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Autore: La_Spynn    14/05/2005    3 recensioni
Prendete una giovane lady fuggita da palazzo per evitare un matrimonio non gradito. Un ragazzo che è già un Anziano ed il suo socio al "mezzo per cento". Immaginate insieme a loro un gruppo di strani compagni. Un mondo nuovo e a volte un po' bizzarro. Benvenuti nelle Terre del Vento.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Cinque – Il Giovane che era un Anziano

Capitolo Cinque – Il Giovane che era un Anziano

 

Lyek era un Kyll saggio, più saggio del tempo e più astuto dei più astuti. Un giorno, camminando per il bosco, vide un umano steso a terra, morto, forse. Gli si avvicinò e scoprì che era solo ferito. L’umano lo pregò di guarirlo. Gli disse che gli avrebbe dato il più grande dei suoi tesori, in cambio. Lyek, che era astuto, accettò lo scambio e lo curò. Curò le ferite che solcavano il suo corpo. Curò la sua anima ferita. E sorrise, dicendo che tra dieci anni sarebbe tornato dall’Umano Heker, questo era il suo nome, e avrebbe preso il suo tesoro più grande. Heker se ne andò a casa, si sposò ed ebbe una figlia, una bambina così bella che alcuni dicevano dovesse per forza avere un po’ di Magia degli Spiriti. Divenne ricco, tanto, ma il suo tesoro più grande era certamente un cavallo, un animale così veloce che poteva correre su di un campo di grano senza che le spighe si piegassero e sull’acqua senza sprofondare. Allo scadere dei dieci anni mise tre uomini a guardia del cavallo. Perché lo sentiva, la notte prima aveva sognato il Gewen Lyek che rideva, lo sentiva, che quella sarebbe stata la notte in cui il Kyll sarebbe venuto a ritirare il suo premio. Ma lui non voleva darglielo. Non voleva perdere quella creatura perfetta. Chiuse in casa la moglie e la figlia, si mise di guardia e attese tutta la notte. Poi, proprio nel momento in cui la luna tramontò, sentì la voce di Lyek. Rideva e chiedeva se quel cavallo, se quell’animale, fosse davvero il suo tesoro più grande. Allora Heker capì il suo errore. Corse in casa, spalancò la porta della stanza in cui sua figlia, la bambina più bella del paese, riposava. Non vide la bambina. Vide una rozza bambola di legno che la riproduceva. Non vide la bambina. Non la vide mai più.

 

- Non… non un Gewen… -

Tremava. Quella storia gliela raccontava sempre la balia, quando era bambina. Tutti i Kyll spaventavano gli Umani, ma i Gewen in particolare. Forse perché, in effetti, nessuno della sua razza ne aveva mai visto uno. Lei se li immaginava come mostri terribili, simili al Mannaro che avevano incontrato prima, magari. Iraem sorrise. Se qualcuno temeva un Gewen, i Mercanti di Syphe Rho, questo era il loro soprannome, voleva dire che non ne aveva mai incontrato uno.

- Oh, non temere. Non sono così male –

Ecco. Stava succedendo di nuovo. L’aveva confortata. Aveva confortato un’Umana? No, avanti, ragazzo, tra poco non ricorderà nulla, non ricorderà neppure chi sei. No. No. No.

Lei annuì mestamente. Era ancora spaventata, lo si capiva.

- Beh, andiamo, Lìnde. Tra poco saremo arrivati… -

Si avviarono. La ragazza camminava un po’ dietro a lui, con la testa bassa. Non perché avesse paura… solo si sentiva strana. Era incredibile e assurdo, in un certo modo, ma si sentiva quasi diversa.

Camminavano, la foresta non era mutata, niente di minaccioso si stava mostrando a loro. Chissà se quel lupo era ancora vivo? Sperava ardentemente, anche se così era, di non ritrovarselo più davanti.

