V e r s u s
Capitolo VII
Il lungo mantello
rattoppato in più punti svolazzava seguendo i movimenti del suo corpo. Si
muoveva in fretta. Velocemente salì due rampe di scale, mentre il respiro gli
si faceva più pesante per lo sforzo lesto.
Raggiungere senza incertezze
la punta della torre più alta, era sempre stato uno dei suoi
problemi, anche quand’era ancora ragazzo, quando veniva convocato
insieme ai suoi compagni nell’ufficio del preside.
Il Castello di Hogwarts era
immerso nel silenzio, i corridoi muti, le aule ancora vuote. Era uno spettacolo
insolito per un posto sempre affollato per la maggior parte dell’anno. Le voci
allegre e festose delle migliaia di studenti che l’avevano popolata, erano
l’anima di quella scuola, che senza di esse, sembrava
priva di qualsiasi difesa, così vulnerabile…
Tirò un sospiro, mancavano
pochi scalini e sarebbe arrivato.
Percorse il corridoio a
passo sostenuto, sentendo come se le gambe andassero da sole.
Arrivato davanti al Gargoyle di pietra, si fermò e respirò a fondo nuovamente.
Con voce appena udibile,
pronunciò la parola d’ordine per entrare, attese un momento l’aprirsi del
passaggio, e con un balzo raggiunse la piccola piattaforma davanti alla
maestosa Fenice di pietra; questa prese lentamente ad avvolgersi su se stessa,
salendo al tempo stesso.
Bussò con aria assente alla
porta di legno rifinito, ingresso della Presidenza.
Una voce ovattata si levò
dall’interno della stanza.
“Avanti”.
Spinse il grosso maniglione argentato, mentre una luce molto fioca lo
invadeva, facendolo lentamente uscire da quell’alone di oscurità
tutto intorno a lui.
“Buongiorno Remus” disse Silente in tono
affabile, sorridendo impercettibilmente.
Remus annuì con il capo.
Entrò quasi timidamente, raggiungendo il preside e mettendosi davanti alla
grossa scrivania.
Silente lo fissò per un
attimo, leggermente sorpreso dall’ostinato mutismo
dell’uomo.
“Accomodati, Remus” disse gentile,
allungando le mani nodose davanti a sé, facendo segno verso una delle due
poltroncine davanti alla scrivania.
Remus si sedette, annuendo.
Ci fu un attimo di
silenzio, nel quale nessuno dei due parlò. Silente si sedette dietro la
scrivania senza smettere di fissare l’uomo davanti a sé.
Remus si perse nei ricordi…
Quante volte era stato lì,
proprio in quel posto…
In quella stessa stanza,
aveva pianto, gioito, riso insieme al preside e ai suoi amici... già, i suoi
amici…Sirius…
Soffriva. Soffriva per la
sua perdita. Però era riuscito a tirare avanti, senza
quasi mai perdersi d’animo.
Un nuovo sentimento stava
nascendo in lui in quel momento.
Quello che gli faceva più
paura si stava lentamente avverando, volente o nolente, quello che aveva più
temuto in tutta la sua vita, si stava orribilmente avverando.
La solitudine. Non era una nuova sensazione per Remus, era sempre stato
abituato a condividere la propria
esistenza con quella brutta malattia. Perché questo
era, nient’altro che una malattia che si cibava di lui e del suo modo di essere
sbagliato.
Attraversando alti e bassi
nella sua vita, era riuscito a scordarsi di quell’ombra pronta sempre ad
aggredirlo in un momento di disarmante debolezza.
Ora era solo. Solo. Di
nuovo. E per sempre.
Questa nuova realtà stava
prendendo piede in lui come un cancro. Stava dilagandosi sempre più in
profondità espandendo le sue radici fino ad oscurare la più pura luce nella sua
anima.
Ora era finito. Tutto.
Quel meraviglioso mondo era
finito, inesorabilmente crollato sotto i calamitosi eventi degli ultimi
vent’anni.
Perché era
dovuto finire? Qual è stata la scintilla che aveva innescato una serie
di reazioni a catena?
La morte di Lily e James...
