Anime & Manga > Saint Seiya
Segui la storia  |       
Autore: MaikoxMilo    07/09/2020    3 recensioni
La serie principale di Saint Seiya dagli occhi di Sonia, allieva di Milo. La sua vita, il suo percorso, i suoi ricordi che si intersecano e coesistono con la vita dei Cavalieri d'Oro al Santuario di Atene prima, dopo e durante la Battaglia delle 12 case fino ad arrivare al 2011, il nuovo corso per tutti, la conseguente rinascita.
Dal cap. I:
“Ti manca tuo fratello, vero?”
La fisso imbambolata per qualche secondo... giusto, mio fratello Camus! Ecco il perché di questo mio malessere, ecco a cosa stavo pensando prima, a lui... come ho potuto scordarmelo, anche se per pochi, brevi, istanti?!
“Sì, ma tu come lo sai?”
La ragazza mi sorride ancora una volta, sedendosi poi vicino a me.
“Sono tutte uguali le persone che soffrono la perdita di qualcuno, affettiva, o più banalmente fisica, è irrilevante .. si mettono in disparte e guardano il vuoto, sperando di rivedere il volto del proprio caro. Lo capisco bene, sai? Milo era così quando ha perso Camus nella battaglia delle Dodici Case...”
Per comprendere meglio la storia, è necessario aver letto la mia serie principale: "Passato... presente... futuro!", buona lettura!
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aquarius Camus, Cygnus Hyoga, Kraken Isaac, Nuovo Personaggio, Scorpion Milo
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Passato... Presente... Futuro!'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 15: L’anatema della rovina (terza parte)

 

Edit: anche questo capitolo è piuttosto lunghetto, ma che volete farci, quando c’è di mezzo l’hurt/comfort non smetterei mai di scrivere! XD

 

 

Due costole rotte, diverse escoriazioni sulle braccia, bruciature da sfregamento e, in ultimo, quella ferita da punta sul fianco sinistro, ciò che lo stava prosciugando della vita…

Elisey gli schiacciò ancora una volta l’addome, tastandoglielo in più punti. Nessuna reazione. La cute vicino al foro di entrata era bollente, pallida, umidiccia, mentre le estremità del corpo si stavano raffreddando piuttosto velocemente. Il suo respiro fin troppo accelerato, i battiti del cuore sempre più veloci… tutto ciò indirizzò Elisey, purtroppo, sulla diagnosi corretta. Rabbrividì.

“Allora… cosa devo fare?” scalpitava intanto Isaac, presagendo la gravità della situazione, non avendo ricevuto alcuna direttiva. Era chiaro che le condizioni del maestro stessero precipitando, anche l’espressione di Elisey era mutata, il solo vederlo così teso lo fece spaventare ancora di più.

“In questo momento stare zitto!”

“Ma!”

“Stai zitto, Isaac! Le sue condizioni sono molti gravi, mi deconcentri!” lo freddò, in tono più alto, quasi spintonandolo via, perché il ragazzo era troppo vicino, gli avrebbe impedito di agire come era giusto fare, affatto delicatamente.

Non posso esitare! La delicatezza non servirebbe a salvarti la vita, Camus, ti sei spinto troppo in là, oltre i tuoi limiti, per salvare Zima, incurante di te stesso, incurante della gravità della ferita. Sei… sei straordinario, come mi ha più volte ripetuto Fyodor, quanto incosciente e spericolato. Se penso a cosa potresti diventare, come Sciamano, a cosa stai rinunciando per le tue paure, per mantenere anche il tuo dovere da Cavaliere di Atena…

Sbuffò nervosamente, fremendo, prima di procedere immediatamente. Gli prese il braccio sinistro, glielo sollevò all’altezza della spalla, prima di congiungere la mano alla sua. Ben presto ne scaturì una luce gialla e poi verde. Isaac sbatté le palpebre nel distinguere dei filamenti luminosi, rassomiglianti a dei fili d’erba, entrare con precisione nelle vene del polso del maestro, quasi si trattasse di una flebo. Camus produsse un mormorio stentato a quel gesto, si lamentò debolmente sfinito, prima di accasciarsi ancora di più, l’addome sempre più contratto, il respiro sempre più rotto. Veloce. Troppo veloce per conciliarsi con la vita. Isaac ne fu dannatamente impressionato.

“Muoviti, ragazzo! - udì appena la voce di Elisey, riuscì a stento a riscuoterlo – Camus fa sempre più fatica a respirare, rovesciagli la testa all’indietro, come se dovessi fargli una respirazione cardiopolmonare, lui vi ha insegnato come si fa, no?”

Le mani gli si mossero quasi a vuoto per una serie di secondi, prima di riuscire a prendere un profondo respiro e sforzarsi di riportarsi alla calma, altrimenti così non sarebbe stato di nessuno aiuto per la persona più importante della sua vita.

“C-così?” chiese, il cuore che gli accelerava talmente tanto nel petto da fargli male. Una mano sopra la sua fronte, tra i capelli blu, l’altra sotto il suo mento. L’indice, il medio e il pollice applicarono una leggera pressione, reclinandogli indietro la testa e sforzandolo ad aprire meglio la bocca, che in quel momento boccheggiava alla disperata ricerca di ossigeno.

Isaac strinse i denti a quella visione, l’ossigeno sembrò mancare anche a lui, mentre attuava il procedimento, disperato, nel non vedere alcun miglioramento nelle sue condizioni. Cosa stava aspettando Elisey, perché non interveniva nel concreto?! Stavano adoperando un semplice, basilare, palliativo, ma le condizioni di Camus non facevano altro che peggiorare di minuto in minuto, no, di secondo in secondo.

“Tu controllagli la respirazione e i battiti, al resto penso io!” gli aveva appena accennato, tornando a concentrarsi sul suo addome, ispezionandoglielo con il palmo della mano che gli sondava il ventre da una parte all’altra, come se stesse cercando qualcosa.

Isaac attese ancora una manciata di attimi, prima di esplodere del tutto.

“STIAMO SOLO PERDENDO TEMPO! - urlò, non sapendo più trattenersi, gli occhi inumiditi dalle lacrime - Camus non resisterà ancora a lungo, non senti come ansima?! Sta perdendo sangue da quella ferita, se non facciamo qualcosa subito, l-lui, non… non...”

“Pensi che non me ne renda conto da solo, idiota?! Pensi non lo sappia?! Sei nato ieri e vuoi dire A ME che le condizioni di Camus sono sempre più gravi?!”

Isaac sussultò davanti a quel tono, a quel fremito, nonché agli occhi scuri di Elisey, che lo fulminavano, maledicendolo con un solo sguardo. Singhiozzò, un’unica volta, prima di ingoiare a vuoto. Insieme a quella sgridata, altro aveva trafitto il suo cuore, la consapevolezza che Elisey, persino lui, stava facendo fatica a mantenere l’autocontrollo, perché aveva paura; paura davanti al rischio concreto di perdere Camus.

L’uomo si ritrovò a rabboccare aria, tornando a concentrarsi sul corpo sotto di sé, sempre più provato. Occorreva sbrigarsi, era vero, il ragazzo aveva ragione, nondimeno, pur non volendo quasi rivelarglielo, dare la precedenza ad una operazione, piuttosto che ad un’altra, avrebbe comunque rischiato di condurre Camus alla morte. Ed era difficile analizzare da quale problema cominciare.

Elisey aveva individuato infine, con l’ausilio del tocco, il punto cardine dell’emorragia, ma non bisognava dimenticare che Camus aveva ancora una stalagmite piantata nell’addome, occorreva rimuoverla il prima possibile, altrimenti…

Guardò attentamente Isaac, che proprio in quel momento aveva preso a sussurrare parole di conforto a Camus, mentre gli accarezzava i capelli. Aveva le lacrime agli occhi, uno spasmo continuo al corpo, ma era vigile e attento, avrebbe fatto quanto in suo potere per salvare il maestro, anche oltre. Informarlo delle sue reali condizioni? Prendersi quel rischio? Certo, non era più un moccioso, ma non aveva che da compiere 13 anni e ben sapeva quanto tenesse a lui. Sarebbe stato quindi reattivo, o sarebbe entrato nel panico un’altra volta? Poteva… fidarsi di lui? Non gli era mai andato troppo a genio, però… sospirò, guardando un’altra volta il viso sfatto di Camus. Per lui quel ragazzino era tutto, vi era un profondissimo legame tra loro, per certi versi incomprensibile ma altresì sacro.

Decise infine di dargli una possibilità. Da solo non avrebbe comunque potuto farcela, dopo la prima anamnesi era ancora più evidente.

“Occhi su di me, Isaac, ho bisogno della tua completa attenzione!”

Il giovane sussultò, guardandolo con un misto di terrore e disperazione, ma era vigile, presente, davanti a lui, pronto ad intervenire. Elisey prese un profondo respiro prima di ricercare le parole corrette da adoperare.

“Ascoltami, il tuo maestro ha bisogno di te, della tua reazione pronta, intesi?”

“S-sì! Cos’altro posso…?”

“Ha una grossa emorragia interna, Isaac… la cavità addominale si sta riempiendo di sangue piuttosto velocemente, non è molto il tempo che abbiamo...”

Pugno nello stomaco, quasi il ragazzo si piegò su sé stesso, mentre un’ondata di nausea lo investì. Aveva accusato male il colpo, gli occhi sgranati, le mani ancora più tremanti.

“N-no… non abbandonatemi, vi prego!” aveva biascicato appena, mentre una delle sue mani -Elisey la notò bene- aveva navigato per tutto il braccio di Camus fino a giungere a tenergli la mano destra.

“S-sta diventando freddo sulle estremità e n-noi non stiamo facendo niente, NIENTE!” sussultò, scosso da spasmi, scoppiando in un vero e proprio pianto non più trattenuto.

Era troppo, forse, chiedere ad un adolescente inesperto di essere di una qualche utilità in una situazione di simile emergenza. Si ritrovò ben presto a scalpitare nel pensare ad una soluzione alternativa che non contemplasse anche l’intervento dell’allievo che Camus considerava più capace, quando la voce di Isaac lo raggiunse di nuovo.

“Cosa devo fare? - chiese, tremulo, rabboccando aria, prima di prendere nuovi e più profondi respiri – Cosa devo fare? Sono disposto a… qualunque cosa, per salvarlo!” ripeté, con voce più decisa, una nuova luce negli occhi in grado, da sola, di scacciare l’incertezza di prima. Elisey ne fu, per un istante, folgorato, cominciando ad intuire, finalmente, cosa ci trovasse di tanto speciale Camus in lui.

