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Autore: fri rapace    16/08/2009    3 recensioni
Sirius decide di fare uno scherzo ai danni di Severus Piton durante il loro quinto anno a Hogwarts: gli suggerisce un metodo infallibile per bloccare il Platano Picchiatore, in modo da permettergli di seguire Remus Lupin e dargli così una bella lezione. E lo scherzo va a segno. James non riesce a fermare il Serpeverde in tempo e questi viene attaccato da Remus in forma di mannaro. Vent'anni dopo...
Genere: Commedia, Drammatico, Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: I Malandrini, Sirius Black | Coppie: James/Lily, Remus/Ninfadora
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Alla fine del tunnel-capitolo 7 “Dove l’hai portato?” le urlò per l’ennesima volta Sirius.
Si era lanciato dentro casa sua come una furia, iniziando a latrare accuse e a esigere risposte non appena lei aveva messo in chiaro che non intendeva dirgli nulla.
“Ninfadora!”urlò di nuovo.
L’aveva chiamata per nome di proposito, ne era certa.
“Hai combinato un casino, come tuo solito!”
Non aveva  dubbi sul ramo della propria famiglia da cui aveva ereditato la tendenza all’uso ponderato e accomodante delle parole.
Non indietreggiò di un passo, malgrado ormai lui le urlasse in pieno viso.
“Esci subito da casa mia”, gli intimò, gelida.
“Remus doveva iniziare a prendere la sua pozione ieri, e tu l’hai fatto sparire, portandolo chissà dove!”
“Ti ricordo che io l’ho tolto da un grandissimo pasticcio. Rischiava come minimo il linciaggio pubblico! Alla stazione…”
Venne interrotta da un gesto concitato della sua mano. “Ok. Nessuno dei due ricordava o sapeva della pozione. Ammetto che neppure io, fino a ieri, sapevo che andava presa a partire da sei giorni prima del plenilunio…” assunse un’aria conciliante. “Quindi passerò sopra al tuo errore, ma ora mi devi dire dove l’hai portato.”
“E perché?”
L’aria conciliante del suo caro cuginetto si sgretolò. Sembrava spossato. “Tra cinque giorni ci sarà la luna piena!”
“Uff, che noia, questo lo hai già detto.”
Sirius si mise le mani nei capelli, in un moto di esasperazione. “Ti ho anche già detto che sei una ragazzina irritante come poche, ma continuerò a ripetertelo, perché tu sei una ragazzina irritante come poche!”
Tonks non fece una piega. “Bene. Ora sai cosa provavano i tuoi genitori… quella santa donna di zia Walburga…” ghignò, alzando gli occhi al cielo. “Che doveva  rassettare camera tua, tappezzata da poster. Di donne nude. Poster Babbani.” Finse di rabbrividire per l’orrore.
Sirius gonfiò le guance, divenendo paonazzo per lo sforzo di rimanere serio. Riuscì a trattenersi per due secondi scarsi. “E tu come sai dei poster? Eri una neonata, allora.”
“Me l’ha raccontato mamma. A volte mi rinfacciava di assomigliarti in certi tuoi atteggiamenti, come il provocare apposta la gente. Ma non ti montare la testa, il suo non voleva essere un complimento.”
“Ma tu l’hai sempre preso come tale”, disse aggiustandosi i capelli dietro un orecchio e atteggiandosi a uomo di grande fascino, ma senza crederci realmente.
Sirius aveva sempre trattato con noncuranza la propria bellezza, come se la considerasse solo un pretesto per prendersi in giro.
“Neanche per idea”, gli indirizzò un sorriso sfacciato.
L’uomo tirò un lungo sospiro, lo scambio di battute lo aveva calmato.
Fu tentata dal suggerirgli di imparare ad avviare il cervello, prima di agire, ma tacque, non perché temesse di offenderlo, ma perché lo riteneva solo fiato sprecato.
“Tra cinque giorni ci sarà la luna piena e - piantala di fare smorfie! - Io, James e Peter dobbiamo fare da baby sitter a quel rompiscatole di Lunastorta, come facevamo da ragazzi.”
Gli occhi, mentre parlava, presero a luccicargli come quelli di un bambino alla Vigilia di Natale.
“Non credo proprio”, rispose secca.
“Ma, Tonks!” si impuntò, picchiandosi una mano sulla gamba, in un gesto di esasperazione.
“E piantala di urlare! Remus aveva previsto i vostri piani e mi ha fatto promettere di non dirvi dove si trova.”
