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Autore: Fanny Jumping Sparrow    19/08/2020    1 recensioni
Il malvagio ed affascinante Capitan Vegeta ha un cuore nero come gli abissi, è vittima di una maledizione e con la sua nave Bloody Wench semina morte e terrore per i sette mari; la bella e intrepida Bulma Brief è una coraggiosa avventuriera con l'umore mutevole come la marea che nasconde un singolare segreto. Entrambi attraversano gli oceani alla caccia dello stesso tesoro: le magiche sfere del Drago. Il giovane tenente di vascello Son Goku, fresco di accademia ed amico d'infanzia della ragazza, riceve l'incarico di catturare i due fuorilegge, che nel frattempo hanno stretto una difficile alleanza, e consegnarli al capestro...
Personale rivisitazione in chiave piratesca del celebre anime su suggerimento della navigata axa 22 (alla quale questa storia è dedicata;) e della mia contorta immaginazione. Possibili numerose citazioni e riferimenti ad opere letterarie e cinematografiche esterne. Gli aggiornamenti saranno dettati dalle capricciose onde dell'ispirazione. BUONA LETTURA! Se osate...
Quella tonalità era insolita, appariscente, innaturale. Non umana.
Contenne uno spasmo di eccitazione. “Troppa grazia”, obiettò pessimisticamente.
Aveva dato la caccia ad un colore simile innumerevoli notti, sondando bramoso il blu profondo.
Troppo facile, troppo assurdo che l’avesse proprio lei.

*CAPITOLI FINALI IN LAVORAZIONE*
Genere: Avventura, Commedia, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Freezer, Goku, Vegeta | Coppie: 18/Crilin, Bulma/Vegeta, Chichi/Goku
Note: AU, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salve ciurma! :D
In questa afosa estate che poco mi concilia la scrittura ci mancava solo il computer a fare le bizze cancellandomi mezzo capitolo e impedendomi di aggiornare prima di ferragosto >->
Comunque sia, mi sono messa d'impegno per recuperare prima di dimenticare tutto e quindi eccolo qui, anche più lunghetto di quanto non volessi ma spero ugualmente piacevole da leggere.
In gran parte ammetto di averlo concepito ispirandomi ad una fanart trovata tanto tempo fa che potete ammirare a fondo pagina.
Avrei voluto concluderlo in maniera diversa, ma poi mi sono accorta di essermi dilungata con le introspezioni e quindi l'ho troncato prima: poco male, il prossimo sarà interamente dedicato all'azione ^_^
Ringrazio come sempre quanti hanno avuto la pazienza di imbarcarsi e si soffermano a leggere silenziosamente e a farmi avere il loro apprezzamento inserendo la storia tra le loro seguite/preferite/ricordate.
Buon proseguimento di estate e al prossimo approdo!)


XXXIII: A CROWDY PARTY

Quegli insulsi dischetti dorati non volevano proprio saperne di agganciarsi agli occhielli e lui stava già scucendo tutte le cuciture a furia di tirare per farli entrare in quei minuscoli tagli e chiudere quella maledetta giacca in broccato.
Cominciava a irritarsi e a sentirsi soffocare. C’era poco da fare: lui e i bottoni non sarebbero mai andati d’accordo. Erano un retaggio di un mondo altro cui era stato crudelmente sottratto in un’età ancora troppo acerba perché certi gesti abitudinari potessero imprimersi nella sua personalità poco incline a dare importanza al vacuo sfoggio di certe affettate apparenze.
Forse per questo non gli era mai mancata davvero la vita comoda e artificiosa che non aveva potuto condurre, sprofondato nel lusso e in una riverenza dettata unicamente da un diritto di nascita. Desiderava che gli altri s’inchinassero a lui, che lo temessero e rispettassero per ciò che era, non per ciò che rappresentava.
Il suo temperamento era troppo ondivago e ribelle. Essere l’unico erede di un casato nobile e potente gli aveva sempre suscitato un misto di orgoglio e repulsione. Nell’esistenza libera e sregolata dell’avventuriero aveva trovato la sua realizzazione, quella dimensione si adattava meglio alla sua natura sanguigna, competitiva e incontenibile.
Il fatto che gli fosse stato brutalmente imposto quasi tendeva a dimenticarlo, dopo tutti quegli anni trascorsi a forgiarsi lo spirito e le ossa su una nave pirata. Riesumare il principesco vestito appartenuto a suo padre, però, inevitabilmente aveva contribuito a far riaffiorare dei ricordi molesti che teneva sepolti nei meandri più reconditi del suo torbido animo. E adesso che sentiva la blandizia di quelle stoffe pregiate fasciargli le membra avvezze ad essere avvolte da tessuti ben più grezzi o a stare a contatto diretto con il freddo metallo di armi e munizioni, Vegeta non sapeva neppure capire la ragione per cui, l’ultima volta che era tornato a devastare il luogo in cui era nato, avesse voluto portare con sé quella inutile reliquia del suo regno perduto.