“Devi essere le mie mani, ragazzo, e seguire le mie direttive, mentre io mi occupo di cedere parte del mio respiro e dei nutrimenti al tuo maestro. Qualunque direttiva, Isaac, anche quella più folle e che per te sembra la più temeraria e potenzialmente pericolosa!”

“Va bene, non vedo quale sia il...”

“Il problema è che anteporre un intervento ad un altro può comunque portare alla morte il tuo giovane maestro! - esclamò tutto di un fiato Elisey, facendolo sussultare, prima di proseguire nella spiegazione – L’emorragia interna è causata dalla stalagmite, che ha rotto la parete addominale di Camus, nella quale, ora, si sta riversando sangue in grande quantità. Penso possa capire anche tu che è necessario rimuoverla per richiudere il trauma, ma la rimozione rischia di accelerare notevolmente il sanguinamento, implementando anche l’emorragia esterna, che al momento è notevolmente limitata perché il foro di entrata è piccolo, i danni sono tutti… all’interno! Ci muoviamo sul filo del rasoio, ragazzo, un passo falso e...”

“D’accordo! - tranciò il discorso Isaac, non volendo neanche vagliare quell’ipotesi, strinse più forte la mano di Camus – Cosa devo fare prima, quindi? Rimuovere l’oggetto contundente o fermare l’emorragia interna?!”

“Ho un piano… agiremo in sinergia!” disse solo Elisey, chiudendo momentaneamente gli occhi senza aggiungere nient’altro per un tempo che al ragazzo parve nuovamente infinito.

Dovevano sbrigarsi, ogni secondo era prezioso e quel vecchio di merda non gli spiegava più del dovuto, parlando quasi per enigmi, fermandosi, e intanto Camus stava sempre più male, respirava sempre peggio.

Isaac fu sul punto di riscuoterlo nuovamente, non potendone più di quell’attesa, ma tempo di aprire la bocca, che gli occhi di Elisey si aprirono in uno scatto, mentre le sue labbra pronunciavano parole in un linguaggio antico e sconosciuto.

I suoi occhi… Isaac ne ebbe un sussulto alla sola visione. Non erano più scuri, ma risplendevano di una luce abbagliante, quasi spirituale, ed erano fissi su un punto vuoto, del tutto dimentichi dell’ambiente circostante. Capì che stava pregando, non sapeva chi, o cosa, ma ne avvertì l’immenso potere.

“U-urgh...” un mormorio sommesso, unito ad un movimento repentino sotto di lui attirò l’attenzione del giovane allievo, che sussultò. Camus stava scuotendo debolmente la testa nel tentativo di ribellarsi, o difendersi da qualcosa, non poteva muovere il braccio sinistro, bloccato da Elisey, ma con il destro e movimenti quasi a vuoto tentò disperatamente di coprirsi il busto con il mantello, divincolandosi con sempre più patimento, quasi arcuando la schiena, come se fosse ostaggio di qualcosa.

“Che testa di cazzo anche quando sta male… lo vogliamo aiutare e questo si dibatte, rendendo più difficoltoso il procedimento. Isaac, tienilo fermo!”

“Co-cosa?!” tentò di opporsi lui, spaventato nel percepire il suo maestro sempre più teso e agitato.

“Ragazzo, lo vuoi salvare Camus?! Devi essere le mie mani, io sono legato a lui, gli sto cedendo quanto è in mio potere cedere; accederò a lui passando dall’interno dei vasi sanguigni, praticando una embolizzazione di emergenza per arrestare la perdita di sangue, tu dovrai fare il resto, seguendo le mie direttive, ti è chiaro il concetto?”

No, ad Isaac era tutt’altro che chiaro. Non capiva le dinamiche di quel procedimento, non sapeva cosa diavolo fosse l’embo-cosa, un termine che lo faceva rabbrividire solo a sentirlo nominare, conosceva le embolie ma non quel modo di procedere, sapeva solo che Camus stava morendo e che l’unica speranza di salvarlo era racchiusa nelle loro mani. Gli venne di nuovo da piangere, ma ricacciò a forza indietro quell’istinto, sentendosi sempre più male nel vedere gli spasmi sempre più irregolari del suo maestro, che nonostante la sofferenza si divincolava come un forsennato, come se si sentisse impigliato in qualcosa, cosa che in effetti era, perché era legato al polso sinistro di Elisey, in un bagliore che si faceva sempre più forte e intenso.

“Poche ciance e dimmi cosa devo fare, io eseguirò!” esclamò Isaac, caparbio, ricacciando indietro la paura.

“Così mi piaci! - lo lodò tiepidamente Elisey, aumentando la presa su Camus – Intanto spoglialo in modo da scoprire interamente l’addome e il torace, devo avere il suo busto sotto i miei occhi e si continua a coprire di riflesso, sebbene sia più in là che qua!”

Non gli disse, no, che quella richiesta era anche e soprattutto per poter intervenire nell’immediato in caso di arresto cardiaco, un rischio concretamente alto, considerata la velocità con cui le sue condizioni stavano precipitando. No, non lo disse… non ancora, sperava, con tutto il cuore, di evitargli quello spettacolo...

Isaac annuì senza dire niente, non ne aveva la forza, ed eseguì, facendogli passare la testa sotto il mantello per poi fargli appoggiare la nuca sopra il tessuto, in modo che fosse un poco rialzata rispetto al corpo. Il respiro di Camus, a quel gesto, accelero' ulteriormente, mentre il petto si alzava e abbassava con foga inaudita e le palpebre si serravano ancora di più. Il giovane allievo sapeva bene quanto ciò fosse difficile per lui, sentirsi scoperto, perché anche se era privo di coscienza aveva una percezione tale che avvertiva tutto ciò che accadeva fuori. Gli accarezzò i capelli, cercando di calmarlo.

“Sono qui, resistete, vi prego! Anche per me e Hyoga siete tutto, siete la nostra famiglia, il nostro… punto di riferimento!” gli sussurrò con dolcezza, gli occhi perennemente lucidi, mentre lo baciò sulla fronte sudata, i ciuffi incollati alla pelle.

Camus continuava a boccheggiare alla ricerca dell’ossigeno, ma a quelle parole mormorate all’orecchio, quasi una carezza, parve acquietarsi un poco, la schiena si rilassò, anche se il respiro continuava ad essere ricolmo di patimento.

“Ottimo così, rimani con lui, mi raccomando, la tua voce lo riesce a tranquillizzare, anche perché quello che sto per fare non sarà affatto piacevole per il suo corpo già provato...” lo avvisò Elisey, prima di chiudere gli occhi e concentrarsi sul da farsi.

Isaac non aveva idea di come volesse agire, ma quasi in sincrono con le sue ultime parole, i fili di luce già presenti sul polso del maestro si moltiplicarono ulteriormente, mentre radici dorate, quasi linfa vitale, presero ad attraversare l’intero braccio di Camus, fino ad arrivare alla spalla. Il suo corpo sussultò di nuovo a quel gesto, ma invece di riprendersi a muovere come prima, il suo volto si girò verso Isaac, rannicchiandosi lì, come alla disperata ricerca di un sostegno, di un qualcosa che non lo facesse cedere. Era sempre più stremato, all’avanzare delle radici di luce, che in quel momento stavano scendendo sul petto, aumentava anche il dolore, ben visibile nella sua espressione sempre più sofferente, eppure non riusciva quasi più a ribellarsi, nonostante il male insopportabile che doveva provare.

Il cuore di Isaac era sempre più piccolo, il ragazzo non riusciva ad accettare quell’immagine così sfatta del proprio mentore, quel respiro stentato, quel gonfiarsi sempre più difficoltoso dei suoi polmoni. Era al limite e lui stava lì, utile soltanto a sostenerlo e a trattenerlo, mentre Elisey, tramite chissà quale diavoleria, lo sondava, penetrando in lui tramite quelle scie di luce.

“Gli stai facendo… male… non ne può più! Il maestro è quasi al limite, non lo vedi?!” si ritrovò di nuovo a singhiozzare, preda di una frustrazione sempre più crescente. Era arrabbiato, e anche molto, con Elisey, intanto, perché quel dannato vecchio non aveva altro modo di salvargli la vita se non facendolo passare tra indicibili sofferenze, e Isaac non ne poteva più. Camus si stava spegnendo e loro erano troppo, troppo, lenti! Ma più ancora che con lui, era infuriato con sé stesso, perché era stata colpa sua, le sue condizioni erano così gravi perché lui non aveva capito niente di quello che stava succedendo, aveva attaccato Zima, se non lo avesse fatto probabilmente Camus sarebbe riuscito nei suoi intenti e la missione si sarebbe risolta nel migliore dei modi.

“Lo so bene cosa gli sto facendo passare, non ho altro modo! Del resto, la delicatezza non salverà la vita del tuo amato maestro, bisogna agire anche cruentemente!” esclamò Elisey, riaprendo gli occhi e scoccandogli un’occhiata di fuoco che Isaac accolse, facendosi trafiggere, senza opporsi.

Le radici di luce intanto avevano raggiunto il ventre di Camus e, fatto un giro a spirale intorno al suo ombelico, si erano intersecati con la stalagmite, ancora piantata nel suo addome. Essa fu avvolta da quella luce, Isaac, per un solo secondo, si aspettò che scomparisse, invece rimaneva lì, a bella vista, identica a sé stessa, senza neanche rimpicciolirsi.

“Che cazzo stai aspettando, ancora, Elisey, un invito?! Rimuovila, Camus è al limite!!!”

“Non è così semplice, ragazzo, anf, non sono un mago, non è nei miei poteri far scomparire le cose con un puf. Ogni azione ha un prezzo, nonché un dispendio di energia. Sto facendo del mio meglio, credimi!”

Isaac ci credeva, vedeva bene la stanchezza di Elisey, palpabile come non mai, il fatto era che non lo accettava; non accettava che ci volesse tutto quel tempo e che Camus, in quel tempo, stesse soffrendo come mai prima di quel momento. Fremette, stringendo le palpebre e le mani a pugno, prima di chinarsi e nascondere il volto tra i suoi folti capelli.

“Resistete! Resistete, vi prego, non abbandonatemi, non anche voi! Ho bisogno di voi… - rabboccò aria, il petto gli doleva - Ho bisogno di te... papà!”

