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Autore: Chaosreborn_the_Sad    16/08/2009    2 recensioni
L’elfo correva, attraverso il sottobosco. Era l’ultima volta che si lasciava scappare una preda come quella. Il cervo galoppava in ciò che restava dell’Ithilien, fuggendo dal suo cacciatore. L’elfo, che dimostrava venticinque anni ma dai suoi occhi trasparivano almeno un paio di millenni, tese l’arco e tirò. La freccia penetrò la zampa posteriore dell’animale, costringendolo a rallentare la sua folle corsa. Nota: MOLTO AU
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Alternate Universe (AU), What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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VII Age cap XI

Cap XI Blue Eyed Meldarion

Aveva qualcosa nella schiena. Era piantato proprio in mezzo alle scapole. Aprì gl’occhi.
La sala della locanda era in una situazione disastrosa.
Sedie e panche erano rovesciate in giro, boccali e bicchieri erano abbandonati sui tavoli e vari uomini dormivano sulle poche panche ancora in piedi. Meldarion fumava, sulla porta. Il sole era a metà del suo cammino verso lo zenit.
Chiuse di nuovo gl’occhi. Fitte di emicrania attraversarono la sua testa. Lasciò perdere anche il dolore alla schiena, tentando di ricordare che cosa fosse accaduto la sera prima.
Nero.
Non ricordava nulla. Forse qualcosa. Ma era troppo stancante pensarci.
Era ora di chiedere aiuto. Provò a chiamare Meldarion.
Dalle sue labbra uscì un verso indistinto.
Non apparteneva a nessuna lingua conosciuta ma bastò ad attirare l’attenzione dell’elfo.
Egli si voltò e s’avvicinò.
Dopo essersi chinato all’altezza del suo volto, parlò.
- Ben svegliata, somma Thalien-.

***

- Ed ora?- chiese Rhavanwen, dopo che i due ebbero finito la loro colazione.
- Ed ora s’attende- rispose Eglerion, reprimendo uno sbadiglio. Se non dormire è male, dormire poco è peggio, si disse.
Erano ancora in camera di Rhavanwen, seduti sui cuscini. Eglerion aveva portato del caffè e dei biscotti al piano superiore, in modo da poter mangiare in tranquillità.
- Intendevo: nel mentre noi che cosa facciamo?- domandò la Sindar.
Eglerion sorrise, pensando al commento cinico che sarebbe potuto uscir dalle labbra di Stephane in un momento del genere.
- Non ne ho idea. Ma ho il vago sospetto che tu abbia già qualche programma per la mente-.
Manwe, Ulmo, Varda e tutti quanti, vi prego, fate che non abbia voglia di visitare questa città, vi prego dal profondo!
Rhavanwen gli regalò uno dei sorrisi più belli.
- A dire il vero sì. Son curiosa di veder il resto di questa città- disse.
Eglerion sospirò.
- I Valar non mi ascoltano- borbottò.
Ella s’alzò, mentre egli estrasse un sacchetto dalla tasca.
- Eglerion?-.
- Mh…- rispose egli, armeggiando con tabacco e cartina.
- Ti dispiacerebbe uscire? Non son riuscita a cambiarmi, nel tempo che mi hai dato prima- disse ella.
Eglerion s’alzò anch’egli, cicca ancora aperta in mano.
- Vado. A tra poco- le disse. Chiuse la sigaretta ed uscì dalla stanza, dirigendosi al piano inferiore.
Una calma innaturale regnava nel luogo. Bepi dormiva ancora, su una sedia dietro al bancone.
Eglerion uscì in strada e s’accese la sigaretta.
Chissà come stanno quegl’altri, pensò.
Poco dopo sentì i passi della sua amica scendere le scale.
- Eccomi. Che dici, andiamo?-.
Egli spense il mozzicone e s’avviò, assieme all’elfa per le stradine.

Se c’era un aggettivo per descrivere quella città, pensò Eglerion, più tardi, poteva essere Archetipo. Oppure Folk.
Era viva, sempre scossa da un viavai di gente. Videro mercanti di Gothlam, nani e, i due rimasero stupefatti, vedendolo, un centauro.
- Questo viaggio sta mostrando cose sempre più inaspettate- disse Rhavanwen.
- Nel senso?-.
- Beh, nani a Minas Duin, uomini decisi fino all’ultimo ad ucciderci, Noldor che spuntano dal nulla, nel momento più inaspettato, ed ora centauri. Mancano giusto i Valar- disse.
- Ti sei scordata qualcosa- disse Eglerion.
- Come?-.
- A me han mostrato anche sentinelle, avvezze a battaglie e sotterfugi che affermano d’essere molto scosse dopo un tentativo d’assassinio- le disse.
Al momento non c’aveva fatto troppo caso -era anche felice che ella trovasse sicurezza nella sua presenza- ma c’aveva pensato quella mattina: com’era possibile che un avvenimento del genere potesse scuotere così tanto Rhavanwen. Sorrise, notando ch’ella arrossiva leggermente.
- Sarà stato quell’uomo ad inquietarmi. Poi, non avevi affermato tu d’essere pronto a proteggermi?- domandò, sulla difensiva.
- Allora la mia presenza non ti fa bene, se poi non t’accorgi che qualcuno è nella tua stanza- rispose, canzonandola.
Ella parve offendersi. O, perlomeno rabbuiarsi.
- Su, che scherzo- le disse, cingendole la vita con un braccio.
Continuarono a vagare per le stradine, fermandosi talvolta a qualche bancarella. Verso il meriggio presero un paio di mele dalla bancarella d’un’anziana signora, che insisté per regalargliele.
- Non potrei mai far pagare due esseri così luminosi- disse, mostrando loro un sorriso. Evidentemente, coprire le orecchie tra i capelli e con i copricapo più orrendi -Eglerion indossava un cappello che a noi rimembrerebbe subito il Texas- che fossero riusciti a trovare non era bastato per nascondere la loro natura. E pensare che ci tenevano a non dare nell’occhio.
- I Valar siano con voi, signora- risposero, grati.
Continuarono ad errare per le strade, finché, verso la prima dopo il meriggio -o la settima dopo l’alba, che dir si voglia- ritornarono verso la locanda.
- Bepi, te ne porti una caraffa de nero?- disse Eglerion, entrando. Rhavanwen rise, sentendo la cadenza dialettale delle sue parole e lo stesso fece Toni, che stava giocando a scacchi con Bepi dietro del bancone.
- Da quando te parli cussì, ti?- domandò Bepi, portando la caraffa allo stesso tavolino della sera prima, dove avevano di nuovo preso posto.
Eglerion rise e si verso un calice di nero. Assaggiò e guardo Rhavanwen.
- Questo è ottimo, consiglio di berlo anche a te- disse, versando del vino anche nel suo bicchiere.
Ella prese qualche sorso, mentre la porta della locanda si apriva.
- Non si dovrebbe bere in servizio- disse una voce conosciuta, in tono scherzoso.
- Da che pulpito…- rispose un’altra.
I due si voltarono, per vedere il resto del gruppo sceso a terra sull’ingresso del locale.
- Ben arrivati!- disse Eglerion, alzandosi.
Essi si avvicinarono al tavolo, per poi sedersi, mentre Bepi segnava sul conto di Eglerion altre due caraffe di rosso. E una di birra per il nano.
L’oste portò il vino al tavolo, mentre Eglerion studiava i suoi compagni di viaggio.
La Regina Alastegiel sembrava provata. Dagli occhi iniettati di sangue s’intuiva che non aveva passato la migliore delle notti.
Meldarion, seduto accanto a lei, continuava a sorridere beffardamente, fissando il bicchiere vuoto della Regina.
Burin e Galadhwen, infine, sembravano freschi e riposati come non mai, se non fosse stato che il primo aveva delle foglie di edera impigliate nella barba e la seconda mostrava una chioma tra le più scarmigliate.
- Meldarion, vuoi dirmi che cosa c’è da ridere? E voi due, che diamine avete fatto ai capelli?- disse Eglerion.
Il primo scoppiò a ridere, mentre gl’altri due cominciarono a narrare della sera precedente.
Galadhwen era stata la prima a cedere, dopo aver sfidato un uomo che le faceva gl’occhi dolci fino all’ultimo boccale. Era crollata a dormire sul pavimento della locanda, con Meldarion che le vegliava accanto, mano sull’elsa della spada.
Alastegiel aveva dato prova di sé battendo un paio di uomini, ma poi s’era improvvisata direttrice d’orchestra di cori da bettola, in piedi su uno dei tavoli. Per poi rovinare giù ed addormentarsi, con il gomito di Galadhwen piantato tra le scapole.
Burin, infine, dopo essersi ubriacato anch’egli, era finito a litigare con l’oste, che l’aveva gettato -aiutato da altri tre nani- nel vicolo dietro alla locanda. Dopo varie minacce in Kuzdhul -e parecchie secchiate d’acqua- Burin s’era addormentato beatamente tra l’edera del vicolo.
- Non quella che si dice una serata tranquilla- concluse Rhavanwen, dopo un secondo bicchiere.
Risero nuovamente tutti.
Eglerion poi s’alzò.
- Andrò a prendere i nostri bagagli. Dopodiché direi di pagare e di rimetterci in marcia. Abbiam già speso troppo tempo qui, almeno noi due- disse.
Il resto del gruppo gli lanciò occhiate interrogative.
- Ab- disse, in Sindarin. Dopo.

