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Autore: LazySoul    06/08/2020    2 recensioni
Trama:
Diana ha 17 anni, è la secondogenita dell'Alpha ed è trattata da tutti come una bambina.
Nel tentativo di dimostrare di essere grande abbastanza per combattere e difendersi da sola, chiederà aiuto alla persona che più la confonde, suscitando in lei sentimenti contrastanti, Xavier O'Bryen.
Tra uno spasimante indesiderato, una migliore amica adorabilmente pazza e un assassino in circolazione, riuscirà Diana ad accettare i sentimenti che prova per Xavier?
Estratto:
«Sei giovane, ancora non hai imparato che spesso gli odori celano delle emozioni», spiegò, appoggiandosi al materasso con le mani e avvicinando il viso pericolosamente al mio: «E sai cosa mi sta urlando il tuo odore in questo preciso istante?», mi chiese, anche se era palese che non si aspettasse una risposta.
«Prendimi», sussurrò ad un soffio dalle mie labbra.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Riassunto del capitolo precedente: Diana nota suo padre e Xavier parlare in gran segreto durante la festa del Plenilunio, ma per paura di rovinare la serata decide di non assillare Xavier di domande. Diana dice a Xavier che vuole essere la sua ragazza e lui le dice che l'ama. Scoprono di avere entrambi inesistenti esperienze sessuali e decidono di esplorare il lato fisico della loro relazione.

Buona lettura!





 

Capitolo XXII: Via lontano, lontano

 

 

Quando mi svegliai, rimasi per qualche secondo con gli occhi chiusi, godendomi la sensazione di trovarmi tra le braccia di Xavier, avvolta dal suo profumo.

Percepivo un dolce indolenzimento in tutto il corpo, che mi fece ripensare alla sera prima.

Non riuscii a trattenermi dal sorridere ampiamente.

Quando riaprii gli occhi notai subito gli abiti abbandonati sul pavimento della mansarda; la stanza era nella penombra, ma i pochi raggi di sole che filtravano dalle tapparelle erano abbastanza per permettermi di individuare facilmente la silhouette degli oggetti e gli ammassi informi di stoffa che si trovavano a pochi metri da me.

Avrei voluto girarmi e osservare Xavier, che mi abbracciava da dietro, per vedere il suo volto addormentato, ma avevo paura di svegliarlo, così decisi di rimanere immobile il più a lungo possibile.

Nello stato di dormiveglia in cui mi trovavo pensai ai pochi compiti che dovevo terminare nell'arco della giornata, mi chiesi se anche quel giorno avrei dovuto subire l'ennesima lezione d'educazione sessuale dai miei e ricordai lo stupido litigio che avevamo avuto la sera prima io e Xavier.

Fu in quel momento che mi ricordai di dover chiedere al più presto delle spiegazioni al mio ragazzo riguardo alla conversazione che aveva avuto con mio padre. 

La sera prima avevo deciso di non insistere per farmi dire cosa mi nascondesse, perché non volevo rovinare l'atmosfera, e lui sembrava che avesse evitato l'argomento per lo stesso identico motivo.

Cosa avrebbe potuto dirmi di così triste e serio da rovinare una serata quasi perfetta?

Cosa avrebbe potuto dire di così sconvolgente da oscurare la gioia che avevo provato quando mi aveva detto "Ti amo"?

Faceva male porsi domande simili, faceva male chiedersi cosa avrebbe potuto fare per rovinare tutto.

Presi un profondo respiro e mi mossi tra le sue braccia, così da trovarmi faccia a faccia con lui.

Xavier aveva la bocca aperta a formare una tenera "O", i capelli spettinati e il vistoso segno di un succhiotto sul collo.

Non potei fare a meno di sorridere, fiera, a quella vista.

Quello che avevo di fronte era il mio ragazzo, l'uomo con cui avevo condiviso la mia prima volta la sera prima, colui che mi aveva detto "Ti amo".

Allungai una mano, passandola tra le ciocche disordinate dei suoi capelli, per poi accarezzare la sua guancia, dove percepivo un leggero accenno di barba.

«Xavier?», lo chiamai con un filo di voce.

Aspettai qualche secondo, quando realizzai che doveva essere addormentato troppo profondamente per potermi sentire, sussurrai: «Ti amo».