Era la prima volta che lo chiamava con quel nome, sebbene lo considerasse tale fin da bambino, ma appellarlo così, in quel modo altisonante per un giovane uomo di quasi 19 anni, l’aveva sempre creduta una cosa da poppanti. Hyoga ogni tanto si rivolgeva a lui con quel termine, nel sonno, o per errore, arrossendo subito dopo per la vergogna.

 

Papà? Ma se ha solo 6 anni più di noi, Hyoga!”

Ma è alto e forte e… e...”

Papà... ahahaha! Aspetta che glielo vada a raccontare, vedrai come la prende!

Stai zitto, Isaac! Non oserai dirglielo, io te lo impedirò!”

Tu? Un ravanello biondo?!”

Zitto, ravanello verde!”

Ehi, come osi?! Non hai rispetto per il mio diritto di anzianità?!

Ma quale diritto, sei più piccolo di me, pussa via!”

Tu però sei più basso e meno abile!

Ora lo saggerai sulla tua pelle chi è meno abile!”

Ne era ovviamente scaturita una baruffa tra loro, al solito fermata dal tempestivo intervento del maestro.

 

Isaac sorrise a quel ricordo, mentre le dita si erano mosse ad accarezzare delicatamente le guance di Camus, così fragile e indifeso tra le sue braccia. Papà… era così strano definirlo così, eppure lui lo era in tutto e per tutto. Non poteva nemmeno tollerare l’idea di perderlo, non avrebbe retto ad un simile lutto, non più.

“Ehi, figlioletto, sei ancora con me, oppure...”

“Elisey, il tuo sciocco umorismo in un frangente simile… devo avertelo già detto, ma ficcatelo nel culo!”

“Io sto cercando solo di darti una scrollata, anche perché il peggio arriva adesso...”

Isaac sussultò davanti a quella frase e a quel tono, denso di rammarico, non più canzonatorio come prima. Era lampante che Elisey utilizzasse il sarcasmo per alleggerire una situazione più che disperata. A lui irritava, e anche tanto, ma non poteva non ammettere che stava dando il tutto e per tutto per salvare Camus, superando anche i suoi limiti, lo si presagiva dall’espressione sfinita ma sempre determinata.

“Il… peggio?”

Elisey annuì, cupo, prima di proseguire.

“Ho raggiunto la lesione interna e sto procedendo all’occlusione dei vasi venosi, in modo da arrestare, o quanto meno, rallentare l’emorragia, ci sto quasi riuscendo, ma devi entrare in gioco tu, ragazzo”

“Cosa mai potrei…?”

“Quando te lo dico, devi estrarre la stalagmite dal ventre del tuo giovane maestro con un unico movimento repentino, in modo da causargli meno dolore possibile”

Isaac sbiancò a quella frase, guardandolo come si poteva guardare solo un pazzo.

“Ma l’azione provocherà in lui una nuova, e più letale, emorragia! E’ rischioso, Elisey, e se… se il suo fisico non dovesse reggere?!”

“So bene si tratti di un azzardo, Isaac, e che rischia l’arresto cardiaco per lo shock, ma è l’unica strada che possiamo compiere: tu eliminerai l’oggetto contundente dall’esterno, io riparerò i danni dall’interno!”

“N-no! Soffrirà… soffrirà e basta, n-non posso farlo, Elisey, NON POSSO!” fremette Isaac, di nuovo gettato nella più tetra disperazione. La testa gli girava e gli pulsava, quasi non riusciva a respirare, da quanto fosse agitato, sperso, si guardò spaesato intorno.

“Rimani con me, Isaac… ehi, mi senti?! - Elisey lo schiaffò nuovamente sul braccio, sebbene il suo tono fosse un po’ più caldo – Non abbiamo altre vie, mi riesci a capire, ragazzo? O così, tentando di salvarlo, o, se credi di non esserne in grado, meglio allora che prendi qualcosa di appuntito per trapassargli la testa da parte a parte ed evitargli una tremenda agonia, mi capisci?!”

A quelle ultime parole Isaac si riscosse, mentre spiacevoli immagini gli attraversano il cervello, procurandogli un conato di vomito che con difficoltà, ricacciò giù.

“No… n-no! Non posso vedermelo morire qui davanti, senza fare niente, ELISEY!”

“E allora sii con me in tutto e per tutto, Camus ha sempre più bisogno di te! Guardagli il viso, fallo aggrappare a qualcosa, a te, visto il legame che c’è tra voi due, urlagli di non cedere, di non arrendersi, ma estrai al mio via questa stramaledettissima stalagmite che lui si è subito al posto tuo. Glielo devi e… puoi farlo, Isaac, lui si fida di te, sei la sua forza!”

Isaac guardò il viso del maestro, come gli era stato consigliato. Era una immagine impattante, che lo faceva stare male, perché non lo aveva mai visto in simili condizioni, faceva mancare il respiro e girare la testa, il solo pensiero che da lì a poco avrebbe provato un dolore ancora più atroce lo intorpidiva fino a fargli perdere la lucidità.

Camus non meritava tutta quella sofferenza, non la meritava!

“NON CEDERE, DANNAZIONE, NON CEDERE!” gli gridò con quanto fiato avesse in corpo, nella speranza di infondergli coraggio; un coraggio che a lui stesso mancava.

“Stringi le mani sulla stalagmite, ci siamo quasi...” ordinò perentorio Elisey, senza più alcuna esitazione. Il tempo stringeva e ne avevano già perso abbastanza. Per quanto era nella possibilità dei suoi movimenti, perché era legato al polso sinistro di Camus, si spostò un poco, in modo da rendere più agevole la presa sul corpo del giovane uomo quando la stalagmite fosse stata estratta, perché sapeva non sarebbe stato affatto facile, né per il maestro né tanto meno per l’allievo. Chiuse gli occhi, prendendo un profondo respiro: il processo di occlusione era quasi al termine, ancora pochi secondi soltanto...

Una vocina dentro Isaac gli disse che il momento era quasi arrivato, raccolse tutte le forze di cui disponesse, rigettando indietro la paura, sebbene le mani gli tremassero e sudassero, nonostante il rigido clima che permeava i dintorni, nonostante quella maledetta stalagmite fosse dannatamente fredda tra le sue dita.

“Qualunque cosa accada… io sono con voi, sono qui, resistete, vi prego!” si sentì ancora di dire, febbricitante, guardandolo un’ultima volta, prima di essere raggiunto dalla voce di Elisey.

“ORA, ISAAC!”

Un brivido gli corse lungo la schiena nell’esatto momento in cui l’adrenalina faceva il resto. Disperato, con un nodo alla gola e le lacrime agli occhi, impugnò con fermezza la stalagmite, estraendola a viva forza dalla carne del maestro, il quale spalancando gli occhi vuoti, urlando con quanto fiato avesse in gola, si piegò su sé stesso con una foga inaudita, terrorizzando lo stesso Isaac che, perdendo completamente la lucidità, balzò indietro, gettando a terra la stalagmite insanguinata che tonfò sul permafrost.

Tutto ciò che accadde dopo, davanti ai suoi occhi, furono i secondi più terribili della sua vita.

Isaac non lo credeva nemmeno possibile, che un corpo umano si potesse incurvare in quella maniera, del tutto innaturalmente, quasi come una sedia a sdraio, eppure Camus, l’uomo che lo aveva cresciuto come un padre, che si era preso cura di lui, il Cavaliere più puro e giusto che il Santuario avesse mai ospitato, lo aveva appena fatto, spalancando le orbite spente e urlando fino a strozzarsi. Poi tutto si era congelato per una serie di nanosecondi. Elisey lo aveva provato a bloccare, in qualche modo, quasi abbracciandolo, eppure neanche quello era bastato, perché la testa e il busto di Camus, dopo quello scatto compulsivo, si erano poi reclinati all’indietro, cedendo. Si era accasciato, continuando comunque a muoversi convulsamente, quasi contorcendosi, lì, tra le braccia di Elisey, le estremità scomposte, che sembravano avere volontà propria, il sangue che zampillava fuori, malgrado la mano che subito era corsa ad arrestare l’emorragia, le iridi spalancate a vuoto, quelle iridi che Isaac amava tanto, che erano sempre, sempre brillanti, e che ora sembravano scure e profonde, inaccessibili. Sequenze di parole venivano ripetute, sempre uguali a loro stesse: “Calmati, Camus… CALMATI!”

Isaac non riusciva ad udire altro che quello, non riusciva a vedere altro che quello, che quelle iridi sbarrate, rotte, che quasi urlavano, al pari del grido del maestro, che era salito fino a soffocare, per poi perdersi nel vuoto. Tutto sembrò congelarsi per l’ennesima volta, anche Camus si bloccò, per un unico secondo, prima di afflosciarsi completamente, vinto, distrutto, come un oggetto vuoto. Le palpebre gli si chiusero, così come le labbra, che tuttavia rimasero piegate innaturalmente, in un ghigno quasi mortale.

Elisey riuscì ad avere abbastanza controllo per riadagiarlo più compostamente possibile sul permafrost e ristabilire un nuovo contratto tramite il suo polso, perché, nella foga, quello precedente era stato spezzato. Ma Isaac, quasi uno spettatore esterno, ormai, perché la mente rifiutava di accettare quella sequenza di immagini davanti a lui, notò l’espressione di Elisey, il nuovo cambio nei suoi occhi, le sue labbra che fremevano, di nuovo a vuoto. Era tutto così… vacuo...

Un sussulto ancora. Quello di Camus. Quello di Isaac. Il gelo nel petto. Per entrambi. E poi...

“Maledizione! La pressione sta scendendo vertiginosamente!”

Ad Isaac si raggelò ulteriormente il sangue nelle vene. E capì. Capì cosa sarebbe successo da lì a poco.

No… no…

Quelle uniche due lettere stampate a caratteri cubitali nella sua mente, gli continuavano a risuonare, spietate.

No… no…

Accadeva tutto molto velocemente, davanti a lui, come in un film. Vide Elisey diventare livido, stringendo la mascella in un impeto di rabbia, mentre con gesto nervoso si staccava un pendente da sotto il mantello, che prima il ragazzo non gli aveva visto, per poi legarselo al polso collegato a Camus e cominciare a tamponare la ferita, mentre, con l’ausilio dell’altra mano e dell’indice, che era diventato una lama di luce, gli praticava con precisione un incisione sul basso ventre dalla quale fuoriuscirono solo poche gocce di sangue.