Sirius perse nuovamente la pazienza. “E’ uno stupido, si farà del male senza la nostra presenza!”
La preoccupazione nella sua voce si fece palese e la spinse a esitare per un attimo.
Farsi del male? Ma Remus l’aveva messa in guardia, le aveva detto che pur di rivivere un’esperienza legata alla sua adolescenza Sirius le avrebbe detto qualunque cosa. E, per quanto ammetteva di non essere in rapporti tanto intimi con lui da poter affermare di conoscerlo bene, Sirius le sembrava proprio il tipo di persona da comportarsi a quel modo.
Si strinse la braccia al petto. “Ho giurato di non dire dov’è e non lo dirò.”
L’uomo sembrò afflosciarsi, l’aria delusa e amareggiata. “E perché non ci vuole attorno? Te l’ha detto?”
“Sì, a fatica… Merlino! per tirargli fuori qualcosa di più di una battuta ironica quando lo si obbliga a parlare di se stesso, ci vuole una pazienza… mi ha del tutto asciugata… Ma alla fine ha confessato. Teme di farvi del male. La sua è paura vera, Sirius,” l’apprensione le fece contrarre lo stomaco, mentre rivedeva Remus impallidire sotto la maschera di freddezza dietro cui aveva cercato di celare le proprie emozioni. “Si teneva le mani strette assieme mentre me lo diceva, per tentare di bloccarne il tremito, ma io me ne sono accorta lo stesso. Ho giurato di tenervi lontano da lui e di stargli lontana io stessa, e non intendo tradire la sua fiducia.”
Sirius si mosse a disagio, allontanandosi da lei e gettando occhiate tormentate tutt’attorno.
“Hai usato quella frase di proposito, vero?”
“Quale frase?”
“Tradire la fiducia…”
“A essere sincera, no. Non intendevo alludere a nulla, anche se sono al corrente di quello che hai fatto a Remus. Lo hai messo in una situazione quanto meno imbarazzante.”
L’uomo alzò le sopracciglia. “Imbarazzante?”
“Beh, andare a raccontare in giro che a quattordici anni era ancora tutto perfettamente levigato come l’altissima fronte di Kingsley…”
Vide il cugino trattenere un sorriso, perso in ricordi che gli davano un’espressione nostalgica. “Lo sai come ho fatto a vederlo nudo? È stato dopo la prima luna piena che abbiamo passato assieme. I vestiti se li era giocati durante la trasformazione… Ma senza la presenza di noi tre, non ti illudere, non te lo troverai davanti coperto solo dalla luce dell’alba, ma da…” fece una pausa, assumendo un’espressione greve. “Da morsi, tagli, sangue.”
Tonks annicchilì, mordendosi forte il labbro. No, non avrebbe ceduto! “Puoi raccontarmi quello che ti pare, ma non ti dirò dov’è.”
Sirius fece una lunga pausa e quando si decise a parlare di nuovo lo fece con profonda rassegnazione. “D’accordo. Giurami solo che l’idea di tenerci alla larga è stata di Remus e solo sua.”
“Lo giuro.”
“Se lo dice Lunastorta, va bene. Lui ha sempre ragione e lo accetto. E visto che lo ami tanto stagli vicino quando tornerà in sé, ne avrà bisogno.
“Lo farò.”
L’uomo esitò, sorpreso. “Non protesti?”
“Hai ragione, la tua è un’esagerazione. Escludo nella maniera più assoluta che Lunastorta possa avere sempre ragione.”
“Non intendevo per quello…”
“Ho capito. Sei stupito?” lo sfidò, con orgoglio e senza il minimo imbarazzo.
“No. E’ chiaro che siete fatti per stare assieme. Due testoni così, che vengono etichettati dalla maggioranza delle persone come degli incapaci o malati che a fatica si reggono in piedi. Che devono condividere la piaga di una forma fisica molto confusa…”
“Ehi!” protestò.
“Avrei altre cose da dire, in merito.”
“Grazie, ma per oggi ho fatto il pieno di complimenti da parte tua.”
“Ti dirò solo una cosa, allora. Quando sarete ufficialmente una coppia felice, fa notare a Lunastorta che è stato tutto merito mio, perché se aspettavo che le cose si evolvessero, mettendo in mano la situazione interamente a due imbranati strambi e confusi come voi… allora forse mi perdonerà…”
Tonks non tergiversò, limitandosi a lanciargli contro il manico di scopa che teneva appoggiato alla parete, degradato all’ingrato compito di appendiabiti.
“O forse mi odierà ancora di più!” gemette, mentre veniva investito da un numero imprecisato di indumenti dai colori assurdi.



