Cap XI Blue Eyed Meldarion
Aveva qualcosa nella schiena. Era piantato proprio in mezzo alle scapole.
Aprì gl’occhi.
La sala della locanda era in una situazione
disastrosa.
Sedie e panche erano rovesciate in giro, boccali e bicchieri
erano abbandonati sui tavoli e vari uomini dormivano sulle poche panche ancora
in piedi. Meldarion fumava, sulla porta. Il sole era a metà del suo cammino
verso lo zenit.
Chiuse di nuovo gl’occhi. Fitte di emicrania attraversarono
la sua testa. Lasciò perdere anche il dolore alla schiena, tentando di ricordare
che cosa fosse accaduto la sera prima.
Nero.
Non ricordava nulla. Forse
qualcosa. Ma era troppo stancante pensarci.
Era ora di chiedere aiuto. Provò
a chiamare Meldarion.
Dalle sue labbra uscì un verso indistinto.
Non
apparteneva a nessuna lingua conosciuta ma bastò ad attirare l’attenzione
dell’elfo.
Egli si voltò e s’avvicinò.
Dopo essersi chinato all’altezza
del suo volto, parlò.
- Ben svegliata, somma Thalien-.
***
- Ed ora?- chiese Rhavanwen, dopo che i due ebbero finito la loro
colazione.
- Ed ora s’attende- rispose Eglerion, reprimendo uno sbadiglio.
Se non dormire è male, dormire poco è peggio, si disse.
Erano ancora
in camera di Rhavanwen, seduti sui cuscini. Eglerion aveva portato del caffè e
dei biscotti al piano superiore, in modo da poter mangiare in tranquillità.
- Intendevo: nel mentre noi che cosa facciamo?- domandò la
Sindar.
Eglerion sorrise, pensando al commento cinico che sarebbe potuto
uscir dalle labbra di Stephane in un momento del genere.
- Non ne ho idea. Ma
ho il vago sospetto che tu abbia già qualche programma per la
mente-.
Manwe, Ulmo, Varda e tutti quanti, vi prego, fate che non abbia
voglia di visitare questa città, vi prego dal profondo!
Rhavanwen gli
regalò uno dei sorrisi più belli.
- A dire il vero sì. Son curiosa di veder
il resto di questa città- disse.
Eglerion sospirò.
- I Valar non mi
ascoltano- borbottò.
Ella s’alzò, mentre egli estrasse un sacchetto dalla
tasca.
- Eglerion?-.
- Mh…- rispose egli, armeggiando con tabacco e
cartina.
- Ti dispiacerebbe uscire? Non son riuscita a cambiarmi, nel tempo
che mi hai dato prima- disse ella.
Eglerion s’alzò anch’egli, cicca ancora
aperta in mano.
- Vado. A tra poco- le disse. Chiuse la sigaretta ed uscì
dalla stanza, dirigendosi al piano inferiore.
Una calma innaturale regnava
nel luogo. Bepi dormiva ancora, su una sedia dietro al bancone.
Eglerion
uscì in strada e s’accese la sigaretta.
Chissà come stanno
quegl’altri, pensò.
Poco dopo sentì i passi della sua amica scendere le
scale.
- Eccomi. Che dici, andiamo?-.
Egli spense il mozzicone e s’avviò,
assieme all’elfa per le stradine.
Se c’era un aggettivo per descrivere quella città, pensò Eglerion, più tardi,
poteva essere Archetipo. Oppure Folk.
Era viva, sempre scossa da un viavai di
gente. Videro mercanti di Gothlam, nani e, i due rimasero stupefatti, vedendolo,
un centauro.
- Questo viaggio sta mostrando cose sempre più inaspettate-
disse Rhavanwen.
- Nel senso?-.
- Beh, nani a Minas Duin, uomini decisi
fino all’ultimo ad ucciderci, Noldor che spuntano dal nulla, nel momento più
inaspettato, ed ora centauri. Mancano giusto i Valar- disse.
- Ti sei
scordata qualcosa- disse Eglerion.
- Come?-.
- A me han mostrato anche
sentinelle, avvezze a battaglie e sotterfugi che affermano d’essere molto scosse
dopo un tentativo d’assassinio- le disse.
Al momento non c’aveva fatto troppo
caso -era anche felice che ella trovasse sicurezza nella sua presenza- ma
c’aveva pensato quella mattina: com’era possibile che un avvenimento del genere
potesse scuotere così tanto Rhavanwen. Sorrise, notando ch’ella arrossiva
leggermente.
- Sarà stato quell’uomo ad inquietarmi. Poi, non avevi affermato
tu d’essere pronto a proteggermi?- domandò, sulla difensiva.
- Allora la mia
presenza non ti fa bene, se poi non t’accorgi che qualcuno è nella tua stanza-
rispose, canzonandola.
Ella parve offendersi. O, perlomeno rabbuiarsi.
-
Su, che scherzo- le disse, cingendole la vita con un braccio.
Continuarono a
vagare per le stradine, fermandosi talvolta a qualche bancarella. Verso il
meriggio presero un paio di mele dalla bancarella d’un’anziana signora, che
insisté per regalargliele.
- Non potrei mai far pagare due esseri così
luminosi- disse, mostrando loro un sorriso. Evidentemente, coprire le orecchie
tra i capelli e con i copricapo più orrendi -Eglerion indossava un cappello che
a noi rimembrerebbe subito il Texas- che fossero riusciti a trovare non era
bastato per nascondere la loro natura. E pensare che ci tenevano a non dare
nell’occhio.
- I Valar siano con voi, signora- risposero,
grati.
Continuarono ad errare per le strade, finché, verso la prima dopo il
meriggio -o la settima dopo l’alba, che dir si voglia- ritornarono verso la
locanda.
- Bepi, te ne porti una caraffa de nero?- disse Eglerion,
entrando. Rhavanwen rise, sentendo la cadenza dialettale delle sue parole e lo
stesso fece Toni, che stava giocando a scacchi con Bepi dietro del bancone.
-
Da quando te parli cussì, ti?- domandò Bepi, portando la caraffa allo
stesso tavolino della sera prima, dove avevano di nuovo preso posto.
Eglerion
rise e si verso un calice di nero. Assaggiò e guardo Rhavanwen.
- Questo è
ottimo, consiglio di berlo anche a te- disse, versando del vino anche nel suo
bicchiere.
Ella prese qualche sorso, mentre la porta della locanda si
apriva.
- Non si dovrebbe bere in servizio- disse una voce conosciuta, in
tono scherzoso.
- Da che pulpito…- rispose un’altra.
I due si voltarono,
per vedere il resto del gruppo sceso a terra sull’ingresso del locale.
- Ben
arrivati!- disse Eglerion, alzandosi.
Essi si avvicinarono al tavolo, per poi
sedersi, mentre Bepi segnava sul conto di Eglerion altre due caraffe di rosso. E
una di birra per il nano.
L’oste portò il vino al tavolo, mentre Eglerion
studiava i suoi compagni di viaggio.
La Regina Alastegiel sembrava provata.
Dagli occhi iniettati di sangue s’intuiva che non aveva passato la migliore
delle notti.
Meldarion, seduto accanto a lei, continuava a sorridere
beffardamente, fissando il bicchiere vuoto della Regina.
Burin e Galadhwen,
infine, sembravano freschi e riposati come non mai, se non fosse stato che il
primo aveva delle foglie di edera impigliate nella barba e la seconda mostrava
una chioma tra le più scarmigliate.
- Meldarion, vuoi dirmi che cosa c’è da
ridere? E voi due, che diamine avete fatto ai capelli?- disse Eglerion.
Il
primo scoppiò a ridere, mentre gl’altri due cominciarono a narrare della sera
precedente.
Galadhwen era stata la prima a cedere, dopo aver sfidato un uomo
che le faceva gl’occhi dolci fino all’ultimo boccale. Era crollata a dormire sul
pavimento della locanda, con Meldarion che le vegliava accanto, mano sull’elsa
della spada.
Alastegiel aveva dato prova di sé battendo un paio di uomini, ma
poi s’era improvvisata direttrice d’orchestra di cori da bettola, in piedi su
uno dei tavoli. Per poi rovinare giù ed addormentarsi, con il gomito di
Galadhwen piantato tra le scapole.