“Ragazzo, mi serve il tuo aiuto! - diceva intanto, sempre concentrato sul da farsi – Non posso, da solo, assorbire sia il sangue contenuto nella cavità addominale, sia quello che sta perdendo fuori. Veloce, possiamo ancora...”

Forse aveva ancora parlato, detto qualcosa, provato a scuoterlo a voce, ma Isaac aveva perso il contatto con la realtà. Completamente. Stava lì. Imbambolato. Immobile, chiedendosi una sola cosa: perché?!

Perché aveva procurato un nuovo taglio al corpo già martoriato di Camus? Perché continuare a farlo soffrire? Perché?!

Il maestro non reagiva più a niente. Sfatto. Prosciugato. Quasi non respirava nemmeno. Non aveva minimamente sussultato quando Elisey gli aveva praticato l’incisione, tipo cesareo, non si era opposto quando le sue mani nodulose ed esperte si erano nuovamente posate sulle ferite, emanando una luce altisonante per la situazione in cui si trovava, semplicemente era lì, immobile, il braccio destro aperto, il sinistro posato vicino al fianco, il respiro aritmico, sul punto di cessare del tutto. Forse -si ritrovò disperatamente a pensare Isaac- sarebbe stato quasi meglio così, almeno non avrebbe più sofferto, non avrebbe più…

“ISAAC! MI SERVE IL TUO AIUTO!”

“N-non posso...”

“Che cazzo significa che non puoi?! Sei andato benissimo fino ad ora, ragazzo, non cedere proprio ora, non abbandonarlo!”

Le labbra di Isaac fremettero notevolmente, a vuoto, vacue... Qualcosa si era spezzato in lui, definitivamente. Qualcuno gli urlava, dall’interno. Non era Elisey, non capiva chi fosse, avvertiva solo qualcosa contorcersi dentro di lui, il respiro mancare.

“ISAAC!!! ISAAC, DANNAZIONE!!!”

Elisey gli urlò diverse volte, ne perse definitivamente il conto mentre stava lì, con gli occhi sbarrati. Le mani di Elisey erano imbrattate di sangue; del sangue che stava perdendo Camus, e il ciondolo, composto da un cristallo di ghiaccio bianchissimo, andava tingendosi di rosso.

Come un fulmine a ciel sereno, Isaac capì finalmente cosa il vecchio stesse cercando di fare, lui assorbiva l’ingente emorragia interna -ed esterna- grazie a quel ciondolo che sembrava avere doti magiche che sfuggivano alle leggi fisiche. Ecco il perché del taglio sul ventre, per accelerare il processo di assorbimento di tutto quel sangue che stava prosciugando della vita il suo maestro, ecco perché aveva bisogno di lui, per amplificarne la velocità, poiché ogni secondo era prezioso, insostituibile.

Si riscosse, dandosi una sberla, prima di sforzarsi di tornare nuovamente operativo, rigettando indietro i vaneggiamenti. I contorni, prima ovattati, riacquistarono nitidezza.

“Per gli dei nivei, Isaac! Muoviti, non c’è più...”

Elisey si paralizzò all’istante nell’esatto momento in cui Isaac tornò ad essere pienamente attivo, congiungendo le proprie mani con le sue ed espandendo il cosmo, come se avesse saputo da sempre come agire per aumentare la potenza e l’efficacia di quel procedimento.

“N-no… maledizione, no! - fu la volta di Elisey di imprecare, fremendo notevolmente mentre cercava perdutamente di affinare la concentrazione per scorgere qualcosa che non riusciva più a percepire – Camus, non farci questo, ragazzo, non farlo! Isaac e Hyoga hanno ancora bisogno di te, non puoi permettere al tuo cuore di fermarsi!”

Ad Isaac, per la terza volta in pochi minuti, gelò il sangue nelle vene, si ritrovò a sgranare gli occhi, mentre la sua espressione navigava da Elisey a Camus e viceversa. Un sussulto nel petto, quando si accorse, con disperazione crescente, che il suo maestro sembrava non respirare più.

“Maestro!!! - si ritrovò a singhiozzare, mentre, quasi gattonando, raggiunse il suo torace e, di riflesso, appoggiò un orecchio sopra il suo petto. Nessun suono. Niente. Nulla. Si sentì mancare – Non c’è… battito!”

Elisey tremò convulsamente per la rabbia, gli occhi gli si fecero lucidi, mentre con furia senza limiti, picchiava, in un gesto di stizza, il pugno diverse volte sul permafrost.

“E-Elisey!!! Camus… Camus è...”

“TOGLITI!”

Isaac si ritrovò nuovamente spintonato indietro per la terza o quarta volta in quel malaugurato giorno. Sentiva freddo nel petto cavo e denso di pena e non si perdonava i suoi continui tentennamenti e incertezze.

Se non avesse attaccato Zima…

Se l’avesse compresa…

Se non si fosse bloccato diverse volte…

Se fosse stato più reattivo…

Se… se…

Camus non sarebbe stato lì, agonizzante, a patire tutto quello. Picchiò violentemente i pugni sul terreno ghiacciato, mentre le lacrime, rompendo gli argini, si riversavano all’esterno, impotenti.

Elisey aveva atteso pochi, necessari, secondi per avere la certezza che il cuore di Camus si fosse fermato del tutto. Sapeva bene i rischi di praticare una rianimazione cardiopolmonare con un cuore che, pur fievolmente, batteva, ma non era quello il caso, non c’era più pulsazione in lui, aveva ceduto, vinto dall’emorragia, dallo shock procurato da quei traumi… semplicemente non aveva più energie in corpo per resistere, non da solo.

“DANNAZIONE! - imprecò ancora, posizionandosi perpendicolarmente, prima di porre il palmo della mano sinistra al centro del suo torace e sovrapporre l’altro, apprestandosi a contare le compressioni – Uno… due… tre...”

…quattro… cinque…

I numeri scorrevano rapidi e spietati, senza che Camus desse un qualche segno di ripresa. Nessun movimento volontario, solo i sobbalzi dati dalla pressione che Elisey esercitava su quel corpo sfinito.

I numeri scorrevano spietati, senza che Isaac potesse farci nulla. Solo vedere… vedere la vita del suo amato maestro che scivolava via, sempre più giù, sempre più inafferrabile. Vedere quel corpo, che veniva schiacciato con foga inaudita, inutilmente...

I numeri scorrevano spietati…

“...Trenta! - terminò di contare Elisey, sempre più disperato, non scorgendo alcuna reazione – Dannazione, Camus, non puoi, non puoi cedere, che ne è della tua forza di volontà?!” esclamò ancora, cambiando posizione per attuare le due insufflazioni prima del termine del primo ciclo.

Si spostò di lato, nervoso, angosciato, prima di costringere Camus a ruotare la testa all’indietro. Con la mano destra lo sforzò ad aprire la bocca, con la sinistra gli tappò il naso, prima di procedere.

Isaac, dalla sua posizione, vide distintamente l’alzarsi e l’abbassarsi del torace del maestro a seguito dell’aria immessa, ne ebbe una fievole speranza, prima di rendersi conto che continuava a non reagire, era Elisey a respirare per lui, a forzare la circolazione sanguigna, per lui… la sua vita dipendeva in tutto e per tutto dalle azioni di quel vecchio. Gli parve di morire a sua volta.

Secondo ciclo… la situazione non cambiò di una virgola.

“ANCORA!!! Maledizione, ancora! Non accetto questa fine per te, Camus, hai così fretta di raggiungere Fyodor?! E ai tuoi allievi chi ci pensa?! Coraggio, reagisci! Non puoi permetterti di soccombere così, sei troppo giovane!” urlò a squarciagola Elisey, ormai persino il suo tono spavaldo era un lontano ricordo.

Di nuovo la mano destra sotto il mento, di nuovo la sinistra a tappargli il naso, di nuovo l’aria che entrava nei polmoni vuoti di Camus, gonfiandogli il torace, ancora una volta dando una speranza bugiarda.

Dalla parte di Isaac era tutto così ovattato, assurdamente ovattato, persino le proprie percezioni, per non parlare della scena davanti a lui. I suoi occhi erano sbarrati, fissavano vacui il corpo del suo maestro. Elisey stava procedendo con una veemenza senza pari, schiacciava con sempre maggior impeto quel corpo immobile, intestardendosi, grazie alla forza della disperazione, alla ricerca di una qualche reazione, di un qualche segno, che tuttavia non arrivava.

Isaac si chiese quanto un corpo umano potesse sopravvivere senza battito e senza respirazione, era una questione di pochi minuti, un Cavaliere non faceva differenza alcuna. Pianse maggiormente, il petto rotto dai singhiozzi. Si alzò traballante in piedi, passando oltre il corpo di Camus, oltre Elisey, che, pur impegnato nelle manovre salvavita, lo scrutò quasi con astio. Isaac vagò senza meta, gli occhi spalancati, le guance rigate dalle lacrime. Fece qualche passo prima di arrestare il suo moto e fissare i dintorni senza tuttavia guardarli per davvero. Era tutto così privo di senso!

“ISAAC, COSA DIAVOL…?!”

Udì appena il richiamo di Elisey, non gli importava di nulla, assolutamente nulla, se Camus fosse morto, tutto, per lui, avrebbe perso senso. TUTTO!

“ISA...”

“Zima! Zima, ti prego! Abbiamo bisogno di te!”

Elisey, di nuovo impiegato nelle compressioni, lo fissò, con la coda dell’occhio, meravigliato: era ovvio stesse uscendo di testa, cosa mai stava pensando, in quel momento? Chiedere aiuto a Zima, quando l’aveva attaccata prima?! Isaac non era neanche uno Sciamano, come diavolo poteva pensare di…?

Ma Isaac continuava a implorare il suo aiuto, gli occhi annebbiati dal pianto, l’espressione rotta dall’angoscia, il tono tremolante. Eppure ciò che uscì dalle sue labbra -Elisey se ne accorse- erano parole che provenivano direttamente dal suo cuore.

Quarto ciclo...

“So che non merito il tuo aiuto, perché ti ho attaccata senza capirti, fraintendendoti. So che sono stato spietato, che non avrei dovuto, che ti ho fatto del male, ma… ma ti prego, aiutami, non per me, ma per Camus! Camus...”

Si girò verso di loro, la faccia derelitta, sostò a lungo sul suo volto sempre più pallido, fino a scendere giù, sempre con lo sguardo, fino al petto immoto. Una nuova fitta al cuore. Lapidale.

