte ad una scena simile: fin da bambino ai ragazzi ricchi come me viene insegnato a rispettare tutte le diverse caste che compongono la società, anche quelle inferiori alla propria.

 

Quel ragazzino, Tenma, si poteva dire che allora fosse davvero ai piedi della scala sociale; era scalzo, sporco e ricoperto di graffi e piccole ferite.

 

Il mio animo nobile mi aveva spinto subito a prestargli soccorso, proteggendolo con il mio stesso corpo dall'uomo che continuava ad inveire contro di lui.

 

-Non vedete che non si regge in piedi?! Lasciatelo stare!- avevo gridato.

 

Io non gridavo mai, ero un ragazzo educato e rispettabile, solo i criminali e i pezzenti gridano, la mia tata me lo diceva sempre.

 

Eppure in quel momento sentii un forte istinto dentro di me che mi obbligava a proteggere quel poveretto con tutte le mie forze.

 

Lui si allontanò da me quasi strisciando, aveva paura e mi guardava come se temesse che da un momento all'altro avrei potuto fargli del male.

 

Mi allontanai subito, volevo lasciarlo libero di muoversi ma era evidente che non fosse capace di farlo, era allo stremo delle forze.

 

-Vieni piccolino dammi la mano, ti aiuto- gli avevo detto gentilmente.

 

Midori mi aveva attirato a sé spaventata, sperando che lo lasciassi andare.

 

-Venite via signorino ci guardano tutti- aveva detto lei preoccupata.

 

Io allora l'avevo tranquillizzata con lo sguardo, concedendole un breve sorriso.

 

-Dammi una delle tue mele Midori- le avevo detto gentilmente e lei mi aveva guardato per pochi secondi in preda alla confusione, poi aveva preso una mela dal suo cesto e me l'aveva offerta.

 

-Tieni, hai fame?- avevo domandato poi, regalando il frutto al ragazzino. Lui l'aveva guardato affamato ma non aveva avuto il coraggio di prenderla, così gliel'avevo adagiata con estrema delicatezza in una mano.

 

Lui l'aveva allontanata spaventato, poi si era rilassato un po'. Aveva stretto la mela con entrambe le mani e ci aveva premuto le labbra tremanti sopra, era impaziente di poterla mangiare ma si vergognava.

 

-Adesso lasciatelo stare, potrebbe avere qualche malattia, potrebbe graffiarvi con quelle unghie sporche signorino!- aveva insistito la tata.

 

Il ragazzino continuava a restare a capo chino, così io mi sfilai la mantella e gliela adagiai sulle spalle, poi cercando di non fargli troppo male provai a tirarlo su.

 

Tenma si mise in piedi a fatica, era pelle e ossa e la sua pelle era ricoperta da lividi ed escoriazioni; di certo pagava il poco cibo che riusciva a racimolare con il proprio corpo, ovvero ricevendo continue percosse come quelle appena prese.

 

-Signorino Kyousuke non lo tocchi!- 

 

-Sta tranquilla, lo accompagno in un posto sicuro- avevo spiegato.

 

Mantenevo le minuscole spalle del ragazzino, a giudicare dalla sua statura e dalla sua magrezza gli avevo dato dodici anni inizialmente, nonostante ne avesse già diciassette; era talmente denutrito da aver compromesso la sua crescita, e pur essendo ormai quasi adulto aveva ancora le fattezze di un ragazzino.

 

Sentivo le ossa sporgergli attraverso gli stracci che teneva indosso e mi piangeva il cuore. Volevo aiutarlo, volevo curarlo e tenerlo al sicuro, ma non sapevo cosa poter fare per lui più di offrirgli un po' di cibo e qualcosa che potesse tenerlo in caldo.

 

Lui non fiatava, stringeva la mela lucida fra le piccole mani e moriva dalla voglia di addentarla. Dovevo lasciarlo solo oppure non avrebbe mangiato nulla.

 

-Ecco, qui dovresti stare al sicuro. Non cacciarti più nei guai per favore, va bene?- gli avevo domandato, facendolo sedere su di una panchina accanto al ponte.