Pochi minuti dopo si trovavano tutti all’esterno della locanda. Avevano calorosamente salutato i due osti, che avevano insistito per fargli uno sconto tanto quanto Eglerion aveva insistito per dar loro un’extra. Alla fine nessuno dei due l’ebbe vinta e pagarono solo ciò di dovuto.
- Qualche idea sulla strada da farsi?- chiese Galadhwen.
- N’abbiamo parlato, Eglerion ed io, pochi giorni prima di approdare. L’idea era di proseguire a Sud, da Yelinta, fino ad incrociare il Calanduin. Da là proseguiremo leggermente a Sud-ovest, arrivando poi nel Mithlond- disse la Regina.
Il gruppo si mise in marcia, uscendo dal cancello Sud della città. Lì Burin si fermò.
- Qualcosa non va?- domandò Eglerion, lasciando le redini di Nimloth.
- Ho meditato a lungo ed ho preso una decisione: amici miei, le nostre strade si dividono qui. Non intendo proseguire verso Sud, ma continuerò verso Ovest, fino ad arrivare alla sorgente del Calanduin. Ivi sorge il Santuario di Aule, dove vivono molti della mia razza. Vi ringrazio molto dell’ospitalità, ma è giunto il momento di separarci-.
Alastegiel si avvicinò.
- Ti comprendo, Burin. È stato un piacere ed un onore conoscerti. Spero che i nostri sentieri s’incroceranno nuovamente, prima o poi- disse.
Il resto degl’elfi salutò Burin, augurandogli ogni fortuna per il suo viaggio.
Eglerion parlò per ultimo.
- Che Aule t’illumini il cammino, amico mio. E ricorda che dobbiamo ancora vedere chi dei due regge di più, poiché non ne abbiamo ancora avuto occasione. Infine, - continuò, abbassando la voce per evitar di farsi sentire dagli altri, - ti avverto: tieni l’ascia pronta ed il passo svelto, perché Mardion potrebbe esser ancora nelle vicinanze. Se ti capiterà d’incontrarlo, mi auguro che la tua lama conoscerà il piacere di spiccargli la testa dal capo-.
Udendo gl’ultimi avvertimenti, il nano si rabbuiò.
- Che i tuoi auguri possano realizzarsi, Eglerion Tegaladion- rispose. Esitò, come sul punto d’aggiungere qualcosa, ma poi si congedò definitivamente, inchinandosi e volgendo i suoi passi ad Ovest.
Eglerion lo lasciò andare, sebbene le parole del nano l’avevano lasciato turbato: come conosceva Burin il nome di suo padre?
Decise di lasciar correre e si riunì al resto dei suoi compagni.

Quel pomeriggio marciarono silenti lungo sentieri antichi, residui della Terra di Mezzo che ancora non aveva visto il cataclisma. Camminarono a lungo, a passo svelto, fino al tramonto.
Senza una parola, Eglerion fermò Nimloth ed il gruppo s’arrestò.
Non persero tempo a cacciare ma mangiarono una cena fredda con il cibo portato dalla Ithil. Non accesero neanche un fuoco, non avendone effettivo bisogno.
Si sederono nello spiazzo erboso e mangiarono, senza parlare.
Quando tutti ebbero finito, Alastegiel guardò Eglerion e Rhavanwen.
- Adesso vorrei che ci comunicaste i motivi di questa frettolosa dipartita da Yelinta-. Non parlò in tono freddo, ma fece sentire ogni briciolo d’autorità in quelle parole.
Eglerion sospirò, per poi estrarre dal suo bagaglio il tabacco.
Cominciò a girarsi una sigaretta nello stesso momento in cui prese a parlare.
In poche parole raccontò della sera prima e di Mardion, sempre rollando, lasciando Alastegiel basita.
- Questo Mardion ce l’ha con te, sembrerebbe- disse Meldarion, rompendo il silenzio. Aveva da pochi momenti fregato l’armamentario da rollo ad Eglerion e si stava dedicando anche lui al suo piccolo cancro al polmone.
Eglerion accese un piccolo fuoco di paglia ed infiammò la punta della sua cicca. Prese una lunga boccata, pensoso, per poi rispondere a Meldarion.
- Sembrerebbe di sì. Peccato che io non abbia la più pallida idea di chi sia-.
- Di certo c’è che non si tratta di un elfo- interloquì Galadhwen.
- Ma non è neanche umano. Ed escluderei la possibilità che si tratti di un nano: difficilmente raggiungono i sei piedi d’altezza- disse Eglerion.
- Ne sei certo, Eglerion, che non si tratti di un uomo? Magari un qualche Lord numenoreano che hai attaccato precedentemente-.
- Più che certo. E lo saresti anche tu, se l’avessi visto combattere. Nessun uomo, neppure se cresciuto tra gl’elfi, come Stephane, può combattere con quella velocità e forza-.
- Non vorrai mica dire che si tratta di un Maia- disse Meldarion, dando alle fiamme la punta della sua sigaretta con un fiammifero.
- Non lo escluderei, sai- disse Eglerion, serio.
Meldarion ridacchiò.
- Sì. E, magari, si tratta di uno dei sette in persona, ancora arrabbiato per la storia dei Silmaril. O, magari, Mandos stesso, pronto a adempiere le sue maledizioni, dopo millenni. Perché, se non erro, c’era anche la tua linea, immischiata in quegl’intrallazzi. O sbaglio?-.
Eglerion prese un paio di boccate, prima di rispondere, incurante degli sguardi confusi delle Sindar.
- Più o meno. Mi pare che qualcosa l’abbia perdonato, ai miei avi. Penso sia dovuto, dopo quell’immensa camminata tra i ghiacci che gli toccò fare. Ma, tralasciando la genealogia, escluderei tale probabilità. Se Mandos volesse distruggere i Noldor, non gli basterebbe inabissare Manwetol e feudi vari?- rispose, riprendendo la conclusione che aveva raggiunto la sera prima.
- Per cui resti dell’idea che sia un Maia- asserì Rhavanwen, estraendo una bottiglia da una delle sacche di Nimloth.
- Non posso esserne certo, ma andando per esclusione direi di sì- rispose il biondo, prendendo l’ultimo tiro.
Rhavanwen passò la bottiglia a Galadhwen, che l’aprì e n’annusò il contenuto.
- Tequila?- domandò al Capitano.
- Aye. Ottima tequila-.
Galadhwen bevve due sorsi, per poi passare la bottiglia alla Regina, alla sua sinistra. Anch’ella bevve, per poi passarla a Meldarion. Il Noldo gettò anch’egli il suo mozzicone, per poi bere un paio di sorsi.
Passando la bottiglia ad Eglerion, parlò nuovamente:
- Quindi resti della tua opinione- affermò, incerto.
- La mia opinione è incerta quanto il tuo tono. Possiamo far ben poco, al momento-.
Detto ciò, il Re bevve qualche sorso.
- Yoho, beviamoci su- asserì, laconico, Meldarion.