Burin, infine, dopo essersi ubriacato
anch’egli, era finito a litigare con l’oste, che l’aveva gettato -aiutato da
altri tre nani- nel vicolo dietro alla locanda. Dopo varie minacce in Kuzdhul -e
parecchie secchiate d’acqua- Burin s’era addormentato beatamente tra l’edera del
vicolo.
- Non quella che si dice una serata tranquilla- concluse Rhavanwen,
dopo un secondo bicchiere.
Risero nuovamente tutti.
Eglerion poi
s’alzò.
- Andrò a prendere i nostri bagagli. Dopodiché direi di pagare e di
rimetterci in marcia. Abbiam già speso troppo tempo qui, almeno noi due-
disse.
Il resto del gruppo gli lanciò occhiate interrogative.
-
Ab- disse, in Sindarin. Dopo.
Pochi minuti dopo si trovavano tutti all’esterno della locanda. Avevano
calorosamente salutato i due osti, che avevano insistito per fargli uno sconto
tanto quanto Eglerion aveva insistito per dar loro un’extra. Alla fine nessuno
dei due l’ebbe vinta e pagarono solo ciò di dovuto.
- Qualche idea sulla
strada da farsi?- chiese Galadhwen.
- N’abbiamo parlato, Eglerion ed io,
pochi giorni prima di approdare. L’idea era di proseguire a Sud, da Yelinta,
fino ad incrociare il Calanduin. Da là proseguiremo leggermente a Sud-ovest,
arrivando poi nel Mithlond- disse la Regina.
Il gruppo si mise in marcia,
uscendo dal cancello Sud della città. Lì Burin si fermò.
- Qualcosa non va?-
domandò Eglerion, lasciando le redini di Nimloth.
- Ho meditato a lungo ed ho
preso una decisione: amici miei, le nostre strade si dividono qui. Non intendo
proseguire verso Sud, ma continuerò verso Ovest, fino ad arrivare alla sorgente
del Calanduin. Ivi sorge il Santuario di Aule, dove vivono molti della mia
razza. Vi ringrazio molto dell’ospitalità, ma è giunto il momento di
separarci-.
Alastegiel si avvicinò.
- Ti comprendo, Burin. È stato un
piacere ed un onore conoscerti. Spero che i nostri sentieri s’incroceranno
nuovamente, prima o poi- disse.
Il resto degl’elfi salutò Burin, augurandogli
ogni fortuna per il suo viaggio.
Eglerion parlò per ultimo.
- Che Aule
t’illumini il cammino, amico mio. E ricorda che dobbiamo ancora vedere chi dei
due regge di più, poiché non ne abbiamo ancora avuto occasione. Infine, -
continuò, abbassando la voce per evitar di farsi sentire dagli altri, - ti
avverto: tieni l’ascia pronta ed il passo svelto, perché Mardion potrebbe esser
ancora nelle vicinanze. Se ti capiterà d’incontrarlo, mi auguro che la tua lama
conoscerà il piacere di spiccargli la testa dal capo-.
Udendo gl’ultimi
avvertimenti, il nano si rabbuiò.
- Che i tuoi auguri possano realizzarsi,
Eglerion Tegaladion- rispose. Esitò, come sul punto d’aggiungere qualcosa, ma
poi si congedò definitivamente, inchinandosi e volgendo i suoi passi ad
Ovest.
Eglerion lo lasciò andare, sebbene le parole del nano l’avevano
lasciato turbato: come conosceva Burin il nome di suo padre?
Decise di
lasciar correre e si riunì al resto dei suoi compagni.
Quel pomeriggio marciarono silenti lungo sentieri antichi, residui della
Terra di Mezzo che ancora non aveva visto il cataclisma. Camminarono a lungo, a
passo svelto, fino al tramonto.
Senza una parola, Eglerion fermò Nimloth ed
il gruppo s’arrestò.
Non persero tempo a cacciare ma mangiarono una cena
fredda con il cibo portato dalla Ithil. Non accesero neanche un fuoco, non
avendone effettivo bisogno.
Si sederono nello spiazzo erboso e mangiarono,
senza parlare.
Quando tutti ebbero finito, Alastegiel guardò Eglerion e
Rhavanwen.
- Adesso vorrei che ci comunicaste i motivi di questa frettolosa
dipartita da Yelinta-. Non parlò in tono freddo, ma fece sentire ogni briciolo
d’autorità in quelle parole.
Eglerion sospirò, per poi estrarre dal suo
bagaglio il tabacco.
Cominciò a girarsi una sigaretta nello stesso momento in
cui prese a parlare.
In poche parole raccontò della sera prima e di Mardion,
sempre rollando, lasciando Alastegiel basita.
- Questo Mardion ce l’ha con
te, sembrerebbe- disse Meldarion, rompendo il silenzio. Aveva da pochi momenti
fregato l’armamentario da rollo ad Eglerion e si stava dedicando anche lui al
suo piccolo cancro al polmone.
Eglerion accese un piccolo fuoco di paglia ed
infiammò la punta della sua cicca. Prese una lunga boccata, pensoso, per poi
rispondere a Meldarion.
- Sembrerebbe di sì. Peccato che io non abbia la più
pallida idea di chi sia-.
- Di certo c’è che non si tratta di un elfo-
interloquì Galadhwen.
- Ma non è neanche umano. Ed escluderei la possibilità
che si tratti di un nano: difficilmente raggiungono i sei piedi d’altezza- disse
Eglerion.
- Ne sei certo, Eglerion, che non si tratti di un uomo? Magari un
qualche Lord numenoreano che hai attaccato precedentemente-.
- Più che certo.
E lo saresti anche tu, se l’avessi visto combattere. Nessun uomo, neppure se
cresciuto tra gl’elfi, come Stephane, può combattere con quella velocità e
forza-.
- Non vorrai mica dire che si tratta di un Maia- disse Meldarion,
dando alle fiamme la punta della sua sigaretta con un fiammifero.
- Non lo
escluderei, sai- disse Eglerion, serio.
Meldarion ridacchiò.
- Sì. E,
magari, si tratta di uno dei sette in persona, ancora arrabbiato per la storia
dei Silmaril. O, magari, Mandos stesso, pronto a adempiere le sue maledizioni,
dopo millenni. Perché, se non erro, c’era anche la tua linea, immischiata in
quegl’intrallazzi. O sbaglio?-.
Eglerion prese un paio di boccate, prima di
rispondere, incurante degli sguardi confusi delle Sindar.
- Più o meno. Mi
pare che qualcosa l’abbia perdonato, ai miei avi. Penso sia dovuto, dopo
quell’immensa camminata tra i ghiacci che gli toccò fare. Ma, tralasciando la
genealogia, escluderei tale probabilità. Se Mandos volesse distruggere i Noldor,
non gli basterebbe inabissare Manwetol e feudi vari?- rispose, riprendendo la
conclusione che aveva raggiunto la sera prima.
- Per cui resti dell’idea che
sia un Maia- asserì Rhavanwen, estraendo una bottiglia da una delle sacche di
Nimloth.
- Non posso esserne certo, ma andando per esclusione direi di sì-
rispose il biondo, prendendo l’ultimo tiro.
Rhavanwen passò la bottiglia a
Galadhwen, che l’aprì e n’annusò il contenuto.
- Tequila?- domandò al
Capitano.
- Aye. Ottima tequila-.
Galadhwen bevve due sorsi, per poi
passare la bottiglia alla Regina, alla sua sinistra. Anch’ella bevve, per poi
passarla a Meldarion. Il Noldo gettò anch’egli il suo mozzicone, per poi bere un
paio di sorsi.
Passando la bottiglia ad Eglerion, parlò nuovamente:
-
Quindi resti della tua opinione- affermò, incerto.
- La mia opinione è
incerta quanto il tuo tono. Possiamo far ben poco, al momento-.
Detto ciò, il
Re bevve qualche sorso.
- Yoho, beviamoci su- asserì, laconico,
Meldarion.
***
La mattina dopo Galadhwen svegliò il resto degli elfi. Era toccato a lei
l’ultimo turno di guardia.
Dopo una veloce colazione si misero di nuovo in
marcia. Camminarono a lungo, sempre in silenzio, quasi per non disturbare la
Terra dormiente: eran secoli che un elfo non posava i suoi piedi su quei
sentieri. Gl’unici ad utilizzarli erano i fuorilegge delle città, in fuga, o
gl’animali selvatici, per quanto ne sapevano.
