CAPITOLO SEDICI
“Un’ingiustizia
commessa in un solo luogo
è una minaccia per la
giustizia in ogni luogo”.
Martin Luther King Jr.
“Il capolavoro dell’ingiustizia
è di sembrare giusto
senza esserlo”.
Platone.
Mi risveglio
dolcemente, come se quella fosse una mattinata tranquilla. E infatti a
tranquillizzarmi è il profumo delle lenzuola del letto, familiare.
Sono sicurissimo di
essere a casa mia.
Non apro gli occhi
fintanto che non mi torna in mente quel che ho vissuto la sera prima; ma è poi
tutto vero? Oppure è stata un’allucinazione? Perché ora che spalanco gli occhi
ecco che mi ritrovo, appunto, nella stanza da letto a casa mia.
L’unica nota che stona
nella calma circostante sono gli occhi arrossati di mia moglie, che è seduta a
mia fianco e mi fissa con preoccupata insistenza.
“Ehm…” tossicchio e
borbotto, intorpidito.
“James, cosa è
successo?” mi chiede subito.
“Cosa… è successo?”
faccio da pappagallo, intorpidito e confuso per qualche istante. Poi,
l’illuminazione. Cazzo, quelli mi hanno drogato, o che ne so… quanto sto male,
mi sembra che la testa stia per esplodere.
“Mi hanno rapito”
sussurro e balzo a sedere sul letto, poi prendo mia moglie per le spalle e la
percuoto piano, come a volerle far credere cosa è successo. “Mi hanno rapito”
ripeto ancora, lei sbigottita che mi guarda, “temevo per voi. Ma adesso che ti
vedo so che è tutto a posto”.
“O quasi” dice Tiffany,
“devi spiegarmi perché quegli uomini muniti di distintivo hanno messo a
soqquadro la casa ed hanno portato via un plico di fogli. E perché quell’uomo
laggiù ti aspetta…”. Allungo lo sguardo oltre il vetro della finestra e vedo
quel demonio di detective che mi era stato presentato prima di addormentarmi.
Sento una rabbia
insormontabile che accresce dentro di me.
“L’importante è che
stiate tutti bene. Veglia sui ragazzi. Devo andare” scocco un bacio sulla
fronte di mia moglie e mi getto a capofitto verso il piano inferiore, mentre il
dolore alla testa svanisce man mano.
Apro la porta e mi
trovo di fronte a due energumeni in divisa, di certo tirapiedi della Stradford.
“Dovete andarvene”
intimo loro. Naturalmente non fanno una piega, solo uno dei due mi rivolge uno
sguardo stanco, prima di volgersi di nuovo verso la strada.
“Basta con questa
messinscena. Andatevene…”.
“E’ inutile che
sbraiti, amico. Vieni in strada e ne parliamo”. La voce del detective reclama
la mia attenzione, e poiché dai due gorilla non ne ottengo, gliela dedico per
intero.
Gli vado incontro con
fare minaccioso, esco dal giardino quasi di corsa e gli metto l’indice sotto al
mento.
“Dovete andare via. È
ora di farla finita, non starò mai al vostro gioco”.
“Io dico di sì, invece”
l’uomo ghigna ed abbassa il mio indice con un movimento rapido della mano
destra. “La tua missione, agente speciale Barley, è quella di rendere giustizia
a chi non c’è più e di rendere migliore questo mondo. È una missione etica,
come vede”.
“Non sono un agente
speciale e non mi interessa” replico.
“Invece lo sei, amico”
e ride.
“Poca confidenza!”
“Saremo colleghi per un
po’, non vedo perché non stare rilassati nei momenti condivisi”.
Scuoto forte il capo.
“Devo picchiarti a
morte per farti capire che non mi scasso più le palle per voi!?”
“Se lo fai, sei un uomo
morto. Te e tutta la tua famiglia. Vuoi che tua moglie e quei due bei ragazzi
non abbiano un futuro?”
“Stanno così le cose,
allora?”
“Sì” annuisce,
fregandosene di tutto, “dato che non la capisci con le buone, devi capirla con
le cattive. E adesso andiamo in commissariato e vai a riprenderti il tuo
distintivo; nel frattempo, parliamone”.
