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Autore: rocchi68    02/08/2020    3 recensioni
Dawn era sempre stata una ragazza che, anche dinanzi alle difficoltà più disparate, affrontava il tutto con un sorriso e una dolcezza disarmante.
Una sera, però, si era ritrovata davanti a un’amara sorpresa.
Non aveva amiche, non aveva un posto in cui stare, era stata tradita dal proprio fidanzato nel momento di massimo splendore ed era frustrata da tutti quei fallimenti in rapida successione che potevano sancire la sua completa rovina.
Poteva spegnersi, cercare una scappatoia per la felicità oppure chiedere un ultimo disperato consiglio all’unica persona che mai l’aveva abbandonata.
Sempre che quest’ultimo fosse d’accordo…
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dawn, Duncan, Scott, Zoey | Coppie: Duncan/Gwen
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
Capitoli:
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Quella mattina si era svegliato carico d’energia.
Si era alzato, aveva aperto la finestra e poi era filato a fare colazione. Sul tavolo, allineate in riga, vi erano tre fette biscottate e l’immancabile marmellata di arance che aveva ricevuto dai suoi genitori prima di lasciare la fattoria. Gli pareva che fosse una confettura naturale di una qualche amica di sua madre che, per contraccambiare gli innumerevoli favori, regalava i suoi vasetti in giro.
In sottofondo si poteva sentire la caffettiera che rumoreggiava e che in pochi secondi avrebbe riempito la tazzina di un caffè nero e amaro. Il tavolo, apparecchiato per una sola persona, gli pareva più rassicurante rispetto ai primi giorni di tristezza e di vuoto.
Non aveva ancora dimenticato Dawn e il suo sorriso, ma ora poteva conviverci senza essere costantemente vittima del rimorso. Nel suo cuore si sentiva ancora colpevole, ma in quelle due settimane scarse qualcosa era cambiato.
Sul piano lavorativo tutto procedeva bene: avevano già iniziato a impacchettare e a portare alcuni scatoloni nel magazzino che Chef aveva affittato per evitare agli operai di ficcanasare durante il restauro.
Avrebbero potuto tenere un inventario dettagliato nel pc, ma Chef temeva comunque che la ditta da lui assoldata si portasse via qualche souvenir del locale.
Per questo aveva chiesto, in quella settimana, di avere più uomini possibili a disposizione: così facendo i camerieri e Scott avrebbero avuto modo di sistemare tutto con calma e non sarebbero stati presi dalla frenesia di fare tutto con i minuti contati.
In sala Duncan e Mal avevano continuato a servire i pochi clienti presenti, salvo poi accucciarsi e recuperare quelle bottiglie ancora intatte che non sarebbero state utilizzate nel mese seguente.
Con molti meno universitari in giro, gli ingredienti per gli spritz diventavano ingombranti e fastidiosi, così come il whisky e il rum che erano sfruttati raramente.
Il rosso, nel sorseggiare il caffè, si sentì pervaso da una sensazione d’immane tristezza. In quelle giornate spesso piombava all’improvviso e senza motivo apparente nella depressione, sentendosi un fallimento su tutta la linea.
Nel guardare la sua storia forse era davvero così. Aveva provato a stare vicino alla sua famiglia, ma la vita in campagna non si conciliava con il suo carattere e le sue aspettative. Aveva tentato con l’Università, ma era stato un buco nell’acqua. E in ultima aveva perso anche Dawn, troppo impegnata a fare gli occhi dolci a Mike per accettare le sue scuse.
Era in questi momenti che credeva d’essere inutile e di non aver più nulla da dimostrare a nessuno.
Chiunque aveva qualcuno da stringere e su cui fare affidamento, mentre lui doveva girarsi e illudere gli altri che tutto andasse bene e che non gli pesasse l’orribile maltrattamento perpetrato ai danni di Dawn.
Solo pensare a lei e tutto diventava inconsistente. I richiami dei clienti insoddisfatti dai suoi cocktail, i suoi ultimi ritardi, le occhiatacce e le imprecazioni rivolte ai suoi colleghi erano stupidaggini che gli scivolavano addosso. Eppure quella mattina si sentiva diverso ed era riuscito a sorridere. Consumò in gran fretta la sua colazione e uscì, nonostante avesse ancora una buona mezzora di tempo prima di partire.
Di solito non si sarebbe intrattenuto a perdere tempo con qualche condomino, ma per quell’unica volta si ritrovò a scambiare qualche battuta con uno del 4° piano. Si dibatteva ancora dell’ascensore da riparare e del tetto che mostrava alcuni problemi d’infiltrazione.
Erano argomenti che Scott aveva sempre evitato, ma che in quella mattinata avevano incontrato il suo interesse. Scesi i gradini e avviatosi verso il centro, si fermò a prendere le sigarette e osservò le vetrine che iniziavano ad esporre capi primaverili.
Erano molte le magliette e le scarpe che erano finite sotto il suo sguardo vigile, anche se in quei giorni si era reso conto che, in tutto il suo abbigliamento, il portafoglio era rimasto lo stesso.
“Mi servirebbe molto.” Borbottò, appoggiando le mani sul vetro.
Se non avesse avuto i minuti contati e non fosse stato di fretta, quello sarebbe stato il secondo regalo che avrebbe preteso più di tutti.
Il primo era ovviamente la totale riconciliazione con la sua coscienza.
“Pazienza.” Sbuffò, riprendendo la strada più rapida per raggiungere il locale.
 