Rimasi ferma immobile, con il fiato incastrato in gola a osservare il volto rilassato di Xavier, per quelli che mi parvero minuti interi, prima di rilassare la mia postura tesa e respirare di nuovo.

Non mi aveva sentito.

Provai a riaddormentarmi, tentando di lasciarmi cullare dal profumo di Xavier e dal suo respiro cadenzato, che mi ricordava le onde del mare e il loro moto continuo.

Dovetti effettivamente addormentarmi, perché quando riaprii gli occhi, Xavier era sveglio e mi abbagliava con uno dei suoi sorrisi adorabili: «'Giorno».

«Buongiorno», ricambiai il saluto, sporgendomi per premere le mie labbra contro le sue: «Dormito bene?»

«Sì, tu?», mi chiese, stringendo la presa intorno al mio corpo, così da avvicinarci ulteriormente.

«Ho dormito benissimo», lo rassicurai: «Sicuro di non esser stato disturbato dal mio parlare nel sonno, scalciare e cercare di impossessarmi della coperta?»

Xavier scoppiò a ridere, gettando il capo all'indietro: «Mi hai disturbato un paio di volte, ma niente di terribile... Da quello che ricordo parlavi di pizza o di qualcos'altro da mangiare».

Aggrottai le sopracciglia, leggermente in imbarazzo: «Effettivamente ho un po' fame», ammisi, sentendo chiaramente il mio stomaco brontolare.

«Direi allora di vestirci e scendere a scoprire cosa c'è per colazione oggi», mi disse, sollevandosi a sedere.

Scostai le coperte e soppesai le mie opzioni, chiedendomi se fosse meglio scendere con il vestito della sera prima o chiedere una maglia in prestito a Xavier da indossare. In entrambi i casi mi sarei cambiata appena avessi messo piene in camera.

Venni distratta dei miei pensieri quando il sedere nudo di Xavier mi passò a pochi passi di distanza, attirando la mia attenzione.

«Smettila di guardarmi», mi disse, prima di indossare un paio di boxer, celando la perfezione del suo fondoschiena.

«Scusa, è più forte di me», ammisi, portandomi le mani a coprirmi il viso: «Penso di avere un problema», aggiunsi, sospirando amaramente.

«Non abbatterti, penso sia normale», disse: «O almeno lo spero, perché anche io fatico a toglierti gli occhi di dosso al momento».

Scostai le mani dal viso, così da constatare che i suoi occhi erano effettivamente intenti a percorrere il mio corpo nudo, famelici.

Prima che potessi ribattere, percorse la poca distanza tra di noi, baciandomi con foga, mentre le sue mani, si appoggiavano sui miei seni nudi.

Il bacio durò pochi minuti, giusto il tempo di eccitare entrambi, prima che ci scostassimo.

«Non possiamo», gli dissi, pensando al fatto che in casa, essendo domenica, doveva esserci il resto della mia famiglia al completo; l'idea che potessero sentirci mi metteva particolarmente a disagio.

«Lo so, ma fatico a ragionare lucidamente al momento», ammise, mettendo preziosi passi tra i nostri corpi.

Appena sentii che le gambe mi avrebbero sorretto dopo il bacio da togliere il fiato di Xavier, raccolsi da terra il vestito di nonna che avevo indossato la sera prima e lo infilai, senza preoccuparmi di alzare la zip, così da poterlo togliere più in fretta una volta che avessi raggiunto camera mia e avessi avuto bisogno di cambiarmi.

«Ti va una passeggiata dopo la colazione? Per festeggiare la fine della tua reclusione», disse, indossando un paio di pantaloni scuri.

Annuii entusiasta all'idea, poi raccolsi da terra il mio reggiseno e le mutande, soppesando se fosse necessario indossarli per i pochi metri che mi separavano da camera mia.

Xavier mi premette un bacio alla tempia: «Ti copro io in caso dovesse arrivare qualcuno», mi disse, facendomi l'occhiolino.

Rassicurata dalle sue parole, aprii la porta della mansarda e scesi le scale con Xavier accanto.

Il breve tragitto tra le nostre due camere fu privo di avvenimenti o incontri e in pochi secondi riuscimmo a nasconderci oltre la porta della mia stanza.