E soprattutto come si fosse convinto a indossarla, proprio in occasione di una serata che si prospettava, a voler essere eufemisticamente ottimisti, movimentata.
La giacca color cobalto, intessuta da finissimi arabeschi e adornata da alamari, aveva due lunghe falde posteriori che gli facevano sembrare di avere una coda biforcuta; quantomeno la taglia abbondante gli aveva permesso di poter dissimulare un piccolo armamentario tra la marsina e il farsetto. I pantaloni, della stessa gradazione di blu, erano lunghi poco sopra il ginocchio, ma si era rifiutato di infilarsi una ridicola calzamaglia o delle scarpe col rialzo, preferendo coprire il resto della gamba con il suo solito paio di logori stivaloni, in cui aveva potuto occultare qualche altro pugnale a lama corta, indispensabile precauzione in caso di avversari particolarmente numerosi e agguerriti.
Malgrado i suoi propositi di agire secondo la sua consolidata filosofia di attacco fondata sull’uso indiscriminato della forza bruta, si era infine adeguato a procedere come lei gli aveva saccentemente suggerito.
Quell’infida donna lo stava corrompendo.
Dopo quel bieco tiranno di Freezer nessuno era mai riuscito a imporsi su di lui con altrettanta capacità di persuasione, ma in fondo aveva dovuto convenire sull’evidenza che quella sua delirante proposta non fosse poi del tutto sconclusionata. Considerate le premesse, tutto lasciava presupporre che sarebbero stati in inferiorità numerica e che l’effetto sorpresa li avrebbe avvantaggiati parecchio rispetto a un assalto su larga scala che avrebbe finito per precludere le già scarse vie di fuga, circoscrivendo anche le perdite.
Il presupposto che quella smorfiosa e ostinata femmina sotto certi aspetti fosse sempre un passo davanti a lui era davvero urticante! Ma non quanto la consapevolezza di aver commesso un imperdonabile errore, cedendo alle sue muliebri lusinghe.
- Merda! – espirò col cervello che fumava, facendo saltare in un sol colpo tutti gli alamari della giacca di cui si spogliò.
Aveva abbassato le sue inespugnabili difese con lei e, quel che era ancor peggio, non riusciva a negare quanto lo fomentasse anche solo ripensare l’espressione rapita e ardita con cui lo aveva accarezzato, i suoi sospiri arresi che gli avevano solleticato dolcemente le orecchie, l’incastro perfetto e incompiuto dei loro corpi, così diversi eppure così inconfutabilmente complementari ... Ci si sarebbe ancora voluto sollazzare.
Era causa di un inopportuno rammollimento.
Recuperata quell’ultima sfera, doveva eliminarla. Non poteva più temporeggiare.

Stirando accuratamente il sottile filato di seta bianca su tutta la lunghezza delle snelle gambe, appuntò la giarrettiera sulla coscia con un bel fiocco a trattenere i gambaletti, salendo poi sul discreto tacco in sughero delle calzature a punta quadrata. Si sarebbero notate appena sotto l’orlo della lunga e ampia gonna pervinca lavorata con finissimi motivi floreali che, abbinata ad un corpetto in raso damascato della stessa tinta con le maniche a sbuffo, costituiva la parte finale di uno splendido abito da vera dama.
Lo aveva rinvenuto inaspettatamente in un bottino saccheggiato qualche anno prima durante un fortunato arrembaggio ai danni di un mercantile e non se n’era voluta separare, ritenendo, a ragione, di poterlo sfruttare per imbucarsi senza invito a qualche sontuoso ricevimento e rubare così manufatti o informazioni, lasciandosi dietro uno strascico di punti interrogativi e cuori infranti.
Era stato un ottimo lasciapassare in svariate circostanze, per cui lo aveva custodito con gran cura. Ma non era per niente abituata a vestire come una vera donna dell’epoca, e, nonostante lo avesse alleggerito dell’ingombro di diverse sottovesti e tulle per avere maggiore scioltezza nei movimenti, si sentiva ugualmente impacciata in quei panni.
Il sole era già un disco rutilante, sospeso a metà sull’orizzonte incorniciato dalla cortina di scogli che cingevano l’isola centrale dell’arcipelago.
- Dannazione! – Bulma sospirò, affranta. Era stata troppo impulsiva e imprudente a avanzare quella balzana proposta: non aveva riflettuto sul fatto che le sarebbe stato impossibile gironzolare fino ad una certa ora su due piedi. Si era intromessa nella conversazione tra quei balordi esaltati dagli spargimenti di sangue esclusivamente per il gusto di contraddire il Capitano e rinfacciargli che le sue trovate erano migliori e che in quanto a scaltrezza lo batteva.