***

La mattina dopo Galadhwen svegliò il resto degli elfi. Era toccato a lei l’ultimo turno di guardia.
Dopo una veloce colazione si misero di nuovo in marcia. Camminarono a lungo, sempre in silenzio, quasi per non disturbare la Terra dormiente: eran secoli che un elfo non posava i suoi piedi su quei sentieri. Gl’unici ad utilizzarli erano i fuorilegge delle città, in fuga, o gl’animali selvatici, per quanto ne sapevano.
Presto apparve loro la vista, in lontananza, d’alcuni colli. Meldarion s’arrestò, improvvisamente. Sembrò crollare sotto il suo stesso peso e restò in ginocchio a fissare il terreno di quello che -nonostante non lo sospettassero- una volta veniva chiamato Verdecammino.
- Man mathach?- gli chiesero. Egli non rispose.
- Meldarion?- chiamò Eglerion. Il moro non disse parola neanche stavolta. Alzò semplicemente il mento in direzione di chi lo aveva interpellato e lo fissò con sguardo gelido. E con delle iridi di un azzurro talmente intenso da far rabbrividire il più coraggioso degl’uomini.
Eglerion non disse nulla, ma tese solo la mano verso l’amico. Questi l’accettò e si rialzò da terra, ringraziandolo.
- Che cosa è successo, Meldarion?- domandò Galadhwen.
- Nulla di tale, son inciampato in una radice- rispose egli.
- Meldarion, - cominciò Eglerion, in tono serio, - tu puoi beccare tutte le radici di questa terra, ma nessuna, nessuna di nostra conoscenza può farti cambiare il colore degli occhi-.
Meldarion si rabbuiò. Non poteva più nasconderlo, l’odiato dono che Mandos gl’aveva concesso.
- Le spiegazioni le rimanderei a stasera. Adesso è meglio se ci rimettiamo in marcia. Possiamo ancora raggiungere quei colli entro l’imbrunire, per poi accamparci là- interloquì Alastegiel.
Gl’altri annuirono. Senza una parola sull’accaduto, ripresero ad avanzare verso il punto indicato da Alastegiel.

Verso il tardo pomeriggio fecero un’ulteriore scoperta: non si trattava affatto di colli. Erano tumuli.
Sparsi in gruppetti di due o tre, essi chiudevano una piccola radura, il cui centro era segnato da un monolito, eroso dalle intemperie.
Il gruppo si fermò, sul far della sera, tra quei tumuli; avendo concordato qualche ora prima di utilizzare il luogo per quella notte.
Stavolta Meldarion raccolse della legna ed accese un piccolo falò.
- E quello? Per la suggestione?- domandò Rhavanwen, sorridendo.
Meldarion le scoccò un’occhiata gelida, ma rispose con voce calma:
- Fidati di me, è meglio averlo-.
Eglerion non prestò attenzione ai due, ma estrasse la bottiglia di tequila della sera prima e ne prese un sorso: la situazione cominciava a farsi troppo contorta, senza concentrarsi sui battibecchi dei compagni. Guardò la bottiglia, sospirando, e prese un ulteriore sorso. Per fortuna aveva portato una riserva sufficiente, per quel viaggio.
Quando si voltò, si trovò faccia a faccia con Alastegiel.
- Abbiam bisogno di parlare- disse ella. Gli fece cenno di seguirla, mentre s’avviava verso il tumulo più vicino.
I due s’inerpicarono sul colle e si sedettero sulla sommità di esso, poco lontani da una pietra intagliata.
- Che cosa c’è che volevi dirmi?- domandò il Noldo, cominciando a girarsi l’ennesima cicca.
- Sono preoccupata. Tra Mardion e Meldarion che adesso comincia a recitare la parte del folle, comincio a pensare che questo viaggio non ci porterà alcun bene- disse ella.
- Mardion è un problema non da poco, concordo. Non penso sarebbe strano se spuntasse da uno di questi tumuli, stanotte-. Alastegiel rabbrividì.
- Paura?-.
- No. O, meglio, non di questo luogo, nonostante si possa percepire il male che porta-.
I due si guardarono attorno, mentre l’umidità della sera li avvolgeva in una spessa nebbia.
- Lo so. È antico. Probabilmente c’è qualcosa di più antico di entrambi, sotto quest’erba-.
- I problemi sono: s’interesserà a noi? E: sarà benigno, in caso lo faccia?-.
- Dubito, riguardo alla seconda. E comprendo perché Meldarion ha acceso quel fuoco-.
- Ritornando a lui, non sei preoccupato?-.
- Non molto, veramente-.
- Come mai? Non mi par normale che una radice possa cambiarti il colore delle iridi- incalzò Alastegiel.
- Vero. Ma lo conosco abbastanza da comprenderlo. Sta bene, per ora- rispose Eglerion.
Com’aveva finito di dir quelle parole, un grido proveniente dalla radura attirò la loro attenzione. L’eco di questo riecheggiò tra le colline. Eglerion raggelò quando udì un grido di risposta.
Scesero velocemente lungo il crinale, per trovare le due Sindar inginocchiate vicino a Meldarion, disteso.
Il suo corpo era scosso da tremiti, le dita si flettevano veloci, ma i suoi occhi, mai così azzurri, erano immobili e fissi.
- Rhavanwen, prendi l’arco e mettiti vicino al fuoco- disse Eglerion, conciso. Ella eseguì, senza fiatare, mentre Eglerion afferrava un tizzone dal falò.
- Che cosa c’è, Eglerion?- domandò Alastegiel.
- Ti ricordi quella presenza? Probabilmente s’è accorta di noi e non è per niente benigna. Voi due pensate a Meldarion, Rhavanwen ed io vedremo che fare se decide di farci visita- rispose.
Alastegiel annuì.
I due attesero, tesi come la corda dell’arco di Rhavanwen, mentre Galadhwen ed Alastegiel vegliavano su Meldarion, che aveva cominciato a mormorare qualche parola in una lingua a loro sconosciuta.
- Adveniunt… celere colles descendunt…-.
Nel mentre sembrava contorcersi, spaventato da qualcosa che non vedevano. Eppure percepivano, più forte di prima, il male avvicinarsi.
- Hic sunt- concluse il Noldo, prima di svenire definitivamente.
Tre pallide figure emersero dalle nebbie.
Erano vestite di stracci, che una volta erano probabilmente stati ricchi abiti, e d’armature consunte, su cui la luce delle fiamme si rifletteva e guizzava, rendendo le apparizioni ancora più tremende. Sul capo d’ognuna v’era una corona di foggia diversa, e stringevano, nelle dita ossute e coperte d’anelli, delle spade arrugginite.
Eglerion sguainò la sua lama, mentre scambiava due parole in Sindarin con Rhavanwen, dicendole di tenersi pronta a scoccare. Quando il primo dei tre fu abbastanza vicino, Eglerion si rivolse a loro.
- Chi siete, ch’ancora vagate per quest’erme lande? Tornate al vostro riposo, più vostra quiete non turberemo- disse.
Lo spettro emise un suono strano, a metà tra un ringhio e una risata cavernosa, per poi parlare.
- Fini nostri turbare audete. Ciò che già siamo, a breve sarete- rispose esso, in un sibilo minaccioso.
Gl’altri due spettri s’unirono al primo nelle risa, per poi levare le spade.
Eglerion si preparò, brandendo sia spada che tizzone. Lanciò una rapida occhiata a Rhavanwen, che intese il segnale. La freccia dell’elfa si piantò nella mano dell’avversario più a destra, subito seguita da una dritta all’altezza del cuore, mentre Eglerion incrociava la lama con gl’altri due. Il Noldo si ritrovò a fissare due paia d’orbite vuote, ad udire due risate prive d’ogni gioia, a sentire l’immondo puzzo di decomposizione emanato dai suoi nemici.
- Ch’ei a noi venga, lascia!- disse uno dei due, mentre l’elfo premeva per rompere l’aggancio.
Eglerion si staccò, arretrando di un paio di passi, per poi tornare ad incalzare i due nemici, mentre il terzo, a cui le frecce non parevano aver fatto alcun effetto, veniva combattuto da Rhavanwen, che aveva lasciato l’arco per estrarre anch’ella la sua spada.
I due elfi continuarono a scambiare colpi con i loro nemici, perdendo e guadagnando terreno ogniqualvolta Eglerion allungava il tizzone ardente verso essi.
Con un colpo di maestria, Rhavanwen riuscì a spiccare la testa dal capo di uno dei tre. Il corpo cadde a terra, lasciando cadere l’arma, ma la testa rotolò poco lontana e continuò a fissarli con le sue orbite buie, lasciando uscire la sua macabra risata da una gola inesistente. Rhavanwen indietreggiò, impietrita da ciò che vedeva.
- Avo ‘osto, Rhavanwen, avo ‘osto!- le disse Eglerion. Non temere.
Stavolta comprendeva l’eventuale paura della sentinella: per quanto i mortali, vivi o deceduti, non l’avessero mai spaventato, le fredde dita dell’incertezza cominciavano ad afferrare anche il suo animo.
Rhavanwen non rispose ma, ripresa la fredda lucidità, calciò lontano la testa del nemico abbattuto e, con un grido, si avventò assieme al Capitano contro gl’altri due spettri.
Dopo un rapido, ulteriore, scambio di colpi, Eglerion improvvisò una stoccata verso lo spettro alla sua sinistra, contro cui si stava accanendo anche la Sindar. Il colpo riuscì ed il ramo incendiò le consunte vesti e le carni in decomposizione dell’essere.
Ma pagò caro il rischio preso: lo spettro rimanente, approfittando della momentanea distrazione di Eglerion, lo colpì alla coscia. L’elfo emise un verso di dolore, ma fu un momento soltanto. Pochi secondi dopo, grazie agli sforzi combinati dei due elfi, il corpo dell’ultimo spettro giaceva in pezzi sul suolo.
Rhavanwen prese il tizzone dalle mani di Eglerion e, mentre anche questo spettro s’accomiatava da loro ridendo, glielo piantò in gola.
I due tornarono al falò, dove trovarono le due elfe intente a vegliare su Meldarion, armi alla mano.
- Bisogna cauterizzare quel colpo: quella lama era arrugginita come non mai, farà infezione se non agiamo in fretta- disse Rhavanwen, dopo essersi assicurata che gl’altri fossero illesi.
- Fammi girare una sigaretta, prima, poi hai il permesso di darmi fuoco totalmente, se vuoi- rispose Eglerion, nervosamente. Impiegò qualche minuto di troppo, nel rollarsi la cicca, per via delle mani tremanti, ma riuscì. Poggiò la creazione accanto a sé e si voltò verso l’elfa bionda.
- Meglio se mordi qualcosa, non sarà quello che si dice “un piacere”- disse ella.
Galadhwen, nel mentre, si era avvicinata, portando con sé un otre d’acqua.
Il Re estrasse un corto pugnale dalla cintura e ne morse la lama dalla parte smussata.
- Pronto- mugugnò.
Rhavanwen prese un altro legno acceso dal falò morente e fissò Eglerion.
- Uno. Due. Tre!-.
Eglerion strinse i denti sul freddo acciaio, quando il tizzone incandescente venne a contatto con la sua carne, procurandogli lunghi secondi di dolore intenso. Subito dopo Galadhwen versò dell’acqua sulla carne viva, per raffreddarla. Rhavanwen concluse la medicazione disinfettando la ferita con il primo liquido utile che trovò -la tequila di Eglerion- e fasciandola.
- Zoppicherai un paio di giorni, ma dovresti rimetterti presto-.
- Bene- rispose egli, accendendosi la sigaretta e afferrando la bottiglia dalle mani di Rhavanwen. Fece un lungo tiro, per poi bere un paio di sorsi. Gli ultimi.
- Cazzo, un’altra bottiglia finita. Dannati spettri, porca troia- imprecò.
Le due elfe risero.
- Degno… degno d’un Haradrim sbronzo... Eglerion…- sentirono farfugliare, poi.
Si voltarono, per vedere Meldarion che avanzava, sorretto da Alastegiel.
I suoi occhi erano ancora dello stesso azzurro intenso di prima, ma meno freddi.
- Dobbiamo muoverci di qui- asserì quest’ultima.
- Concordo. Meldarion, Sali su Nimloth, ché non sei in condizioni di camminare- assentì Eglerion.
Si guardò un attimo attorno, per poi trovare, abbandonato vicino al falò, un ramo abbastanza lungo.
Si caricarono i bagagli in spalla e si rimisero in marcia, attraverso le nebbie che andavano diradandosi.