Presto apparve loro la vista,
in lontananza, d’alcuni colli. Meldarion s’arrestò, improvvisamente. Sembrò
crollare sotto il suo stesso peso e restò in ginocchio a fissare il terreno di
quello che -nonostante non lo sospettassero- una volta veniva chiamato
Verdecammino.
- Man mathach?- gli chiesero. Egli non rispose.
-
Meldarion?- chiamò Eglerion. Il moro non disse parola neanche stavolta. Alzò
semplicemente il mento in direzione di chi lo aveva interpellato e lo fissò con
sguardo gelido. E con delle iridi di un azzurro talmente intenso da far
rabbrividire il più coraggioso degl’uomini.
Eglerion non disse nulla, ma tese
solo la mano verso l’amico. Questi l’accettò e si rialzò da terra,
ringraziandolo.
- Che cosa è successo, Meldarion?- domandò Galadhwen.
-
Nulla di tale, son inciampato in una radice- rispose egli.
- Meldarion, -
cominciò Eglerion, in tono serio, - tu puoi beccare tutte le radici di questa
terra, ma nessuna, nessuna di nostra conoscenza può farti cambiare il
colore degli occhi-.
Meldarion si rabbuiò. Non poteva più nasconderlo,
l’odiato dono che Mandos gl’aveva concesso.
- Le spiegazioni le rimanderei a
stasera. Adesso è meglio se ci rimettiamo in marcia. Possiamo ancora raggiungere
quei colli entro l’imbrunire, per poi accamparci là- interloquì
Alastegiel.
Gl’altri annuirono. Senza una parola sull’accaduto, ripresero ad
avanzare verso il punto indicato da Alastegiel.
Verso il tardo pomeriggio fecero un’ulteriore scoperta: non si trattava
affatto di colli. Erano tumuli.
Sparsi in gruppetti di due o tre, essi
chiudevano una piccola radura, il cui centro era segnato da un monolito, eroso
dalle intemperie.
Il gruppo si fermò, sul far della sera, tra quei tumuli;
avendo concordato qualche ora prima di utilizzare il luogo per quella
notte.
Stavolta Meldarion raccolse della legna ed accese un piccolo
falò.
- E quello? Per la suggestione?- domandò Rhavanwen,
sorridendo.
Meldarion le scoccò un’occhiata gelida, ma rispose con voce
calma:
- Fidati di me, è meglio averlo-.
Eglerion non prestò attenzione ai
due, ma estrasse la bottiglia di tequila della sera prima e ne prese un sorso:
la situazione cominciava a farsi troppo contorta, senza concentrarsi
sui battibecchi dei compagni. Guardò la bottiglia, sospirando, e prese un
ulteriore sorso. Per fortuna aveva portato una riserva sufficiente, per quel
viaggio.
Quando si voltò, si trovò faccia a faccia con Alastegiel.
-
Abbiam bisogno di parlare- disse ella. Gli fece cenno di seguirla, mentre
s’avviava verso il tumulo più vicino.
I due s’inerpicarono sul colle e si
sedettero sulla sommità di esso, poco lontani da una pietra intagliata.
- Che
cosa c’è che volevi dirmi?- domandò il Noldo, cominciando a girarsi l’ennesima
cicca.
- Sono preoccupata. Tra Mardion e Meldarion che adesso comincia a
recitare la parte del folle, comincio a pensare che questo viaggio non ci
porterà alcun bene- disse ella.
- Mardion è un problema non da poco,
concordo. Non penso sarebbe strano se spuntasse da uno di questi tumuli,
stanotte-. Alastegiel rabbrividì.
- Paura?-.
- No. O, meglio, non di
questo luogo, nonostante si possa percepire il male che porta-.
I due si
guardarono attorno, mentre l’umidità della sera li avvolgeva in una spessa
nebbia.
- Lo so. È antico. Probabilmente c’è qualcosa di più antico di
entrambi, sotto quest’erba-.
- I problemi sono: s’interesserà a noi? E: sarà
benigno, in caso lo faccia?-.
- Dubito, riguardo alla seconda. E comprendo
perché Meldarion ha acceso quel fuoco-.
- Ritornando a lui, non sei
preoccupato?-.
- Non molto, veramente-.
- Come mai? Non mi par normale che
una radice possa cambiarti il colore delle iridi- incalzò Alastegiel.
- Vero.
Ma lo conosco abbastanza da comprenderlo. Sta bene, per ora- rispose
Eglerion.
Com’aveva finito di dir quelle parole, un grido proveniente dalla
radura attirò la loro attenzione. L’eco di questo riecheggiò tra le colline.
Eglerion raggelò quando udì un grido di risposta.
Scesero velocemente lungo
il crinale, per trovare le due Sindar inginocchiate vicino a Meldarion,
disteso.
Il suo corpo era scosso da tremiti, le dita si flettevano veloci, ma
i suoi occhi, mai così azzurri, erano immobili e fissi.
- Rhavanwen, prendi
l’arco e mettiti vicino al fuoco- disse Eglerion, conciso. Ella eseguì, senza
fiatare, mentre Eglerion afferrava un tizzone dal falò.
- Che cosa c’è,
Eglerion?- domandò Alastegiel.
- Ti ricordi quella presenza? Probabilmente
s’è accorta di noi e non è per niente benigna. Voi due pensate a Meldarion,
Rhavanwen ed io vedremo che fare se decide di farci visita- rispose.
Alastegiel annuì.
I due attesero, tesi come la corda dell’arco di
Rhavanwen, mentre Galadhwen ed Alastegiel vegliavano su Meldarion, che aveva
cominciato a mormorare qualche parola in una lingua a loro sconosciuta.
-
Adveniunt… celere colles descendunt…-.
Nel mentre sembrava
contorcersi, spaventato da qualcosa che non vedevano. Eppure percepivano, più
forte di prima, il male avvicinarsi.
- Hic sunt- concluse il Noldo,
prima di svenire definitivamente.
Tre pallide figure emersero dalle
nebbie.
Erano vestite di stracci, che una volta erano probabilmente stati
ricchi abiti, e d’armature consunte, su cui la luce delle fiamme si rifletteva e
guizzava, rendendo le apparizioni ancora più tremende. Sul capo d’ognuna v’era
una corona di foggia diversa, e stringevano, nelle dita ossute e coperte
d’anelli, delle spade arrugginite.
Eglerion sguainò la sua lama, mentre
scambiava due parole in Sindarin con Rhavanwen, dicendole di tenersi pronta a
scoccare. Quando il primo dei tre fu abbastanza vicino, Eglerion si rivolse a
loro.
- Chi siete, ch’ancora vagate per quest’erme lande? Tornate al vostro
riposo, più vostra quiete non turberemo- disse.
Lo spettro emise un suono
strano, a metà tra un ringhio e una risata cavernosa, per poi parlare.
- Fini
nostri turbare audete. Ciò che già siamo, a breve sarete- rispose esso, in un
sibilo minaccioso.
Gl’altri due spettri s’unirono al primo nelle risa, per
poi levare le spade.
Eglerion si preparò, brandendo sia spada che tizzone.
Lanciò una rapida occhiata a Rhavanwen, che intese il segnale. La freccia
dell’elfa si piantò nella mano dell’avversario più a destra, subito seguita da
una dritta all’altezza del cuore, mentre Eglerion incrociava la lama con
gl’altri due. Il Noldo si ritrovò a fissare due paia d’orbite vuote, ad udire
due risate prive d’ogni gioia, a sentire l’immondo puzzo di decomposizione
emanato dai suoi nemici.
- Ch’ei a noi venga, lascia!- disse uno dei due,
mentre l’elfo premeva per rompere l’aggancio.
Eglerion si staccò, arretrando
di un paio di passi, per poi tornare ad incalzare i due nemici, mentre il terzo,
a cui le frecce non parevano aver fatto alcun effetto, veniva combattuto da
Rhavanwen, che aveva lasciato l’arco per estrarre anch’ella la sua spada.
I
due elfi continuarono a scambiare colpi con i loro nemici, perdendo e
guadagnando terreno ogniqualvolta Eglerion allungava il tizzone ardente verso
essi.
Con un colpo di maestria, Rhavanwen riuscì a spiccare la testa dal capo
di uno dei tre. Il corpo cadde a terra, lasciando cadere l’arma, ma la testa
rotolò poco lontana e continuò a fissarli con le sue orbite buie, lasciando
uscire la sua macabra risata da una gola inesistente. Rhavanwen indietreggiò,
impietrita da ciò che vedeva.
