Lo scrosciare impetuoso della cascata
alle sue spalle suonava come il canto di una voce ancestrale e
antica. L'alba si affacciava timidamente a est tingendo l'orizzonte
di tenui sfumature rosa e arancio e scacciando le tenebre della notte
appena trascorsa.
Il canto di qualche uccellino
particolarmente mattiniero fece capolino dalle chiome degli alberi
come a voler salutare in allegria le prime luci del sole nascente.
Mirai Sarutobi osservava il nuovo
giorno farsi avanti senza fretta e nel frattempo tentava di elaborare
e dare un senso ai pensieri che si rincorrevano selvaggi nella sua
mente.
Era incredibile come certi avvenimenti
non fossero vincolati alle leggi del tempo: le rocambolesche ore che
avevano preceduto quell'alba primaverile erano state tanto dense di
emozioni da sembrare anni e, in qualche modo, avevano operato un
cambiamento significativo nella giovane kunoichi del Villaggio della
Foglia. Mirai si sentiva ora molto lontana dalla ragazza che, in un
cieco impeto di desiderio e speranza, aveva lasciato i suoi compagni
di viaggio, ai quali avrebbe dovuto fare da scorta, per unirsi alla
piccola Tatsumi nella ricerca della mistica fonte termale che avrebbe
permesso loro di ricongiungersi a una persona che aveva lasciato il
mondo dei vivi.
Lo stratagemma elaborato da quel pazzo
esaltato di Ryuki aveva funzionato alla perfezione e alla fine si era
rivelato per ciò che era: una trappola per radunare ragazzine
credulone e compiere il rituale che, tramite il loro sangue
innocente, gli avrebbe conferito l'immortalità.
Il pericolo era stato grande ma ora le
ragazzine erano tutte al sicuro e Ryuki e i suoi seguaci giacevano a
terra legati e neutralizzati, sorvegliati a vista da Gai. Il Sesto
Hokage aveva comunicato a una squadra di pattuglia la loro posizione
e presto le giovani fuggitive avrebbero potuto riabbracciare i loro
cari che le aspettavano a casa in trepidante attesa.
Buffo. Pensò Mirai. Tutte
quelle giovinette erano partite sperando di rivedere un caro defunto,
rischiando esse stesse la propria vita e lasciandosi alle spalle
coloro che le amavano e che appartenevano ancora al mondo dei
viventi. Era proprio vero che spesso ci si focalizzava troppo su ciò
che si aveva perduto fino a perdere di vista ciò che rimaneva.
Bell'ipocrita che sei. La
punzecchiò una vocina nella sua mente. Non è forse ciò che hai
fatto tu? Ti sei messa in cammino in piena notte sgattaiolando via
come una ladra e venendo meno alla tua missione solo per inseguire un
tuo sogno egoistico e così sei finita dritta in trappola come una
sciocca.
Mirai avvertì un tuffo al cuore e si
morse il labbro inferiore con rabbia. Già, come aveva potuto essere
così ingenua? Un vero ninja non avrebbe abboccato all'amo così
facilmente; un vero ninja sapeva vedere oltre gli strati
dell'inganno, fiutare il pericolo, individuare la ragnatela oltre la
dolcezza del miele e anticipare le mosse del nemico. Ma soprattutto,
un vero ninja non avrebbe mai voltato le spalle alla propria missione
per soddisfare un capriccio personale. E se le fosse accaduto
qualcosa? E se non fosse uscita viva da quella grotta? Se Ryuki
l'avesse uccisa? Sua madre sarebbe rimasta sola a piangerla in una
casa vuota e silenziosa popolata solo da fantasmi e il suo cuore
sarebbe stato spezzato per la seconda volta. Un colpo tremendo che
forse Kurenai non avrebbe retto.
In fondo, era davvero così importante
conoscere quel padre di cui tutti a Konoha si ricordavano tranne lei?
Non poteva farsi bastare i racconti che aveva udito da chi l'aveva
conosciuto? Il Maestro Shikamaru le aveva parlato innumerevoli volte
di Asuma ma i suoi racconti non si erano rivelati sufficienti a
sedare quel senso di incompletezza che negli anni era cresciuto
insieme a lei.
Aveva perso il conto di tutte le
occasioni in cui si era sentita dire quanto fosse simile al padre,
eppure quei commenti lasciati cadere con nostalgica tenerezza da chi
Asuma Sarutobi l'aveva conosciuto davvero non avevano sortito altro
risultato che alimentare in lei il desiderio bruciante di incrociare
almeno una volta il suo sguardo, di inalare l'odore pungente della
sua immancabile sigaretta, di sentire la sua voce profonda mentre
pronunciava il nome che lui stesso aveva scelto per la figlia prima
ancora che ella venisse alla luce.
Tutto ciò che aveva avuto nei suoi
diciotto anni erano stati una montagna di aneddoti, una fotografia
posta vicino a un bastoncino d'incenso, una lapide su cui pregare e
l'assicurazione della sua somiglianza con Asuma, che peraltro lei non
poteva affatto confermare o confutare.