Varcata la soglia e presentati i croissant ai suoi colleghi, si fermò nell’ufficio di Chef per consegnargli un bombolone alla crema.
Come sempre era oberato di lavoro e si destreggiava tra scartoffie e telefonate che gli facevano perdere il filo dei suoi pensieri.
Scott non avrebbe mai voluto un ruolo con così tante responsabilità che, a suo avviso, avevano trasformato il carattere del capo. Credeva che quel suo comportamento inflessibile e rigido fosse dovuto allo stress accumulato e alle delusioni che gravavano sulle sue spalle.
Forse anche lui era un fallito. Aveva gettato anima e corpo sul lavoro d’imprenditore, ma aveva tralasciato tutto il resto.
Chef Hatchet, se a qualcuno fosse importato, era divorziato con un figlio che non vedeva dall’ultimo Natale.
Era sempre presente nei suoi pensieri, ma gli affari erano il cancro del mondo e l’avevano allontanato da ciò che aveva faticosamente costruito.
Quando aveva aperto il Pahkitew, si era illuso che nulla potesse cambiarlo e che sarebbe sempre rimasto lo stesso. Quando aveva capito che gli innumerevoli extra erano utili per concedersi una vacanza o un regalo, l’ingordigia era comparsa in lui. Ritornava raramente a casa e restava fermo per delle ore nel suo ufficio, incrementando il suo senso per gli affari, ma ammalandosi di un qualcosa che non conosceva pastiglie, tisane o pomate prodigiose.
La depressione post divorzio, poi, l’aveva annientato psicologicamente.
I suoi ex dipendenti erano pronti a giurare che perfino un diavolo come Chef avesse affrontato un pessimo periodo, facendo riaffiorare delle lacrime che raramente gli avevano rigato il volto.
Nel vederlo ora, sembrava sereno e inscalfibile.
Nemmeno una tempesta gli avrebbe fatto qualche graffio, anche se la parte più sanguinolenta era nel suo cuore.
Ogni giorno si sedeva sulla sua poltroncina, abbassava lo sguardo verso destra, laddove teneva anche una piccola lampada, e si asciugava gli occhi.
Prima di estrarre documenti e di firmare assegni, accarezzava la foto che ritraeva il figlio e l’ex, e si chiedeva come fosse stato possibile compiere un errore così madornale.
Non aveva mai tradito sua moglie, ma quelle poche volte che tornava a casa non facevano altro che litigare.
Aveva sempre toppato, ma non credeva che una data così importante, potesse essere fatale al loro rapporto. Lo strappo definitivo lo riscontrò solo quando rientrò in tarda serata e quando si rese conto che doveva essere presente al compleanno di suo figlio.
Una lunga serie di malumori e di ripicche segnarono le pratiche per il divorzio e Chef abbassò sempre la testa senza colpo ferire.
Anche quella mattina aveva sorriso a DJ e si era rimesso al lavoro.
Verso sera, prima di chiudere l’ufficio, avrebbe rivolto il medesimo saluto al ragazzo e alla sua ex.
Scott, non spaventato dalla sua indole, entrò nell’ufficio e si sedette difronte a lui, pazientando che mettesse giù la penna e che gli rivolgesse la parola.
“Hai bisogno di qualcosa Scott?”
“Nulla di particolare.”
“Se non hai niente perché sei qui?”
“Non lo so.”
“Vorrà dire che parleremo dei tuoi ultimi cocktail.” Borbottò intimidatorio, rivolgendogli uno sguardo rabbioso.
“Qualcosa non va?” Domandò il rosso, cercando di mantenersi calmo.
“Non ci girerò intorno, ma mi sembri piuttosto spento.”
“Io…”
“Ho fiducia in te, ma nelle ultime settimane i tuoi cocktail non sono così eccelsi.”
“Mi spiace.” Si scusò, incrociando lo sguardo del suo datore.
“Spero tu sappia fare di meglio.”
“Certo che sì.” Promise, facendo ridacchiare Chef.
“Se c’è qualcosa che ti turba, io sono qui.”
“Mi sembra evidente che qualcosa sia cambiato.” Sbuffò, annuendo all’intuizione del suo capo.
“Non ho ancora compilato la tua busta paga e un segreto con il proprio capo può rientrare nelle detrazioni fiscali.”
