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Zona di Esclusione di Chernobyl, Ucraina.
7 Novembre 2009.
14:33.
Anatoli Zelenko, Boris Volkov, Vassili
Karavaev, Serg. Olga Petrova, Sergei Kabakov, Irina Kabakova,
Pvt. Feodor Kovalenko.
Il gruppo deve raggiungere la stazione radar Duga prima che cali il
sole.
Il
gruppo riuscì, con un po’ di fortuna, a lasciare Zalissia senza farsi notare
dai non morti, oltrepassare la strada principale e far perdere le proprie
tracce in mezzo agli alberi. Camminarono per quasi un’ora in mezzo a immensi
campi incolti, restando a debita distanza dalle vie principali e prestando
attenzione alle radiazioni. In più di un’occasione, i loro dosimetri iniziarono
a far baccano, schizzando da 0.20 a 20.93 microsievert per ora.
«Anatoli,
qual è il motivo di questi picchi improvvisi?» chiese Vassili, osservando i
valori aumentare.
«Materiale
radioattivo sepolto, molto probabilmente. È così che i liquidatori si
liberavano dei mezzi e degli edifici contaminati» rispose il vecchio.
Si
fermarono solo per riposare in un boschetto, riprendendo fiato e studiando la
propria posizione, appurando che si trovavano all’incirca a metà strada.
«Permetti
una domanda, Sergente?» chiese ironico Vassili, guardando Olga.
La
soldatessa si tolse l’elmetto, passandosi una mano sui capelli.
«Parla,
agente» rispose lei, a tono.
«Per
quale strano motivo, nel bel mezzo dell’apocalisse, non fai altro che scartare
lecca-lecca alla menta?»
«Preferirei
non dirlo. Rideresti di me.»
«Ti
garantisco che non lo farò.»
«Per
quello che può valere la parola di un membro della Militsiya…» borbottò Sergei.
Vassili
lo sentì, ma non disse nulla.
«Mi
aiutano a concentrarmi mentre sparo. E a scaricare la tensione. Sul serio» ammise
la soldatessa.
Il
poliziotto alzò le spalle.
«Che
problemi hai con la Militsiya?» domandò Feodor.
«Fatti
i cazzi tuoi, soldatino» disse Sergei con strafottenza. «Diavolo, sei con noi
solo da poche ore e già rompi i co…»
All’improvviso,
il soldato lo afferrò e lo scagliò a terra.
«Non
ti rivolgere più a me in questo modo, chiaro?»
«Smettetela,
tutti e due! Ci manca solo che vi mettiate a litigare per delle cazzate»
intervenne Olga. «Ascoltami bene, Sergei. In questo mondo sono rimasti due tipi
di persone: i vivi e i morti. E intendo continuare a stare con i primi. Me ne
frego di ciò che ti ha fatto la Militsiya in passato. Ora conta il presente.»
Dei
versi, in lontananza, attirarono la loro attenzione.
«Okay,
andiamocene. Kovalenko, Anatoli, in testa» ordinò la soldatessa.
Vassili
aiutò il padre di Irina a rialzarsi, passandogli il suo AK-74, prima di tornare
dietro ad Olga.
«Fai
meno lo stronzo, papà» sussurrò Irina, oltrepassandolo con Boris.
Sergei
fissò il gruppo avanzare, maledisse tutti i militari e i poliziotti del mondo,
e li seguì.
«Laggiù.»
Feodor
indicò un immenso agglomerato di cavi e acciaio distante pochi chilometri che
si ergeva per centinaia di metri sopra la linea degli alberi. L’antenna del
progetto Duga.
«A
cosa serviva?» domandò Boris.
«A
rilevare missili lanciati dagli americani. Roba da Guerra Fredda.»
I
sette ripresero il loro cammino nel bosco, disseminato di tronchi e piante
selvatiche, facendo attenzione a dove mettevano i piedi.
«In
che condizioni è la base, Kovalenko?» domandò Olga.