Ad ogni modo aveva cercato di
raccogliere quell'eredità e di onorare al meglio la memoria del
padre imparando le sue tecniche e divenendo una degna guerriera ninja
di Konoha, ligia al dovere (fin troppo, a detta di chi la conosceva)
e pronta a difendere il villaggio e i suoi abitanti ad ogni costo.
Voleva diventare una figlia di cui suo padre, se fosse stato vivo,
potesse essere orgoglioso. Pensava che così facendo avrebbe sentito
lo spirito di Asuma vicino a sé, quasi come una presenza immateriale
che vegliasse su di lei, la incoraggiasse e le indicasse la giusta
via nei momenti di difficoltà. Ma nonostante tutti i suoi sforzi,
Mirai non era mai riuscita a provare quell'agognata sensazione né a
padroneggiare appieno la tecnica delle lame di chakra di Asuma...
almeno fino a quel momento.
Poco distante, il Sesto Hokage sedeva
placidamente su un masso con le gambe accavallate e un libro tra le
mani ma Mirai aveva la netta impressione di sentire il suo sguardo
pesarle sulle spalle e solleticarle la nuca, come se invece delle
parole stampate sulle pagine, Kakashi Hatake stesse piuttosto
leggendo a fondo dentro di lei, seguendo il filo confuso delle sue
elucubrazioni senza alcuna difficoltà.
In effetti, anche se erano trascorsi
ormai molti anni da quando aveva perso lo Sharingan, la ragazza
avrebbe quasi potuto giurare che parte di quell'abilità fosse
rimasta radicata in lui e che i suoi occhi scuri e impenetrabili
vedessero molto più di quanto apparisse anche all'osservatore più
attento. Era una convinzione irrazionale che l'aveva sempre
accompagnata ma che era maturata ulteriormente in quei giorni passati
in viaggio nel Paese delle Sorgenti Calde, in costante presenza di
quell'uomo che aveva combattuto nella Quarta Grande Guerra Ninja e il
cui nome era ormai diventato leggenda al pari di quello del Settimo
Hokage. Dietro quell'aria svagata, a Kakashi Hatake non sarebbe
sfuggito neanche il battito d'ali di una farfalla.
Mirai esalò un lungo sospiro. A Konoha
era cresciuta tra eroi e leggende viventi, cibandosi delle storie che
narravano le loro imprese e che la gente del villaggio era sempre ben
felice di rivangare, infarcendole ogni volta di qualche dettaglio
nuovo e, spesso, fin troppo fantasioso perfino alle orecchie di una
bambina impressionabile.
Naruto Uzumaki, Kakashi Hatake, Sakura
Haruno... erano solo alcuni dei nomi che si rincorrevano di bocca in
bocca e che lei aveva imparato presto ad associare ad atti di grande
eroismo e valore. E naturalmente Mirai non poteva dimenticare che il
volto austero di suo nonno Hiruzen Sarutobi figurava scolpito nella
parete di roccia tra quelli dei più grandi ninja di Konoha, in
qualità di Terzo Hokage. Da ciò che aveva appreso, anche suo padre
Asuma era considerato un Jonin eccezionale; la sua stessa morte era
stata l'ultima drammatica testimonianza della dedizione e dell'amore
immenso che egli nutriva verso il villaggio.
Ma quelli erano altri tempi. Ora
regnavano pace e tranquillità in tutte le grandi terre ninja e lei
non aveva mai avuto molte occasioni di mettersi alla prova come
kunoichi e di mostrare agli altri e a se stessa di essere all'altezza
della fama di coloro che l'avevano preceduta.
Sempre più spesso si era ritrovata a
domandarsi se essere un ninja fosse ancora realmente utile o se si
trattasse solo di un modo per appagare il proprio ego e sentirsi
importanti in un mondo che non aveva più bisogno di gente come lei.
Se solo avesse avuto la possibilità di
compiere qualche gesto eroico che fosse ricordato negli anni a
venire...
Ma Mirai sapeva perfettamente che la
guerra non era uno scherzo e il fatto che a volte arrivasse quasi a
rimpiangerla la faceva vergognare. Perfino quell'essere spregevole di
Ryuki avvertiva il suo stesso scontento e questo l'aveva disgustata.
Giurò a se stessa che non avrebbe mai più formulato pensieri di
nostalgia nei confronti di quei tempi turbolenti che, certo, avevano
generato eroi e leggende, ma avevano anche provocato più dolore,
morte e distruzione di quanto lei potesse immaginare. Che le avevano
portato via suo padre prima che potesse prenderla tra le braccia per
la prima volta.
- Ti dispiacerebbe abbassare il volume
dei tuoi pensieri? Sai, rimugini così forte che mi distrai dalla
lettura. -
Mirai sussultò, ritrovandosi
improvvisamente la slanciata figura di Kakashi Hatake accanto a sé.
Se ne stava lì in piedi con il pollice tra le pagine del libro per
tenere il segno e una mano in tasca: un monumento alla calma.
- Sesto Hokage! - squittì la ragazza,
colta alla sprovvista.