Al mattino avevano messo una lega tra loro e i tumuli e si concessero qualche ora di riposo.
Si trovavano sulla riva d’un ruscello che scorreva veloce, ai margini d’una piccola radura, immersi in un fitto bosco.
Galadhwen montò la guardia, assieme ad Alastegiel, entrando nella trance meditativa utilizzata dagl’elfi come forma di riposo. Consce ed inconsce di tutto ciò che accadeva loro attorno. Gl’altri preferirono gettarsi sotto l’ombra dei pini odorosi e dormire.
Il mattino passò pigramente e, verso il meriggio, si svegliarono per mangiare qualcosa.
- Tutto calmo?- domandò Meldarion. S’era ripreso, una volta lasciati i tumuli, ma possedeva ancora gl’occhi azzurri che non gl’appartenevano.
- Nessun suono- replicò la Regina, senza interrompere la meditazione.
Eglerion si stiracchiò, dietro di loro, guardandosi attorno. Si sentiva riposato, finalmente, e le fronde sopra di lui, con il loro odore di pioggia, gli davano una sensazione di pace.
Ma v’era comunque una vaga, remota, nota stonata.
Galadhwen fu la prima a notarla: ad un certo punto, quando s’apprestavano ad alzarsi per decidere sul da farsi, s’irrigidì nella meditazione e si rivolse agl’altri.
- Lo sentite?-.
I quattro elfi si misero in ascolto, cercando d’udire ciò di cui Galadhwen li aveva avvertiti.
Zoccoli, lontani, assieme a passi leggeri e clangore di metallo.
Meldarion ed Eglerion si scambiarono un’occhiata.
- Tu su Nimloth, io correrò- disse il primo.
- Accordato-. Assieme, cominciarono a togliere le sacche dalla sella di Nimloth, poggiando il bagaglio per terra.
- Dove credete di andare? Veniamo anche noi- disse Alastegiel, vedendoli indaffarati.
- Meglio di no, meglio non rivelare il nostro numero fin da subito. Vi prego, rimanete qui e state pronte a tutto- le rispose Eglerion.
Il Capitano salì sul suo cavallo e guardò Meldarion.
- Pronto?-.
- Andiamo-.
E i due partirono, inoltrandosi più in fretta possibile nella foresta.