Misi l'abito blu e l'intimo che avevo indossato la sera prima a lavare, per poi frugare nei miei cassetti alla ricerca di qualcosa da mettere.

Xavier intanto curiosava, osservando gli oggetti sulla mia scrivania.

Indossai un paio di mutande pulite, dei pantaloni della tuta grigi e una felpa.

Quando tornai a guardare cosa stesse facendo Xavier, mi resi conto che stringeva tra le mani il quaderno dove avevo elencato, nel corso degli anni, tutti i luoghi che avrei voluto visitare. 

Dovevo averlo lasciato in giro il giorno prima, invece di riporlo in fondo all'ultimo cassetto della scrivania, come facevo di solito. 

«Questo cos'è?», mi chiese, iniziando a sfogliare il quaderno con interesse.

Feci per levarglielo dalle mani, poi cambiai idea e pensai che condividere un segreto in più o uno in meno, non avrebbe fatto la differenza: «Sarà il mio itinerario di viaggio per quando partirò; ho segnato tutti i luoghi che vorrei visitare almeno una volta nella vita».

«Hai fatto un lavorone», disse: «Scommetto che le riviste di viaggi non sono così precise».

Rimanemmo in silenzio per qualche secondo, fui io a spezzarlo: «Ovviamente puoi aggiungere delle destinazioni, dato che non sarà più il mio viaggio, ma il nostro viaggio».

Xavier annuì, ma il sorriso che aveva avuto sulle labbra fino a poco prima era scomparso; all'improvviso sembrava distante, distratto.

«Tutto bene?», gli chiesi, appoggiando una mano sul suo braccio.

Quando gli occhi di Xavier si spostarono dal quaderno al mio volto, percepii nuovamente il groppo in gola della sera prima e la sensazione di essere sul punto di udire qualcosa che non avrei voluto. 

Xavier chiuse il quaderno e lo posò sulla scrivania alle sue spalle, poi si sedette sul mio letto, portandosi le mani a coprirsi il volto.

Rimasi immobile, gli occhi che seguivano ogni movimento del mio ragazzo e i piedi incollati saldamente al pavimento. 

«Non ti piacerà quello che sto per dirti», mormorò, scostando le mani dal viso, così da potermi guardare: «Ma non posso continuare ad aspettare».

Non dissi niente, rimanendo sospesa in quel momento pieno d'incertezza.

«L'assassino di mio padre continua ad essere in circolazione e io sono qua, a vivere la mia vita come se niente fosse, come se non fosse mio dovere ottenere vendetta».

Calò nuovamente il silenzio.

«Cosa stai cercando di dirmi?», chiesi, dopo qualche secondo, anche se temevo di avere un'idea piuttosto chiara di cosa intendeva.

«Non posso continuare a rimanere qua, Diana», disse, confermando i miei timori: «Devo riprendere le ricerche e raggiungerlo, ovunque si trovi».

Mi sedetti sulla sedia girevole della scrivania, sospirando.

Non mi piaceva l'idea che partisse nell'immediato futuro, ma sapevo che per lui vendicare la morte del padre era importante, quindi non mi sentivo nella giusta posizione per trattenerlo, facendo magari leva sui suoi sentimenti.

Ero talmente talmente presa negli ultimi giorni, presa dai miei amici, dalla mia famiglia e da Xavier, che avevo messo la questione "assassino" in un angolo remoto della mia mente e avevo smesso di pensarci. Così facendo mi ero dimenticata che la permanenza di Xavier era destinata fin dall'inizio ad essere solo passeggera. Il fatto che avesse iniziato a cercare un appartamento in città e a lavorare nel mio liceo non era motivo per me di sperare che rimanesse per sempre, eppure era quello che avevo iniziato a pensare e a dare per scontato.

«Quando?», chiesi con un filo di voce, cercando di trattenere le lacrime, mentre torturavo l'orlo della felpa con le dita che mi tremavano appena.

«Questa sera».

Per qualche secondo rimasi immobile, a cercare di capire tutte le emozioni che stavo provando e ad analizzare ogni pensiero che mi attraversava la mente.

Dolore, tristezza, rabbia.

Il cuore batteva furiosamente nel mio petto e, all'improvviso, tutta la fame che avevo avuto fino a pochi minuti prima era scomparsa.