“È un ricatto.”
“No…voglio solo conoscere le ansie del mio miglior dipendente.”
“Sembra sia preoccupato per la mia vita.” Replicò il rosso, facendolo stringere nelle spalle.
“Ragazzo mio…tu e Duncan avete quasi la stessa età di mio figlio e non vorrei vedervi male.”
“Come?”
“So cosa significa essere giovani. Ti sembrerà strano, ma anch’io sono stato un ragazzo e non ti sto parlando di secoli fa. Ho commesso così tanti sbagli da far rabbrividire chiunque.”
“Dubito che lei abbia mai fatto una cazzata come la mia.” Ribatté Scott, dimenticandosi di quanto Chef soffrisse ancora per via del divorzio e degli alimenti da pagare ogni singolo mese alla sua ex.
“Non ti costringerò a parlarne, se non vuoi.” Replicò Chef, firmando un nuovo documento e restando in attesa.
“È troppo difficile spiegare cosa ho combinato.”
“E mi lasci così? Avrei bisogno di un motivo semmai dovessi licenziarti.” Gracchiò, gelando il dipendente che si era paralizzato.
“È una cosa privata.”
“Vorrei conoscere il motivo delle ultime perdite.” Commentò Chef, girando il pc verso il dipendente e mostrando un lieve ammanco.
“Non ho mai rubato in vita mia.”
“Un ammanco si può avere anche quando gli affari non girano nel migliore dei modi e si cerca di mascherare il problema. E anche se sono il capo, ciò non significa che io debba perdere la testa e il sonno per i vostri cocktail.” Ringhiò, abbassando la mano e recuperando da un cassetto della sua scrivania un foglio con stampate alcune recensioni negative.
Parte del veleno era da ricercare nella concorrenza sleale degli altri locali, ma alcune di quelle righe rispecchiavano le opinioni di clienti in carne e ossa.
E se sulla presenza di qualche scarafaggio sotto i tavoli o sul bagno cui mancava il sapone, era pronto a incolpare il gruppo dei McLean, sulla qualità di certe preparazioni o sulla cortesia dei camerieri non poteva metterci la mano sul fuoco.
“Non riesco a conquistare una ragazza.” Sbuffò il rosso, semplificando di molto il suo problema.
“È una delle tue solite balle.” Lo annichilì l’uomo.
“Magari lo fosse.”
“Potrei capire quell’idiota di Duncan, ma tu non hai di questi problemi.”
“Se le spiego tutta la storia, facciamo notte.” Borbottò il rosso, cercando di rialzarsi, ma ritrovandosi bloccato da una mano che l’aveva afferrato per il braccio.
“Considera questo giorno come già stipendiato.”
“Hm?”
“Hai il permesso di restare qui e di parlarmi del tuo vero problema.” Sbuffò Chef, sottolineando con veemenza l’ultima parte.
Incrociato lo sguardo del ragazzo, raccolse i documenti che stava esaminando e li ripose in uno dei cassetti della sua scrivania. Nascosto anche il timbro che usava di solito e la penna stilografica che aveva ricevuto in regalo da Ezekiel, richiuse il portatile e fissò il dipendente con estrema curiosità.
“Sicuro?”
“Consideralo come il mio regalo di compleanno.” Minimizzò, scrollando le spalle.
“Con Duncan non l’ha mai fatto.”
“Fino a quando Duncan farà una qualche cazzata, non avrò motivo di essere così magnanimo.” Spiegò, recuperando dalla giacca, che aveva appoggiato dietro la poltroncina, una scatola con alcuni sigari cubani ricevuti da un ex dipendente.
“Ne vuoi uno?” Chiese, appoggiando i cinque rimanenti sopra il tavolo.
“Resto fedele alle mie sigarette.”
“Dicono che il sigaro faccia meno male.” Soffiò Chef, afferrando l’accendino che, da quasi sette anni, era diventato una buona compagnia.
“Con quello che ho passato, finirò con il morire giovane.” Ridacchiò Scott, contagiando anche il suo capo che annuì appena.
“Ne fumi tante?”
“Qualche tempo fa ero ridotto a due in tutta la giornata, ma oggi un pacchetto mi è anche poco.” Ammise, stringendo il pacchetto ormai quasi vuoto e sentendosi fortunato per essersi fermato a comprarne un altro da venti.