***

Le lame cozzarono per l’ennesima volta, mentre piedi e zoccoli si bloccavano, sulla riva del Calanduin.
La ragazza eseguì una complicata mossa per liberarsi dall’aggancio in cui il suo avversario l’aveva costretta, per poi attaccare con il manico della sua lancia. Il centauro parò con una delle sue lame, muovendo repentinamente la seconda verso il fianco scoperto della fanciulla.
Con un movimento fluido ella schivò, in un turbinio di ciocche fiammeggianti, per poi tornare ad attaccare. Le armi s’incrociarono nuovamente, quando ella si bloccò.
- Che cosa accade?- domandò il centauro.
- Abbiamo ospiti. Un elfo, assieme ad un cavaliere, stanno venendo verso di noi. E sento la presenza d’altri elfi, più in là- rispose ella.
- La radura di confine, giusto?-.
- Esattamente. Vai tu? C’è qualcosa di strano, nell’elfo che sta arrivando, sono curiosa di scoprire chi egli sia-.
- Come preferisci, Hestia. Ci si vede tra poco-.
Detto ciò, il centauro saltò lo stretto fiume e cominciò a galoppare verso la radura, dove le tre elfe attendevano, quasi ignare.
Hestia si guardò attorno, ascoltando i rumori causati dai due in arrivo e cercando il luogo migliore da dove disarmarli, in caso ce ne fosse stato bisogno.
Si nascose, quindi, dietro un affioramento roccioso e attese.
- Hai sentito? L’altro cavaliere è andato verso le altre- sentì dire da una voce. Era profonda, ma comunque gioviale e, in quel momento, alquanto preoccupata.
- Ho sentito, Meldarion. Speriamo solo sappiano cavarsela, in caso si tratti di colui che temo- rispose un’altra voce.
Era arrivato il momento d’interrompere la loro conversazione. Uscì dal suo nascondiglio, con la lancia in pugno, pronta a difendersi.
- Chi siete voi?- domandò loro, con una voce non sua, baritonale ed antica.
I due elfi sussultarono ed alzarono le armi.
La ragazza vestiva una tunica di cuoio e puntava verso di loro una lancia che sembrava uscita dalle forge della scomparsa Gondolin, o da Nan Elmoth, per quanto era splendida.
Li fissava con i suoi occhi azzurri, ancora più azzurri e profondi di quelli di Meldarion ed Eglerion in quel momento.
- Chi siete?- domandò di nuovo.
I due elfi decisero di abbassare le armi. Eglerion scese da cavallo e si avvicinò, con le mani alzate in segno di resa.
- Mi chiamo Eglerion. Io ed alcuni compagni stiamo viaggiando per queste terre, diretti verso il Mithlond, non pensavamo fossero abitate. In più pensavamo che il cavaliere che abbiamo sentito vi stesse attaccando e che fosse una nostra vecchia conoscenza, di cui non desideriamo incrociare di nuovo il cammino. Questi è Meldarion, uno dei miei sodali. Vi dispiacerebbe dirci il vostro nome?-.
- Sono Hestia. Vivo in queste terre dagli albori di quest’Era, nonostante cammini su Arda da molto più tempo. Il messere di queste terre ha concesso l’ospitalità a me, mia sorella e ad un altro nostro amico, il cavaliere che udiste prima- disse ella, non nascondendo un sorrisetto quando definì la natura del centauro.
- Onorati di conoscervi- disse Meldarion.
Eglerion, invece, non rispose, ma fissò la donna. Se tale poteva esser definita.
- Voi non siete un’elfa, mia signora- le disse, quasi più per obbligarsi a crederlo.
Ella sorrise, mentre gl’occhi di Meldarion si muovevano velocissimi verso le orecchie di lei.
- Arguta osservazione, giovane elfo. Non sono né una primogenita né una dei figli minori di Iluvatar. Questo ti lascia poche opzioni sulla mia stirpe-.
- Vedi, Eglerion? Parli del nano e ne spunta la barba- disse Meldarion, riferendosi ai discorsi della sera prima.
- Come, prego?- domandò Hestia.
- Nulla di tale. Mi sta ricordando che, giusto ier sera, parlavamo di un possibile Maia. Che, però, ci vuole morti-.
Ella si ricordò improvvisamente dei discorsi dei due, riguardo al centauro. Sorrise, per rassicurarli.
- Potete star tranquilli, riguardo al mio amico: lui appartiene ad un’altra razza e, in più, non s’è mosso da questi boschi negl’ultimi giorni-.
Cominciò, poi, a camminare, nella direzione presa dal suo compagno. Si fermò, poco dopo, vedendo che i due elfi non si muovevano.
- Allora? Non volete riunirvi alle vostre compagne e conoscere questo fantomatico cavaliere?- disse loro, per poi cominciare a correre verso la radura da dove erano partiti.
- Maiar- borbottò Meldarion, accodandosi ad Hestia nella corsa, seguito a sua volta da Eglerion, ch’era risalito su Nimloth.

Impiegarono meno tempo, stavolta, poiché Hestia li aveva condotti per un sentiero ben nascosto di sua conoscenza.
- Come state?- domandò Meldarion, trafelato, una volta uscito dalla selva.
- Noi stiamo bene, Meldarion. Te, piuttosto, continui ad avere l’aria di chi ha visto negli occhi di Morgoth-.
Eglerion soggiunse poco dopo, accompagnato da Hestia, che aveva rallentato la sua corsa per parlare con il Capitano.
- Tutto bene?-.
- Tutto a posto, - rispose Alastegiel, - poi, con Diomede a proteggerci, che cosa vuoi che ci sia accaduto?-.
Fu in quel momento che Eglerion notò il centauro che lo guardava.
Due spade erano poste nelle guaine, che Diomede portava a tracolla. Una curata barba nera gli copriva il mento, mentre i capelli, anch’essi corvini, erano tagliati corti, eccetto che per un gruppo di ciocche, raccolte in una coda che gli ricadeva sulle spalle nude. Dal busto in giù aveva in tutto e per tutto l’aspetto d’un baio.
Parlò con voce profonda, ma che manteneva una vaga nota ironica, mentre lo scrutava con le iridi scure.
- Benvenuti, signori, nelle terre del Messere-.
- Ben incontrato a voi- rispose Eglerion.