Senza pensare, mi alzai in piedi, muovendo alcuni passi per la stanza: «Cosa aspettavi a dirmelo?»

Mi trovai Xavier accanto, le mani protese per afferrarmi, ma prima che potesse toccarmi mi scostai, lanciandogli un'occhiata colma di dolore e rabbia.

«Perché me lo dici solo ora?»

Xavier aprì bocca, poi la richiuse: «Perché l'ho deciso ora», disse infine, passandosi le mani sul viso, in un gesto stanco.

Rimasi senza parole a fissarlo, indecisa su come reagire a quelle parole, poi presi un profondo respiro e scossi la testa: «E di cosa hai parlato con mio padre, allora? Del tempo

«Gl ho semplicemente detto che avevo intenzione di partire, ma che ancora non sapevo quando», disse, facendo un passo verso di me: «Ascolta, Diana, io non voglio ferirti, è l'ultimo dei miei desideri, ma non posso continuare a rimanere, ho bisogno di andare. Più passa il tempo, più le tracce dell'assassino si faranno deboli e mi sarà più difficile rintracciarlo. Prima parto, prima potrò tornare».

Lasciai che le sue braccia mi circondassero in un abbraccio, chiudendo brevemente gli occhi, così da assaporare appieno quel momento e l'odore di sandalo e cannella della sua pelle: «Tornerai, quindi?», chiesi con un filo di voce: «Come fai ad esserne tanto certo? E se ti uccidesse? E se ti ferisse gravemente?»

Xavier sospirò, stringendo maggiormente la presa intorno a me: «E se ti dicessi che ho un motivo più che valido per tornare?», sussurrò contro la mia tempia, lasciandovi poi un bacio leggero: «E che quel motivo sei tu?»

«Il fatto che tu voglia tornare da me non vuol dire che succederà», dissi, sentendo le lacrime iniziare a rigare il mio volto: «Te ne rendi conto?»

Xavier non disse nulla, limitandosi a stringere maggiormente la presa intorno a me.

Rimanemmo abbracciati, in silenzio, per qualche secondo, poi per qualche minuto, persi nei nostri pensieri, forse troppo spaventati per dire qualcosa.

«Vengo con te», dissi alla fine, spezzando quel silenzio che cominciava a pesare terribilmente.

Xavier sciolse l'abbraccio, guardandomi dritto negli occhi, e iniziò a scuotere la testa: «No».

«Perché no?»

«E me lo chiedi anche?», esclamò, portandosi le mani al viso, sembrava esasperato: «Non hai ancora diciotto anni, Diana, e non puoi abbandonare la scuola, è importante che tu finisca i tuoi studi», disse, appoggiando le mani sulle mie spalle: «E poi questa è la mia battaglia, sono io a dover vendicare mio padre, Diana, non tu».

Sapevo che le motivazioni che aveva elencato era più che logiche e sensate, ma mi era comunque difficile accettarle; l'idea di non vederlo per giorni, settimane, forse mesi, mi riempiva di un dolore a me sconosciuto.

«Ho bisogno di rimanere sola», dissi, scostandomi in modo da liberarmi dal peso delle sue mani sulle spalle.

Rimasi con lo sguardo basso a fissare i miei piedi nudi sul pavimento, rendendomi conto di aver dimenticato le scarpe che avevo indossato la sera prima in mansarda.

«Va bene, io sarò di sopra», disse, prima di uscire da camera mia.

Mi avvicinai al letto e mi ci lasciai cadere a peso morto, raggomitolandomi su me stessa in posizione fetale.

La lacrime iniziarono a scorrere silenziose lungo le mie guance, l'unico rumore nella stanza era quello dei singhiozzi che non riuscivo a trattenere.

Dopo poco dovetti alzarmi per recuperare un pacchetto di fazzoletti.

Non saprei dire precisamente quanto rimasi sul letto a commiserarmi e piangermi addosso. 

In quel lasso di tempo mi chiesi se, una volta che Xavier fosse partito, sarei mai riuscita a tornare alla mia vita di prima. 

Sarei tornata ad essere la Diana di sempre? Probabilmente no.

Malgrado il mio iniziale tentennamento e il finto odio che avevo creduto di provare per Xavier, le ultime due settimane avevano portato ad un cambiamento relativamente grande nella mia vita.