Ancora non si capacitava che lui avesse acconsentito a prendere parte a quella farsa. Quasi aveva paura di scoprire come si sarebbe conciato. O se piuttosto dietro il suo inaspettato benestare non si celasse una colossale presa per i fondelli.  Da un tipo che un attimo prima di farle conoscere la consistenza del suo desiderio era stata piantata in asso e si era sentita minacciare di morte, contava di potersi aspettare di tutto.
L’azzurra si sistemò a favore del piccolo specchio tondo che aveva inchiodato ad una parete della cabina concessale, sfruttando la luce stentata diffusa dalle candele, rimirandosi ancora un po’: la sfumatura di lilla del vestito creava un bel contrasto con l’azzurro intenso dei suoi capelli, ma avrebbe dovuto camuffarli per non destare attenzioni indesiderate.
Con quell’asfissiante caldo umido sarebbe stato un vero supplizio dover mettere pure una parrucca. Per il momento li raccolse disordinatamente con qualche forcina, apprestandosi ad applicare un leggero strato di belletto a ravvivare il contorno di occhi e labbra.
Se le inumidì perché la mistura di pigmenti scarlatti di cui aveva cosparso il pennellino avesse maggiore presa. Riusciva a percepire ancora il suo sapore speziato e il suo forte odore di maschio non se n’era andato del tutto, neppure con quegli energici colpi di spugna cui si era a lungo strigliata dappertutto. Sarebbe dovuto morire intossicato da quel contatto, invece, mentre la baciava e la assaggiava con una cupidigia che rasentava una voracità ferina, sembrava si fosse addirittura rinvigorito.
Si accorse allora che il chiarore perlaceo del suo incarnato era intaccato da alcune chiazze violacee che le punteggiavano il collo ed erano piuttosto visibili anche sul decolleté.
Di primo acchito le attribuì ad aloni formatisi su quel vecchio cimelio in cui si stava specchiando e vi strofinò sopra le dita, poi ripeté il tentativo su se stessa, come a voler sbiancare quei segni antiestetici che la deturpavano proprio dove sarebbe stato impossibile non si notassero con un’acconciatura che avrebbe lasciato esposta quella porzione di pelle.
Un fiotto di calore la pervase realizzando come fossero comparsi. Le sembrò di sentire ancora la sua bocca e le sue mani insinuarsi ovunque a violarla e soggiogarla, riflesso di un uomo impetuoso abituato a prendersi tutto ciò che gli appetiva con la forza.
Anche se a lei aveva riservato uno strano trattamento e non sapeva se essere più sollevata, arrabbiata o delusa dalla fine di quell’ingannevole parentesi.
Nel ripensare alle sue meschine e sibilline parole una marea di domande e dubbi si affastellava nella mente, formando un opprimente groppo tra lo sterno e la gola.
La controversa fiducia che aveva cominciato a nutrire nei suoi riguardi si era irrimediabilmente scheggiata. Eppure non riusciva a detestarlo fino in fondo. Pensava di non aver equivocato, aveva sentito scorrere qualcosa di indefinibilmente intenso tra di loro. Era convinta di aver scorto un barlume di umanità nel suo sguardo e nelle sue azioni, che sotto la sua cattiveria si nascondessero tristezza e solitudine, dolori e segreti.
Aveva accennato a una non meglio precisata maledizione da spezzare e alla necessità di ucciderla affinché accadesse, ma non era stato più esplicito e così facendo aveva solamente accresciuto l’alone di mistero che lo circondava e il sentore che tra loro ci fosse una qualche connessione. Il vero problema era che lei era sempre stata follemente affascinata dagli enigmi, e quell’individuo così introverso e impenetrabile, nonostante tutto, la intrigava con una potenza indicibile.
Il ticchettio ritmato della bussola cerca-sfere giunse ammonitore a ricordarle che doveva affrettarsi. Tamponandosi con un piumino un’abbondante dose di cipria, Bulma si domandò se avrebbe avuto ancora qualche concreta possibilità di cavarsela indenne: era sempre stata molto esigente con se stessa, non poteva soffrire di essersi invaghita di un ingrato egoista che le aveva fatto perdere di vista il suo scopo!
La porta fu sfondata di soprassalto, facendola sobbalzare per quell’intrusione: - Uscite, Brief! – le ingiunse una voce arrogante e inflessibile.
- Non avevamo abbandonato le formalità? – gli rispose con noncuranza da dietro il paravento che si era premunita di montare, sospettando che quei malandrini la spiassero dal buco della serratura.