Quel momento era stata la
prima spaccatura che si era diramata facendo crollare quello che avevano
costruito faticosamente, con il sudore e il sangue, facendolo crollare come un
castello di carte. Paragone azzeccato.
La sua e la loro vita era sempre stata in bilico, sulla lama di un coltello;
bastava una piccola deviazione…
E poi si sanno come vanno a finire queste
cose…s’incrina qualcosa, e poi un’altra, e un’altra ancora, finché non ci si
può più raccapezzare.
Ci si sente affondare sotto
il peso di quelli errori che forse si potevano evitare, ma che non si è stati
capaci di evitare, lasciando tutto in mano al Destino, che ha agito seguendo le
righe di quel piano che aveva già perfettamente delineato.
Aveva giocato con le loro vite, aveva distrutto le
loro speranze, li aveva illusi.
E la realtà fa ancora più male, quando scopri di essere
stato ingannato, ma la rabbia più grande è che non ci si può ribellare, si deve
solo accettare, sono ingoiare un’altra volta, solo contare fini a dieci.
Ma era stanco di accettare, era stanco di capire, non
voleva capire.
Meglio non capire, meglio
rimanere nell’ignoranza, visto che la verità e la
conoscenza fanno male e bruciano.
Tutto ciò che ha sempre
capito, accettato, gli si è ritorto contro ogni volta; magari non subito, dopo
anni, dopo che le ferite erano sanate…ecco, nuovamente a colpire per riaprirle
più dolorose.
E se non fosse mai nato?
No, meglio non aprire quel
discorso, o ci si sarebbe dovuto fare un migliaio di teorie, una più strana
dell’altra, una più dolorosa dell’altra, una più dannatamente vera dell’altra.
Quello era un altro
discorso, un altro squarcio di vita passata e vissuta. Un altro “se…”.
Remus si prese la testa fra
le mani, emettendo un gemito ben udibile.
Si piegò, cercando di
ritrovare un modo per respirare. L’aria sembrava rifiutare di entrare nei suoi
polmoni.
Respirò affannosamente.
La vista gli si annebbiò.
Il pavimento fra le sue scarpe cominciava a diventare maledettamente
sfuocato…ancora una volta i pensieri ebbero la meglio sulle
sua forza di volontà.
Ed Harry?
Chi pensava ad Harry?
Era tutto ben prestabilito,
fin dal momento della sua nascita.
Sarebbe stata una vita
felice, per tutti, nessuno escluso, neanche lui.
Buffo, come la volontà
umana può scomparire davanti
all’immensità della potenza di una volontà superiore. Non importa di chi.
Quando programmi le cose, non vanno mai come
vuoi che vadano.
Quasi come un crudele divertimento
che ha pugnalato alle spalle, che ha colpito dove si era più fragili, e dove si
pensava di essere più forti: il cuore.
Erano convinti.
Convinti
che neanche la Morte, signora e padrona
indiscussa della Vita, avrebbe potuto spezzare quel legame. Oh, eccome se lo aveva spezzato.
Si era lentamente portata
con sé i suoi amici, uno dopo l’altro, come una bambina che strappa uno a uno i fiori in un prato.
Sospirò ancora, questa
volta premendosi una mano sulla bocca per far tacere il rumoroso respiro.
Gli occhi lucidi e bagnati
guizzavano da una parte all’altra incontrollabili.
Non gli
più concesso di perdersi nei ricordi; la voce calma e pacata di Silente, lo
riportò bruscamente alla realtà.
“Permettimi di aiutarti” disse, sporgendosi
dalla scrivania, come se volesse allungarvisi sopra; le sue mani erano
appoggiate ben aperte davanti a lui, con cautela avvicinò, quel tanto che
bastava per parlare piano, il suo viso a quello di Remus.
“Permettimi di aiutarti” ripeté sussurrando
guardandolo bene, captando ogni piccolo e apparentemente insignificante gesto
automatico dell’uomo, per provare a prevederne la reazione.
Remus restò in silenzio,
dondolandosi leggermente sulla sedia avanti e indietro, come un bambino triste
a cui è stato negato un regalo.