“Non è una cosa molto positiva.”
“Se vivessi ancora con i miei, allora sarebbe mia madre a tenermi in riga.” Tossicchiò, perdendosi a fissare il soffitto che mostrava alcuni segni d’incrostazione ben evidenti.
“Raccontami qualcosa che non so.” Lo esortò Chef, facendolo sorridere.
“Lei conosce la mia fidanzata.”
“Intendi Courtney?”
“Deve sapere che sono finito a letto con un’altra, ma ero convinto di riconquistare Courtney e di poter sistemare le nostre divergenze.”
“Ti sei sbagliato?” Domandò Chef, dando una lieve scrollata al sigaro.
“Mi sono accorto in ritardo del mio sbaglio e Dawn non ne vuole più sapere di me.”
“Capisco…”
“Ho provato a parlarle, ma le offese con cui l’ho allontanata sono troppo pesanti perché siano dimenticate.” Ammise, dandosi nuovamente dello stupido per quell’azione sconsiderata.
“Ascolta Scott, ti parlo solo perché ho provato sulla mia pelle cosa significa perdere la donna della propria vita, ma se ci tieni a lei, devi saperla conquistare.”
“Non ho intenzione di arrendermi.” Ammise, facendo ghignare Chef.
“Se non conoscessi bene le donne, ti direi che potrebbe anche fare una qualche pazzia.”
“Magari.” Commentò, sedendosi meglio.
“Una ragazza infuriata può ragionare in un modo che nemmeno t’immagini.” Soffiò, riprendendo i suoi documenti e allungandoli verso il suo dipendente.
“Sarebbe un sogno, ma la vedo dura.”
“A proposito di sognare, cosa ne dici se t’insegno qualcosa su come diventare imprenditore?” Domandò Chef, recuperando un piccolo libricino che, anni fa, gli era tornato molto utile per aprire il Pahkitew.
“Io…”
“Non pretendo che tu possa rilevare il locale quando sarò vecchio e non avrò più le forze, ma queste nozioni potrebbero esserti utili.”
“Oltre a quelle che già so?”
“Il regolamento che vi ho dato al momento dell’assunzione è solo una goccia in un mare di norme e leggi che complicano la nostra esistenza.” Replicò, studiando il contenuto di una direttiva che conteneva un codice penale da lui poco conosciuto.
“Davvero?”
“Se t’immergi in questo mondo, devi sapere che ci sono regole sulla salute, sugli stipendi, sulla rumorosità dei locali e perfino sul controllo dell’immondizia. Quando vi rimprovero per la raccolta differenziata o vi chiedo di pulire i bagni è solo perché i controlli potrebbero farmi chiudere e così vi ritrovereste tutti a spasso.” Spiegò, assumendo il tono più serio di cui era capace.
“Io…”
“Molti dei miei colleghi, i Gerry&Pete ad esempio, hanno pagato multe che toccavano anche i 1000 dollari per non aver rispettato alcune direttive regionali o statali.”
“E lei?”
“Solo quando ero agli inizi, ho avuto modo d’imprecare contro il governo e la loro mania di scucirmi 400 dollari senza motivo.”
“Invece?” Chiese Scott, incuriosito da quei discorsi che fino a quel giorno non l’avevano mai toccato da vicino.
Per carità il Pahkitew era, in sostanza, la sua seconda casa e avrebbe dovuto preoccuparsi per le rogne di Chef, ma proprio non ci riusciva. Era convinto che il suo capo sapesse cosa faceva e pertanto non aveva motivo di affliggersi in quel modo.
“Un amico mi ha chiesto se pagavo per l’insegna e allora ho collegato le cose.”
“È stato fortunato.”
“La fortuna e gli affari non sempre vanno d’accordo, Scott.” Sospirò, timbrando su un foglio che sarebbe diventato ufficiale solo verso il periodo invernale.
“Ho sempre creduto il contrario.”
“La fortuna non compare all’improvviso, ma va conquistata. È come una bella donna, se non ti comporti da gentiluomo e non la corteggi, lei non ti darà mai il suo numero e non riuscirai a portarla fuori a cena una seconda volta.”
“Credo abbia ragione.” Annuì, concentrandosi sui fogli che Chef gli aveva passato e accorgendosi dei termini del nuovo contratto telefonico che avevano stipulato.
 