- Avo ‘osto, Rhavanwen, avo ‘osto!- le
disse Eglerion. Non temere.
Stavolta comprendeva l’eventuale paura
della sentinella: per quanto i mortali, vivi o deceduti, non l’avessero mai
spaventato, le fredde dita dell’incertezza cominciavano ad afferrare anche il
suo animo.
Rhavanwen non rispose ma, ripresa la fredda lucidità, calciò
lontano la testa del nemico abbattuto e, con un grido, si avventò assieme al
Capitano contro gl’altri due spettri.
Dopo un rapido, ulteriore, scambio di
colpi, Eglerion improvvisò una stoccata verso lo spettro alla sua sinistra,
contro cui si stava accanendo anche la Sindar. Il colpo riuscì ed il ramo
incendiò le consunte vesti e le carni in decomposizione dell’essere.
Ma pagò
caro il rischio preso: lo spettro rimanente, approfittando della momentanea
distrazione di Eglerion, lo colpì alla coscia. L’elfo emise un verso di dolore,
ma fu un momento soltanto. Pochi secondi dopo, grazie agli sforzi combinati dei
due elfi, il corpo dell’ultimo spettro giaceva in pezzi sul suolo.
Rhavanwen
prese il tizzone dalle mani di Eglerion e, mentre anche questo spettro
s’accomiatava da loro ridendo, glielo piantò in gola.
I due tornarono al
falò, dove trovarono le due elfe intente a vegliare su Meldarion, armi alla
mano.
- Bisogna cauterizzare quel colpo: quella lama era arrugginita come non
mai, farà infezione se non agiamo in fretta- disse Rhavanwen, dopo essersi
assicurata che gl’altri fossero illesi.
- Fammi girare una sigaretta, prima,
poi hai il permesso di darmi fuoco totalmente, se vuoi- rispose Eglerion,
nervosamente. Impiegò qualche minuto di troppo, nel rollarsi la cicca, per via
delle mani tremanti, ma riuscì. Poggiò la creazione accanto a sé e si voltò
verso l’elfa bionda.
- Meglio se mordi qualcosa, non sarà quello che si dice
“un piacere”- disse ella.
Galadhwen, nel mentre, si era avvicinata, portando
con sé un otre d’acqua.
Il Re estrasse un corto pugnale dalla cintura e ne
morse la lama dalla parte smussata.
- Pronto- mugugnò.
Rhavanwen prese un
altro legno acceso dal falò morente e fissò Eglerion.
- Uno. Due.
Tre!-.
Eglerion strinse i denti sul freddo acciaio, quando il tizzone
incandescente venne a contatto con la sua carne, procurandogli lunghi secondi di
dolore intenso. Subito dopo Galadhwen versò dell’acqua sulla carne viva, per
raffreddarla. Rhavanwen concluse la medicazione disinfettando la ferita con il
primo liquido utile che trovò -la tequila di Eglerion- e fasciandola.
-
Zoppicherai un paio di giorni, ma dovresti rimetterti presto-.
- Bene-
rispose egli, accendendosi la sigaretta e afferrando la bottiglia dalle mani di
Rhavanwen. Fece un lungo tiro, per poi bere un paio di sorsi. Gli ultimi.
-
Cazzo, un’altra bottiglia finita. Dannati spettri, porca troia- imprecò.
Le
due elfe risero.
- Degno… degno d’un Haradrim sbronzo... Eglerion…- sentirono
farfugliare, poi.
Si voltarono, per vedere Meldarion che avanzava, sorretto
da Alastegiel.
I suoi occhi erano ancora dello stesso azzurro intenso di
prima, ma meno freddi.
- Dobbiamo muoverci di qui- asserì quest’ultima.
-
Concordo. Meldarion, Sali su Nimloth, ché non sei in condizioni di camminare-
assentì Eglerion.
Si guardò un attimo attorno, per poi trovare, abbandonato
vicino al falò, un ramo abbastanza lungo.
Si caricarono i bagagli in spalla e
si rimisero in marcia, attraverso le nebbie che andavano diradandosi.
Al mattino avevano messo una lega tra loro e i tumuli e si concessero
qualche ora di riposo.
Si trovavano sulla riva d’un ruscello che scorreva
veloce, ai margini d’una piccola radura, immersi in un fitto bosco.
Galadhwen
montò la guardia, assieme ad Alastegiel, entrando nella trance meditativa
utilizzata dagl’elfi come forma di riposo. Consce ed inconsce di tutto ciò che
accadeva loro attorno. Gl’altri preferirono gettarsi sotto l’ombra dei pini
odorosi e dormire.
Il mattino passò pigramente e, verso il meriggio, si
svegliarono per mangiare qualcosa.
- Tutto calmo?- domandò Meldarion. S’era
ripreso, una volta lasciati i tumuli, ma possedeva ancora gl’occhi azzurri che
non gl’appartenevano.
- Nessun suono- replicò la Regina, senza interrompere
la meditazione.
Eglerion si stiracchiò, dietro di loro, guardandosi attorno.
Si sentiva riposato, finalmente, e le fronde sopra di lui, con il loro odore di
pioggia, gli davano una sensazione di pace.
Ma v’era comunque una vaga,
remota, nota stonata.
Galadhwen fu la prima a notarla: ad un certo punto,
quando s’apprestavano ad alzarsi per decidere sul da farsi, s’irrigidì nella
meditazione e si rivolse agl’altri.
- Lo sentite?-.
I quattro elfi si
misero in ascolto, cercando d’udire ciò di cui Galadhwen li aveva
avvertiti.
Zoccoli, lontani, assieme a passi leggeri e clangore di
metallo.
Meldarion ed Eglerion si scambiarono un’occhiata.
- Tu su
Nimloth, io correrò- disse il primo.
- Accordato-. Assieme, cominciarono a
togliere le sacche dalla sella di Nimloth, poggiando il bagaglio per terra.
-
Dove credete di andare? Veniamo anche noi- disse Alastegiel, vedendoli
indaffarati.
- Meglio di no, meglio non rivelare il nostro numero fin da
subito. Vi prego, rimanete qui e state pronte a tutto- le rispose
Eglerion.
Il Capitano salì sul suo cavallo e guardò Meldarion.
-
Pronto?-.
- Andiamo-.
E i due partirono, inoltrandosi più in fretta
possibile nella foresta.
***
Le lame cozzarono per l’ennesima volta, mentre piedi e zoccoli si bloccavano,
sulla riva del Calanduin.
La ragazza eseguì una complicata mossa per
liberarsi dall’aggancio in cui il suo avversario l’aveva costretta, per poi
attaccare con il manico della sua lancia. Il centauro parò con una delle sue
lame, muovendo repentinamente la seconda verso il fianco scoperto della
fanciulla.
Con un movimento fluido ella schivò, in un turbinio di ciocche
fiammeggianti, per poi tornare ad attaccare. Le armi s’incrociarono nuovamente,
quando ella si bloccò.
- Che cosa accade?- domandò il centauro.
- Abbiamo
ospiti. Un elfo, assieme ad un cavaliere, stanno venendo verso di noi. E sento
la presenza d’altri elfi, più in là- rispose ella.
- La radura di confine,
giusto?-.
- Esattamente. Vai tu? C’è qualcosa di strano, nell’elfo che sta
arrivando, sono curiosa di scoprire chi egli sia-.
- Come preferisci, Hestia.
Ci si vede tra poco-.
Detto ciò, il centauro saltò lo stretto fiume e
cominciò a galoppare verso la radura, dove le tre elfe attendevano, quasi
ignare.
Hestia si guardò attorno, ascoltando i rumori causati dai due in
arrivo e cercando il luogo migliore da dove disarmarli, in caso ce ne fosse
stato bisogno.
Si nascose, quindi, dietro un affioramento roccioso e
attese.
- Hai sentito? L’altro cavaliere è andato verso le altre- sentì dire
da una voce. Era profonda, ma comunque gioviale e, in quel momento, alquanto
preoccupata.
- Ho sentito, Meldarion. Speriamo solo sappiano cavarsela, in
caso si tratti di colui che temo- rispose un’altra voce.
Era arrivato il
momento d’interrompere la loro conversazione. Uscì dal suo nascondiglio, con la
lancia in pugno, pronta a difendersi.