- Non sei ancora pronta – s’indispose Capitan Vegeta, entrando e imbattendosi in cumuli di camiciole, stivaletti e svariati capi di vestiario che giacevano trascuratamente su ogni spazio libero da scartoffie e boccette, occupando perfino la tinozza mezza piena d’acqua.
Lei continuò a spazzolarsi le lunghe ciglia che aveva scurito con un velo di kohl, enfatizzando la lucentezza cristallina delle iridi: - La perfezione richiede tempo – proferì imperturbabile, curvandosi in avanti verso la superficie riflettente.
- Non ne abbiamo – controbatté lui, scaraventando il pannello divisorio in legno decorato e arrivandole alle spalle. Il suo contegno sdegnoso traballò per qualche secondo scorgendo la linea sinuosa della sua schiena di alabastro semiscoperta che le sue pupille carezzarono, soffermandosi sfuggevolmente sulla pienezza dei fianchi e sulla flessuosità delle gambe messe in risalto dalle calze diafane e aderenti.  Non si aspettava di trovarla ancora in déshabillé.
- Come osi intrometterti nella mia intimità?! – si offese con scalpore la sirena, facendo sparire i mutandoni sotto la vaporosa gonna che risollevò dal pavimento e si agganciò alla vita, infilando con altrettanta sveltezza la pettorina del vestito che aveva indugiato a indossare, dissuasa dall’aria ancora troppo afosa che l’avrebbe fatta surriscaldare prima del dovuto intanto che si truccava.
- Smettila di fare la verginella. Ti ho già visto quasi nuda. E poi le donne sono tutte uguali – confutò con spregio il pirata, voltandosi nella direzione opposta. Al frusciare delle sue vesti non prestò più interesse, avvertendo il ticchettio del cofanetto adagiato su un ripiano in cui due lancette si muovevano vicinissime. Freezer doveva essere nei dintorni, molto vicino. Fiutava il suo tanfo di cadavere in decomposizione da giorni.
- Quindi devo dedurre che hai rinnegato quello che stava per succedere appena un’ora fa? Non mi sembrava di esserti stata così indifferente … – la congettura insinuante di quella donna sfacciata e irresistibile si arrogò l’attenzione di tutti i suoi sensi.
Bulma lo fissava con un sorrisetto di ripicca a illuminare lo sguardo esuberante, le braccia ritorte indietro a tentare di chiudere il bustino sulle rotondità evidenziate dalla profonda scollatura adornata da un ciondolo di perla.
Vegeta dissimulò una deglutizione a secco, gli prudevano le mani, le sue tempie grondavano sudori freddi.  La sua esasperante vanità lo importunava al pari dell’essersi arreso a quella maledetta attrazione, inducendo quell’incantatrice a potersi sentire autorizzata a non temerlo e a manipolarlo secondo la sua volontà.
Afferrandola per una spalla, la fece ruotare bruscamente, spingendola con la faccia verso la parete, afferrando tra le dita i nastrini che penzolavano sopra il suo fondoschiena.
- Non vorrai farmi credere che hai dimestichezza con i corsetti? – annaspò con un risolino nervoso la piratessa, sentendo le stecche comprimersi sulle costole ad ogni sua sferzante tirata e il suo fiato caldo e accelerato blandirle la nuca, sciogliendola come burro.
- Adoro gli strumenti di tortura – sibilò in uno scabroso sussurro lui, un appetito devastante misto a lascivia gli arpionava le viscere annusando il mielato profumo della sua pelle accaldata e strinse con più veemenza i lacci, al punto da farla quasi boccheggiare.
Inspirando il suo forte odore di pericolo, Bulma si distanziò da lui, respingendolo con una gomitata: - Finché non saprai dove ho nascosto le mie sfere, non potrai uccidermi – insistette caparbia, rigettando la sua monotona recriminazione.  
Il moro inclinò indietro la testa sogghignando, poi la scrutò di nuovo perfidamente, una mano dura a cingerle il mento: - Mi supplicherai di ucciderti, non appena metterò in atto le mie tecniche di persuasione per fartelo confessare. O magari non ce ne sarà neanche bisogno perché l’ho già scoperto.
- Sei un viscido approfittatore! Mi fai schifo! – sputò lei, tirandogli uno schiaffo secco ma quasi inoffensivo.
- Mi eri sembrata di tutt’altro avviso un’ora fa – le soffiò lui sulle labbra voluttuose che si astenne dallo sfiorare, nonostante avrebbe voluto estorcerle un bacio tale da lasciarla con la lingua dolorante – E ora vedi di camuffarti questi inguardabili capelli.
Appena il briccone si allontanò, lasciandola ancora una volta più che frastornata, Bulma sbuffò amareggiata. Avrebbe voluto sviscerare quella questione irrisolta tra loro, rammentargli che avevano stretto un patto, ma era consapevole che cercare di entrare nella mente contorta di quel soggetto o insistere a interrogarlo sarebbe stata una causa persa.