Solo verso le 15 era riuscito a defilarsi dal Pahkitew.
Aveva così il tempo materiale per passare in pasticceria, prendere la torta che aveva ordinato e sistemare l’appartamento in attesa che arrivassero i suoi amici.
Riempito il salotto con palloncini, snack salati di ogni tipo e bevande frizzanti, era andato a farsi una doccia.
Da quel che aveva sentito nel locale, sembravano tutti elettrizzati di chiudere prima del previsto.
Perfino Chef aveva promesso di presentarsi per una fetta di dolce e, allo stesso modo, Duncan aveva garantito sulla presenza di Zanna.
Non sarebbe stato un qualcosa di troppo grande.
Conteggiati i suoi colleghi e gli amici di una vita, poteva disporre tranquillamente di una decina di posti a sedere.
In tutto questo Chef aveva promesso di defilarsi un po’ prima per incontrare un suo conoscente e Zanna aveva un appuntamento della massima importanza.
Gwen aveva affermato che l’ex nemesi di Scott aveva una leggera infatuazione per una sua compagna di corso e che spesso s’incontravano in biblioteca per discutere delle varie lezioni di chimica.
I più informati erano dell’idea che se Zanna aveva iniziato a frequentare con più costanza le lezioni, era solo per incontrare e salutare una mora di loro conoscenza.
Sedutosi tranquillo a guardare la televisione, si rialzò dal divano solo quando mancavano pochi minuti alle 17.
I primi ad arrivare furono Mike, Zoey e Gwen. Per quanto si sforzasse di notare se c’era qualcun altro in loro compagnia, era evidente che quella speranza era destinata a rimanere tale.
Dawn non sarebbe mai passata a fargli gli auguri.
Abbozzando un lieve sorriso con cui accogliere i suoi ospiti, prese il cellulare ancora in carica e verificò se qualcuno gli avesse mandato un semplice messaggio.
Escluso quelli provenienti dalla sua famiglia e quelli di alcuni suoi ex compagni di liceo, non c’era nessun altro che avesse speso alcuni secondi per migliorargli la giornata.
“Hai fatto le cose in grande, Scott.” Commentò Mike, facendolo sorridere.
“Già.”
“Scott…io e Gwen abbiamo provato a convincere Dawn a presentarsi, ma non riesce ancora a perdonarti.”
“Lo sospettavo.” Soffiò, abbracciandole e ringraziandole comunque per i loro sforzi.
“Che cosa dobbiamo fare Scott?” Tentò la dark, mentre Mike prendeva posto sul divano.
“Voi avete fatto anche troppo.”
“Vuoi arrenderti così?”
“Devo impegnarmi anch’io, se voglio avere una seconda possibilità, Zoey.” Borbottò il rosso, afferrando un bicchiere contenente della Gassosa.
“Sai bene quanto sia testarda.” Replicò Gwen.
“Non credevo che la mia Dawn potesse odiarmi in questo modo.” Ammise, aprendo nuovamente la porta e facendo entrare i ritardatari.
In prima fila Duncan aveva tra le mani una bottiglia di Spumante e subito dietro tutti gli altri.
A chiudere il tutto la presenza minacciosa di Chef che stava squadrando la casa del suo dipendente e lo sguardo indecifrabile di Zanna.
Così come avevano fantasticato spesso negli anni passati, Scott e il punk poterono leggere la loro reazione che terminò con una rapida stretta di mano.
Quella che il rosso aveva organizzato era una semplice festa di compleanno.
Non c’era nulla di trascendentale o indimenticabile in quei calici alzati per un brindisi e in quelle candeline spente con un semplice soffio. Gli avevano chiesto d’esaudire un desiderio e di tenerlo segreto se voleva che si esaudisse. Sia che lo urlasse ai 4 venti, sia che rimanesse fedele allo sguardo severo di Zoey , lui aveva inteso che il buonumore con cui si era svegliato quella mattina era un qualcosa di assurdo e irrealizzabile. Era evidente che fosse scattato dal letto, conteggiando i minuti che lo separavano dalle 17, solo perché convinto che Dawn partecipasse.
Gli era bastato così poco per dare un significato a quella giornata che, fino a quel momento, era stata l’ennesimo fallimento.
“Che dite se andiamo al parco per assistere ai fuochi?” Propose Duncan, ridestandolo dai suoi pensieri e facendolo sussultare.
“Perché no? Tu vieni Scott?” Gli chiese Mike, facendolo riflettere.
“Non so.”
“Non hai mai nulla da fare e, quindi, perché tirare pacco?” Lo punzecchiò Gwen, facendolo sospirare pesantemente.
“E va bene.” Soffiò, mentre tutti uscivano e lui recuperava il giubbotto.
 