- Chi siete voi?- domandò loro, con una
voce non sua, baritonale ed antica.
I due elfi sussultarono ed alzarono le
armi.
La ragazza vestiva una tunica di cuoio e puntava verso di loro una
lancia che sembrava uscita dalle forge della scomparsa Gondolin, o da Nan
Elmoth, per quanto era splendida.
Li fissava con i suoi occhi azzurri, ancora
più azzurri e profondi di quelli di Meldarion ed Eglerion in quel momento.
-
Chi siete?- domandò di nuovo.
I due elfi decisero di abbassare le armi.
Eglerion scese da cavallo e si avvicinò, con le mani alzate in segno di
resa.
- Mi chiamo Eglerion. Io ed alcuni compagni stiamo viaggiando per
queste terre, diretti verso il Mithlond, non pensavamo fossero abitate. In più
pensavamo che il cavaliere che abbiamo sentito vi stesse attaccando e che fosse
una nostra vecchia conoscenza, di cui non desideriamo incrociare di nuovo il
cammino. Questi è Meldarion, uno dei miei sodali. Vi dispiacerebbe dirci il
vostro nome?-.
- Sono Hestia. Vivo in queste terre dagli albori di quest’Era,
nonostante cammini su Arda da molto più tempo. Il messere di queste terre ha
concesso l’ospitalità a me, mia sorella e ad un altro nostro amico, il
cavaliere che udiste prima- disse ella, non nascondendo un sorrisetto
quando definì la natura del centauro.
- Onorati di conoscervi- disse
Meldarion.
Eglerion, invece, non rispose, ma fissò la donna. Se tale poteva
esser definita.
- Voi non siete un’elfa, mia signora- le disse, quasi più per
obbligarsi a crederlo.
Ella sorrise, mentre gl’occhi di Meldarion si
muovevano velocissimi verso le orecchie di lei.
- Arguta osservazione,
giovane elfo. Non sono né una primogenita né una dei figli minori di Iluvatar.
Questo ti lascia poche opzioni sulla mia stirpe-.
- Vedi, Eglerion? Parli del
nano e ne spunta la barba- disse Meldarion, riferendosi ai discorsi della sera
prima.
- Come, prego?- domandò Hestia.
- Nulla di tale. Mi sta ricordando
che, giusto ier sera, parlavamo di un possibile Maia. Che, però, ci vuole
morti-.
Ella si ricordò improvvisamente dei discorsi dei due, riguardo al
centauro. Sorrise, per rassicurarli.
- Potete star tranquilli, riguardo al
mio amico: lui appartiene ad un’altra razza e, in più, non s’è mosso da questi
boschi negl’ultimi giorni-.
Cominciò, poi, a camminare, nella direzione presa
dal suo compagno. Si fermò, poco dopo, vedendo che i due elfi non si
muovevano.
- Allora? Non volete riunirvi alle vostre compagne e conoscere
questo fantomatico cavaliere?- disse loro, per poi cominciare a correre verso la
radura da dove erano partiti.
- Maiar- borbottò Meldarion, accodandosi ad
Hestia nella corsa, seguito a sua volta da Eglerion, ch’era risalito su
Nimloth.
Impiegarono meno tempo, stavolta, poiché Hestia li aveva condotti per un
sentiero ben nascosto di sua conoscenza.
- Come state?- domandò Meldarion,
trafelato, una volta uscito dalla selva.
- Noi stiamo bene, Meldarion. Te,
piuttosto, continui ad avere l’aria di chi ha visto negli occhi di
Morgoth-.
Eglerion soggiunse poco dopo, accompagnato da Hestia, che aveva
rallentato la sua corsa per parlare con il Capitano.
- Tutto bene?-.
-
Tutto a posto, - rispose Alastegiel, - poi, con Diomede a proteggerci, che cosa
vuoi che ci sia accaduto?-.
Fu in quel momento che Eglerion notò il centauro
che lo guardava.
Due spade erano poste nelle guaine, che Diomede portava a
tracolla. Una curata barba nera gli copriva il mento, mentre i capelli,
anch’essi corvini, erano tagliati corti, eccetto che per un gruppo di ciocche,
raccolte in una coda che gli ricadeva sulle spalle nude. Dal busto in giù aveva
in tutto e per tutto l’aspetto d’un baio.
Parlò con voce profonda, ma che
manteneva una vaga nota ironica, mentre lo scrutava con le iridi scure.
-
Benvenuti, signori, nelle terre del Messere-.
- Ben incontrato a voi- rispose
Eglerion.
***
Gl’elfi camminarono, a lungo, attraverso i boschi, risalendo il Calanduin,
guidati da Hestia e da Diomede, che avevano offerto loro
ospitalità.
Arrivarono nel pomeriggio inoltrato in vista d’una casupola.
-
Talia!- chiamò Hestia.
- Non occorre che tu gridi, son qui- rispose la
sorella, uscendo dalle fronde accanto a loro con una pentola piena d’acqua.
Dietro di lei si sentiva il gorgogliare del fiume.
Talia, vestita d’un peplo
candido, posò in terra la pentola e si presentò al gruppo, fissandoli uno ad uno
negl’occhi.
Eglerion sorrise, quando si trovò a guardare in quelle iridi: il
“rituale” gli riportò alla mente l’incontro della Compagnia dell’Anello con dama
Galadriel, millenni prima.
Sorridi, Capitano, sorridi, finché
puoi.
Il sorriso d’Eglerion svanì, mentre ne nasceva uno sulle labbra di
Talia.
Infine venne il turno di Meldarion, ch’era rimasto in disparte, in
attesa.
- Mia signora, è un onore incontrarvi- disse, ricambiando lo sguardo
di Talia.
- L’onore è mio-.
Mandos beriannen. La tua venuta non
poteva causare meno scompiglio.
Meldarion abbassò velocemente gl’occhi,
turbato.
I venti possono cambiare, mea domina, le rispose, con la
mente.
- Venite, immagino vorrete riposarvi- propose Hestia, interrompendo il
colloquio tra Meldarion e Talia.
Il gruppo entrò nella casa delle due Maiar,
seguiti da Diomede.
- Hestia, c’è ancora quel cinghiale che hai catturato
ieri?- domandò il centauro.
- È legato poco lontano, verso il Calanduin. Fai
tu gli onori?- rispose la rossa.
Diomede annuì, prendendo un coltello
acuminato dalla cassapanca posta sotto la finestra, ed uscì.
Le due Maiar
fecero accomodare gl’elfi attorno al tavolo, informandosi sulla loro
provenienza.
Prese la parola Alastegiel.
- Io, assieme a Galadhwen e
Rhavanwen, vengo dall’Ithilien. I nostri due accompagnatori, invece, sono Noldor
di Manwetol- disse, concisa.
Talia sorrise. Gl’elfi s’ostinavano ad omettere
i titoli, e le piaceva: era ora che i primogeniti -Noldor o Sindar o che altro-
imparassero l’umiltà.
- Siam felici di avere ospiti di così alto lignaggio
sotto il nostro tetto, somma Thalien- le rispose Talia, facendo
sussultare la Regina.
- Son loro, dunque, la piega inconsueta di cui mi
parlasti qualche tempo fa, sorella?- domandò Hestia.
- Esattamente- rispose
Talia, soffermandosi a guardare Meldarion.
- Di che piega inconsueta state
parlando?- domandò Eglerion. Aveva un pessimo presentimento.
- Lascia perder
la commedia, Eglerion. Lei sa- disse Meldarion.
Le elfe lo guardarono,
confuse.
- Come sarebbe a dire, “sa”?- domandò Galadhwen.
- È più semplice
di quanto pensi, mia giovane elfa- disse Talia, muovendo da davanti agl’occhi
una ciocca color fiamma.
Meldarion sospirò ed iniziò ad esporre la
situazione.
- Hestia e Talia, come avete potuto intuire, sono due Maiar.
Talia, nello specifico, serve Mandos, per cui possiede il dono della
preveggenza. Ed è a conoscenza d’ogni possibile motivo per il quale siamo qui,
ora-.
Gl’elfi rimasero interdetti, mentre Talia s’accendeva una sigaretta,
con un sorriso beffardo sulle labbra.
- Vedo che ha studiato, il nostro
amico. Ma sono certa che non ha raccontato al suo Re il motivo per cui i suoi
occhi non sono scuri, ora- disse. Sembrava divertirsi molto. Volse il suo
sguardo verso Eglerion.