Sì, sono evidentemente
sotto sequestro, e la cosa non mi piace.
Il detective guida la
sua berlina nera, del tutto identica a quella in cui sono stato rapito la sera
prima; potrei anche cercare di fare qualcosa, ma poi? A casa i bastardi
vegliano sulla mia famiglia. Potrebbe accadere di tutto.
Potrei denunciare tutto
questo ma non otterrei niente, ormai penso di aver perso il supporto di
chiunque. È meglio tentare di stare al gioco.
“All’interno di quella
clinica portano avanti costosissimi esperimenti sugli esseri umani. Il loro
scopo è testare nuovi e costosissimi farmaci da immettere nel mercato
farmaceutico. I pazienti vengono maltrattati e le violenze continuano da
decenni, poiché tutto è gestito da alcuni vertici di altri Stati vicini, nel
ruolo di attenti finanziatori. Il nostro scopo, d’ora in poi, sarà quello di
mandare all’aria la faccenda, e neppure in modo tanto velato”, spiega il
guidatore, risoluto.
“Quanto ti ha pagato la
matta, per inculcarti questa storiella?” domando io, per nulla sfiorato da quel
che ho appena sentito.
“Agente Barley, sai
bene che sto dicendo la verità. Anche se non hai letto tutti i fascicoli
riguardanti le precedenti indagini, hai ascoltato alcune registrazioni e letto
alcune prove; sei a conoscenza del terribile inghippo svolto contro l’onorevole
senatore Stradford, che aveva scoperto troppo, e ciò che è accaduto ad altre
persone”.
“Lo so bene. Tuttavia
penso che la signorina debba trovarsi qualcuno di migliore di me, per mettere a
freno questa follia. Io sono inutile e impotente in tutto questo, non ha senso
che mi raccontiate la vicenda”.
“Questo lo dobbiamo
ancora vedere” gradualmente rallenta, mentre il commissariato si presenta alla
nostra vista.
Mi muovo abilmente
verso l’ufficio di Ramsey. Ho il sangue che mi frigge nelle vene, sento il mio
viso arrossato, so che sto per esplodere.
Il mio superiore mi sta
antipatico e so che non mi può vedere, ma di sicuro potrebbe darmi una mano.
Sono in una situazione
spinosa e lui stesso non ha piacere che indaghi, giusto? Quindi, potrei anche
provare a vuotare il sacco. Sono pur sempre tra i poliziotti.
Eppure, la mia
intenzione svanisce quando mi ritrovo a non dover nemmeno dire una parola,
poiché Ramsey mi attende nel mezzo della porta dell’ufficio e non appena mi
scorge si affretta ad allungarmi il mio distintivo da agente speciale.
“Barley, non so a che
gioco sta giocando, ma le garantisco che è un pessimo intrattenimento” dice.
Il suo viso è violaceo
dalla rabbia, non l’ho mai visto in vita mia così arrabbiato.
Provo a dire la mia ma
lui già mi volge le spalle e si chiude nel suo ufficio.
Bene, altri nemici
dichiarati che vanno a sommarsi a tutto il restante casino. Cosa ho sbagliato,
nella mia vita?
Torno in macchina e il
detective è ancora al volante.
“Allora?” chiede, non
appena mi accomodo a suo fianco.
Gli mostro ciò che
vuole vedere.
“Ottimo” aggiunge,
“adesso siamo pronti per andare a fare un bel patatrac in quel lager. Ci stai?”
Ha anche il coraggio di
mostrarsi scherzoso, il fetente!
“Non ne sono ancora
tanto convinto”.
“Allora schiarisciti
bene la voce, ti servirà alzarla, temo”.
“Ci servirà” replico.
“No, ti”, sottolinea,
non senza un pizzico di sarcasmo, “questo è il tuo compito. Io ti agevolo, la
signorina ti spiana la strada e apre le porte. Però i passi devi farli tu da
solo”.
Digrigno i denti.
“Che cazzo di discorsi
sono?!” sbotto, nervoso al solo pensiero di tornare da solo in quel covo di
vipere.