Usciti all’esterno e, incontrati i rimproveri della solita acida guastafeste Beth, buona parte degli invitati era già andata via.
Alcuni avevano altri impegni, altri dovevano tornare a casa per darsi una sistemata e uno di loro, dopo una capatina dagli amici di sempre, sarebbe tornato, illuminato solo dai lampioni, al Pahkitew per sistemare alcuni documenti rimasti indietro.
Nonostante tutto il denaro continuava a essere il suo interesse numero uno.
Poteva odiarlo e rimanerne schifato, ma proprio non riusciva a mantenersi freddo nei suoi confronti.
Durante la breve passeggiata Scott era rimasto indietro, stretto nel suo giubbotto a fissare Zoey e Gwen che confabulavano con Mike e Duncan.
Alla fin fine si era ridotto a uscire con i suoi migliori amici, sentendosi come il terzo incomodo.
Cosa ci faceva in mezzo a quelle due coppie se era sempre indietro e non poteva avvicinarsi?
Quando aveva accettato di uscire, credeva di essere preso in maggiore considerazione e invece li stava accompagnando come un fedele cagnolino. Solo per vedere qualche stupido fuoco che sarebbe finito con l’annoiarlo e che non avrebbe migliorato quella giornata.
“Verrai anche tu alla gita?” Gli domandò Duncan a un certo punto, alzando la voce e girandosi a guardarlo per un breve istante.
“Quale gita?”
“Quando Chef chiuderà il Pahkitew per le riparazioni, avevamo pensato di passare un week-end in montagna.” Ammise il punk, facendolo riflettere.
“Non sarebbe una brutta idea.”
“Ma?”
“Ma non credo possa divertirmi, Zoey.”
“E se ti dicessimo che Dawn ha intenzione di venire?” Tentò Mike, facendolo sospirare.
Scott conosceva quel vecchio trucco.
Se Dawn era effettivamente interessata a Mike, lei avrebbe partecipato solo per farlo sentire uno schifo e per flirtare con il moro. Anche in montagna, passeggiando tra i sentieri, si sarebbe sentito il terzo incomodo e la cosa non gli avrebbe fatto piacere.
D’altro canto poteva almeno rivederla e scambiarci qualche parola.
“Non ho nulla di meglio da fare.” Gracchiò, mentre gli altri si fermavano davanti a una panchina e alzavano gli occhi al cielo.
Lo spettacolo, da quel che ne sapeva, era appena cominciato, anche se non gli sembrava che fosse chissà cosa.
Per un po’ sperò di scrollarsi di dosso quella sensazione, ma dopo 15 minuti, impalato e con il naso all’insù, iniziò a sentirsi dannatamente fuoriposto. Gli altri erano in perfetta sintonia, mentre lui non riusciva a star bene nemmeno con sé stesso.
Aspettò ancora. Sperava che quella sensazione svanisse o si rimpicciolisse, ma con il passare dei secondi si era come amplificata.
Mike e Duncan con le rispettive metà non erano le uniche coppiette o presunte tali presenti in quella fredda serata. Non era poi molto strano che Scott cercasse una scusa valida con cui defilarsi da quel campo.
I fuochi d’artificio, per occhi pieni di gioia, erano di uno spettacolo indescrivibile, ma per lui che aveva la rabbia nel cuore, erano di una noia assoluta.