- Non è così, Sire?- gli domandò.
- Non
ne sbagliate una- rispose, conciso.
- Non sembrano felici d’avervi
conosciuto. Scommetto che Talia ha fatto l’onnisciente come suo solito-
l’interruppe una voce dall’esterno. Diomede entrò nella casa con la carne pronta
ad essere cucinata. Poggiò sul tavolo la cena e si diresse ad accendere il
fuoco.
- Avete ragione, Diomede. Sospetto che avrei preferito rincontrare
Mardion- borbottò Eglerion.
Rhavanwen lo fulminò con lo sguardo, seguita da
Meldarion e -con sorpresa degli elfi- Hestia.
Talia mosse lo sguardo da
Eglerion a Hestia con una rapidità incredibile.
- Mardion?! Quel
Mardion?-.
- È a lui che vi riferivate prima, quando parlavate di un
possibile Maia che vi vuole morti?- domandò Hestia ai due Noldor.
- Suppongo
sia lo stesso. Moro, con un occhio solo e uno sfregio sulla parte destra del
viso-.
Un silenzio calò nella casa.
- Sì. È lui, Hestia-.
Eglerion
cominciò a perdere le staffe.
- Mia carissima Talia, non tutti siamo degli
stracazzo di Maiar onniscienti come te. Forse Meldarion sa qualcosa ma, come hai
notato, non m’ha ancora voluto dire niente. Per cui, potresti dare una cazzo
d’illuminazione a questo cazzo di Noldo che sta sbraitando nella tua cucina?-
disse.
Talia gli rivolse un sorrisetto, dopo aver buttato fuori una voluta di
fumo. S’appoggiò allo stipite dietro di lei, cominciando a parlare.
-
Finalmente mostri un pochino d’autorità, mio caro Eglerion. Ma ti pregherei di
evitare d’usare quel tono in questo contesto: neanche noi abbiamo ricordi felici
di questo Mardion- disse.
Eglerion rimase silente, attendendo che la Maia
proseguisse. Meldarion gli porse una sigaretta che aveva girato nel mentre. Il
Capitano la prese e se l’accese. Poi qualcosa lo colpì. Un’illuminazione, dovuta
a qualcosa che era rimasto nei recessi della sua mente.
- Siete state voi?!-
domandò, esterrefatto.
- A cavargli l’occhio? Esattamente. È stata Hestia,
per esser precisi- disse Talia.
Il gruppo sposto la sua attenzione verso
l’altra Maia, che sedeva dandogli le spalle, attizzando il fuoco del camino per
cucinare la loro cena.
- Tentò di stuprarmi- cominciò, senza voltarsi.
-
Tentò di stuprarmi, ma con un pessimo finale. Gli strappai l’occhio e lo
calpestai con il tacco dello stivale. Sono certa che si sogna ancora il rumore,
durante le notti. Nel duello che seguì gli procurai lo squarcio sulla faccia.
Capì di non essere in grado di battermi e fuggì. Accadde circa centocinquanta
anni fa. Non so cos’abbia fatto, nel mentre, ma sembra esser rimasto su Arda, a
quanto pare-.
La Maia si alzò, prendendo dal tavolo i pezzi di carne ben
tagliati da Diomede, per buttarli nella pentola, dove l’acqua già bolliva.
-
Ma - riprese a dire, mentre supervisionava la cottura della cena, - non
roviniamo la serata parlando di quell’essere. Preferirei di gran lunga parlare
d’altro, se non vi dispiace-.
Gli ospiti assentirono, impegnandosi a mantener
altri temi nei discorsi futuri.
Qualche ora dopo Alastegiel si trovava fuori della casa. La stretta radura
dove stavano era bagnata dalla fioca luce di uno spicchio di luna, mentre
attorno sorgevano alti pioppi, mandorli ed agrifogli.
L’elfa fumava, pensosa,
rivedendo nella mente gl’avvenimenti degl’ultimi giorni.
In poco meno di due
settimane i Noldor avevano portato parecchio scompiglio nella sua vita. Ed ora
si trovava nel giardino di due Maiar, nel pieno delle Terre Selvagge, senza
alcuna certezza riguardante il domani.
- Dubbiosa?- le fece una voce
profonda.
Ella si voltò per trovarsi faccia a faccia con Diomede. Dietro al
centauro stava Eglerion, intento per l’ennesima volta a fumare.
- Parecchio.
Comincio a chiedermi il motivo di questo viaggio- rispose Alastegiel.
- Non
posso risponderti, mia cara, non m’interesso a ciò che accade al di fuori di
queste radure da fin troppi anni, ormai. Ma puoi fidarti del giudizio di
Talia-.
- Dici? Non lo so-.
- Ella sapeva della vostra venuta, da almeno
una decina di giorni-.
Alastegiel fece un paio di calcoli a mente. Undici
giorni prima c’erano stati l’incendio al porto, l’attacco alla Ithil e i diverbi
tra Eglerion e Meldarion.
Nessuno sembrava saperne di più, su questi ultimi,
per cui si ripromise di chiedere informazioni ad Eglerion non appena ne avrebbe
avuta l’occasione.
Alastegiel spense la sigaretta, sedendosi sul manto
erboso.
- Non lo so. Non tutti siamo veggenti come lei. Se io provo a
figurarmi come sarà ciò che m’attende, vedo solo un’informe massa nebulosa-
disse.
- Ben detto, thêl- le fece eco Eglerion, che aveva seguito la
conversazione.
Il Noldo si avvicinò, sedendosi di fianco ai due.
-
Sinceramente, son sempre meno convinto dei miei propositi, e mi dispiace avervi
trascinati con me in questa folle crociata. Verso dove, poi? A cercare i nostri
consanguinei che non si son fatti sentire per secoli? Per quanto ne sappiamo
potrebbero non esserci affatto-.
- Non dire così. Probabilmente i tuoi
sospetti su Nuova Numenor sono fondati: anche nell’Ithilien la situazione
comincia ad esser critica-.
- Per questo son scettico: sarebbe stato meglio
se fossimo rimasti nell’Ithilien ed avessimo agito da là- disse Eglerion.
-
Forse- rispose Alastegiel, - ma forse non saremmo riusciti comunque a resistere.
A sud del Vallo d’Isildur qualcosa è in movimento, non possiamo negarlo. E poi
c’è il problema di Mardion: che cosa può volere un Maia da noi?-.
- Per
quanto ne so son secoli che a Nuova Numenor c’è una taglia sulla mia testa.
Potrebbe esser semplicemente in cerca di denaro, ma non ne son troppo sicuro-
asserì Eglerion.
- No. C’è qualcosa di più losco nel ritorno di
quell’individuo- interloquì Diomede.
- Devo dartene atto. Suona strano che un
Maia sia interessato solo ad arricchirsi-.
Eglerion spense la sua sigaretta
sotto il tacco dello stivale, mentre Hestia s’univa a loro.
- Cos’è questo,
l’angolo dei tabagisti? Questi elfi stanno trovando ogni modo per sfuggire alla
loro immortalità- disse, con tono di rimprovero.
Diomede sospirò.
- Hestia
è una Maia al servizio d’Oromë, per cui non vede di buon occhio l’utilizzo di
sostanze che possano causare male all’organismo. Sua sorella invece è l’estremo
opposto- disse, informando i due elfi.
- Mi è già più simpatica- disse
Eglerion, sorridendo.
- E Mardion? Quale dei grandi soleva servire, prima di
ribellarsi?- domandò Alastegiel.
- Nienna- rispose Hestia.
- Colei che
piange? Ora capisco…- disse Eglerion, pensoso.
Gli altri lo guardarono,
confusi.
- L’altra notte Rhavanwen ed io siamo stati attaccati da Mardion, a
Yelinta. Rhavanwen, essendo una sentinella, dovrebbe esser abituata
all’adrenalina nelle vene, ai possibili attentati, al muoversi sempre
circospetta. Ma quella sera non s’è accorta di Mardion nella sua camera ed è
rimasta molto scossa, anche dopo la sua fuga-.
- Sospetti sia colpa del
Maia?- domandò la Regina.
- È sicuramente colpa sua. Essendo stato un tempo
fedele a Nienna, ha imparato il controllo sulla sfera delle emozioni.