Accadde in un lampo. Vide con la coda dell’occhio il luccichio metallico della punta della lancia, pochi secondi prima che si conficcasse a pochi centimetri dal suo zoccolo destro. Lìnde urlò, lui si voltò di scatto. Erano tre. Ed erano Khersal. C’era una possibilità su diecimila di incontrare un Khersal in giro di giorno. Che fortunato che era! Si avvicinavano, rapidi. Lui si impennò sulle zampe posteriori, facendoli correre via, a distanza di sicurezza. Non erano creature molto coraggiose, in effetti. E nemmeno molto furbe. Il Sommo Zholtan odiava chi spargeva sangue nel suo bosco. A meno che non fosse lui a farlo.

- Andatevene, se tenete alla vostra vita! –

Si sentì un po’ un Mannaro ad esclamare queste cose. Classica spacconata da Lupacchiotto.

Nessuno dei tre rispose. Cosa alquanto maleducata. I Kyll educati almeno pronunciavano il loro nome. E perché attaccavano la loro preda. Ma quelli niente. Solo uno raccolse un sasso da terra, lanciandolo come provocazione contro Lìnde. Lei, troppo occupata a tremare, non si spostò neppure quando lo vide avvicinarsi. Solo chiuse gli occhi. E la pietra la colpì in pieno sulla fronte.

- Ahi! –

All’unisono. Entrambi. Assurdo! Lui non doveva, non poteva aver sentito quel colpo alla fronte, come se lui fosse stato colpito. I Khersal si guardarono, stupiti. Erano confusi, che cosa voleva dire questo? Erano pazzi? Uno strinse con forza la sua lancia, fino a farsi sbiancare le nocche. Cioè, a farle ingrigire, dato che i Khersal avevano una pelle grigio- malaticcio, avevano una corporatura tozza e muscolosa e grandi orecchie da ratto, oltre ai denti da topo, pronti a mordere, sgranocchiare e scarnificare.

Stavano lì, gli uni di fronte agli altri, senza sapere cosa fare.

Iraem avrebbe già escogitato qualcosa… in condizioni normali. Ma… era assurdo… era riuscito a sentire il dolore dell’Umana… impossibile!

Poi uno si fece coraggio. Alzò l’asta della lancia. Iraem si preparò a schivarla, pronto a scattare e correre via, magari afferrando prima Lìnde. Questa storia gli piaceva sempre meno. Vide l’arma alzarsi, eseguire una sorta di arco nell’aria… e si fermò. A mezz’aria. Così. Nessuno urlò. Nessuno osava urlare, muoversi. Cosa temevano? Temevano che alla loro prima mossa quella magia sarebbe finita. E allora?

- No, no. Non mi piace. No,no –

Una voce che Iraem conosceva fin troppo bene.

- Loro mi servono ancora. Si, si. Ho puntato molto su di loro. Si, si. Loro mi servono ancora –

Servono ancora?

Puntato su di loro?

Cosa voleva dire, Zholtan?

I Khersal si scambiarono uno sguardo, atterriti. Anche loro conoscevano Zholtan di fama, la sua terribile fama. Poi la graziosa volpe, chinò lievemente il capo a destra.

Un solo urlo risuonò nella radura, quando le radici si sollevarono dal suolo, per stringere nel loro mortale abbraccio le tre creature. Ma non erano state loro a strillare, ma Lìnde, che fissava quella strana crepa nell’erba, con una mano sulla bocca e gli occhi spalancati.

- Zholtan! Perché…?

Iraem si voltò verso il Sommo, ma quello era scomparso. Che cosa aveva voluto dire con quelle poche enigmatiche parole?

Un cespuglio cominciò a muoversi. I due rimasti si voltarono verso l’arbusto, pronti l’una a fuggire, l’altro a combattere. Un paio di lunghe orecchie da coniglio spuntarono da esso, seguite da un volto lentigginoso illuminato da astuti occhi neri come ossidiana. Mosse il naso, come per annusare l’aria circostante, poi si alzò in piedi. Il Centauro sospirò, sollevato.

- Mi sono perso qualcosa? –

Domandò, mentre Lìnde lo fissava, come poco prima aveva fissato i tre Khersal che li avevano attaccati.

Un Gewen. Un Gewen. Un Gewen.

- Lascia stare, poi ti racconto – sul viso di Iraem si accennò un sorriso – Lìnde, lui è L’Anziano Aljek, Aljek… lei è un bel problema -

  
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