Remus stava lottando contro il senso di soffocamento che gli stringeva la gola. Rantolò, tentando di tirarsi sù, ma senza successo. Cercò allora di aprire gli occhi, il non vedere accresceva in lui l’angosciante sensazione di stare affogando.
Gli sembrò di aver avuto successo, che le sue palpebre fossero sollevate, ma il suo sguardo abbracciava solo uno sfondo nero e fumoso.
“E’ ancora buio?” mormorò, malgrado fosse convinto di essere solo. Il sentire il suono della propria voce, tornata ad essere quella di un uomo, lo rassicurava.
Una risposta gli giunse inaspettata. “No, Remus, c’è un bel po’ di luce che entra dalla finestra,” un sospiro preoccupato. “Non riesci a vedere?”
La voce di Tonks.
“No…”
Percepì uno spostamento d’aria davanti al viso in fiamme.
“Vedi la mia mano?”
“No.” Si lasciò sfuggire un gemito, mentre a fatica spostava una mano, premendosela sullo stomaco. Percepì il contatto con le medicature, stranamente morbide e delicate.
Alcune bende si sfaldarono sotto il suo palmo sudato.
“Come va lo stomaco?” gli chiese Tonks, accarezzandogli piano la fronte.
“Bene.”
Gli sembrò una risposta terribilmente stupida quando, pochi istanti dopo, dei volenti colpi di tosse lo scossero, inducendolo a pregare di riuscire a trattenersi dal vomitare su… su… dove Merlino di trovava? Era morbido, sembrava un letto.
Era chiaro che non era più nel magazzino abbandonato dove aveva atteso il sorgere della luna piena, ma in un posto accogliente e caldo.
Se solo fosse riuscito a vedere più chiaramente…
Una mano gli sollevò goffamente la testa e qualcosa di metallico premuto contro le labbra.
“No…” protestò debolmente, schiudendo così incautamente le labbra.
Lei approfittò della sua bocca aperta per cacciargli dentro quello che capì essere un cucchiaino.
“Caffè superzuccherato, te lo do un pochino per volta, così evito di versartelo addosso e aggiungere anche qualche ustione alla conta delle ferite.” La voce della donna di contrasse, mentre pronunciava l’ultima parola.
Era molto coraggiosa, sapeva di fare spavento dopo una notte di luna piena passata in gabbia. Eppure lei non era scappata via nauseata, ma l’aveva soccorso.
Tonks cercò di nuovo di farlo bere e lui reagì serrando le labbra, in una silenziosa supplica a essere lasciato in pace. Ma non desitette, continuando ad imboccarlo a forza, senza lasciarsi scoraggiare dalla scarsa collaborazione che stava mostrando.
Evidentemente sapeva quel che faceva, dato che man mano che il liquido caldo lo scaldava, la sua vista si faceva più chiara.
“Oh”, mormorò, quando finalmente gli riuscì di vedere le tendine con gli ippogrifi appese alla finestra.
“Adesso ci vedi, vero?” disse Tonks soddisfatta, distraendosi quel tanto che bastava per cacciargli il cucchiaio in un occhio.
“Ebbene sì, per una attimo, ho visto,” gemette, sforzandosi di non ridere. Non ne aveva la forza.
“Oh! Scuuusa!” si piegò su di lui, baciandogli l’occhio leso con tenerezza.
“La storia del caffè non è merito mio,” spiegò, tornando a sedersi sulla sedia messa di sbieco a ridosso del letto. “C’è stato un periodo buio nella mia vita, in cui mia madre, istigata da una mia insegnante Babbana sadica e odiosa, mi aveva iscritta a un corso di danza per migliorare la mia coordinazione. Umh… mi sono sfracassata tante di quelle volte con conseguenti crolli di pressione, che ad ogni lezione trangugiavo litri di caffè… mia mamma ci ha rinunciato, alla fine. Con tutta quella caffeina in corpo diventavo davvero insopportabile… insomma, persino di più di quanto non lo sono di solito.”
Rise, tornando ad accarezzargli la fronte. “Ma senti come scotti…”
Il suo sguardo e i suoi gesti erano colmi di premura, affetto e nient’altro. Niente pietà, niente ribrezzo.
“Grazie,” le sussurrò piano. “Grazie, grazie, grazie”, continuò a ripeterle mentalmente, perché gli mancava la forza di parlare ancora, ma non quella di esserle grato.
Ora che la nausea lo aveva abbandonato e aveva la mente lucida, il dolore per le ferite iniziava imporsi con violenza alla sua attenzione. Non poteva fare altro che stringere i denti e aspettare che passasse, facendosi cullare dalla piacevole sensazione di avere vicino qualcuno ad accudirlo. Non un “qualcuno” qualsiasi, obbligato a stargli accanto per senso del dovere, o perché era il suo lavoro, ma Tonks.