Dopo qualche secondo di
silenzio, Remus si bloccò sulla poltroncina, restando però immobile e
respirando profondamente.
“Sono stanco di piangere” disse in un
sussurro, tanto che Silente fece fatica a sentire.
Il
giovane mago scosso lentamente la testa con gli occhi fissi al pavimento.
“…sono stanco, voglio che finisca” continuò
senza alzare lo sguardo. “…non ce la faccio più”.
Silente non si mosse.
“Il destino ora ruota attorno a te, Remus”
disse pacato. “Senza di te, anche l’ultimo briciolo di
speranza e luce in questo ormai mondo di ombra si
spegnerebbe…è una cosa che non puoi permettere” continuò il preside,
mormorando.
Remus scosse nuovamente la
testa, apparentemente non curante delle parole di Silente.
“Volevo solo che tutto rimanesse così…non
volevo che cambiasse…” disse l’uomo, come se fossero parole scollegate tra loro,
senza senso.
“Ma tu non potevi
far nulla per evitare il cambiamento…”.
“Volevo che rimanesse così…perché non è
rimasto così?”.
“Non è colpa tua…non sei in difetto..”.
Remus alzò di scatto la
testa, come se si fosse svegliato da quell’improvviso stato di
apatia.
“Non sono in difetto?” chiese con voce
simile ad un ringhio. “Non sono in difetto? Ho lasciato morire i miei amici,
non sono stato capace di salvarli, e mi è stata affibbiata la penitenza più
grande che ci potesse essere…sopravvivere per respirare in un mondo privo della
loro presenza, delle loro risate, dei loro sentimenti…” urlò,
scattando in piedi, rovesciando la poltroncina, che cadde con un suono sordo
sul pavimento.
Remus si diresse a passo
svelto verso la porta, ma a metà strada ci ripensò, bloccandosi.
Rimase di spalle a Silente,
respirando affannosamente, non rendendosi ancora conto del suo gesto.
Silente era rimasto
immobile aspettando la fine di quello sfogo.
“Tu devi essere forte” disse con un tono
che cercava di velare la sua tristezza.
“Sarebbe solo uno spreco di
energie” disse Remus con voce ferma.
Silente inarcò un
sopraciglio.
“Harry sarebbe uno spreco di energie?” chiese, facendo una domanda di cui sapeva già
la risposta.
Remus rimase in silenzio.
“Allora?” cercò di spronarlo il preside.
“No, certo che no…” disse Remus
accovacciandosi su se stesso, schiacciato dal peso della situazione.
Silente si addolcì,
aggirando la sua scrivania per dirigersi dall’uomo.
Si accucciò accanto a lui,
posandogli una mano sulla testa, piegata in un pianto liberatorio.
Tra i forti singhiozzi,
Remus cercò di parlare, doveva spiegarsi.
“Io non volevo farlo soffrire…quel
ragazzo…” sussurrò in un mormorio quasi incomprensibile. “Volevo…fosse felice…ci stavo riuscendo…”.
Silente annuì anche sapendo
che Remus non poteva vederlo.
“Hai paura. E’ comprensibile. Hai paura di
perdere anche lui” disse abbassandosi per parlargli
nell’orecchio.
“Il cerchio del mio immenso fallimento si
chiuderebbe del tutto…” singhiozzò.
Silente decise di agire,
senza più attendere; Remus era un uomo adulto e pieno di esperienza.
“E’ per Harry che devi essere forte,
altrimenti chi avrà…se non te?” disse con voce atona.
“Lo so…ma…ma non ce la faccio…” farfugliò.
Silente sospirò guardandolo,
cercando un momento di pensare alla miglior cosa da fare.
“Sirius” disse il preside, provando con una
terapia d’urto.
Remus scosse violentemente
la testa.
“No! Non quel nome, la
prego…quel nome significava affetto,
protezione e amicizia, ma adesso è quel nome che ha dato origine a tutto
questo, come una reazione a catena” disse.
“No, Remus…quel nome è la causa della
vostra sofferenza, ma ti prometto che arriverà un giorno nel quale quel nome
non significherà più dolore, ma rievocherà ricordi felici, com’è giusto che
sia” continuò il preside, imperterrito.