Tre snelle imbarcazioni a remi scivolavano silenziosamente sulle onde sonnolente della piccola baia immersa nella bruma della sera e inondata dal diffondersi dei bagliori dei fanali appartenenti a feluche e brigantini con le stive traboccanti di ogni mercanzia in procinto di attraccare al porto, in cui sostavano capannelli di commercianti e allibratori in attesa di guadagni. I contorni delle abitazioni erano rischiarati dagli ultimi raggi che andavano a morire oltre l’abbraccio della scogliera blu e le torce che si accendevano per le stradine ricurve a quella distanza apparivano come lucciole sospese in volo o lucenti monete d’oro da depredare.
Le barche proseguirono senza l’ausilio di lampare il loro avvicinamento alla terraferma, deviando verso un’area meno trafficata, mantenendosi nel cono d’ombra ai margini dell’insenatura, costeggiandola per poi immettersi in una caletta naturale. Dopo aver tirato in secca gli scafi sulla battigia, nascondendoli in un comodo anfratto della roccia, il gruppetto di predoni indugiò per un paio di minuti, restando in ascolto di possibili rumori che segnalassero l’arrivo di sentinelle. Accompagnati unicamente dal canto dei grilli, si spartirono il contenuto delle casse che si erano portati dietro, armandosi di tutto punto.
Capitan Vegeta estrasse dalla tasca la saccoccia con le due biglie arancioni che emettevano una luminescenza intermittente, delineandogli i tratti corrucciati del volto.
Bulma, tentando di non sprofondare nella fanghiglia rovinando anzitempo le delicate scarpe, gli si affiancò: - Non si era detto “niente violenza”? – assottigliò gli occhi, disgustata e preoccupata davanti a tutto quel maneggio di armi e munizioni di cui le scialuppe a sua insaputa erano state stipate e che quegli invasati non avrebbero tardato a usare, contrariamente alle previsioni iniziali.
- Vivete in un mondo fatato, dolcezza, se credete che quegli stronzi lì ci tratteranno coi guanti di velluto – la irrise un bucaniere dalla dentatura sgangherata in cui riluceva qualche pezzo di argento.
Uno scalpitare di zoccoli sul selciato umido attraversò la densa cappa di umidità e la sagoma di una carrozza trainata da un paio di robusti destrieri dal manto pezzato si stagliò contro la tenue luce vespertina, seguita da un carretto colmo di fieno. I cocchieri saltarono giù indirizzando un segno di connivenza agli altri marinai appena sbarcati.
Fu Radish a rompere quel silenzio pregno di una tangibile aspettativa: - Ricordate: il primo che troverà la sfera, avrà diritto ad una parte e mezza del bottino! – dichiarò suscitando l’acquolina dei compagni, che si scaldarono lasciandosi andare in commenti euforici e impazienti.
- Nappa è rimasto a bordo della Wench, pronto a spiegare le vele soltanto nel momento in cui io sarò risalito. E se qualcuno di voi proverà a fregarmi, state pur certi che vi scoverò ovunque andrete a rintanarvi! – con inflessione feroce e intollerante Capitan Vegeta spense gli entusiasmi prematuri della combriccola, salendo sulla vettura rubata dai suoi e accomodandosi sul sedile imbottito.
- Niente male – esclamò la Brief, accarezzando il muso di uno dei due cavalli e congratulandosi con gli uomini per il lauto bottino, prima di introdursi anche lei nell’abitacolo, sedendosi di fronte al Capitano.
- Non siamo qui per fare una scampagnata! Muoviamoci! – incitò allora i compagni Radish, stando in equilibrio sul predellino, così da poter setacciare dall’alto dei suoi quasi due metri di altezza la presenza di pattuglie appostate ai crocevia.
Al trasmettersi del suo ordine gli altri banditi montarono chi in cassetta, chi sull’altro carro per scroccare un passaggio. Lo schioccare delle briglie fece partire le ruote dei veicoli che s’inerpicarono sui sentieri secondari più bui per eludere ronde notturne. Stranamente non ne incontrarono, la gran parte delle forze doveva essere stata dislocata attorno ai punti nevralgici e probabilmente gli abitanti sottovalutavano l’eventualità di attacchi esterni in quanto la conformazione di quel luogo era inadatta a rapide incursioni, pensarono i due Capitani osservando il frastagliato panorama esterno spruzzato di amaranto. Ma in entrambi permaneva la strisciante sensazione che ci fosse sotto qualche inghippo.