Ovviamente, ribellandosi ha perso la maggior parte dei suoi poteri, ma sembra
aver acuito la capacità di far percepire le emozioni più spiacevoli come
disperazione, paura e agitazione. Deve aver trovato il modo di farle sentire
tranquillità e pace, di farla rilassare, prima di rivelarsi. Al che gl’è bastato
farla disperare, tentando di farle perdere le speranze in modo che non potesse
più far altro- spiegò Hestia.
Eglerion s’accese un’altra sigaretta,
riflettendo sulle ultime informazioni. I suoi sospetti erano confermati e, in
più, gl’era stata rivelata l’arma più pericolosa di cui il suo nemico potesse
disporre.
Il mood si tranquillizzò quando ai quattro in giardino s’unirono gl’altri
ospiti della casa. Talia si redense completamente agl’occhi d’Eglerion quando
gli porse una bottiglia di vino bianco fruttato estratto dalla sua cantina.
-
Son certo che questo ti piacerà- gli disse, porgendogli una bottiglia. Egli le
sorrise e le porse la sigaretta appena rollata.
- Grazie. E mi scuso per il
tono di questo pomeriggio, ma -comprendimi- ero alquanto irritato dal tuo
atteggiamento- rispose.
- Nessun problema, Capitano-. Al che la Maia s’era
accesa la cicca sulla candela accesa appositamente per quest’intento,
guadagnandosi l’ennesima occhiata di rimprovero da parte della sorella.
Ithil
viaggiava, nel cielo, ridotta ad uno spicchio crescente, mentre Noldor, Sindar,
Maiar e un centauro discorrevano sotto le stelle di Varda, chiedendo consiglio,
esponendo i loro piani o, semplicemente, raccontando aneddoti di ciò ch’avevano
vissuto.
Meldarion fu preso da risa incontrollabili quando Talia raccontò
della volta in cui era riuscita a far bere Hestia, con risultati
disastrosi.
Alastegiel, però, restava taciturna. Spesso il suo sguardo si
perdeva nel vuoto o indugiava verso Meldarion, tanto che egli se ne accorse, ad
un certo punto.
- Manen nalyë?- le domandò, con la mente. Come
stai?
- Prestannen- rispose. Preoccupata.
- È
per gl’occhi?-.
- Sì. Non è normale. Lo siamo tutti, in
effetti-.
- Non esserlo. Presto vi spiegherò tutto- rispose.
Stava per aggiungere “Non devi preoccuparti”, ma non vi riuscì. Nello stesso
momento sia lui che Talia s’irrigidirono.
Gl’occhi di Talia passarono dal
verde all’azzurro intenso, di sfumatura perfettamente uguale a quelli di
Meldarion.
Poi ella parlò.
- Mandos Beriannen inter vos
est-.
- Hic sum, mea domina- rispose Meldarion.
Le due voci
avevano lo stesso timbro, profondo e freddo.
Il dialogo tra i due continuò
per qualche minuto, finché Eglerion non s’alzò, deciso a versare il proprio
bicchiere in faccia a Meldarion, per farlo rinvenire.
Hestia lo trattenne per
un braccio. Egli si voltò a guardarla, gelido, ma ella scosse la testa,
facendogli intendere ch’era meglio non intervenire.
La cantilena dei due
raggiunse toni sempre più alti ed inquietanti, per poi interrompersi
bruscamente.
I due smisero simultaneamente di parlare e cominciarono a
prendere respiri profondi e boccheggiare, come se appena usciti dalle gelide
acque di un lago.
Meldarion appoggiò la schiena sul prato, cercando di
riprendere fiato. Talia gli poggiò una mano sul petto.
- Stai bene?-.
-
Sì, mia signora. Solo scosso-.
Galadhwen muoveva lo sguardo rapidamente
dall’elfo alla Maia, cercando di capire che cosa fosse appena
successo.
Eglerion s’avvicinò al duo. Non sapeva bene che cosa dire, ma
sentiva che le domande gli s’accavallavano nella mente.
Fu Hestia a rompere
il silenzio per lui.
- Dove?- chiese.
- Naind i Haudh-o-Linnaid-
rispose la sorella, in un sussurro.
- I “Campi del Tumulo dei Canti”?-
domandò Galadhwen.
- A sud-est da qui, in fondo all’Anduin. È dove fu
combattuta la Battaglia della Sesta Era. Ma le spiegazioni a dopo, vado a
prender dell’acqua- rispose Diomede, avviandosi dentro casa e uscendone poco
dopo con un otre.
- Eglerion?- chiamò Talia, con voce flebile, - Non avresti
una sigaretta per la povera veggente, così che lei ti possa spiegare che cosa è
appena successo?-.
Fragili sorrisi illuminarono i volti degli astanti,
sentendo che la Maia -nonostante provata- avesse ancora voglia di
scherzare.
Meldarion alzò la testa.
- Se ne rolli una anche a me spiego io
che, ormai, penso di dovertelo-.
Eglerion sorrise di nuovo e rollò di buona
lena le due sigarette.
- Yenì ve lintë yuldar avànier, mi oromandi
lisse-miruvoreva,* - disse Talia, - ma non per me. E non per il nostro
comune amico-.
- Mandos Beriannen, lo hai chiamato. Che cosa
significa?-.
- Trattasi d’un dono e di una maledizione, allo stesso tempo.
Sono secoli che Mandos mi grazia con visioni. Visioni che spesso parlano di
morte e distruzione, che tento sempre di far in modo che non avvengano,
invano-.
- “Invano”?- domandò Galadhwen.
- Sì-.
Si rivolse ad
Eglerion:
- Ti ricordi di Arandion?- disse, parlando del secondo che Eglerion
aveva quando era ancora generale e Meldarion era appena arruolato.
-
Tancave-.
- La sua morte. La vidi la sera prima. Quella fu
la prima-.
- Ma in tutti questi anni non l’ha mai saputo nessuno?-.
- No.
Era il mio peso da portare. Dopo Arandion ho sempre avvertito chi potevo, seppur
poche volte m’hanno dato ascolto. La tempesta di sabbia è una delle poche
eccezioni-.
- Mi son sempre chiesto come tu potessi saperlo prima- rispose
Eglerion.
- Quando avvenne?- domandò Talia.
- Circa un secolo fa-
risposero assieme Meldarion, Eglerion e Galadhwen. Il Capitano si voltò verso
quest’ultima, sorpreso.
- Mh… quadra. Fu la prima volta che ti avvertii-
rispose la riccia.
- Poi, improvvisamente, s’interruppero- continuò
Meldarion.
Gl’elfi lo guardarono, interrogativamente, mentre egli prendeva un
paio di sorsi d’acqua.
- Sono stata io. Durante la tua visione della tempesta
sei riuscito a trasmettermi il peso delle tue visioni. Ero dunque al corrente
della tua esistenza e, ogni volta che percepivo qualcosa di similare, tentavo di
schermarti-.
- Devono esser stati anni difficili- osservò Rhavanwen.
- Non
troppo. Un secolo, secondo i nostri standard, non è molto-.
- In ogni caso te
ne ringrazio, Talia- disse Meldarion, - ma hanno ripreso a mostrarsi comunque,
da circa…-.
- Poco più di una decina di giorni?-.
- Sì-.
- Lo so.
Sospetto che la sola presenza di Mardion nelle tue vicinanze sia
riuscita a bloccar le mie difese. Per questo mi sono mostrata, dopo la terza
visione- disse.
- La sera dell’attacco al porto- disse Meldarion, informando
gl’altri.
- Ad ogni modo- continuò Talia, rispondendo alla domanda inespressa
del gruppo, - di queste ultime visioni solo quella dell’assalto alla vostra nave
era specifica. Le altre son alquanto generiche-.
- E in questa? Avete visto
solo i Naind i Haudh-o-Linnaid?- domandò Galadhwen.
- Il posto era quello. Si
vedeva la costa di Vylsiach sullo sfondo, le falangi di picchieri prepararsi
allo scontro e voi- disse Talia.
- Noi?- chiese Alastegiel.
- Sì, voi. Te,
Alastegiel, il nostro amico Eglerion e un terzo elfo, chiaramente della stirpe
dei Teleri, in testa allo schieramento. V’è una battaglia, nel vostro futuro più
prossimo-.
Eglerion sospirò. Che cos’altro dovevano aspettarsi?
No, non è un miraggio, è veramente un capitolo undici che avete appena
letto.
Finalmente ci siamo inoltrati un po’ di più nelle terre selvagge e
spero che sia piaciuto alle varie fan di Meldarion.