Un uomo e una donna. L’uomo lo reggeva mentre lei gli bagnava le ferite con qualcosa di tremendo, che le faceva schiumare. Percepiva la febbre infuriare dentro di lui, il male che sentiva era così forte da sconvolgergli lo stomaco. Tentò, senza che gli venisse permesso, di raggomitolarsi su se stesso. Era da una vita che si ritrovava, una volta la mese, in quella situazione, ormai avrebbe dovuto esserci abituato… Ma non era così, anzi, era sempre peggio. Un giorno o l’altro il suo corpo avrebbe ceduto del tutto, se ne rendeva conto. Solo durante il periodo passato da lupo libero nel branco di Greyback non aveva sofferto per il plenilunio.
“Ora lo lasci, signor Tonks. Aiuti sua figlia a prendere altre coperte, sente come trema? Arde di febbre.”
Attraverso le ciglia bagnate dalle lacrime vide un uomo biondo allontanarsi assieme a una giovane dai capelli rosa spento. La donna che gli era rimasta accanto prese a rimboccargli le lenzuola con gesti pratici, da persona esperta.
Tenere gli occhi aperti gli divenne troppo gravoso, così si lasciò andare, abbandonandosi sul cuscino spiacevolmente caldo, le palpebre abbassate.
La donna, ne era certo, lo credeva ormai assopito quando mormorò a mezza voce: “Eccola, la causa di tutto. Lei e sua madre. Il motivo per cui quel povero ragazzo verrà venduto a quel mostro abominevoli di Tu-S…”
Non finì la frase e Remus, con uno sforzo considerevole, riuscì a schiudere di nuovo gli occhi. Un’altra donna era entrata nella stanza, spingendo la sconosciuta a tacere. Aveva i capelli rossi e… ma non erano riferite a lei le parole che aveva sentito pronunciare con odio e paura. La sconosciuta stava fissando Ninfadora Tonks.