Dopo quasi venti minuti di cammino, un roboante scoppio di fuochi pirotecnici salutò il loro arrivo in una città chiassosa e affollata per l’inizio dei festeggiamenti. Sulle facciate degli edifici campeggiavano ghirlande, festoni e statue che riportavano le fattezze dell’eccentrico despota locale e targhe marmoree che ne celebravano le presunte imprese e ne decantavano le virtù.
- “Ben venuti a Pilafopoli”, che megalomane! – sbottò Bulma, sbirciando curiosa da dietro il finestrino – Avrei ben da ridire sull’accoglienza che ci hanno riservato quegli uccellacci! – commentò acre, interpellando poi il quadrante della bussola per comunicare al guidatore quale direzione imboccare.
Vegeta si toccò la spalla ricucita e allungò appena il collo per appurare a malincuore che la sirena non stesse mentendo sulle indicazioni che aveva fornito con assoluta certezza proponendo l’espediente del travestimento. Che avesse scoperto qualcos’altro che gli aveva taciuto? Per niente propenso a parlare e già annoiato da tutto quel baccano che risuonava attorno, richiuse con irritazione la tendina, abbassando le palpebre, tentando di isolarsi.
S’istradarono a fatica in quella fiumana di varia umanità, dirigendosi verso il Palazzo reale in cui si sarebbe tenuto quel gala che aveva richiamato molta più folla del previsto. Carrozze, carretti e portantine correvano senza sosta per le stradelle lastricate, bancarelle e botteghe offrivano chincaglierie e cibarie di ogni tipo, ai balconi o sulle soglie di qualche bordello erano affacciate appariscenti prostitute in attesa di qualche cliente da adescare e intanto c’era chi scommetteva ai dadi o alle carte su banchetti improvvisati.
La residenza regale si ergeva sulla roccaforte dell’isola ed era una costruzione piuttosto pittoresca, sovrastata da cupole e torrioni, la cui struttura geometrica formata da blocchi squadrati di tufo stonava rispetto allo stile sobrio ed essenziale delle altre costruzioni.
Quando giunsero in cima alla lunga salita, videro che tutti i cancelli erano presidiati da un manipolo di soldati e che c’erano parecchi controlli sugli ospiti in entrata.
- Attenetevi al piano concordato, ma state all’erta: i tirapiedi di Freezer saranno già stati sguinzagliati e cercheranno in tutti i modi di ostacolarci. Non dimenticate qual è la nostra priorità – disse Capitan Vegeta, smontando dalla carrozza, parlando con un tono smorzato che accentuava la sua vena intimidatoria.
- Faremo sparire solo i fantocci a guardia del palazzo, come deciso. E poi faremo visita alla sala del tesoro – ammiccò biecamente Radish, sistemandosi un pugnale e un paio di pistole a pietra focaia nelle fondine interne alla giacca, chiamando a raccolta gli altri pirati che avrebbe condotto con sé.
I filibustieri si dispersero come un branco di lupi che intraprendeva una battuta di caccia, alleggerendo al loro fulmineo passaggio le tasche degli ignari passanti. I capitani nel frattempo, consultando i rispettivi strumenti per tracciare la posizione delle sfere, si ritrovarono a camminare vicini, quasi pestandosi i piedi l’un l’altra, in competizione su chi sarebbe arrivato per primo al traguardo.
- Sai? Non stai poi così male vestito da damerino. Potremmo sembrare una vera coppia di principi – ironizzò Bulma, porgendogli una mano che lui ignorò, senza che fosse nelle sue intenzioni esternare quell’ammissione né adularlo. Era effettivamente ammirata dall’aura nobile e altera che gli donava quell’abbigliamento più elegante.
Vegeta era già di pessimo umore per essersi fatto coinvolgere in quella ridicola mascherata invece di sterminare tutti quanti a colpi di cannone e lei girava il coltello nella piaga con quelle considerazioni fuori luogo: - Grazie agli dei molto presto ti squamerò e non dovrò più sorbirmi queste tue scemenze – confutò i suoi inutili tentativi di rabbonirlo.
- Sei un gran farabutto, ma non ti credo – borbottò l’azzurra, continuando a mostrarsi insensibile alle sue ripetute minacce, rialzando l’orlo della gonna e prendendo a camminare spedita verso l’ingresso principale.
Il complice la tallonò, odiando essere contraddetto, ma mentre scandagliava le vie di accesso analizzando se ci fossero delle falle per poter oltrepassare indisturbati quel cordolo di uomini armati, vide la piratessa sfilarsi un borsellino dalla manica e porgerlo al valletto incaricato di accogliere gli invitati, strizzandogli l’occhio e bisbigliandogli qualcosa di lusinghiero con consumata arte seduttrice.
Il diniego dell’usciere si tramutò in sussiego nell’istante in cui sul suo palmo finì un gruzzoletto tintinnante di monete d’oro e d’argento e la donna, compiaciuta dell’efficacia dei suoi metodi, scoccò un sorriso vincente verso l’indocile accompagnatore.