 Avrei continuato ovviamente ad essere la ragazza a cui piaceva biologia, quella che non vedeva l'ora di viaggiare per il mondo, la migliore amica di Isabel e la figlia dell'Alpha; ma nelle mie giornate un tempo monotone e semplici, ci sarebbe stato almeno un momento di smarrimento. Un momento in cui mi sarei fermata a pensare a Xavier, a chiedermi dove fosse, come stesse; a ricordare il suono della sua voce, il suo profumo unico e i momenti passati insieme.

Probabilmente la mia giornata tipo sarebbe stata composta dagli stessi momenti di sempre: il suono della sveglia, la colazione, il tragitto in autobus verso scuola, le lezioni, il ritorno a casa, i compiti da fare, la cena con la famiglia e poi a letto a dormire. 

Sempre le stesse tappe, con minime variazioni.

Eppure, così come nelle ultime due settimane avevo avuto numerosi momenti in cui avevo pensato a Xavier nell'arco della giornata, ero certa che così sarebbe stato per il resto della mia vita.

Suono della sveglia, Xavier, colazione, Xavier, autobus, Xavier, lezioni, Xavier...

Nell'arco di qualche giorno sarei diventata insopportabile, probabilmente Isabel avrebbe smesso di essere mia amica o mi avrebbe consigliato di farmene una ragione e a quel punto la mia depressione avrebbe raggiunto livelli altissimi e...

La porta della camera si aprì e apparve nella mia visuale il volto serio di Edith.

Senza dire niente, mia sorella si chiuse la porta alle spalle ed entrò, raggiungendo il mio letto.

Stavo per chiederle di andare via e lasciarmi in pace, ma Edith parlò per prima: «Perché sei triste D?»

Presi un profondo respiro tremante e mi asciugai il volto con un fazzoletto: «Perché Xavier va via», dissi, con la voce rovinata dal pianto.

Edith salì sul letto e si sdraiò di fronte a me: «Via dove?»

«Via lontano, lontano», dissi, un nuovo singhiozzo mi squassò il petto: «Lontano da me».

Mia sorella rimase in silenzio per qualche secondo, sembrava riflettere su quella nuova informazione, poi la sua mano sinistra si posò sulla mia guancia e iniziò ad accarezzarla: «E non torna più? È per questo che piangi?».

«Piango perché non so se tornerà», le spiegai, mi soffiai brevemente il naso, poi tornai a parlare: «E se non dovesse tornare sarei molto molto triste».

Edith annuì: «Questo è perché lo ami», disse, con il candore tipico di una bambina.

«Esatto», confermai, sorridendo appena.

«Io coloro quando sono triste, puoi colorare anche tu», propose, poi suo suo volto apparve un sorriso entusiasta: «Possiamo colorare insieme oppure guardare Winnie The Pooh!»

Annuii, sorridendo a mia volta, incapace di rimanere impassibile o triste di fronte alla gioia di mia sorella: «Mi sembra un'ottima idea».

Edith si mise a sedere, poi rotolò fino al bordo del letto e scese: «Vado a prendere i colori», disse, prima di scomparire oltre la porta.

L'ora successiva la passai a disegnare e colorare con mia sorella. 

I pensieri tristi continuavano a tormentarmi, soprattutto quello dell'imminente partenza di Xavier, che non abbandonava mai la mia mente, eppure passare quel tempo con mia sorella, che mi raccontava delle sue amiche di scuola e dei suoi giochi preferiti, mi aiutò a rilassarmi e, soprattutto, a smettere di piangere.

Per pranzo mandai Edith a rubare qualcosa dalla cucina e ci nascondemmo in un fortino di cuscini e coperte, che avevo improvvisato accanto al mio letto, a mangiare patatine e uvetta, le uniche cose che mia sorella era riuscita ad arraffare.

Verso metà pomeriggio, mi sentii abbastanza forte da affrontare nuovamente Xavier e ottenere l'addio che mi meritavo.

Edith si era addormentata tra le coperte del fortino da qualche minuto ormai, mamma era passata a controllare come stessimo e per rimproverarci di aver mangiato in camera, cosa assolutamente proibita. Eppure nelle parole dure di mamma e nella sua espressione profondamente delusa, per un'istante, avevo percepito una tristezza, che mi aveva fatto capire che anche lei, ormai, sapeva dell'imminente partenza di Xavier.

