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Autore: Miharu_phos    14/07/2020    0 recensioni
[Kyouten]
Kyoto, Giappone, epoca Bakumatsu.
Kyousuke è il componente della famiglia Tsurugi incaricato di garantire la discendenza della loro casata, deve sposarsi e mettere al mondo degli eredi.
Quando però incontrerà Tenma, un senzatetto debole e ferito, dimenticherà presto tutti i propri doveri, mettendo al primo posto la salvezza della persona che ama: si sposerà, ma la sua sposa sarà un ragazzo.
Genere: Angst, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Yaoi | Personaggi: Matsukaze Tenma, Okita Souji, Tsurugi Kyousuke, Tsurugi Yuuichi
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Mentre quella notte camminavo per le strade con la divisa della Shinsengumi sulle spalle, per la prima volta mi resi conto del potere intimidatorio del quale i suoi componenti potevano godere.

 

Nessuno si insospettiva, nessuno si azzardava neanche a guardarmi in faccia; i pochi passanti presenti in strada si nascondevano nei vicoli, sperando di non essere catturati dal mio sguardo.

 

Una volta giunto davanti al ponte non ci trovai, ahimè, il mio piccolo Tenma.

 

Era notte fonda, doveva certamente essersi cercato un riparo per superarla e stare al caldo.

 

Avevo un fagotto con me che avevo riempito di ogni genere di indumento che potesse essergli utile; avevo preso per lui anche del pane, un paio dei miei sandali e delle lunghe calze che potessero tenerlo al caldo.

 

Avrei tanto voluto portarlo direttamente con me a casa mia, ma sapevo perfettamente che la mia famiglia sarebbe stata contraria, così avevo deciso di fare il possibile prendendomi cura di lui in quel modo.

 

-Ehi tu fermo! - avevo detto ad un vagabondo che si era già preparato a fuggire dalla mia divisa.

 

-Si mio signore, ditemi pure sono al vostro sevizio- aveva biascicato quello prostrandosi per terra a mò di inchino.

 

-Avete visto da queste parti un ragazzino? Alto così, dodici anni circa- avevo detto, facendo cenno sul mio petto per mostrargli la statura del poveretto.

 

-Ne ho visti tanti signore, non so a chi vi riferiate di preciso-

 

-Portava una mantella blu di velluto- gli avevo detto allora. Si trattava della mantella che gli avevo regalato al mercato, quando lo avevo aiutato ad alzarsi da terra.

 

-Uno così non passa di certo inosservato, lo avranno derubato subito. Provate a controllare sotto il ponte ad est, spesso ho visto dei marmocchi rifugiarsi lì sotto perché è riparato- aveva spiegato l'uomo.

 

Lo avevo ringraziato educatamente e mi ero incamminato verso il luogo indicato, con il cuore pieno zeppo di speranze. Temevo che lo avessero derubato davvero e che stesse patendo il freddo, così alzai il passo e nel giro di trenta minuti finalmente raggiunsi il ponte, sotto al quale avevo già notato una piccola brace fumante ormai in via di spegnimento.

 

Corsi più veloce quando riconobbi il suo testone arruffato, stava abbracciato a qualcosa che non riuscivo ad identificare, così alzai ulteriormente il passo e lo raggiunsi ormai con il fiatone.

 

Avevo temuto che si trattasse di una persona e invece l'amico del mio Tenma si era rivelato soltanto un cane; un vecchio cane malandato e secco, con un grande istinto di protezione.

 

Non appena si era accorto di me infatti era scattato sull'attenti ed aveva cominciato a ringhiare, svegliando il piccolo Tenma, rannicchiato in mezzo ad un mucchio di stracci logori e maleodoranti.

 

Lui si era tirato indietro spaventato, forse dai colori della divisa che indossavo, così me la sfilai piano e la posai per terra, poi mi avvicinai a lui con cautela, mostrando il fagotto che gli avevo preparato.

 

-Ciao piccolino, sono io il ragazzo di stamattina, quello della mela. Ti ricordi di me?-

 

Lui non aveva risposto ma anzi si era rannicchiato ancora di più in quel mucchietto, quasi come a volersi proteggere da me.

 

-Io mi chiamo Kyousuke, ti ho portato qualcosa di caldo da indossare- gli avevo detto utilizzando il tono di voce più gentile che avessi e solo in quel momento avevo notato che non portasse con se la mantella, né riuscivo a vedere nei paraggi la cesta con la frutta che gli avevano donato.

 

-Hai mangiato?- gli chiesi allora, così lui deglutì dispiaciuto ed abbassò il capo, nascondendo il viso fra le sue gambe magre.