“Lui… lui è tutto per me, è come un padre, mi ha insegnato ogni cosa e… e… ha creduto in te, Zima, in te! Salvalo, ti prego… salvalo! Sta… sta morendo, ha perso molto sangue, non riesce più a respirare autonomamente! Sta… mi sta scivolando via, Zima, ti prego, ti… ti offro la mia vita, la mia forza, qualunque cosa, ma… salvalo!” la supplicò ancora, incassando poi la testa tra le spalle, scoppiando a piangere con maggior forza.

Quinto ciclo, l’ultimo...

Ad Isaac non importava di essere patetico. Non gli importava di dimostrarsi debole, in balia delle emozioni, sciocco, disperato. Stava perdendo la persona più importante della sua vita, non avrebbe retto a quell’ennesimo lutto, non più . Era tutto così vano.

Singhiozzò, per una manciata di secondi si udirono solo i suoi singulti nel vuoto.

Silenzio...

Elisey smise di pressare su Camus in quella maniera. Con un lungo sospiro atroce si raddrizzò, ma non riuscì ad alzarsi.

Non c’era riuscito, la sola idea era intollerabile, per lui.

Non c’era riuscito… non era stato in grado di aiutare quel ragazzo.

Il cuore di Camus non era ripartito, nonostante i suoi sforzi, ormai i minuti necessari per salvare una vita erano sfuggiti via per sempre. Si morse il labbro inferiore, trovandosi quasi istintivamente ad accarezzare il viso sfatto dell’allievo di Fyodor. Le guance erano ancora tiepide, sebbene il calore della vita lo stesse ormai abbandonato definitivamente. Gli richiuse gentilmente la bocca, dalla quale non proveniva più niente, prima di adagiargli la testa da un lato, scendere con la mano sul suo petto ormai immoto e incassare la testa tra le spalle, fremendo. Forse avrebbe dovuto coprirlo, ma ancora non ci riusciva.

Non era riuscito a salvarlo... si biasimò, supplicando suo fratello di perdonarlo, per non essere stato in grado di riattivargli il cuore.

Non era riuscito a salvarlo... non se lo sarebbe mai perdonato. Per lui, per sé stesso, persino per suo fratello e… per suo padre!

Non era riuscito a salvarlo…

“Dai, Isaac, lascia perdere… è tardi, ormai, se ne è...”

“NO! NON LO E’! NON PUO’ ESSERLO!”

“E’… troppo… tardi!”

In quell’istante qualcosa cadde sulla guancia pallida di Camus, per un secondo Elisey credette si trattasse delle sue lacrime, perché, dopo tanto tempo, per esattezza da dopo la morte di suo fratello Fyodor, qualcosa di incredibilmente bruciante era tornato a permeargli gli occhi: il pianto. Silente. Ma pur sempre un pianto.

Credette che fossero le sue lacrime ma, in verità, esse brillavano d’oro. Si riscosse, incredulo, anche Isaac compì un movimento, guardandosi confusamente intorno.

Non erano le lacrime, non le loro, almeno, ma una pioggia che cadeva dal cielo, dorata, brillante: una pioggia di rugiada.

“A-acqua allo stato liquido in… in questa stagione, a queste latitudini?!” si domandò Isaac, spalancando gli occhioni verso il cielo, il cuore in tumulto. Poi lo udì. Credette in un abbaglio, ma…

Un colpo di tosse, poi un altro ancora, e ancora…

“MAESTRO!” urlò, voltandosi di scatto verso Camus, ancora steso a terra e intento ad arrancare alla disperata ricerca di ossigeno. Quasi si gettò in ginocchio al suo fianco nel prendergli la mano e stringergliela, gridandogli di non arrendersi.

Elisey ingoiò per un attimo a vuoto, mentre quella pioggia dorata bagnava i loro corpi, rinvigorendoli. Anche Hyoga, sdraiato a poca distanza da loro, sembrava più tranquillo, permettendosi di cedere al sonno profondo. Le ferite gli erano già state trattate e completamente risanate, erano le energie che gli mancavano, e che stavano lentamente tornando, grazie a quell’insperato miracolo. Elisey sorrise tra sé e sé, almeno, qualcosa di buono per qualcuno lo aveva fatto. Tornò silenziosamente ad ispezionare Camus, avvertendo un insperato palpito di vita.

Camus aveva ripreso a respirare, il cuore era finalmente ripartito… ma le funzioni vitali non erano ancora del tutto stabili, era ancora in bilico tra la vita e la morte, troppo stremato per reagire senza l’aiuto di nessuno, troppo provato per poterlo fare da solo.

Lo sondò attentamente con la mano, auscultando il torace senza bisogno di ulteriori strumenti, poi passò ad accarezzargli dolcemente il volto sfinito e i capelli, sistemandogli meglio la testa all’indietro per facilitargli nuovamente la respirazione, ancora tremendamente stentata.

“Coraggio, Camus, continua così, bravo! Respira, usa tutte le forze rimaste nel tuo corpo per respirare, al resto pensiamo noi! Siamo qui con te, Hyoga è fuori pericolo, starà presto meglio, ed Isaac è qui, mi sta dando una mano, sii fiero dei tuoi ragazzi!” lo provò a rassicurare, con una dolcezza che Isaac non gli aveva mai visto e che non pensava nemmeno potesse possedere. Ma non importava in quel momento…il giovane allievo era semplicemente lì, la sua mano era tornata a stringere quella del maestro, abbandonata nel suo palmo, mentre con crescente partecipazione si avvicinava al suo volto, quasi desiderasse cedergli tutte le energie disponibili, nonché lo stesso respiro, ma non sapesse come fare.

“Non mollare, ti prego! Non cedere!”

La pioggia battente era sempre più intensa, ormai infradiciava i loro corpi, rendendo il cuore di Isaac sempre più piccolo a quella visione ancora più disfatta della persona che ammirava di più. Sapeva che era quella pioggia di rugiada a stargli salvando la vita, ma vedere Camus dell’Acquario, il Cavaliere e lo Sciamano, così, il torace esposto che si gonfiava e sgonfiava affannosamente, l’addome lordato dal suo stesso sangue, solcato da quell’orrendo taglio che faceva impressione solo a vedersi e il volto zuppo, era una manifestazione insopportabile da accettare

Di nuovo il braccio di Elisey gli schiaffò la spalla come per ridestarlo dal torpore, i suoi occhi neri si impressero nei suoi verdi.

“Coraggio, Isaac, il nostro compito non è finito, deve stare meglio nel più breve tempo possibile! Dobbiamo assorbire il sangue contenuto nel… - si bloccò, lo sguardo attirato da qualcosa dietro di lui, qualcosa che lo meravigliò al punto da fargli mutare espressione – Z-Zima!”

Isaac sussultò, voltandosi a sua volta. E la vide. In tutto il suo fulgore, sebbene fosse impestata di quel liquame nero, tossico, e la lingua fosse a penzoloni, chiara manifestazione di una spossatezza atroce. Si paralizzò a sua volta, del tutto incredulo, mentre la creatura lentamente si avvicinava a loro, zoppicante. Non degnò di uno sguardo Elisey, i suoi occhi marroni spenti furono tutti per il giovane allievo di Camus. Si fissarono a lungo.

“Z-Zima, io...”

Isaac non sapeva minimamente cosa dire, si sentiva la gola secca.

S-sono qui, ragazzo… ho udito la tua accorata preghiera, il tuo desiderio, anf, che è anche il mio…

Era meraviglioso poter finalmente sentire la sua vera voce, delicata e forte allo stesso tempo; soffice come un fiocco di neve, eppure solenne come le terre della Siberia, quasi da far commuovere l’ascoltatore. Isaac si sforzò di asciugarsi le lacrime, ricacciandole indietro, il petto dolente.

“Vuoi… vuoi forse dirmi che, nonostante quello che ti ho fatto...”

Il suo tono era rotto, incrinato, quasi non suo, il cuore avrebbe potuto scoppiargli da un momento all’altro mentre la mano destra si protraeva nella sua direzione, ricercando un primo, maldestro, contatto. Zima annuì, la lingua sempre a penzoloni, mentre, muovendo prima le zampe anteriori, accettava la carezza di Isaac, strofinandosi sulla sua mano e socchiudendo gli occhi.

Aiutami… aiutami a salvare Camus, ti prego! Ho bisogno della tua forza, di tutta la tua forza, io da sola non…

Fu il turno di Isaac di annuire determinato, mentre, prendendogli dolcemente il muso, si approcciava a lei, appoggiando la fronte alla sua, poco sotto il diadema spezzato, come aveva visto fare a Camus.

“Ti cedo tutto il mio corpo per salvarlo, anche oltre, Zima!”

La creatura riaprì gli occhi nello stesso momento in cui lo fece Isaac, si guardarono profondamente, il verde dei campi che incontrava il marrone scuro della Madre Terra. Per entrambi, quel contatto, fu come avere un libretto d’istruzione stampato nella cornea. Entrambi sapevano con precisione come agire. E agirono.

Non avrebbe più esitato, non avrebbe perso più tempo. I miglioramenti del maestro avevano rinvigorito anche la forza di Isaac, determinato come non mai a salvarlo. Si posizionò sopra a Camus, le ginocchia lungo i suoi fianchi, in modo da poter operare sulle ferite presenti sull’addome. Il foro di entrata nella stalagmite non era di grandi dimensioni, ma profondo, un ematoma sotto cutaneo stava cominciando a formarsi, impressionandolo ulteriormente. Cercò di non farsi distrarre, non era quello il suo compito, lo sapeva bene. Ingoiò a vuoto, poggiando le dita invece sul taglio che gli aveva inciso Elisey diversi centimetri sotto l’ombelico. Non sanguinava, perché probabilmente era stato cauterizzato già da lui, ma permetteva in maniera più agevole di accedere da lì per assorbire l’immensa emorragia interna che aveva riempito la cavità addominale del maestro.

Poggiò le dita nella maniera più delicata possibile, ma il corpo di Camus sussultò comunque, anche se debolmente, un gemito di dolore gli arrivò alle orecchie, gli strappò ulteriormente il cuore di pena, ma era un buon segno.

“Starete presto meglio, ve lo prometto! Resistete! Fatelo per voi stesso, per noi, perché… - scrollò la testa, no, doveva parlare di vero cuore per esortare Camus a non cedere, il ‘voi’, in quella circostanza, era troppo freddo, e il maestro aveva bisogno di aggrapparsi a qualcosa, di avere qualcuno vicino – Abbiamo bisogno di te, Camus, di te, nella nostra vita, sia io che Hyoga, e ti vogliamo bene… papà!” lo chiamò nuovamente con il ruolo che gli spettava, sebbene lo facesse imbarazzare.