Remus si destò, scosso dai brividi. Era stato il dolore a svegliarlo, qualcuno gli stava cambiando le bende.
“Tonks?” chiamò, la voce ridotta a un soffio.
“Sono Lily, Remus.”
Si girò, cercando il suo viso. Era seduta accanto a lui, pallida ma risoluta, lo sguardo dolente.
Si sforzò di sorridergli, ma era chiaro che non era un sorriso sincero, sembrava così triste che Remus si sentì in colpa.
“Dov’è Tonks?”
“L’ho allontanata con una scusa… come del resto ha fatto l’infermiera Babbana della signora Paciock. E’ stata lei a mostrarmi come fare a medicarti. Gli incantesimi non possono nulla contro le tue ferite, ma la medicina Babbana sì, per questo Tonks ha chiamato me e suo padre. A lei l’infermiera si è rifiutata di mostrare come medicarti dopo che ti ha quasi infilzato nel tentativo di tagliare una benda.”
L’infermiera della signora Paciock? Dunque era lei… infatti le era parso di averla già vista… era quella che aveva accompagnato la nonna di Neville alla stazione, che mentre gli rimboccava le coperte aveva detto qualcosa di spiacevole su Tonks, su un ragazzo… qualcosa… non ricordava bene.
Una spasmo improvviso gli strappò un lamento e Lily si piegò preoccupata su di lui, gli occhi lucidi e l’aria profondamente dispiaciuta. “Oh, Remus…”
“Va via, Lily”, mormorò, pentendosi subito per le parole brusche.
“Come?”
Cercò di prendere fiato. Il suo respiro era rapido e superficiale, e l’affanno gli rendeva difficile il riuscire ad esprimersi.
“Va via, ti prego.”
“Remus! Ti sto medicando! Smettila di fare il bambino, non è da te”, lo rimproverò con lo stesso tono di voce con cui si rivolgeva alla piccola Daisy.
“Non è necessario,” le rispose gentilmente. “Scusami.” Esalò un lungo sospiro, affondando il viso nel cuscino e nascondendo la guancia rimasta scoperta con una mano bendata.
“Se non lo faccio io, lo farà Tonks… vuoi correre questo rischio?” le sfuggì una risatina nervosa. “Lei, poverina, ci prova, ma… fa solo disastri!” si morse il labbro come pentita per quello che aveva detto. “Non mi piace parlar male di lei, è tanto cara, ma in alcuni punti ti ha bendato con dei fazzoletti di carta! Non so come le sia venuto in mente…”
“Non m’importa.”
“Dovrebbe, invece. Intanto non sono sterilizzati…”
“Lily…” scelse con cura le parole. Si sentiva terribilmente in colpa per essersi deciso a tediarla esternandole i suoi patetici sentimenti, e sperò che non prendesse le sue parole come un’accusa. Lily era sempre stata così buona con lui… Ma stava troppo male per tacere. “Lo vedo come mi guardi. Ti faccio pena. Il tuo sguardo… mi fa stare molto più male di un paio di innocui fazzoletti di carta. Tonks non prova pietà per me. Ti prego, lasciami solo. Ho trascorso da solo la maggior parte delle convalescenze da luna piena della mia vita, una in più non mi ucciderà.”
Tonks irruppe nella stanza proprio in quel momento, rovesciando sul pavimento il contenuto della busta che teneva tra le braccia.
Non se ne curò minimamente.
“Remus! Ti sei svegliato!” si accucciò davanti al letto. “Mi spiace se ho chiamato papà e Lily, ma ho avuto paura… la febbre continuava a salirti, e tu ti lamentavi, stavi tanto male!” serrò le labbra, senza staccare lo sguardo da lui, come persa nella contemplazione del suo viso. Poi, lentamente, alzò un braccio e gli sfiorò una guancia con il dorso della mano. “Oh… guarda che occhioni grandi ti sono venuti.”
Era un tale sollievo averla di nuovo accanto, che sentì gli occhi inumidirsi e un sorriso di gioia tendergli le labbra spaccate.
“Non fa niente, Ninfadora,” allargò il sorriso, non riuscendo a trattenere una debole risatina che peggiorò il suo affanno. “E non mi sono venuti gli occhioni, sono solo dimagrito un pochino, è normale.”
“Normale?” chiese lei, poco convinta.
“Sì, Ninfadora. Mi succede sempre dopo il plenilunio.”
La donna sembrò innervosirsi, come se fino a quel momento si fosse persa qualcosa di importante, accantonato dalla preoccupazione per le sue condizioni, ma ora... “Aspetta, aspetta, cosa hai detto?”
“Mmm?”
“Ripetilo se ne hai il coraggio!”
“Cosa, Ninfadora?” chiese, confuso. Anche se in fondo in fondo lo sapeva cosa l’aveva infastidita, come sapeva di stare usando quella parola di proposito.
Tonks si alzò e con fare minaccioso gli tirò indietro le coperte, prendendo ad osservargli con profonda concentrazione il petto, le spalle, le gambe.
“Ninfadora? Che stai fac…”
“Zitto, ti conviene non distrarmi. Cerco un punto in cui non hai piaghe per darti uno sberlone. Quante volte ti devo dire di non chiamarmi a quel modo!”
Lily scoppiò a ridere. “Bene, Remus, allora ti lascio alle amorevoli cure di Tonks. Sono certa che lei non avrà alcuna pietà di te”, disse assumendo un’aria minacciosa, ma pronunciando le parole con grande affetto.
“Puoi dirlo forte!” borbottò Tonks, senza voltarsi.
Lily abbandonò la stanza scuotendo la testa divertita, mentre la piccola, deliziosa Auror gli schiaffava una sberla sull’incolume fianco sinistro.
“Non chiamarmi mai più…”
“Ninfadora?”
Sciaff!











Eccomi di ritorno, un po’ in ritardo… tutta la parte del caffè e dei crolli di pressione da ferite si rifà alle mie esperienze dirette di lesioni. Non so nulla di medicina, ma ho una discreta esperienza diretta in botte, schiacciate, voli e tagli di varia natura.


Grazie a Lupinuccia e Evelyn_cla per le recensioni ^^

Lupinuccia -Bentornata ^^ mi sei mancata. Sono felice che anche questa mia fic ti piaccia. Remus è contento che pensi che lui sia figo. Tonks invece è decisamente gelosa ^^. Oh, beh, anche io adoro Remus ;-) Spero che il capitolo di piaccia.

Evelyn_cla -Grazie! Un po’ in ritardo, ma ho aggiornato ^^

Uh! Altri nuovi Preferiti/Seguite, grazie mille! E grazie anche a chi mi segue in silenzio ^^
Ciao
Fri
   
 
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