 

-Midori dammi tutto il cestino- avevo ordinato poi alla tata e lei me lo aveva concesso sospirando.

 

-Ecco qui, mangia pure quanto puoi. Domani ti porterò qualcosa di più nutriente, va bene?- gli avevo domandato cercando di usare il tono di voce più dolce che io potessi produrre, ma lui era così spaventato, ancora non parlava e non mi guardava neanche, non alzava il mento da quella mela che continuava a premere sulla bocca.

 

Gli lasciai una carezza fra i capelli castani. Erano scompigliati e sporchi, ruvidi, cresciuti come quelli di un leone selvatico.

 

Lui si scostò, terrorizzato dal mio tocco. 

 

Non lo faceva con cattiveria, aveva davvero molta paura di chiunque gli si avvicinasse; ne dedussi che dovevano avergli fatto davvero molto male.

 

-Domani aspettami qui, d'accordo? Ti porterò di nuovo da mangiare- gli avevo detto, questa volta però distanziandomi da lui. Non volevo più spaventarlo, volevo che si fidasse almeno di me anche se a quei tempi ancora non capivo quanto questo fosse impossibile.

 

Penso di non averlo mai capito fino alla fine in realtà.

 

Lui come al solito non rispose; sospirai speranzoso e mi allontanai con la mia tata, voltandomi di tanto in tanto per controllare che stesse mangiando.

 

Lui aveva tirato un morso alla mela a fatica, sembrava avere la mascella dolorante ma la fame era più forte, così cominciò a masticare.

 

-Adesso dovrò fare tutta la spesa daccapo, ma come vi è saltato in mente signorino Kyousuke!- mi aveva rimproverato Midori sbuffando.

 

Sorrisi fingendo di essere divertito dalle sue lamentele ma non smisi neanche per un attimo di pensare a Tenma.

 

A quei tempi non conoscevo ancora il suo nome, non conoscevo niente di lui; eppure sentivo nei suoi confronti un forte attaccamento ed un grande istinto di protezione.

 

Volevo accertarmi che stesse bene, che fosse al sicuro.

 

"Domani ritornerò da te piccolino" pensai dentro di me, allungando sempre di più la distanza fra i nostri corpi ma avvicinandomi sempre di più a lui con il cuore, perché con un solo sguardo mi aveva rapito, mi aveva completamente soggiogato pur non avendo fatto assolutamente niente.

 

Il petto mi faceva malissimo, la pena per lui era troppo grande.

 

Ricordavo i suoi occhi esausti e spaventati e sentivo già un groppo formarsi nella mia gola.

 

Non ero mai stato un ragazzo tanto sensibile, mio fratello Yuuichi lo era di certo molto più di me, tanto che aveva deciso di dedicare la propria vita alla giustizia, entrando a far parte della Shinsengumi.

 

Non avevo mai riflettuto sulle classi disagiate prima di allora; sapevo che andassero aiutate, i miei genitori mi spingevano a fare beneficenza periodicamente.

 

Ma quel ragazzino, spinto per terra con così tanta violenza, colpito senza pietà, per me era stato l'incarnazione stessa della sofferenza.

 

Non riuscivo a ricordare la scena senza provare dolore fisico per l'impossibilità di cambiare la sua vita, per la mia incapacità di salvarlo.

 

Mangiai a malapena quel giorno. Volevo tornare da lui, offrirgli un riparo, dei vestiti che gli permettessero di superare la notte senza patire troppo il freddo.

 

Sapevo che uscire di notte dalla nostra abitazione fosse vietato, infondo c'erano numerose guardie a pattugliare il nostro immenso giardino, mi avrebbero di sicuro scoperto, pensai.

 

Così presi in prestito la divisa di mio fratello e lasciai che i nostri servitori mi scambiassero per lui. 

 

Volevo aiutare quel ragazzino, ormai era diventato il mio chiodo fisso. Io dovevo salvarlo.

   
 
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