“Sei tu l’agente
speciale, non io o la Stradford. Sei tu che rappresenti la Legge e che andrai
contro anche ai tuoi stessi colleghi, al fine di far regnare la giustizia.
Quindi, i denti digrignali tra un po’, non ora”.
“Il mio ruolo non è più
quello da agente, bensì da burattino”.
“Se così la vuoi
vedere”.
“Mi sto incazzando.
Sono pur sempre un agente, potrei arrestarti”.
“Provaci e ti spacco la
faccia” ride, “comunque non ti conviene. I figlioli e la moglie li vuoi salvare
oppure vuoi che finiscano a loro volta in quella clinica? Su di loro, così
giovani, proverebbero tante novità…”.
“La mia famiglia non si
tocca!” urlo.
“Allora fai il bravo.
Stai svolgendo il tuo mestiere, ricorda, non stai facendo null’altro.
Abbatterai la corruzione e porterai la giustizia” aggiunge, questa volta con
serietà.
“E ricordati questo” mi
indica un foglio sul cruscotto.
Mi allungo, lo afferro
e non ho difficoltà a notare che si tratta di un mandato di perquisizione,
firmato dal Governatore in persona.
“Fallo fruttare nel
modo giusto” quasi sussurra, prima del lungo silenzio che ci separa dalla meta.
Accade tutto all’improvviso. Alice sparisce.
Sparisce e non torna più da me, non si sa più niente.
La sua casa resta vuota, i vicini sussurrano. Si tratta
tuttavia solo di voci, nulla si sa di certo. Hanno visto lei e suo marito
mentre facevano i bagagli, silenziosi; lei piangeva, pare. Il loro appartamento
è stato messo subito in vendita e i bambini ritirati da scuola.
A quanto pare, sono tornati in Basilicata, la loro Regione
d’origine.
Resto sulle mie e mi faccio gli affari miei, come mio solito.
Il mio silenzio andrà per le lunghe, ancora non so che tra qualche anno verrò a
sapere, casualmente da un cliente dei miei, che Alice è stata portata via con
la forza dal marito che abusava di lei, poiché aveva scoperto che lo tradiva.
Anche quella sarà una voce solitaria sussurrata nel
retrobottega, di quelle da chiacchieroni di paese che vogliono fingersi intenti
a tirare avanti per loro stessi, quando invece hanno sempre le antenne puntate
verso le vite dei vicini.
Non si verrà a sapere cosa faceva con me, né altri dettagli.
Probabilmente aveva anche altri amanti occasionali. Tuttavia, questo sarà fonte
di prossime riflessioni, soprattutto a riguardo di come io avessi interpretato
la faccenda sessuale.
Quel sesso per lei era forse la ribellione all’uomo che le
faceva male e che la opprimeva con violenza.
Non mi sentirò più capace di pensare allo schifo che a volte
mi faceva quando mi veniva a cercare in modo così avido e lussurioso, e mi
ritroverò a ricredermi su quel che adesso penso. Alice non era una pervertita
assetata di cazzo, bensì una persona sola e in difficoltà che tramite il sesso
esprimeva la sua richiesta di aiuto.
E ci sono tanti modi per chiedere aiuto senza dirlo
espressamente, senza urlarlo e peggiorare la situazione. Forse per lei ero
davvero importante, forse davvero per lei ho fatto molto, anche solo donandole
quel momentaneo piacere carnale, che la liberava dal dolore quotidiano. Forse,
appunto.
Un giorno la penserò così e mi chiederò che vita starà
facendo, cosa sarà cambiato per lei. Se starà bene, tutto sommato.
Mi verranno in mente quei lividi che mi aveva mostrato con
disperazione, a quel punto urlandomi in faccia quel che viveva, ma non ho avuto
il tempo né per crederle né per razionalizzare. Alice era forte, lo è e lo sarà
ancora.
Quel giorno mi piacerà immaginarla divorziata e in compagnia
dei suoi figli e di un uomo che sa valorizzarla e rispettarla. Sì, sarò
convinto che sarà finita così.
Ma per adesso mi limito al silenzio, non pongo né mi faccio
domande. Nel mio non volermi fidare di nessuno, non so dare fiducia né
sviluppare il mio senso empatico. Mi sto ancora autodistruggendo.