***

Gl’elfi camminarono, a lungo, attraverso i boschi, risalendo il Calanduin, guidati da Hestia e da Diomede, che avevano offerto loro ospitalità.
Arrivarono nel pomeriggio inoltrato in vista d’una casupola.
- Talia!- chiamò Hestia.
- Non occorre che tu gridi, son qui- rispose la sorella, uscendo dalle fronde accanto a loro con una pentola piena d’acqua. Dietro di lei si sentiva il gorgogliare del fiume.
Talia, vestita d’un peplo candido, posò in terra la pentola e si presentò al gruppo, fissandoli uno ad uno negl’occhi.
Eglerion sorrise, quando si trovò a guardare in quelle iridi: il “rituale” gli riportò alla mente l’incontro della Compagnia dell’Anello con dama Galadriel, millenni prima.
Sorridi, Capitano, sorridi, finché puoi.
Il sorriso d’Eglerion svanì, mentre ne nasceva uno sulle labbra di Talia.
Infine venne il turno di Meldarion, ch’era rimasto in disparte, in attesa.
- Mia signora, è un onore incontrarvi- disse, ricambiando lo sguardo di Talia.
- L’onore è mio-.
Mandos beriannen. La tua venuta non poteva causare meno scompiglio.
Meldarion abbassò velocemente gl’occhi, turbato.
I venti possono cambiare, mea domina, le rispose, con la mente.
- Venite, immagino vorrete riposarvi- propose Hestia, interrompendo il colloquio tra Meldarion e Talia.
Il gruppo entrò nella casa delle due Maiar, seguiti da Diomede.
- Hestia, c’è ancora quel cinghiale che hai catturato ieri?- domandò il centauro.
- È legato poco lontano, verso il Calanduin. Fai tu gli onori?- rispose la rossa.
Diomede annuì, prendendo un coltello acuminato dalla cassapanca posta sotto la finestra, ed uscì.
Le due Maiar fecero accomodare gl’elfi attorno al tavolo, informandosi sulla loro provenienza.
Prese la parola Alastegiel.
- Io, assieme a Galadhwen e Rhavanwen, vengo dall’Ithilien. I nostri due accompagnatori, invece, sono Noldor di Manwetol- disse, concisa.
Talia sorrise. Gl’elfi s’ostinavano ad omettere i titoli, e le piaceva: era ora che i primogeniti -Noldor o Sindar o che altro- imparassero l’umiltà.
- Siam felici di avere ospiti di così alto lignaggio sotto il nostro tetto, somma Thalien- le rispose Talia, facendo sussultare la Regina.
- Son loro, dunque, la piega inconsueta di cui mi parlasti qualche tempo fa, sorella?- domandò Hestia.
- Esattamente- rispose Talia, soffermandosi a guardare Meldarion.
- Di che piega inconsueta state parlando?- domandò Eglerion. Aveva un pessimo presentimento.
- Lascia perder la commedia, Eglerion. Lei sa- disse Meldarion.
Le elfe lo guardarono, confuse.
- Come sarebbe a dire, “sa”?- domandò Galadhwen.
- È più semplice di quanto pensi, mia giovane elfa- disse Talia, muovendo da davanti agl’occhi una ciocca color fiamma.
Meldarion sospirò ed iniziò ad esporre la situazione.
- Hestia e Talia, come avete potuto intuire, sono due Maiar. Talia, nello specifico, serve Mandos, per cui possiede il dono della preveggenza. Ed è a conoscenza d’ogni possibile motivo per il quale siamo qui, ora-.
Gl’elfi rimasero interdetti, mentre Talia s’accendeva una sigaretta, con un sorriso beffardo sulle labbra.
- Vedo che ha studiato, il nostro amico. Ma sono certa che non ha raccontato al suo Re il motivo per cui i suoi occhi non sono scuri, ora- disse. Sembrava divertirsi molto. Volse il suo sguardo verso Eglerion.
- Non è così, Sire?- gli domandò.
- Non ne sbagliate una- rispose, conciso.
- Non sembrano felici d’avervi conosciuto. Scommetto che Talia ha fatto l’onnisciente come suo solito- l’interruppe una voce dall’esterno. Diomede entrò nella casa con la carne pronta ad essere cucinata. Poggiò sul tavolo la cena e si diresse ad accendere il fuoco.
- Avete ragione, Diomede. Sospetto che avrei preferito rincontrare Mardion- borbottò Eglerion.
Rhavanwen lo fulminò con lo sguardo, seguita da Meldarion e -con sorpresa degli elfi- Hestia.
Talia mosse lo sguardo da Eglerion a Hestia con una rapidità incredibile.
- Mardion?! Quel Mardion?-.
- È a lui che vi riferivate prima, quando parlavate di un possibile Maia che vi vuole morti?- domandò Hestia ai due Noldor.
- Suppongo sia lo stesso. Moro, con un occhio solo e uno sfregio sulla parte destra del viso-.
Un silenzio calò nella casa.
- Sì. È lui, Hestia-.
Eglerion cominciò a perdere le staffe.
- Mia carissima Talia, non tutti siamo degli stracazzo di Maiar onniscienti come te. Forse Meldarion sa qualcosa ma, come hai notato, non m’ha ancora voluto dire niente. Per cui, potresti dare una cazzo d’illuminazione a questo cazzo di Noldo che sta sbraitando nella tua cucina?- disse.
Talia gli rivolse un sorrisetto, dopo aver buttato fuori una voluta di fumo. S’appoggiò allo stipite dietro di lei, cominciando a parlare.
- Finalmente mostri un pochino d’autorità, mio caro Eglerion. Ma ti pregherei di evitare d’usare quel tono in questo contesto: neanche noi abbiamo ricordi felici di questo Mardion- disse.
Eglerion rimase silente, attendendo che la Maia proseguisse. Meldarion gli porse una sigaretta che aveva girato nel mentre. Il Capitano la prese e se l’accese. Poi qualcosa lo colpì. Un’illuminazione, dovuta a qualcosa che era rimasto nei recessi della sua mente.
- Siete state voi?!- domandò, esterrefatto.
- A cavargli l’occhio? Esattamente. È stata Hestia, per esser precisi- disse Talia.
Il gruppo sposto la sua attenzione verso l’altra Maia, che sedeva dandogli le spalle, attizzando il fuoco del camino per cucinare la loro cena.
- Tentò di stuprarmi- cominciò, senza voltarsi.
- Tentò di stuprarmi, ma con un pessimo finale. Gli strappai l’occhio e lo calpestai con il tacco dello stivale. Sono certa che si sogna ancora il rumore, durante le notti. Nel duello che seguì gli procurai lo squarcio sulla faccia. Capì di non essere in grado di battermi e fuggì. Accadde circa centocinquanta anni fa. Non so cos’abbia fatto, nel mentre, ma sembra esser rimasto su Arda, a quanto pare-.
La Maia si alzò, prendendo dal tavolo i pezzi di carne ben tagliati da Diomede, per buttarli nella pentola, dove l’acqua già bolliva.
- Ma - riprese a dire, mentre supervisionava la cottura della cena, - non roviniamo la serata parlando di quell’essere. Preferirei di gran lunga parlare d’altro, se non vi dispiace-.
Gli ospiti assentirono, impegnandosi a mantener altri temi nei discorsi futuri.

Qualche ora dopo Alastegiel si trovava fuori della casa. La stretta radura dove stavano era bagnata dalla fioca luce di uno spicchio di luna, mentre attorno sorgevano alti pioppi, mandorli ed agrifogli.
L’elfa fumava, pensosa, rivedendo nella mente gl’avvenimenti degl’ultimi giorni.
In poco meno di due settimane i Noldor avevano portato parecchio scompiglio nella sua vita. Ed ora si trovava nel giardino di due Maiar, nel pieno delle Terre Selvagge, senza alcuna certezza riguardante il domani.
- Dubbiosa?- le fece una voce profonda.
Ella si voltò per trovarsi faccia a faccia con Diomede. Dietro al centauro stava Eglerion, intento per l’ennesima volta a fumare.
- Parecchio. Comincio a chiedermi il motivo di questo viaggio- rispose Alastegiel.
- Non posso risponderti, mia cara, non m’interesso a ciò che accade al di fuori di queste radure da fin troppi anni, ormai. Ma puoi fidarti del giudizio di Talia-.
- Dici? Non lo so-.
- Ella sapeva della vostra venuta, da almeno una decina di giorni-.
Alastegiel fece un paio di calcoli a mente. Undici giorni prima c’erano stati l’incendio al porto, l’attacco alla Ithil e i diverbi tra Eglerion e Meldarion.
Nessuno sembrava saperne di più, su questi ultimi, per cui si ripromise di chiedere informazioni ad Eglerion non appena ne avrebbe avuta l’occasione.
Alastegiel spense la sigaretta, sedendosi sul manto erboso.
- Non lo so. Non tutti siamo veggenti come lei. Se io provo a figurarmi come sarà ciò che m’attende, vedo solo un’informe massa nebulosa- disse.
- Ben detto, thêl- le fece eco Eglerion, che aveva seguito la conversazione.
Il Noldo si avvicinò, sedendosi di fianco ai due.
- Sinceramente, son sempre meno convinto dei miei propositi, e mi dispiace avervi trascinati con me in questa folle crociata. Verso dove, poi? A cercare i nostri consanguinei che non si son fatti sentire per secoli? Per quanto ne sappiamo potrebbero non esserci affatto-.
- Non dire così. Probabilmente i tuoi sospetti su Nuova Numenor sono fondati: anche nell’Ithilien la situazione comincia ad esser critica-.
- Per questo son scettico: sarebbe stato meglio se fossimo rimasti nell’Ithilien ed avessimo agito da là- disse Eglerion.
- Forse- rispose Alastegiel, - ma forse non saremmo riusciti comunque a resistere. A sud del Vallo d’Isildur qualcosa è in movimento, non possiamo negarlo. E poi c’è il problema di Mardion: che cosa può volere un Maia da noi?-.
- Per quanto ne so son secoli che a Nuova Numenor c’è una taglia sulla mia testa. Potrebbe esser semplicemente in cerca di denaro, ma non ne son troppo sicuro- asserì Eglerion.
- No. C’è qualcosa di più losco nel ritorno di quell’individuo- interloquì Diomede.
- Devo dartene atto. Suona strano che un Maia sia interessato solo ad arricchirsi-.
Eglerion spense la sua sigaretta sotto il tacco dello stivale, mentre Hestia s’univa a loro.
- Cos’è questo, l’angolo dei tabagisti? Questi elfi stanno trovando ogni modo per sfuggire alla loro immortalità- disse, con tono di rimprovero.
Diomede sospirò.
- Hestia è una Maia al servizio d’Oromë, per cui non vede di buon occhio l’utilizzo di sostanze che possano causare male all’organismo. Sua sorella invece è l’estremo opposto- disse, informando i due elfi.
- Mi è già più simpatica- disse Eglerion, sorridendo.
- E Mardion? Quale dei grandi soleva servire, prima di ribellarsi?- domandò Alastegiel.
- Nienna- rispose Hestia.
- Colei che piange? Ora capisco…- disse Eglerion, pensoso.
Gli altri lo guardarono, confusi.
- L’altra notte Rhavanwen ed io siamo stati attaccati da Mardion, a Yelinta. Rhavanwen, essendo una sentinella, dovrebbe esser abituata all’adrenalina nelle vene, ai possibili attentati, al muoversi sempre circospetta. Ma quella sera non s’è accorta di Mardion nella sua camera ed è rimasta molto scossa, anche dopo la sua fuga-.
- Sospetti sia colpa del Maia?- domandò la Regina.
- È sicuramente colpa sua. Essendo stato un tempo fedele a Nienna, ha imparato il controllo sulla sfera delle emozioni. Ovviamente, ribellandosi ha perso la maggior parte dei suoi poteri, ma sembra aver acuito la capacità di far percepire le emozioni più spiacevoli come disperazione, paura e agitazione. Deve aver trovato il modo di farle sentire tranquillità e pace, di farla rilassare, prima di rivelarsi. Al che gl’è bastato farla disperare, tentando di farle perdere le speranze in modo che non potesse più far altro- spiegò Hestia.
Eglerion s’accese un’altra sigaretta, riflettendo sulle ultime informazioni. I suoi sospetti erano confermati e, in più, gl’era stata rivelata l’arma più pericolosa di cui il suo nemico potesse disporre.