“Prendi questo!” la voce gentile di Elisey, lo sorprese non poco, ancora prima di riuscire a chiedere delucidazioni, avvertì uno strano tintinnio, mentre il ciondolo a forma di cristallo, di color rosso tenue, gli venne posato sul petto.

“Elisey, ma cosa...”

“Io non posso fare più niente, ormai… ma tu e Zima sì, coraggio! - sospirò, un poco affranto, prima di imprimere i suoi occhi in quelli di Isaac – Ragazzo, Camus ti avrà certamente insegnato che, in natura, in circostante normali, nulla si crea e nulla si distrugge, noi Sciamani non facciamo differenza! Il sangue del tuo maestro non può scomparire nel nulla, non abbiamo di simili poteri, ma può essere trasformato o, in questo caso, trasposto dalla sua cavità addominale a qualcos’altro” gli disse, dando un’occhiata al ciondolo che pendeva dal collo di Isaac. Doveva ammettere, suo malgrado, che, anche se il giovane non era uno Sciamano, gli donava.

Il ragazzo capì in un istante, una luce abbagliante negli occhi, quella che Camus considerava sacra.

“Grazie, Elisey!” gli disse, tornando a concentrarsi sul taglio del maestro, impiegando il suo cosmo, che emanava sfumature dorate, per far convergere il sangue, fungendo lui da drenante, fino al cristallo che gli era stato imprestato e che andava tingendosi sempre più di rosso.

“Salva Camus, con quello!” lo incitò ancora, sorridendogli di sbieco, prima di tornare a concentrarsi, con aria triste, su Zima.

La creatura sembrava sfinita, reietta, cercava con ogni mezzo di non guardarlo in faccia, come poteva essere altrimenti, del resto?! Entrambi conoscevano bene le proprie colpe… Si era avvicinata al viso di Camus e lentamente, con il muso, gli aveva fatto ruotare la testa, dandogli ripetute nasate e sostando poi, con il tartufo, sulla sua pelle, prima di leccargli dolcemente le guance, strofinarsi, mentre alcune lacrime gli scendevano dagli occhi per ricadere sulle labbra dischiuse del giovane uomo che ricercavano disperatamente ossigeno.

Le lacrime di Zima… ciò che la creatura aveva ancora di più prezioso. Elisey si trovò a fremere, commosso.

Zima scese poi sull’affannoso petto sempre mantenendo il tartufo umido a contatto con la sua pelle, seguì la linea del collo, passando dalle due clavicole, soffermandosi sul torace, appena sopra il cuore.

Ha il cuore molto affaticato… se non facciamo qualcosa al più presto rischia un nuovo arresto cardiaco...

“Salvalo, ti prego… non merita una fine simile. Tu sai!” trovò infine il coraggio di dirgli mentalmente, distogliendo lo sguardo dolente dalla creatura, ormai ridotta ai minimi termini, ma decisa più che mai nei suoi intenti. Si limitò ad annuire, Zima, che un tempo fu aurora, mentre altre, calde, lacrime bagnavano il petto del ragazzo, il quale lentamente cominciava a respirare in maniera più ritmata e regolare. Gli saldò le due costole rotte, prima di proseguire. Scese ancora di più, sullo sterno, prima di compiere, sempre con il muso in contatto, un breve giro dell’addome e soffermarsi quindi sulla ferita causata dalla stalagmite. Lì alzò un poco la testa, chiudendo gli occhi e piangendo con quanto rimaneva delle sue forze. Ogni goccia che cadeva sulla ferita faceva sì che la lacerazione si chiudesse, velocizzando il processo di cura e di cicatrizzazione. Una serie di minuti dopo, che sembrarono interminabili, non c’era più niente sul fianco destro di Camus. Il respiro gli si regolarizzò quasi del tutto.

Isaac era incredulo, stremato, provato, perché il processo di riassorbimento minava le sue forze fin dal profondo, ma, così in pena per le sorti del suo maestro, non si era fatto sfuggire un solo movimento della creatura. Ciò che aveva fatto era stato uno spettacolo incredibile.

Fece per dire qualcosa ma in quell’esatto momento il cristallo, saturo di sangue, ormai di un intenso color rubino, scoppiò, spaventandolo non poco. Isaac credette fosse sua la colpa, forse non era riuscito a controllarlo bene, forse il suo intervento non era bastato, si sentì di nuovo sprofondare nella disperazione, ma le mani nodulose di Elisey si mossero ad avvolgere le sue, coperte di sangue, come a volerlo rinfrancare.

“Va bene così, il suo dovere lo ha fatto!”

“Ma… ma c’è ancora del sangue all’interno!”

“Ciò che hai fatto basta per metterlo fuori pericolo, il corpo umano ha la capacità di riassorbire i versamenti, solo che lui ne aveva troppi, rischiava di danneggiare gli organi interni, ora non più. Il resto sarà assimilato lentamente dal suo organismo fino a sparire del tutto!” gli spiegò, sempre con quella dolcezza inconsueta che, in circostanze normali, lo avrebbe fatto innervosire ancora di più.

Isaac tremava, si guardava le mani, sporche del sangue del maestro. Dalle sue dita erano ben visibili vene purpuree che, partendo dall’estremità, risalivano fino al polso, mischiandosi fino a interconnettersi con i propri, reali, vasi sanguigni.

“Non hai assorbito il sangue solo tramite quel cristallo, ma anche attraverso te stesso...” constatò Elisey, serio in volto.

“Sì… avevo paura che non bastasse...”

“E’ rischioso, ragazzo! Non hai il gruppo sanguigno del tuo maestro, rischi un pesante rigetto così...”

“Non ha importanza...” liquidò la faccenda, aveva gli occhi lucidi ed era ancora scosso.

Sarebbero realmente bastati i loro interventi per salvare la vita di Camus? Il giovane allievo si rese conto di essere totalmente a pezzi, di essere ancora spaventato a morte alla sola idea di perderlo, e di non essere affatto tranquillo. Le condizioni del maestro erano state così gravi… la rianimazione cardiopolmonare non aveva sortito effetto, se non fosse stato per l’intervento di Zima, Camus non sarebbe sopravvissuto, non sarebbe stato più con loro e la sola idea, si accorse, lo faceva impazzire. Discostò lo sguardo, girandosi verso Hyoga e Jacob, a poca distanza da loro, profondamente addormentati. Le ferite di suo fratello erano state risanate, il metodo gli era sfuggito, ma sembrava stare bene, era solo svenuto, dormiva, con Jacob steso sul suo petto, assopito. Non lo aveva mollato un secondo.

Tutti avevano rischiato di morire per colpa sua, il suo cuore non si dava pace a quel pensiero, era gonfio di pena, di paura e aveva perso fiducia nelle sue capacità, come Zima, che proprio in quel momento si era accucciata, stremata, sul permafrost. Latrava, respirando affannosamente.

Era accaduto tutto per colpa sua, il ragazzo non riusciva a fare altro che torturarsi psicologicamente su quella questione. Strinse con foga i pugni, produsse un mormorio sommesso, quando invece avrebbe voluto urlare, rompere qualcosa. Due lacrime capricciose, silenti, gli scivolarono giù.

Era… stata... tutta… colpa sua… maledizione!

“I-Isa-ac…”

Sobbalzò a quel richiamo, riconoscendo una voce che disperava di sentire. Saltò su, del tutto incredulo, aveva paura di essersi sbagliato, che la mente lo trasse in inganno, ma quando la voce del maestro lo raggiunse per la seconda volta, debolmente e densa di pena, il cuore gli si accelerò in petto, mentre le lacrime, ormai a fiume, gli lambirono il volto provato.

“Maestro!!!”

Camus era ancora incosciente, si era mosso appena, avvertendo la presenza dell’allievo vicino a lui, le sue emozioni difficili da contenere, la sua disperazione. Il respiro gli si accelerò al ritmo del suo torace, che si alzava e abbassava sempre più a scatti. Debole. Stremato. Eppure lo chiamava, in un tono che ad Isaac mozzava la respirazione.

“I-Isaac… mio a-al… mmh-llievo...” riprovò per la terza volta a parlare, ma le energie per continuare gli mancavano, si agitò nell’incoscienza, affaticando ulteriormente il suo corpo già al limite.

Isaac si gettò a capofitto su di lui, di nuovo in ginocchio al suo fianco, prima di prendergli dolcemente la nuca per sollevargli la testa e permettergli di respirare meglio.

“Maestro, sono qui… SONO QUI! Non sforzatevi ulteriormente!”

“Mmmh, I-Isaac, n-non...”

Ma di nuovo il nome rotolò a vuoto, perché era chiaro che Camus volesse dire qualcos’altro, lo aveva percepito, fuori da quelle nebbie vacue dense di dolore che solo in quel momento si stavano attenuando, ma non riusciva, non ne aveva le forze e ciò lo umiliava. Il torace scalpitava al posto suo, continuando ad alzarsi con sempre maggior foga, cosa che, nelle sue condizioni, non gli faceva affatto bene.

“Sono qui, calmati! - riprese Isaac, in tono nuovamente confidente, scostandogli un ciuffo umido dalla fronte sudata per poi posargli le labbra sopra nel tentativo di tranquillizzarlo, come Camus riusciva sempre a fare quando lui era un ravanello – Va tutto bene, papà, stiamo tutti bene, riposati, non disperdere ulteriori energie!”

A quelle parole lo vide lasciarsi andare, la testa reclinata sul suo braccio, in direzione del suo petto, produsse un respiro più prolungato dei precedenti.

“I-Isa-ac… s-se non dovessi, anf, riuscirci io, anf, s-salva tu Z-Zim-a… ti prego...”

“Ma Camus...”

“N-non ho più… forze... anf...”

“Non dite così, mae… no, papà! Ti voglio bene, ti prego, non morire! Non morire, Camus!”

“...m-ma la posso sentire anco-ra… nel buio che mi circonda, anf, s-soffre e… urgh… Isa-ac, s-salval...”

Non riuscì a dire nient’altro, il respiro sempre più rotto, sembrava avesse di nuovo difficoltà a respirare, la coscienza che andava defluendosi. Il ragazzo si sentì rabbrividire, mentre Zima, con le zampe tremanti, si rialzò.

“MAESTRO! Parlatemi ancora, vi prego!”