L'uomo emise un sospiro di
rassegnazione e si passò una mano tra i capelli argentati. - Niente
da fare. Non riesci proprio a chiamarmi solo Kakashi, vero? -
Mirai arrossì ma non disse nulla e il
suo sguardo tornò ad incupirsi.
- Stai ancora pensando a tuo padre, non
è così? -
Non era tanto una domanda quanto
un'affermazione. Una mano tesale con gentilezza e discrezione che
sarebbe spettato a lei decidere se accettare o meno.
La giovane si prese un momento per
scegliere la propria risposta. - Sì e no. - ammise infine.
L'espressione di Kakashi rimase imperturbabile e paziente ma Mirai si
sentì in dovere di spiegarsi meglio. - Vede, il fatto è che
desideravo così tanto poterlo vedere almeno una volta che mi sono
lasciata ingannare come una novellina. -
- Non essere così severa con te
stessa. - rispose gentilmente il Sesto Hokage. - Se non fosse stato
per te, le ragazzine scomparse sarebbero state sacrificate e
quell'invasato ora sarebbe immortale. -
- Mmm. -
Kakashi le batté delicatamente su una
spalla. - Smettila di biasimarti. Hai fatto un ottimo lavoro, dico
davvero. -
Mirai chinò mestamente il capo. - Ma
se lei e il signor Gai non foste arrivati... -
Il tetro seguito di quelle parole
rimase ad aleggiare nell'aria frizzante dell'aurora come uno spettro.
Per qualche secondo nessuno dei due
disse nulla, poi Kakashi si stiracchiò sonoramente ed inspirò a
pieni polmoni. - Oh, a proposito, - esordì con tono casuale, - il
tuo attacco con le lame di chakra mi ha molto colpito. Complimenti. -
Sorpresa da quell'esternazione, Mirai
alzò gli occhi verso il suo interlocutore. - Lo pensa davvero? -
Kakashi annuì con convinzione. -
Eccome! Hai controllato alla perfezione il flusso di chakra e hai
saputo padroneggiare l'Arte del Vento con grande maestria. - ci fu
una breve pausa dopodiché Kakashi abbassò lo sguardo per fissare
con intensità il viso della kunoichi. - Sai, per un attimo mi è
sembrato di vedere Asuma. -
A quelle parole, qualcosa si sciolse
nel petto di Mirai e la ragazza sperimentò una leggerezza mai
provata prima di allora. Perché per la prima volta nella sua vita
aveva davvero avvertito la presenza del padre al suo fianco: mentre
sprigionava il suo chakra e si lanciava all'attacco impugnando le
lame di Asuma, si era finalmente sentita in perfetta comunione con
lui, come se il suo spirito stesse guidando le sue azioni rendendola
più sicura, più forte... completa.
Non avrebbe mai dimenticato quella
sensazione di calore; l'amore del padre che non aveva mai conosciuto
le era sbocciato nel cuore come un fiore a primavera donandole una
consapevolezza nuova e una serenità del tutto inedita.
Mirai si accorse di avere gli occhi
lucidi e si affrettò a reclinare la testa per nascondere le lacrime
traditrici alla vista del Sesto Hokage, ma Kakashi le aveva già
voltato le spalle, dirigendosi a passo tranquillo verso il punto in
cui si trovava Gai.
Ma a un tratto parve ripensarci e si
voltò di tre quarti verso di lei. - Sono certo che Asuma sarebbe
molto fiero di te, Mirai. -
A quel punto, la ragazza abbandonò
ogni tentativo di combattere le lacrime. Si limitò a rivolgere un
inchino al Sesto Hokage, accompagnato da un ringraziamento sussurrato
con la voce rotta dalla gioia e dalla commozione. Quando risollevò
il capo fu certa di veder comparire un sorriso sotto la maschera che
celava quasi per intero il volto di Kakashi. - Sei proprio la degna
figlia di Asuma Sarutobi e Kurenai Yūhi.
- disse, prima di accomiatarsi con un gesto della mano e lasciarla
sola.
Mirai tornò a scrutare il cielo sopra
di sé, ormai sempre più chiaro e striato di sfumature mozzafiato.
Qualche sparuta stella brillava ancora qua e là e Mirai ebbe la
sensazione che suo padre, da qualunque luogo si trovasse, le stesse
facendo l'occhiolino.
Non avvertiva più quella bramosia
dolorosa che l'aveva logorata fino al giorno prima: non aveva bisogno
di incontrare Asuma per mezzo di qualche arcano rituale. Lo conosceva
da sempre, finalmente se ne rendeva conto. Asuma Sarutobi viveva in
lei.
Angolo autrice: Ciao
a tutti!
Questa
è la mia prima storia non solo nel fandom di Naruto,
ma anche nella sezione Anime/Manga.
Ho
scritto questa storia di getto dopo aver concluso la visione degli
episodi di Boruto
dedicati a Mirai e al suo viaggio con Kakashi e Gai.
Spero
che questo lavoretto introspettivo possa piacervi e ringrazio in
anticipo chiunque leggerà.
Un
bacio!