Il mood si tranquillizzò quando ai quattro in giardino s’unirono gl’altri ospiti della casa. Talia si redense completamente agl’occhi d’Eglerion quando gli porse una bottiglia di vino bianco fruttato estratto dalla sua cantina.
- Son certo che questo ti piacerà- gli disse, porgendogli una bottiglia. Egli le sorrise e le porse la sigaretta appena rollata.
- Grazie. E mi scuso per il tono di questo pomeriggio, ma -comprendimi- ero alquanto irritato dal tuo atteggiamento- rispose.
- Nessun problema, Capitano-. Al che la Maia s’era accesa la cicca sulla candela accesa appositamente per quest’intento, guadagnandosi l’ennesima occhiata di rimprovero da parte della sorella.
Ithil viaggiava, nel cielo, ridotta ad uno spicchio crescente, mentre Noldor, Sindar, Maiar e un centauro discorrevano sotto le stelle di Varda, chiedendo consiglio, esponendo i loro piani o, semplicemente, raccontando aneddoti di ciò ch’avevano vissuto.
Meldarion fu preso da risa incontrollabili quando Talia raccontò della volta in cui era riuscita a far bere Hestia, con risultati disastrosi.
Alastegiel, però, restava taciturna. Spesso il suo sguardo si perdeva nel vuoto o indugiava verso Meldarion, tanto che egli se ne accorse, ad un certo punto.
- Manen nalyë?- le domandò, con la mente. Come stai?
- Prestannen- rispose. Preoccupata.
- È per gl’occhi?-.
- Sì. Non è normale. Lo siamo tutti, in effetti-.
- Non esserlo. Presto vi spiegherò tutto- rispose. Stava per aggiungere “Non devi preoccuparti”, ma non vi riuscì. Nello stesso momento sia lui che Talia s’irrigidirono.
Gl’occhi di Talia passarono dal verde all’azzurro intenso, di sfumatura perfettamente uguale a quelli di Meldarion.
Poi ella parlò.
- Mandos Beriannen inter vos est-.
- Hic sum, mea domina- rispose Meldarion.
Le due voci avevano lo stesso timbro, profondo e freddo.
Il dialogo tra i due continuò per qualche minuto, finché Eglerion non s’alzò, deciso a versare il proprio bicchiere in faccia a Meldarion, per farlo rinvenire.
Hestia lo trattenne per un braccio. Egli si voltò a guardarla, gelido, ma ella scosse la testa, facendogli intendere ch’era meglio non intervenire.
La cantilena dei due raggiunse toni sempre più alti ed inquietanti, per poi interrompersi bruscamente.
I due smisero simultaneamente di parlare e cominciarono a prendere respiri profondi e boccheggiare, come se appena usciti dalle gelide acque di un lago.
Meldarion appoggiò la schiena sul prato, cercando di riprendere fiato. Talia gli poggiò una mano sul petto.
- Stai bene?-.
- Sì, mia signora. Solo scosso-.
Galadhwen muoveva lo sguardo rapidamente dall’elfo alla Maia, cercando di capire che cosa fosse appena successo.
Eglerion s’avvicinò al duo. Non sapeva bene che cosa dire, ma sentiva che le domande gli s’accavallavano nella mente.
Fu Hestia a rompere il silenzio per lui.
- Dove?- chiese.
- Naind i Haudh-o-Linnaid- rispose la sorella, in un sussurro.
- I “Campi del Tumulo dei Canti”?- domandò Galadhwen.
- A sud-est da qui, in fondo all’Anduin. È dove fu combattuta la Battaglia della Sesta Era. Ma le spiegazioni a dopo, vado a prender dell’acqua- rispose Diomede, avviandosi dentro casa e uscendone poco dopo con un otre.
- Eglerion?- chiamò Talia, con voce flebile, - Non avresti una sigaretta per la povera veggente, così che lei ti possa spiegare che cosa è appena successo?-.
Fragili sorrisi illuminarono i volti degli astanti, sentendo che la Maia -nonostante provata- avesse ancora voglia di scherzare.
Meldarion alzò la testa.
- Se ne rolli una anche a me spiego io che, ormai, penso di dovertelo-.
Eglerion sorrise di nuovo e rollò di buona lena le due sigarette.
- Yenì ve lintë yuldar avànier, mi oromandi lisse-miruvoreva,* - disse Talia, - ma non per me. E non per il nostro comune amico-.
- Mandos Beriannen, lo hai chiamato. Che cosa significa?-.
- Trattasi d’un dono e di una maledizione, allo stesso tempo. Sono secoli che Mandos mi grazia con visioni. Visioni che spesso parlano di morte e distruzione, che tento sempre di far in modo che non avvengano, invano-.
- “Invano”?- domandò Galadhwen.
- Sì-.
Si rivolse ad Eglerion:
- Ti ricordi di Arandion?- disse, parlando del secondo che Eglerion aveva quando era ancora generale e Meldarion era appena arruolato.
- Tancave-.
- La sua morte. La vidi la sera prima. Quella fu la prima-.
- Ma in tutti questi anni non l’ha mai saputo nessuno?-.
- No. Era il mio peso da portare. Dopo Arandion ho sempre avvertito chi potevo, seppur poche volte m’hanno dato ascolto. La tempesta di sabbia è una delle poche eccezioni-.
- Mi son sempre chiesto come tu potessi saperlo prima- rispose Eglerion.
- Quando avvenne?- domandò Talia.
- Circa un secolo fa- risposero assieme Meldarion, Eglerion e Galadhwen. Il Capitano si voltò verso quest’ultima, sorpreso.
- Mh… quadra. Fu la prima volta che ti avvertii- rispose la riccia.
- Poi, improvvisamente, s’interruppero- continuò Meldarion.
Gl’elfi lo guardarono, interrogativamente, mentre egli prendeva un paio di sorsi d’acqua.
- Sono stata io. Durante la tua visione della tempesta sei riuscito a trasmettermi il peso delle tue visioni. Ero dunque al corrente della tua esistenza e, ogni volta che percepivo qualcosa di similare, tentavo di schermarti-.
- Devono esser stati anni difficili- osservò Rhavanwen.
- Non troppo. Un secolo, secondo i nostri standard, non è molto-.
- In ogni caso te ne ringrazio, Talia- disse Meldarion, - ma hanno ripreso a mostrarsi comunque, da circa…-.
- Poco più di una decina di giorni?-.
- Sì-.
- Lo so. Sospetto che la sola presenza di Mardion nelle tue vicinanze sia riuscita a bloccar le mie difese. Per questo mi sono mostrata, dopo la terza visione- disse.
- La sera dell’attacco al porto- disse Meldarion, informando gl’altri.
- Ad ogni modo- continuò Talia, rispondendo alla domanda inespressa del gruppo, - di queste ultime visioni solo quella dell’assalto alla vostra nave era specifica. Le altre son alquanto generiche-.
- E in questa? Avete visto solo i Naind i Haudh-o-Linnaid?- domandò Galadhwen.
- Il posto era quello. Si vedeva la costa di Vylsiach sullo sfondo, le falangi di picchieri prepararsi allo scontro e voi- disse Talia.
- Noi?- chiese Alastegiel.
- Sì, voi. Te, Alastegiel, il nostro amico Eglerion e un terzo elfo, chiaramente della stirpe dei Teleri, in testa allo schieramento. V’è una battaglia, nel vostro futuro più prossimo-.
Eglerion sospirò. Che cos’altro dovevano aspettarsi?