Lo scrollò, nessuna reazione, di nuovo si sentì gettato nel panico.

“Isaac, in quella posizione fa fatica, riadagialo per terra e reclinargli la testa all’indietro, come ce l’aveva prima! Dobbiamo aiutarlo, è davvero troppo debole!” lo avvertì Elisey, mentre con il palmo della mano gli continuava ad auscultare le funzioni vitali.

Isaac eseguì immediatamente, ancora frastornato e terrorizzato all’idea di perderlo. Era chiaro che Camus avesse bisogno di lui, si era abbandonato tra le sue braccia quando lo aveva percepito, ma non era affatto in sé, non completamente e probabilmente ancora in pericolo di vita. Anche Zima fu su di lui, il suo muso si strofinò sugli zigomi, scendendo poi sotto il mento, leccandolo con dolcezza.

Non pensare a me, Camus… dormi, e recupera le energie! Grazie… per avermi provato a salvare.

Gli sussurrò telepaticamente mentre il tartufo si posava delicatamente sul suo sterno, nel punto esatto in cui il pollice e l’indice di Elisey, con il palmo ancora sopra il torace di Camus, creavano una intercapedine.

Elisey si ritrovò a sussultare nel percepire il pelo di Zima accarezzargli il dorso, gli vennero gli occhi lucidi, mentre si sforzava di cacciare le emozioni indietro, aiutando la creatura a far cadere Camus in un sonno sprofondo e ristoratore, per quanto indotto.

“Perdonaci… per quanto ti abbiamo fatto patire!” disse, guardandola.

A quelle parole accorate, le iridi di Zima finalmente si mossero a scrutare gli occhi neri e profondi di Elisey, sostando a lungo su di lui. Si fissarono, si cercarono, ma non si potevano afferrare, non più. Il patto era stato irrimediabilmente violato. La creatura produsse un rantolio sommesso, prima di correre via, senza più voltarsi, con l’evidente intenzione, si percepì nell’aria, di non fare più ritorno.

“NO, ZIMA!” la provò a bloccare Isaac, desiderando di tutto cuore aiutarla, ma Elisey lo fermò subito, gli occhi tetri.

“Lasciala andare, Isaac… il suo lo ha fatto, anzi, ha fatto di più, ben di più. Non ha più un briciolo di potere...”

“E noi la lasciamo andare?! Camus voleva salvarla!”

“Non può… non in queste condizioni, lo vedi ben da te. Zima non vuole causare più danni, qui, probabilmente si rifugerà in un luogo ancora più inaccessibile...”

“Ma… ma...”

Isaac non era per niente lieto di quel finale così amaro per lei. Camus ci stava quasi riuscendo a salvarla, ma… ma poi la situazione era precipitata e ora… ora Zima se ne stava andando per non fare più ritorno. Strinse i pugni.

“Non tornerà, Isaac… prendine atto e pensiamo al da farsi, il resto è in mano nostra, c’è ancora qualcosa in cui possiamo adoperarci per migliorare le condizioni del tuo giovane maestro!” lo avvertì, tornando nuovamente brusco, inginocchiandosi al fianco di Camus e chinandosi sul suo addome, ancora vessato dall’incisione che gli aveva procurato lui stesso. Gliela solcò con le dita, facendogli scappare un ulteriore, debole, lamento.

“Maestro!” lo chiamò ancora l’allievo ad alta voce, come a volergli rammentare che lui era lì, al suo fianco, che non era da solo.

Grazie all’azione combinata di Zima ed Elisey lo avevano fatto sprofondare in un sonno pesante, quasi come se fosse sedato, eppure le palpebre fremevano, del tutto inconsapevolmente, dimostrando ancora quanto stesse soffrendo. Una nuova fitta al cuore investì Isaac, che istintivamente tornò a stringergli la mano, nuovamente abbandonata a sé stessa.

“Resisti!” si chinò a baciargli la fronte, scostandogli poi un ciuffo che si era appiccicato alla pelle.

“Un ultimo sforzo, Camus, poi potrai finalmente riposare, coraggio!” provò a rassicurarlo ancora Elisey, una nuova carezza veloce tra i capelli, prima di procedere.

Gli risistemò il mantello sopra il torace, lasciando comunque scoperto l’addome, su cui doveva agire. Isaac non si perdeva un suo movimento, attento e pronto a scattare come non mai, anche nell’ipotesi che quel vecchio pazzo osasse fargli troppo male. Aveva il cuore gremito di pena, mentre, con le dita, gli sfiorava i lunghi ciuffi cobalto. Sembrava un’operazione chirurgica vera e propria, la sola idea lo faceva stare male. Il modo in cui Elisey aveva posizionato Camus, le braccia nuovamente aperte, il capo reclinato all’indietro, il mantello sopra il petto, che ricordava un lenzuolo di un ospedale, l’addome nudo, lordato ancora di quel fluido purpureo, a tratti raccapricciante -Isaac sussultò nel notare quanto sangue avesse perso effettivamente Camus, i pantaloni si erano notevolmente sporcati, il permafrost sotto di lui, poi, era diventato rubino intenso, quasi avesse assorbito anche lui la linfa vitale- e ancora... l’odore ferroso nei dintorni, le dita, quelle nodulose di Elisey che calcavano il taglio quasi come se fossero bisturi.

“Mi viene… mi viene da vomitare!” si lasciò sfuggire alla fine, con una smorfia. Effettivamente aveva resistito fino a quel momento, ma stava cedendo, lo stomaco era sotto sopra.

“Oh? Non dicevi di essere già Cavaliere di Atena?! Questa è una inezia rispetto agli spettacoli che ti troverai davanti agli occhi, ragazzo!”

Isaac fremette a quella provocazione. Alla fine l’Elisey di sempre era tornato, più irritante e fazioso come non mai. Gli venne voglia di mollargli un pugno e attorcigliargli la lingua; quella lingua biforcuta che aveva provato comunque, quando Camus stava male, a infondergli forza e coraggio, a quelle mani… che avevano tentanto l’impossibile, anche oltre, per rianimarlo con disperazione.

Tutto ciò irritava Isaac ancora di più. Aveva sempre reputato Elisey uno stronzo sputasentenze, un farabutto, un pezzo di merda, invece quel giorno aveva scoperto che non era solo quello, che teneva a Camus a modo suo e che addirittura aveva versato lacrime per lui, sebbene continuasse ottusamente a fare finta di niente.

Anche in quel momento, mentre solcava il taglio, richiudendolo come per magia, stava utilizzando tutte le sue energie per farlo stare meglio. Era lampante.

Elisey non era né nero né bianco, ma l’esatta miscela dei due, e l’esatta miscela dei due era il grigio. Isaac si ritrovò a sbuffare nervosamente, gli veniva da ridacchiare, rammentandosi di uno dei personaggi cinematografici e librari che più apprezzava, e che, proprio in quel momento, come intuizione fulminea, aveva accostato alla figura del vecchio: Gandalf il Grigio.

Il paragone calzava insperatamente a pennello, ma il giovane si accorse altresì che la mente gli stava facendo un brutto scherzo, non era affatto il momento di perdersi in simili frivolezze, non con il maestro ancora in quelle condizioni. Rabboccò aria, apprestandosi a porre la domanda che lo tartassava da un po’.

“Chi sei realmente?” chiese in tono un poco spento, tornando ad accarezzare il viso di Camus ancora spezzato dal dolore.

“Elisey, fratello di colui che ha fatto da mentore alla persona che veneri di più. Pensavo ci fossimo già presentati circa 6 anni fa, quando Camus, con quella luce negli occhi, mi presentava un bimbo rompicoglioni dai capelli verdi che non stava mai zitto. Ti dice qualcosa ques...”

“Sai bene cosa intendo, non fare lo gnorri!” saltò su Isaac, sforzandosi di mantenere un tono pacifico e cordiale con lui, sebbene non gli riuscisse affatto. Del resto, era così dannatamente irritante.

“No, non so cosa intendi...” mormorò distrattamente l’altro, ultimando di tracciare la ferita al ventre di Camus, ora completamente richiusa. I lembi si erano uniti, formando una linea lunga diversi centimetri di colore rosso acceso rispetto alla pelle sottostante. Faceva impressione, sembrava davvero il residuo di un parto cesareo, ed era disturbante.

“Fai… hai fatto cose incredibili, le ho ben viste! Non mi spiego un sacco di passaggi, di come tu potessi conoscere questo posto, di come tu sia riuscito a condurci qui, e di come tu abbia operato così magistralmente su Camus e, precedentemente, su Hyoga. Chi sei Elisey? No, forse sarebbe più corretto chiederti cosa sei, Elisey? Hai un legame con Zima, vero? La conoscevi e lei ti ha riconosciuto… perché?”

A tutto quel fluire di domande Elisey non rispose, la concentrazione ancora tutta sul corpo di Camus. Posò nuovamente la mano sopra il suo diaframma, scostandogli il mantello per controllarne meglio l’alzasi e l’abbassarsi, che si era fatto più sicuro e forte. Sembrava finalmente fuori pericolo, ma era ancora molto debole.

“EHI! Rispondimi, chi…?”

“Sono un Evocatore...”

Isaac spalancò le iridi verdi al limite dell’umano possibile. Un’unica frase, tre parole. Un’inezia, in apparenza, m bastò per fargli andare, letteralmente, il sangue al cervello.

“COSA?!”

“Sono uno Sciamano Evocatore” confermò, come se nulla fosse, strappandosi un lembo del mantello che indossava per pulire l’addome di Camus ancora sporco di sangue.

“MI PIGLI PER IL CULO?!” la voce di Isaac si era fatta sottilissima e tagliente come la lama di un coltello. Osservò ancora il maestro sotto di sé, la sua espressione sfinita, la perenne smorfia di dolore. Camus non meritava tutta quella sofferenza, non la meritava! Si era recato lì perché gli era stato detto che non esistevano più Evocatori, aveva rischiato di morire per quello e ora saltava fuori che quello stramaledettissimo vecchio di merda era un Evocatore e che non aveva mosso il culo prima di vedere Camus stramazzare a terra con l’addome trafitto dalla stalagmite. Lui avrebbe potuto evitare tutto quello, avrebbe potuto… non lo aveva fatto!

Convergendo tutte le sue energie, tentò un’ultima volta di resistere alla rabbia. Si trattenne, sforzandosi di mantenere un tono cordiale.

“E-Elisey… spiegati! Quinti tu sei… un Evocatore, perché mai non...”

“Non ho nulla da dimostrare, ragazzo...”