Remus scosse nuovamente la
testa.
“Non posso credere che se ne sia andato
lasciandomi qui da solo” disse con voce spezzata dai singhiozzi.
“Tu non sei solo, c’è Harry, lui ha bisogno
di te, e tu di lui…” Silente appoggiò una mano dalle lunghe dita affusolate
sulla spalla tremante di Remus.
“Per colpa mia, solo per colpa mia è
successo…Era mio compito e dovere, stargli vicino dopo la sue
morte, guidandolo pian piano verso l’uscita da quel baratro nero senza
fine…condurlo verso una nuova luce, ma…” singhiozzò.
“…ma può solo chi ne è
già illuminato…hai fallito solo perché in questo momento stai soffrendo anche
tu…” completò Silente al suo posto. “L’unica soluzione Remus, è non
arrendersi…non arrendersi mai…”.
Silente ammiccò un occhio,
cercando di incoraggiarlo a trovare se stesso.
“Andrete avanti insieme, ritrovando quella
strada insieme, gli starai vicino, perché ha bisogno
di te, quanto tu di lui…se lo abbandoni adesso, perché
senti di non potercela fare…lo tradirai, così come distruggerai l’ultimo
briciolo di speranza che sono sicuro ci sia ancora nel suo cuore; non lasciarlo
Remus, non lasciarlo e lui non lascerà mai più te” finì Silente con un dolce
sorriso.
Remus si passò con un gesto
nervoso la mano sugli occhi, per asciugare le lacrime che gli annebbiavano la
vista.
Respirò profondamente e
alzò lo sguardo verso l’alto, fino ad incrociare i suoi occhi con quelli
azzurri del preside.
Annuì lentamente, ma
convinto. Si alzò dalla sedia, tremante.
Silente gli si avvicinò, e
prima che potesse fare o dire qualsiasi cosa, gli mise delicatamente le mani
sulle guance, in modo da guardarlo bene dritto negli occhi.
“Non fallirai” mormorò scuotendolo
leggermente. “Non fallirai”.
Remus non si mosse, si limitò a fissarlo un po’ perplesso.
“Come fa ad esserne sicuro?” chiese non
distogliendo lo sguardo da quello fermo del preside.
Silente chiuse gli occhi
per un attimo, respirò e gli riaprì subito dopo.
“Diciamo che so vedere nel cuore delle
persone…” disse in tono ironico, mentre un sorriso faceva capolino sotto la candida barba. “So
leggere la loro anima e interpretare la loro vera natura” continuò.
Dopodiché lasciò andare
Remus, che si mise una mano sulla bocca per coprire un timido sorriso; abbassò
per un momento lo sguardo, non sapendo cosa dire.
“…Solo che continuerai a lottare” disse
Silente per lui, sorprendendolo.
“Te l’avevo detto, che so leggere nel cuore
delle persone” disse ammiccando e sorridendo.
Remus si abbandonò al primo
vero sorriso dopo molto tempo. Il suo viso appariva anni più
giovane.
Strinse forte la mano di
Silente, chiudendola tra le sue.
“Grazie” mormorò abbozzando un sorriso.
“Grazie per tutto”.
“E’ stato un piacere, Remus, è stato un
piacere…” disse, dando una pacca sulla spalla dell’uomo e tornando alla sua
scrivania.
Remus annuì convinto. Quello che era appena successo gli aveva infuso una certa
sicurezza; Silente aveva un potere magnetico.
Accennando un cenno con il
capo, si voltò, dirigendosi verso l grossa porta in
legno.
Era con la mano sulla
maniglia, quando udì la voce di Silente chiamarlo.
“Ah, Remus?”.
Il mago si voltò.
Silente sorrise da dietro
la scrivania. “Porta i miei più cari saluti a Harry”.
***
Ciao
a tutti!
Finito
anche il settimo capitolo! Spero possa esservi piaciuto!
Grazie
(in ordine di recensione) a Morgan Snape,
Joy e lady hawke… Siete fantastiche Grazie! (Le
cose che avete detto mi hanno fatto arrossire non poco ^///^)
Alla
prossima!
Valeria