Diedi un bacio sulla fronte ad Edith, poi abbandonai il fortino e camera mia, diretta alla mansarda.

Bussai alla porta, prima di aprirla ed entrare.

Xavier era seduto sul letto, accanto a sé aveva due borse chiuse, il volto tra le mani.

In un primo momento pensai di raggiungerlo per tentare un'ultima volta di convincerlo a rimanere, poi cambiai idea e mi limitai a chiudermi la porta alle spalle e muovere alcuni passi verso di lui.

Mi sedetti accanto a lui sul letto e osservai la desolazione della stanza; i pochi oggetti che aveva messo sulla scrivania, i pochi abiti che erano stati appesi nell'armadio dalle ante aperte fino a quella mattina, ora non c'erano più. Ora quella camera non era più di Xavier, era tornata ad essere una camera per gli ospiti come tante altre, spoglia e impersonale.

Senza dire niente, Xavier scoprì il suo viso e si voltò a guardarmi, poi allungò una mano e intrecciò le nostre dita.

«Posso accompagnarti fino al confine?», chiesi alla fine, non riuscendo a trattenere oltre quella mia richiesta.

«Certo», acconsentì, sorridendomi appena.

Rimanemmo nuovamente in silenzio per qualche secondo.

«Mi chiamerai?», domandai, aumentando la stretta intorno alla sua mano: «Ogni tanto, per farmi sapere che sei vivo e va tutto bene... Anche i messaggi vanno bene».

Xavier si sporse e mi bacio a fior di labbra: «Volentieri».

Prima che si potesse scostare, appoggiai la mano libera sulla sua nuca, trattenendolo vicino a me per approfondire il bacio.

Avrei voluto imprimere a fuoco nella mia mente ogni singola sensazione provata in quel momento. 

L'impressione di avere le labbra a fuoco, i polpastrelli che affondavano nei suoi capelli, Il mio naso che si scontrava con il suo, il suo odore unico che si mescolava con il mio e le nostre mani strette, che non volevano lasciarsi andare.

Trascorremmo il resto del pomeriggio insieme, abbracciati su quello che per due settimane era stato il suo letto, a raccontarci episodi della nostra infanzia.

Gli raccontai di quando, a sette anni, io, Sab e Francine ci eravamo perse nel bosco mentre giocavamo a nascondino e di quando, a nove, io e Francine avevamo fatto uno scherzo a Kyle e Michel, fingendo di essere scappate di casa per causa loro.

Lui mi parlò della solitudine che aveva provato per gran parte della sua vita, mitigata da suo padre, il quale gli leggeva sempre una fiaba o un libro per farlo addormentare, e di quando una volta, vicino al confine con il Canada, aveva rischiato la vita a causa di una mamma orso arrabbiata, il papà era arrivato giusto in tempo per salvarlo.

Quando nonna chiamò per la cena rimanemmo in silenzio a guardarci.

Dopo una manciata di secondi, fu Xavier a parlare: «Andiamo, non facciamo aspettare gli altri».

Scendemmo dal letto e Xavier mi indicò una delle due borse: «Vorrei che la tenessi tu», mi disse: «Me la restituirai quando sarò tornato e se non dovessi tornare, potrai farne ciò che preferisci».

Afferrai il borsone, in silenzio, incerta su cosa fosse meglio dire in quella circostanza, alla fine sorrisi tra le lacrime: «Sicuro di volermi lasciare tutta la tua vita?»

«Sicuro, in fondo ti sei già presa il mio cuore, che male può fare affidarti altro da tenere al sicuro?», disse, issandosi sulla spalla l'altra borsa.

Annuii, asciugandomi le lacrime nella manica della felpa, poi uscii dalla mansarda, seguita a ruota da lui.

La cena sembrò durare un battito di ciglia e, diversamente dal solito, non parlammo molto.

Le uniche che cercavano di sollevare gli animi con argomenti di conversazione erano nonna e Edith, mentre io e il resto della tavolata ascoltavamo in silenzio e rispondevamo a monosillabi o con semplici gesti del capo.