Era stato sufficiente avvertire Duncan, che gli rispose con un grugnito, per interrompere quella nottata intensa e stancante. Uscito dal parco, si strinse nel giubbotto primaverile e abbassò lo sguardo.
Illuminato dalle luci dei lampioni, sembrava uno dei tanti vagabondi che cercava disperatamente la via della stazione per coprirsi dal freddo pungente.
Il suo sguardo ferito non era comunque intenzionato a guarire con quella festa a sorpresa. Era grato per le risate che gli erano sfuggite senza controllo ed era felice che Zanna e Chef avessero partecipato, anche se la sua tristezza aveva sempre preso il sopravvento.
Con il nodo in gola e con un terribile mal di testa si fermò per qualche istante a fissare la Luna disturbata dai bagliori dei fuochi. Una figura si avvicinò, correndo, mentre lui afferrava il pacchetto e si accendeva una delle ultime sigarette che gli erano rimaste.
Inutile sforzarsi di sorridere e di ringraziare per quella pensata, se era vinto da una tristezza assillante e opprimente.
E quel scricchiolio si allontanò ancora.
Quella che correva aveva già il suo amore.
“Che bel compleanno.” Commentò, ripercorrendo la strada che l’avrebbe condotto verso il suo appartamento.
La sigaretta che stringeva tra le labbra continuava a placare parte del suo rimorso, anche se non sapeva per quanto.
Sentiva chiaramente che il suo corpo si stava ammalando sempre più.
Era già cominciata la primavera, ma nell’anima sentiva ancora l’inverno pungente e gelido. Era orribile sprecare una serata così bella nel piangersi addosso per uno sbaglio commesso di sproposito.
Perfino Courtney gli aveva mandato un messaggio d’auguri da Parigi, segno che era ancora nei suoi pensieri e che non avevano sbagliato a dividersi. L’aveva ringraziata di cuore per quel pensiero e aveva ricevuto una foto che la mostrava felice con il resto della band, stretta al braccio di Trent, proprio sotto la Tour Eiffel.
Perso nei suoi pensieri, Scott era giunto al parcheggio condominiale e aveva rialzato lo sguardo smarrito.
Illuminata dai lampioni, una figura stava appoggiata alla sua auto e subito il rosso si avvicinò per farle notare che se voleva un posto in cui stare tranquilla, qualche panchina del parco sarebbe stata perfetta al suo scopo.
Prima di riuscire a rimproverarla, però, quella persona si era staccata e gli era andata incontro.
 






Angolo autore:

Ryuk: Il compleanno di Scott.

Io odio i compleanni...compreso il mio.
Preferirei ibernarmi per un giorno intero piuttosto di dover ringraziare per degli auguri di qualcuno che mi rivolge la parola per cinque minuti in tutto l'anno.

Ryuk: Sei l'unico stramboide.

Calma shinigami: nemmeno Scott ama il suo compleanno e, quindi, punto per l'unico e superbo rocchi.

Ryuk: Chi si loda, si sbroda.

Non posso nemmeno concedermi il lusso di un qualche complimento che mi rimandi nell'oblio.
Maledetto shinigami.

Ryuk: Piccolo spoiler...tra un po' ci sarà un bel background.

Bello...non esageriamo.
Sarà bello solo se i nostri lettori lo reputeranno tale.
Detto questo vi saluto e vi auguro una buona settimana.
A mercoledì
 
   
 
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