 

 

No, non è un miraggio, è veramente un capitolo undici che avete appena letto.
Finalmente ci siamo inoltrati un po’ di più nelle terre selvagge e spero che sia piaciuto alle varie fan di Meldarion.
Ringrazio parecchio Hareth, Elfa e Silvì, facendo un appunto alle ultime due: bestemmia! È triestino, NON veneziano, quello parlato dai tre osti! Che non ricapiti!
Scherzi a parte, son felice sia piaciuto come capitolo. E, sì, Hary, come ormai sai ho preferito andarci leggero su Rhavanwen, che già m’hai detto che sto scendendo sempre più nei meandri del Pulp.
Infine, m’è stato fatto notare che in questo capitolo i miei elfi stanno fumando e bevendo un po’ troppo, al che scatta l’avvertimento: ascoltate questo scrittore, loro non esistono, ma i polmoni e i fegati nostri sì, non seguite il loro esempio.
Ah, sì, si ringrazia Tarantino per aver ispirato alla lontana il dettaglio dell’occhio di Mardion.
Detto ciò, vi lascio a questo piccolo fuori scena.

Cose che accadono, su un set del genere.

Studios di VII Age. Refettorio esterno. 14:27.
- Che è ‘sta morchia?!-.
- Oi, come osi?-.
- Dai, Meldarion, ‘sta tranquillo…-.
- Lascia perdere, Castiel, è incazzato amaro-.
- Che cosa succede qui?-.
Chaos si avvicina all’angolo del tavolo dove Meldarion sta sbraitando.
Meldarion, Castiel, un fonico e la costumista stanno discutendo animatamente. Meldarion in particolare sembra alquanto adirato con il fonico in questione, un ragazzo sui venticinque con i capelli lunghi castani, gl’occhi azzurro intenso, la barba sfatta e un’anda da tossico resa ancor più accentuata dalla miriade di pendagli e cianfrusaglie attaccate ai polsi.
- Meldarion?- chiama di nuovo Chaos, togliendosi dalla testa il berretto da baseball che dovrebbe conferirgli il grado di regista (in realtà gli da un’aria da idiota patentato, ma nessuno ha avuto il cuore di dirglielo).
- Che c’è?!- risponde questi.
- Che-cosa-succede?- domanda di nuovo, scandendo bene le parole.
- Assaggia!- gli dice Meldarion, porgendogli il suo calice di vino.
Chaos afferra il bicchiere e prende un paio di sorsi del bianco contenuto. Reprime un conato.
- Fa cagare, vero?! Sa di pop-corn!- strepita Meldarion.
- Voi non apprezzate l’arte…- afferma il fonico, con aria affranta.
- L’hai comprato te?- domanda il regista, riconoscendolo come uno dei compagni di bevute di quella sera in cui s’è preso una piomba fenomenale assieme ad Eglerion e Talia. Anzi, a ben pensarci, glielo aveva presentato proprio Eglerion, quando il tecnico del suono precedente s’era licenziato dopo aver notato il livello di serietà nullo sul set di tutti.
Chaos sorride. Era quando ho finto di essere Eglerion con un sombrero in testa, durante la scena della partenza da Minas Duin, si dice.
- Sì. L’altra sera m’hai firmato un foglio che mi dava piena padronanza dei soldi del catering per comprare il vino dei prossimi giorni- risponde il fonico, accendendosi una paglia.
Chaos se n’accende una a sua volta.
- E allora perché questo fa schifo? Mi pare che tu avessi una buona conoscenza dei vini-.
Il fonico sospira, tirando fuori un portafoglio. Lo apre, buttando fuori una voluta di fumo, per estrarne uno scontrino.
Chaos lo prende e comincia a leggere.
- Hrvatska Republika?! Macheccaz? Ma dove sei andato a comprarlo? Che cosa sono le KUNE?!-.
- Son dovuto andare fino ad Umago, dove me lo hanno fatto a quattordici kune al litro e mezzo- risponde il tecnico.
- Che sarebbe?-.
- Due euro-.
Chaos non sa più se strangolare il fonico con i lacci delle sue stesse Converse, uccidersi con il vino al delicato aroma di pop-corn o chiudere gli studios dichiarando fallimento.
- Capisco il risparmiare, ma un minimo di qualità-prezzo…- comincia Chaos.
- Sai che cosa vuol dire che tu m’hai dato quaranta, dico quaranta euro per comprare il vino?! Lo sai che stiamo mangiando cibo cinese e kebab comprati all’ingrosso per pochi euro? Stiamo per andare in bancarotta e vi lamentate se non possiamo permetterci del vino decente? Cazzo, io mi dimetto, ci si rivede al baretto, Chaos-.
Chaos si lascia cadere sulla panca tra la costumista e Zoe.
- Ok. Non abbiamo vino. Non abbiamo un tecnico del suono. Non abbiamo come pagar la colonna sonora, perché il fonico doveva frodare in qualche modo i detentori dei vari diritti. Dobbiam ancora trovare una modo per andar a in Cadore a girare gl’esterni del dodici. Devo trovare uno stuntman per Waith, che altrimenti mi sviene per le vertigini…- comincia a cantilenare il regista.
- Bluescreen?- propone Zoe, al suo fianco.
- Ha detto che gli fa venire il mal di mare. Ti ricordi per la scena dell’attracco? È quasi caduto due volte dal Molo Audace! Da fermo!- commenta Chaos, con una nota di isteria nella voce.
Si ferma un secondo a guardare Zoe, che gli sorride tentando di rassicurarlo.
Il sorriso di Zoe comincia a svanire mentre quello di Chaos si allarga.
Il regista cinge le spalle alla ragazza e, con fare professionale, comincia a parlarle.
- Sai, Zoe… stavo pensando: che cosa vuole vedere la gente? Vuole violenza, e gliela daremo; vuole ridere, e ridono; e vuole sesso-.
- A che cosa vuoi arrivare, Chaos?- risponde ella, nervosamente.
- Beh, te sei una bella ragazza… potresti essere… un po’ più lasciva, potrei aggiungere qualche scena nel dodici in cui potresti mostrarti per la bellezza che sei…- dice.
Zoe si ferma a pensarci un momento. Sorseggia un po’ di vino, per poi sputarlo dietro di lei. Poi si volta verso Chaos.
- Ok- comincia. Chaos sembra sprizzare gioia da tutti i pori, ha trovato il modo di salvare la sua fic.
- Doppio stipendio- continua ella. Il sorriso di Chaos comincia a svanire anch’esso.
- Doppio stipendio. Suite prepagata. Un nuovo paio di scarpe-. Il sorriso di Chaos è ormai un ricordo.
- 10% dell’incasso totale. Del vino decente. Possibilità di scegliere la controparte maschile…-.
Chaos si alza, sconfitto.
- EHI! Guarda che non ho mica finito-.
Chaos neanche si volta, va diretto a passo spedito verso l’osmizetta di Cavana, dove è sicuro di trovare conforto.
- Ben arrivato boss- lo saluta Lancaeriel, vedendolo arrivare.
Rain è seduto poco più in là, acustica in mano, che canticchia.
- Rollin’… rollin’… rollin’ on a river…-.
L’ex fonico lo saluta con un cenno del capo.
Dietro di lui Eglerion è intento a pomiciare con Rhavanwen, evidentemente alticcia.
Chaos s’accascia sulla sedia più vicina.
- Pensavo- comincia Lancaeriel, - che ne diresti se facciamo far una scena a quei due in cui solo lei è sbronza?-.
Chaos lancia un’occhiata ai due e nota quanto accaldata sia lei e quanto sobrio -per i suoi standard- sia lui.
- Potrebbe essere un’idea. Torno subito-.
Ritorna al tavolo poco dopo con due bicchieri e una caraffa di vino.
- Scena notturna senza stipendio- esordisce l’elfa bionda.
Chaos, preso da uno slancio affettivo, la bacia appassionatamente per poi versarsi un bicchiere di vino decente.
- Parliamone-.

Si ringrazia Hareth per avermi prestato Rain, mago di vento chitarrista che strimpella Proud Mary dei Creedence, presente in Alagos Rain’s Rioters e Alagos War, sempre in questa sezione. Il vino di Umago che sa di pop-corn esiste e fa veramente schifo: se capitate in Hrvatska, attenzione a quale vino comprate.

  
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