Più volte rischiai di sbrodolarmi durante la cena, dato che mi ero ostinata a mangiare con la sinistra, pur di poter stringere con la destra la mano di Xavier, che sedeva accanto a me.

Dopo qualche minuto le nostre mani avevano iniziato a sudare, rendendo quel contatto quasi fastidioso, ma nessuno dei due aveva lasciato la presa.

Finita la cena, Xavier salutò nonna, Edith e mamma, ringraziando la prima per le numerose tisane, la seconda per avergli concesso l'onore di colorare con lei e la terza per l'ospitalità.

Io, papà e Kyle accompagnammo Xavier fino al confine nord del branco, camminando per la foresta con le torce a illuminarci il sentiero e l'ululare del vento e il bubolare di qualche gufo com unici accompagnatori.

La mia mano destra continuava ad essere strettamente allacciata a quella sinistra di Xavier, ogni tanto osservavo il suo profilo, visibile grazie ai raggi della luna che filtravano tra i rami degli alberi, e provavo il forte istinto di stringerlo forte a me e trovare un modo per impedirgli di partire.

Avrei voluto dire molte cose in quel momento, ma ogni volta che aprivo bocca, mi trovavo a richiuderla poco dopo. In parte perché avevo paura di dire qualcosa di stupido, in parte perché  non volevo che papà e Kyle sentissero.

Avrei voluto dire a Xavier che la notte prima era stata perfetta, non perché non ci fossero stati imbarazzi o momenti in cui eravamo stati particolarmente impacciati, ma perché era stata una notte autentica, passata con l'uomo di cui ero innamorata.

Avrei voluto dirgli che il petto mi faceva male e che ogni passo verso il confine nord mi provocava dolorose fitte allo stomaco.

Avrei voluto dirgli che non avevo mai provato nulla di simile per nessuno prima e che per quanto fossi inesperta sull'argomento, ero certa di essermi innamorata di lui.

Avrei voluto dirgli molte cose, ma decisi di rimanere in silenzio.

Quando arrivammo al confine papà e Kayle salutarono Xavier con una stretta di mano, augurandogli buona fortuna, poi si allontanarono di qualche metro, così da permetterci un po' di privacy.

In un primo momento non riuscii a fare o dire nulla, poi mi lanciai su di lui, saltandogli letteralmente addosso.

Xavier lasciò cadere a terra la sua borsa, circondandomi con entrambe le sue braccia, mentre io affondavo il volto contro il suo petto e lasciavo che le lacrime gli bagnassero i vestiti.

«Va tutto bene, Diana, andrà tutto bene», disse, baciandomi tra i capelli.

«Non puoi esserne sicuro», borbottai, scostandomi abbastanza dal suo petto per poterlo guardare in viso: «Non farmi promesse che non sei sicuro di poter mantenere».

«Hai ragione», disse, circondandomi le guance con le mani: «Ti prometto che farò tutto quello che è in mio potere per tornare da te il prima possibile e ti prometto che ti penserò ogni giorno».

«Ti amo», sussurrai, asciugando, con dita tremanti, le lacrime che scorrevano sul suo viso.

«Ti amo», disse, prima di premere con forza le labbra contro le mie.

Il bacio durò qualche secondo, giusto il tempo necessario per imprimere nella memoria quel momento, poi ci separammo, Xavier raccolse da terra la sua borsa e superò il confine, diretto a nord.

La mano di papà si appoggiò sulla mia spalla, stringendola appena: «Dobbiamo rientrare».

Annuii, continuando ad osservare la sagoma di Xavier che si allontanava nella notte, fino a quando il nero della sua figura non fu un tutt'uno con quello degli alberi.

«Andiamo», dissi in un sussurro, affiancando papà e Kyle lungo il sentiero del ritorno.

 

 

***

Buon pomeriggio popolo di EFP!

Siamo già giunti alla fine del ventiduesimo capitolo, secondo i miei calcoli dovrebbero essercene in totale ventisette o ventotto, quindi la fine è ormai vicina.

Spero che abbiate tempo e voglia di commentare questo capitolo per farmi sapere cosa ne pensate e, come al solito, vi invito a seguirmi su Instagram, il nome dell'account è lazysoul_efp.

Un bacio,

LazySoul

  
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