Ringrazio parecchio
Hareth, Elfa e Silvì, facendo un appunto alle ultime due: bestemmia! È
triestino, NON veneziano, quello parlato dai tre osti! Che non
ricapiti!
Scherzi a parte, son felice sia piaciuto come capitolo. E, sì,
Hary, come ormai sai ho preferito andarci leggero su Rhavanwen, che già m’hai
detto che sto scendendo sempre più nei meandri del Pulp.
Infine, m’è stato
fatto notare che in questo capitolo i miei elfi stanno fumando e bevendo un po’
troppo, al che scatta l’avvertimento: ascoltate questo scrittore, loro non
esistono, ma i polmoni e i fegati nostri sì, non seguite il loro esempio.
Ah,
sì, si ringrazia Tarantino per aver ispirato alla lontana il dettaglio
dell’occhio di Mardion.
Detto ciò, vi lascio a questo piccolo fuori
scena.
Cose che accadono, su un set del genere.
Studios di VII Age. Refettorio esterno. 14:27.
- Che è ‘sta
morchia?!-.
- Oi, come osi?-.
- Dai, Meldarion, ‘sta tranquillo…-.
-
Lascia perdere, Castiel, è incazzato amaro-.
- Che cosa succede
qui?-.
Chaos si avvicina all’angolo del tavolo dove Meldarion sta
sbraitando.
Meldarion, Castiel, un fonico e la costumista stanno discutendo
animatamente. Meldarion in particolare sembra alquanto adirato con il fonico in
questione, un ragazzo sui venticinque con i capelli lunghi castani, gl’occhi
azzurro intenso, la barba sfatta e un’anda da tossico resa ancor più accentuata
dalla miriade di pendagli e cianfrusaglie attaccate ai polsi.
- Meldarion?-
chiama di nuovo Chaos, togliendosi dalla testa il berretto da baseball che
dovrebbe conferirgli il grado di regista (in realtà gli da un’aria da idiota
patentato, ma nessuno ha avuto il cuore di dirglielo).
- Che c’è?!- risponde
questi.
- Che-cosa-succede?- domanda di nuovo, scandendo bene le parole.
-
Assaggia!- gli dice Meldarion, porgendogli il suo calice di vino.
Chaos
afferra il bicchiere e prende un paio di sorsi del bianco contenuto. Reprime un
conato.
- Fa cagare, vero?! Sa di pop-corn!- strepita Meldarion.
- Voi non
apprezzate l’arte…- afferma il fonico, con aria affranta.
- L’hai comprato
te?- domanda il regista, riconoscendolo come uno dei compagni di bevute di
quella sera in cui s’è preso una piomba fenomenale assieme ad Eglerion
e Talia. Anzi, a ben pensarci, glielo aveva presentato proprio Eglerion, quando
il tecnico del suono precedente s’era licenziato dopo aver notato il livello di
serietà nullo sul set di tutti.
Chaos sorride. Era quando ho finto di essere Eglerion con un sombrero in testa, durante
la scena della partenza da Minas Duin, si dice.
- Sì.
L’altra sera m’hai firmato un foglio che mi dava piena padronanza dei soldi del
catering per comprare il vino dei prossimi giorni- risponde il fonico,
accendendosi una paglia.
Chaos se n’accende una a sua volta.
- E allora
perché questo fa schifo? Mi pare che tu avessi una buona conoscenza dei
vini-.
Il fonico sospira, tirando fuori un portafoglio. Lo apre, buttando
fuori una voluta di fumo, per estrarne uno scontrino.
Chaos lo prende e
comincia a leggere.
- Hrvatska Republika?! Macheccaz? Ma dove sei andato a
comprarlo? Che cosa sono le KUNE?!-.
- Son dovuto andare fino ad Umago, dove
me lo hanno fatto a quattordici kune al litro e mezzo- risponde il tecnico.
-
Che sarebbe?-.
- Due euro-.
Chaos non sa più se strangolare il fonico con
i lacci delle sue stesse Converse, uccidersi con il vino al delicato aroma di
pop-corn o chiudere gli studios dichiarando fallimento.
- Capisco il
risparmiare, ma un minimo di qualità-prezzo…- comincia Chaos.
- Sai che cosa
vuol dire che tu m’hai dato quaranta, dico quaranta euro per comprare il vino?!
Lo sai che stiamo mangiando cibo cinese e kebab comprati all’ingrosso per pochi
euro? Stiamo per andare in bancarotta e vi lamentate se non possiamo permetterci
del vino decente? Cazzo, io mi dimetto, ci si rivede al baretto,
Chaos-.
Chaos si lascia cadere sulla panca tra la costumista e Zoe.
- Ok.
Non abbiamo vino. Non abbiamo un tecnico del suono. Non abbiamo come pagar la
colonna sonora, perché il fonico doveva frodare in qualche modo i detentori dei
vari diritti. Dobbiam ancora trovare una modo per andar a in Cadore a girare
gl’esterni del dodici. Devo trovare uno stuntman per Waith, che altrimenti mi
sviene per le vertigini…- comincia a cantilenare il regista.
- Bluescreen?-
propone Zoe, al suo fianco.
- Ha detto che gli fa venire il mal di mare. Ti
ricordi per la scena dell’attracco? È quasi caduto due volte dal Molo Audace! Da
fermo!- commenta Chaos, con una nota di isteria nella voce.
Si ferma un
secondo a guardare Zoe, che gli sorride tentando di rassicurarlo.
Il sorriso
di Zoe comincia a svanire mentre quello di Chaos si allarga.
Il regista cinge
le spalle alla ragazza e, con fare professionale, comincia a parlarle.
- Sai,
Zoe… stavo pensando: che cosa vuole vedere la gente? Vuole violenza, e gliela
daremo; vuole ridere, e ridono; e vuole sesso-.
- A che cosa vuoi arrivare,
Chaos?- risponde ella, nervosamente.
- Beh, te sei una bella ragazza…
potresti essere… un po’ più lasciva, potrei aggiungere qualche scena nel dodici
in cui potresti mostrarti per la bellezza che sei…- dice.
Zoe si ferma a
pensarci un momento. Sorseggia un po’ di vino, per poi sputarlo dietro di lei.
Poi si volta verso Chaos.
- Ok- comincia. Chaos sembra sprizzare gioia da
tutti i pori, ha trovato il modo di salvare la sua fic.
- Doppio stipendio-
continua ella. Il sorriso di Chaos comincia a svanire anch’esso.
- Doppio
stipendio. Suite prepagata. Un nuovo paio di scarpe-. Il sorriso di Chaos è
ormai un ricordo.
- 10% dell’incasso totale. Del vino decente. Possibilità di
scegliere la controparte maschile…-.
Chaos si alza, sconfitto.
- EHI!
Guarda che non ho mica finito-.
Chaos neanche si volta, va diretto a passo
spedito verso l’osmizetta di Cavana, dove è sicuro di trovare conforto.
- Ben
arrivato boss- lo saluta Lancaeriel, vedendolo arrivare.
Rain è seduto poco
più in là, acustica in mano, che canticchia.
- Rollin’… rollin’… rollin’
on a river…-.
L’ex fonico lo saluta con un cenno del capo.
Dietro di
lui Eglerion è intento a pomiciare con Rhavanwen, evidentemente
alticcia.
Chaos s’accascia sulla sedia più vicina.
- Pensavo- comincia
Lancaeriel, - che ne diresti se facciamo far una scena a quei due in cui solo
lei è sbronza?-.
Chaos lancia un’occhiata ai due e nota quanto accaldata sia
lei e quanto sobrio -per i suoi standard- sia lui.
- Potrebbe essere un’idea.
Torno subito-.
Ritorna al tavolo poco dopo con due bicchieri e una caraffa di
vino.
- Scena notturna senza stipendio- esordisce l’elfa bionda.
Chaos,
preso da uno slancio affettivo, la bacia appassionatamente per poi versarsi un
bicchiere di vino decente.
- Parliamone-.
Si ringrazia Hareth per avermi prestato Rain, mago di vento chitarrista che
strimpella Proud Mary dei Creedence, presente in Alagos Rain’s Rioters e Alagos
War, sempre in questa sezione. Il vino di Umago che sa di pop-corn esiste e fa
veramente schifo: se capitate in Hrvatska, attenzione a quale vino
comprate.