«Come
tutti gli altri edifici della Zona, sergente. Pessime» rispose Feodor con
sarcasmo. «Però i cancelli garantiscono una protezione sufficiente… e, cosa più
importante, hai un tetto sulla testa.»
«Ho
sentito dire di esperimenti sul controllo mentale fatti con le frequenze
emanate da quella ferraglia» intervenne Anatoli. «Quando ero giovane, si parlava spesso di cosa facessero i militari
nella “città nel bosco”.»
«Andiamo,
Anatoli, sono tutte fav…»
BANG!
Un
colpo, in lontananza, li fece fermare.
Dei
ruggiti, assieme ad altre raffiche, ruppero il silenzio. Feodor gelò.
«Gli
zombie stanno attaccando la base!» esclamò, iniziando a correre.
Il
gruppo scattò in direzione degli spari, cercando di non inciampare in eventuali
ostacoli. Ai loro lati, iniziarono a spuntare degli infetti.
«Sparate
solo quando sono a pochi metri da voi! Risparmiate le munizioni!» urlò Olga,
togliendosi al volo il lecca-lecca per poi rimetterselo in bocca.
Anatoli
coprì Feodor mentre si metteva a tracolla il Dragunov, permettendogli di estrarre
la sua pistola e freddare un paio di zombie che si erano avvicinati troppo.
Olga
e Vassili si coprivano a vicenda, sparando con le rispettive armi. Irina,
sempre con Masha in mano, ne fece fuori altrettanti con la sua Makarov,
supportata da Boris.
In
fondo, l’unico che non sparava era Sergei, che preferiva allungare il calcio
dell’AK-74 sulle teste dei non morti.
«Sergei,
puoi premere il grilletto, lo sai?» urlò Boris, non sentendo alcuno sparo.
«Zitto
e corri, ragazzino!» gli rispose l’uomo, mandandone a terra un altro.
Gli
spari, col passare dei minuti, si facevano sempre più vicini, così come i ruggiti
dei non morti.
Ad
un tratto, Feodor vide qualcosa sulla destra, e svoltò.
«Quella
è la strada per l’antenna! Ci siamo quasi!» annunciò.
Olga
e Vassili si fecero superare da Boris e Irina, fermandosi ad uccidere gli
zombie lasciati vivi da Sergei.
«Vassili,
resta con lui. Ha già fatto troppi danni per oggi» ordinò la soldatessa.
«Grazie
mille, sergente. Mi ci voleva, un po’ di compagnia» sghignazzò il padre di
Irina.
I
sette, col passare dei minuti, videro l’enorme antenna farsi sempre più vicina,
e solo quando le furono a poche centinaia di metri si resero conto delle sue effettive dimensioni.
«KOVALENKO!»
Due
cecchini si erano arrampicati sulle passerelle per la manutenzione
della struttura, e uno di essi stava agitando un braccio.
«Chesnakov!
Che succede?» urlò il soldato.
«Alcuni
zombie hanno scavalcato il cancello e sono entrati! Eliminate quelli
all’ingresso, noi vi copriremo da qui!»
Il
soldato guidò il resto del gruppo verso l’obbiettivo, trovandosi poco dopo
davanti ad esso. Decine di zombie cercavano di sfondare gli enormi cancelli
verdi facendo pressione su di essi.
«Fuoco!»
ordinò Olga.
I
sette furono un plotone d’esecuzione quasi perfetto, svuotando i loro
caricatori sulle teste degli aggressori, colti alla sprovvista. I ritardatari
vennero freddati dai cecchini sull’antenna. Poco dopo, un soldato si presentò
al cancello.
«Kovalenko,
sei vivo! Ma… chi è con te? Dove sono Kostevych, Mykolenko, Petryak e Siminin?»
domandò, guardando i civili.
«Svatok,
taci e apri questo maledetto cancello.»
Svatok si spaventò per
quell’aggressività improvvisa, e si sbrigò a far entrare il gruppo.