Attraversando il vasto giardino con alberi e aiuole che attorniava la piccola reggia, rifletterono ad ogni metro sulle infinite possibilità di nascondersi o fuggire indisturbati in quel dedalo verde, mentre il brusio della festa appena iniziata diveniva più vicino.
- Io non entro – si adombrò Vegeta, arricciando la bocca al solo immaginare lo spettacolo patetico che avrebbe dovuto sorbirsi, tra musiche, danze, amenità e convenevoli vari.
Un lampo di sfiducia e di sospetto balenò negli occhi di Bulma: - E chi mi garantisce che una volta trovata la settima sfera, non mi abbandonerai qui?
- Potrei insinuare la stessa cosa di te – ringhiò con concisa dialettica il moro, ottenendo alfine una seppur combattuta resa da parte della cocciuta donna.
- Va bene, sta’ fuori se preferisci, ma non allontanarti troppo. Avrò la coda tra pochi minuti, rammenti? – mormorò un po’ imbarazzata la sirena, incolpando anche se stessa per essersi impelagata in quella situazione potenzialmente mortale.
- Sarai l’attrazione della serata – convenne stoico il pirata, sedendosi sull’erba tosata del prato, mostrandosi del tutto disinteressato alle sue rimostranze.
- Non puoi farmi questo! Mi tratteranno come un fenomeno da baraccone! – s’inviperì lei, dandogli addosso in un eccesso di collera che fece ruotare più di una testa incipriata verso di loro, suscitando commenti scandalizzati.
Vegeta si rialzò con quel rimasuglio di flemma che lo preveniva dallo strapparle un morso, preferibilmente alla gola, così da silenziarla: - Questo stupido piano è tuo, o sbaglio? Non è un mio problema – ribadì impietoso come il mare d’inverno – Spicciati.
- Che bastardo! – arrotò i denti mentre varcava lo scalone d’ingresso, sforzandosi di distendere i lineamenti del viso per apparire radiosa e sicura di sé. Avrebbe sfruttato tutto il suo fascino se necessario. Non poteva contemplare un fallimento.
Un tripudio di marmi, stucchi dorati e lampadari di cristallo la abbagliò, lasciandola ammutolita dallo stupore. Dall’esterno quella dimora un po’ vetusta e austera non pareva racchiudere chissà quali ricchezze o raffinatezze proprie di un gran sovrano o di altre residenze aristocratiche che aveva visitato, invece dovette prendere atto che le pareti e i tetti erano un susseguirsi di opere d’arte di varia epoca e provenienza. Il furto di uno solo di quei preziosi manufatti avrebbe potuto assicurare una rendita vitalizia a chiunque.
Scacciando quella tentazione, Bulma afferrò la catenella cui aveva agganciato la bussola: l’ago vibrava velocemente, segno che la sfera doveva trovarsi proprio lì, da qualche parte, e che era molto vicina. Seguendola e guardandosi intorno s’inoltrò in un grande salone adorno di specchi in cui un’orchestra d’archi stava intrattenendo gli ospiti ed era stato imbandito un grande banchetto con una gran varietà di succulente pietanze servite su stoviglie di porcellana e posate d’argento. Il mecenate non aveva badato a spese.
I morsi della fame si aggiunsero all’incipiente intorpidirsi delle articolazioni. Non sarebbe potuta rimanere ancora per molto a quella festa. Avvicinandosi alla lunghissima tavolata arraffò qualche pasticcino e un calice di vino, appartandosi in un angolo del salone, sentendosi già un po’ intontita da tutto quello sfavillio di gioielli e lustrini, in mezzo a tutta quella gente euforica e alticcia.
- Milady, mi concedereste questo ballo? – la invitò una voce affettata ma venata da una certa familiarità.
La ragazza distolse le pupille da un arazzo, incastonandole sul volto abbronzato con alcune cicatrici di un giovanotto in distinta redingote rossa. Così in ghingheri e impomatato, quasi non lo aveva riconosciuto: - Yamcha?! – spalancò la bocca stupita, gettandogli le braccia al collo in un affettuoso slancio, dimentica di essere entrata lì dentro in incognito e di voler passare inosservata – Ma come …? Che cosa ci fai qui? – balbettò contro l’incavo della sua spalla, riparandosi da occhiate indiscrete con il ventaglio.
- Per salvarti, tesoro – le rivelò lui in un misto di sollievo e compiacimento, ricambiando con trasporto quel caloroso abbraccio, inalando il suo seducente profumo salmastro mescolato ad un’essenza fruttata che lo mandava in visibilio. Nonostante quel camuffamento l’aveva riconosciuta subito e il suo morale si era ringalluzzito all’idea di potersi riscattare presentandosi come un eroico salvatore. Lasciandole un bacio leggero su un lobo, si distaccò un po’ da lei, e, prendendola per mano, la condusse a muovere maldestramente i passi di quel minuetto.