 

Supposi che lo avessero derubato sul serio; era stata colpa mia in effetti, lo avevo reso un bersaglio facile dandogli quella mantella lussuosa e per colpa mia era rimasto anche a stomaco vuoto.

 

Per fortuna avevo preso da casa del pane caldo, che i miei cuochi stavano cuocendo come al solito a notte fonda, così che potessimo avere pane fresco ogni mattino.

 

Aprii il fagotto e come prima cosa gli porsi una delle pagnotte ancora tiepide. Lui aveva ancora paura, non si azzardava a muovere un muscolo, così mi avvicinai ulteriormente e glielo lasciai vicino ai piedini sporchi e induriti dalla miseria. 

 

Mi allontanai sperando che lo prendesse e lui, timidamente, allungò una delle sue mani scheletriche verso di esso e lo accarezzò, facendosi venire gli occhi lucidi per la commozione.

 

-Mangialo, dai. Devi avere molta fame. Non ti preoccupare io non ti faccio niente, ti voglio solo aiutare- gli avevo spiegato allora.

 

Lui aveva preso con le dita tremanti il panino e lo aveva portato sul petto, aspirandone poi l'odore mentre chiudeva gli occhi estasiato.

 

Non volevo che si vergognasse con me ma non sapevo come fare, era così spaventato che avevo timore anche ad aprire bocca davanti a lui, temevo che scappasse.

 

Presi la trapunta che avevo portato da casa per lui e con delicatezza gliela adagiai sulle spalle; lui si paralizzò spaventato, tanto da lasciar cadere la pagnotta che subito afferrai, senza che toccasse il terreno.

 

-Ecco tieni. Non avere paura di me, ti prego mangia- avevo insisto, porgendogliela ancora.

 

Volevo che la prendesse da solo, che superasse le proprie paure una volta per tutte.

 

Lui allungò piano la mano e finalmente la prese; poi la portò alle labbra e provò a dargli un morso, ma un lamento di dolore lo fece bloccare.

 

Doveva avere dei denti marci e malati, supposi; presi il pane dalle sue mani delicatamente e glielo spezzai, poi scavai all'interno e gli offrii la parte più morbida ponendogliela direttamente sulle labbra.

 

Lui le schiuse con fare incerto e senza alzare lo sguardo cominciò a masticarla piano.

 

Ero contento, ero riuscito ad avvicinarmi moltissimo e lui stava mangiando addirittura dalle mie mani, come un cucciolo che pian piano prende fiducia.

 

Allora mi ricordai del suo cane e quando mi voltai a cercarlo scoprii che ci stava guardando affamato.

 

Gli lasciai per terra le croste e lui le mangiò subito, poi portai il mio fagotto davanti a Tenma e lui lo guardò incuriosito ma senza dir nulla.

 

-Queste cose sono tutte per te, ci sono dei vestiti caldi e delle scarpe, e ovviamente altri panini. Adesso io devo andare perché per me si sta facendo tardi, okay? Domani vorrei tornare per medicarti le ferite però. Mi aspetteresti qui?- gli domandai con voce gentile.

 

Lui finalmente ebbe una reazione: annuì, poi abbassò nuovamente il viso per nasconderlo.

 

-Adesso mi dici il tuo nome?- 

 

Lui deglutì, forse stavo correndo troppo.

 

-Va bene, scusami. Se vuoi puoi dirmelo domani- gli dissi allora, poi presi la divisa di mio fratello dal suolo e cominciai ad incamminarmi per andare via.

 

-Tenma- mormorò lui con un filo di voce quando ormai ero a diversi metri di distanza da lui.

 

Io mi voltai toccato e lo guardai con gli occhi pieni di commozione.

 

-Tenma? È un nome così dolce-

 

"Come te" pensai.

 

Lui abbozzò un minuscolo sorriso che mi sciolse il cuore, ancor più di quanto lui stesso con tutto il suo essere così piccolo e fragile aveva fatto fino ad allora.

 

Decisi di lasciarlo in pace, anche se avrei desiderato di poter restare con lui per tutta la notte. 

 

Non vedevo l'ora che fosse l'indomani, volevo parlargli ancora ed avvicinarmi maggiormente a lui. Lo avrei curato da tutte le sue ferite e gli avrei portato qualcosa di delizioso da mangiare, volevo anche dargli del denaro affinché potesse comprarsi il necessario e magari offrirgli quotidianamente un bagno alle terme cittadine così che potesse ristorarsi. 

 

Avrei curato anche il suo cane, volevo che entrambi stessero meglio, non vedevo l'ora di vederlo rifiorire e star bene.

 

 

 

   
 
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