Con la consapevolezza interiore che non rivedrò mai più
Alice, di questo ne sono convinto, ma per ora non mi dispiace la cosa. Ancora
non sono abbastanza maturo per uscire dal mio guscio e capire la varietà di
situazioni che questo mondo crea; sono ancora troppo egoista, credo che tutto
ruoti attorno al mio compiacimento personale e del resto me ne frego.
Con la donna scomparsa, scompare all’improvviso uno dei
personaggi rivelazione della mia trama.
A colmare questo vuoto inatteso, c’è Mario, che diventa
sempre più apprensivo con me. Me lo ritrovo dappertutto, vestito impeccabile e
dallo sguardo duro e freddo come il ghiaccio, ma che si scioglie non appena le
sue narici giungono vicino alla mia pelle e ne percepiscono l’odore.
La nostra pelle ci chiama.
Ne approfittiamo di ogni secondo libero per farlo, in casa
sua o in casa mia, o nel retrobottega. Anche in questo caso il sesso diventa
una forma di comunicazione; anche per me, che anche se non voglio riconoscerlo
mi ritrovo a essere un po’ spaesato, come se un tassello della mia storia
personale si sia appena volatilizzato.
Tra l’uomo e sua moglie le cose non vanno, non si parlano più
e dormono in letti separati. I figli, che hanno più o meno la mia età, vanno
dalle morose e non tornano nemmeno più a casa, stanchi dei loro continui
litigi. L’azienda non va bene e la crisi si fa sentire. Ma quando le nostre
pelli si incontrano esplode quell’armonia che entrambi non ci aspettiamo.
Mario prende a un certo punto un sopravvento tale da
eclissare, seppur per poco, la scomparsa di Alice.
“Tutto questo non è giusto” riesco infine a dire un giorno,
quando tra le coperte del suo letto singolo riesco a staccarmi dalle sue
labbra.
“Perché?”
La sua domanda è stanca e per nulla sorpresa.
“Perché questo è il posto di tua moglie”.
“Lei mi ha perso da tanto tempo, non l’ho mai amata. L’ho
sposata perché ero convinto che tutto sarebbe andato per il verso giusto e che
saremo stati felici, ma non è stato così”.
Tocco la sua mano sinistra e sfioro il nodo nuziale, come a
volergli ricordare le sue promesse.
“Le parole dette sull’altare vengono ripudiate in un attimo
solo, Alex, amore. Credi che l’infedeltà sia solo mia? Tutti fanno così, prima
o poi, anche se c’è chi sa nasconderla bene”.
Rinfrancato dalle sue parole, torno a baciarlo con forza.
“E se torna?” Sorride.
“Se torna, amen. Non mi importa più. Questa è casa mia e io
do il mio cuore a chi mi pare…”.
Il tempo scorre e fluisce rapidamente, tra coccole e
amplessi.
Dice di amarmi, ma quando scatta l’ora in cui la moglie
potrebbe rientrare, fa presto a tornare di ghiaccio e a cacciarmi via di casa.
Tuttavia, so che l’indomani tornerà a cercarmi.
Anche io divento freddo, perché penso che le persone siano
tutte così, false e bugiarde, traditrici e fedifraghe, solo intente a
compiacere loro stesse e la loro carne. Non hanno morale, non la conoscono. Ma
io non sono tanto diverso e nella mia umanità mi do parecchio da fare,
purtroppo e per fortuna.
Il sesso con persone sposate è un rischio, non è corretto e
viola ogni forma d’onore, ma in fondo appunto ciascuno fa quel che gli pare,
nella sua vita.
Torno a casa che sono sereno, nonostante tutto, e non mi
importa molto. Cerco solo di non pensare troppo.
Eppure, per la prima volta, prima di andare a dormire mi
sento sporco. Lordato da quel che faccio e da quel che gli altri mi invitano a
fare. Qualcosa dentro di me tentenna, inizia a frammentarsi, a spaventarmi. Un buco
nero che però cerco a tutti i costi di evitare.
Lotto ancora e arduamente per non pensare.