- Razza di traditore! Te la sei svignata senza avvertirmi! Ho temuto che avessi fatto una brutta fine! – lo accusò di getto l’amata, torcendogli con un pizzicotto la carne del braccio.
Yamcha ignorò il suo malanimo, cercando di mantenere il dominio di sé: - Ascolta, Bulma. Adesso non posso spiegarti tutto. Devi venire con me – la esortò in un implorante imperativo, trascinandola verso una terrazza sotto le stelle.
- Non puoi chiedermelo. Ormai sono a tanto così dal recuperare l’ultima sfera! – gesticolò quella, animata dall’ansia di vincere, cercando di divincolarsi dalla presa possessiva delle sue dita per tornare dentro – Anzi, giacché sei qui, aiutami – lo pregò con entusiasmo ed energia incontenibili, doti che insieme all’ingegnosità e all’avvenenza lo avevano fatto innamorare perdutamente di lei.
Nonostante conoscesse bene le sue motivazioni, tentò comunque di distoglierla da quell’intento che l’avrebbe solo portata ad una prematura dipartita:
- Non servirebbe a nulla! Ti mancherebbe comunque la sfera in possesso di Freezer.
- A recuperare quella ci penserà in qualche modo Vegeta – sostenne schiettamente lei, stringendosi nelle spalle e abbassando la fronte, una lieve palpitazione a sollevarle il petto.
La confidenza con cui pronunciò il nome di quell’esecrabile assassino che li aveva fatti penare lo annichilì. Dubbio, insicurezza, rancore, gelosia gli stritolarono il cuore al pensiero che durante il suo allontanamento tra lei e quell’anima dannata potesse essere successo quel che aveva temuto sin dal primo istante.
Chiudendo le mani sulle sue che erano strette ostinatamente sulla bussola, provò ancora a persuaderla: - Senti. Ci sono i soldati della Marina dei Sette Regni lì fuori. Pronti ad arrestarvi tutti e a scortarvi al patibolo. È con loro che sono arrivato.
- Cosa? Tu? – la piratessa avrebbe voluto sprofondare. Lo considerava un amico, forse qualcosa di più, aveva penato per lui non sapendo se era stata colpevole della sua scomparsa, ma adesso si rendeva conto che non avrebbe più potuto fare affidamento neanche su di lui, perché si era venduto – Sei un doppiogiochista – lo tacciò disillusa.
- Se ti consegnerai come ho fatto io, sarai risparmiata – non desistette l’ex compagno di bordo, realmente preoccupato della sua sorte, manifestando la volontà di trarla con sé.
Bulma si liberò del braccio che le aveva avvolto attorno alla vita: - Tu non capisci. Io non posso continuare a vivere a metà. Non posso … - singhiozzò fuggendo e confondendosi tra la folla, senza che lui potesse raggiungerla.
Yamcha imprecò contro se stesso, la voglia di rivalsa gli fece andare il sangue al cervello. Rinunciando a inseguirla, aggirò alcune coppiette che amoreggiavano e scherzavano con il preciso intento di affrontare il suo rivale, ma fu distratto dall’avvistare qualcuno che aveva già incontrato da qualche parte, più precisamente sulla Bloody Wench.
La cosa bizzarra era che quell’energumeno ora indossava l’uniforme delle guardie reali.

Era già la terza volta che perlustrava il perimetro del Palazzo e non aveva ancora notato niente di anomalo. Poi però gli sembrò di vedere facce nuove tra i piantoni e pensò fosse strano che neanche a metà serata avessero già fatto il cambio della guardia. Qualcosa non quadrava. Incalzato da una viscerale sensazione di allarme, lisciando il codolo della spada, senza aspettare ulteriori rinforzi, puntò dritto verso l’ingresso e nella concitazione del momento inciampò in qualcuno cui diede una spallata.
- Desolato, non vi avevo visto – farfugliò frettolosamente, fermandosi però a fissare con indebita insistenza quel tipo dalla particolare foggia di capelli con cui si era scontrato, il quale lo corrispose per qualche secondo. Il suo intenso sguardo di onice contornato da folte sopracciglia corrugate da un tacito dubbio aveva qualcosa di aristocratico e allo stesso tempo selvatico.
Lo scarmigliato e altezzoso gentiluomo in livrea blu mugugnò sottovoce una bestemmia, proseguendo per i fatti suoi e il tenente Son Goku entrò a sua volta, sperando di rintracciare qualcuno dei suoi compagni.

holly-kissmebulma
   
 
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