La goccia che fece traboccare il vaso. Isaac non ci vide più. Prima ancora che potesse controllarsi, scaraventò via Elisey con un pugno dritto in faccia, scattando in piedi con ira funesta, in modo da guardarlo dall’alto verso il basso.

“Tu… TU! BASTARDO! Hai fatto venire qui il Maestro Camus ben sapendo che rischiava la vita e che non avrebbe potuto fare nulla per Zima e non vuoi darmi spiegazioni?!? PARLA, ELISEY, O TI FARO’ PARLARE CON LA FORZA!” gli gridò con quanto fiato avesse in gola, le mani strette a pugno, ad un passo da dirottarsi su di lui, in barba all’età, al debito di gratitudine e a quant’altro, e iniziare a percuoterlo con violenza.

“Uhmpf, questo tuo modo di reagire alle cose, con furia cieca e senza limiti, è sempre stato uno dei tuoi più grandi problemi, Isaac...” rispose Elisey con un’invidiabile flemma, pulendosi il sangue che era fuoriuscito dal labbro spaccato. Guardò torvamente il ragazzo, il suo petto, che gli si gonfiava ad intermittenza, l’espressione rabbiosa, da mostro marino incontrollabile, il corpo scosso da spasmi. Inavvertitamente sorrise.

“Che cazzo hai da ridere adesso, maledetto?!?”

“Nulla… ho qui la dimostrazione del perché tu non sarai MAI un Cavaliere di Atena!”

Isaac fu tentato di avventarsi su di lui per quella malaugurata frase, ma c’erano questioni più urgenti, motivi più validi per prendersela, che non una sciocca illazione. Decise di soprassedere, per farlo, si aggrappò, ancora una volta all’espressione sofferente del maestro, ancora svenuto ai loro piedi. Una nuova rabbia cieca lo avvolse, sfumata però dalla disperazione che lo aveva accompagnato fino a quel momento. Prese un profondo respiro, prima di proseguire.

“Guardalo, Elisey, GUARDALO! - gli disse in tono d’accusa, trovando libero sfogo al peso che avvertiva e che non si era ancora del tutto riuscire a placare – Cosa è rimasto di lui, dopo questa esperienza?! Per poco non moriva, anzi, è proprio morto, per una serie di minuti, il suo cuore si è fermato. E’ devastato, la battaglia lo ha raso al suolo, e tu, e tu...” proferì le ultime parole quasi sibilando.

“Ed io…? Non fermarti adesso, ragazzo, vai fino in fondo!” lo pungolò lui, serio come non mai.

“E tu… SEI STATO TU! Tu hai detto a Camus di recarsi qui, tu lo hai spedito a morire, quando invece avresti potuto muoverti in prima persona, salvare tu quei bambini, non Camus… cosa volevi fare, Elisey?! Volevi mandarlo a farsi ammazzare?! E poi cosa è successo?! Hai pensato a tuo fratello e ti sono venuti i sensi di colpa?!” lo incalzò, sempre più fuori di sé. La stessa impassibilità di quel vecchio lo destabilizzava, la stessa calma che lo contraddistingueva, come poteva essere così tranquillo, dopo quello che aveva fatto subire a Camus con il suo non intervento?!

“Ah, quindi sarei stato io… ricordami, Isaac CHI, tra voi, ha ingaggiato battaglia con Zima, facendo sì che Camus si frapponesse tra te e il colpo!”

Isaac sussultò, stringendo con ancora più forza i pugni, gli occhi fuggenti

“I-io...” ammetterlo gli costava una certa fatica, anche se, dentro di lui, non aveva mai smesso di torturarsi per le sue colpe.

“Esatto, bravo! - disse con voce languida Elisey, rialzandosi in piedi e riavvicinandosi a lui, implacabile – E ora sono io ad esortare te: guardalo, Isaac! Guarda come è ridotto il tuo maestro, di chi pensi sia la colpa?!”

“U-urgh...”

“Guardagli l’addome, ancora contratto dal dolore, osservargli bene quel taglio che ha sul basso ventre, anche se richiuso, e che impiegherà diverso tempo a scomparire; osserva il suo respiro ancora stentato, le sue mani sporche di sangue, il suo...”

“B-basta, Elisey...”

“Ancora non ti basta? Passiamo al volto, alla sua espressione spezzata, rotta… lo hai mai visto così, Isaac? Hai mai visto Camus crollare così?!? Ridotto così?!? Per chi credi lo abbia fatto??? E’ pallido come un cencio, contando tutto quello che abbiamo fatto per lui, respira a stento, ancora boccheggia, sai quanto sarebbe facile ucciderlo, conciato com’è?!? Se fosse stato il mio obiettivo non pensi che lo avrei già fatto?!? Perché sono ancora qua, invece, a prodigarmi per lui, per voi?!”

“B-Basta così, Elisey, p-per favore… hai ragione, i-io non… sto cercando solo un capro espiatorio e le tue parole mi hanno...”

“Mandato in pappa il cervello, sì, me ne sono accorto, ragazzo!” affermò Elisey, tornando a pulire l’addome di Camus come se nulla fosse successo, lasciando Isaac in piedi a colpevolizzarsi, senza più degnarlo di un solo sguardo.

“La verità è che non volevo… non volevo causare tutto questo! Non volevo che Hyoga rimanesse ferito, non volevo che Camus rischiasse di morire! Non ho capito niente, in realtà… e questi sono i risultati!”

“Oh, lo so che non volevi, credimi… è un altro dei tuoi mille mila e più problemi, questo...”

Isaac lo guardò, ogni vena baldanzosa era sfumata nell’aria, persino la rabbia si era placata, Passarono minuti di assoluto silenzio, poi Elisey si sentì in dovere di aggiungere qualcos’altro.

“Sono un Evocatore, è vero, ma non potevo fare realmente niente per quella creatura, Isaac! Poi se non vuoi credermi sei libero di farlo, ma sono sincero...”

“Per-perché?”

“E’ una storia davvero troppo lunga da raccontare...”

“Ma conoscevi Zima!”

“Sì… molto da vicino, è legata alla storia della mia famiglia...”

“Come…?”

“La sorella di mio padre, mia zia, aveva un legame molto profondo con lei, quasi… ombelicale, possiamo dire, ma ti parlo di un racconto assai datato. Successe a metà XVIII secolo, circa, quando anche Bluegrad cadde, ad opera di Zima...”

“Co-Cosa?! Metà… del 1700?! Ma non è poss… non è possibile!”

Elisey non guardava più in faccia di Isaac già da un po’, così assorto nei suoi pensieri, in ricordi che non voleva rinvangare, che sarebbe stato meglio seppellire sotto il permafrost eterno. Il ragazzo aveva tutte le ragioni per essere incredulo, oltre che costernato, i tempi di una vita normale non coincidevano con il suo racconto, doveva spiegarsi, ma farlo avrebbe richiesto ulteriori chiarimenti, nonché svelare prematuramente il segreto che lui e suo fratello si erano portati avanti per anni; quello stesso segreto che loro padre, in punto di morte, dopo una vita lunga e maledetta; maledetta dalla stessa creatura, aveva chiesto di non rivelare a nessuno.

Sospirò, prima di cercare un modo per uscire da quella situazione senza, per forza di cose, rivelare anche il suo passato.

“Ascolta, Isaac… - iniziò, ma un tonfo sordo lo mise in allarme, spingendolo a voltarsi nella direzione del giovane. Si girò. Lo vide. Sussultò – ISAAAC!!!”

Il suo urlo vibrò nei dintorni, lo scricchiolio dei suoi passi fu l’unica cosa che si udì dopo quello, mentre si precipitava a soccorrere il ragazzo stramazzato a terra, preda di violente convulsioni.

 

 

* * *

 

 

Un muro bianco. Spettrale.

Un muro bianco. Spettrale. Nient’altro.

Solo questo vi era nel campo visivo di Isaac. Era solo. Non un suono, solo e soltanto quella parete e la sensazione, nel cuore, di star perdendo qualcosa di importante. Qualcuno di importante. Di nuovo.

Poi ad un tratto un singhiozzo, poi un altro, un altro ancora, fino a diventare un vero e proprio pianto.

Finalmente riuscì a muoversi, rabboccò aria, mentre i suoi passi gli frastornavano le orecchie.

Paura. Senso di oppressione. Angoscia.

Il pianto si fece più intenso, finalmente Isaac riuscì a capire di chi fosse. Il respiro gli si piantò nel petto.

Hyoga...” provò a chiamarlo, avvicinandosi al compagno di addestramento, ritto in piedi in un angolo della parete bianca, le mani a tenersi la testa, alcuni ciuffi biondi fuggivano dalla loro presa. Sembrava disperato.

E-ehi, forza, Hyoga, sai che il Maestro Camus non vorrebbe che facessi così, lui si preoccupa sempre troppo per noi, gli fa male vederci in balia delle emozioni, noi dobbiamo essere forti per lui, dobbiamo...”

Non sono riuscito a fare niente per lui, Isaac… neanche stavolta!”

La mano del ragazzo, alzata per provare ad accarezzare quei ciuffi biondi che emanavano il calore e la consistenza del grano, si bloccò a metà strada, paralizzata. Suo fratello si stava rivolgendo a lui, ma era come se non lo avvertisse, come se stesse parlando con il suo fantasma. Ma lui era lì davanti, come sempre, pronto a sostenerlo, come sempre, perché non lo percepiva?

Non sono riuscito a salvarlo...” ripeté, colpevolizzandosi, singhiozzando con più forza.

Cosa stai…?”

E’ dentro, Isaac, nella sala operatoria… il suo cuore si è appena fermato, stanno provando a riattivarglielo con il defibrillatore...”

Quelle parole ghiacciarono sul posto Isaac, che tremò. Quell’unica frase gli aveva dato una spiacevole sensazione di ‘già visto’, che incancreniva la paura nel suo petto.

N-no… sai quanto è forte il Maestro! Per quanto il suo cuore smetterà di battere lui reagirà sempre, non...”

Ma Hyoga scuoteva la testa, sordo alle sue parole, alcune lacrime caddero per terra.

Non c’ero, quando è successo… non sto facendo nulla per aiutarlo. Gli ho fatto perdere te, l’ho privato della vita… sono indegno di camminare al suo fianco! Dovevo morire io al posto di mia madre! Dovevo morire io al tuo posto!”

A quel punto Isaac si imbestialì. Fremendo notevolmente e alzando il tono di voce fino a quasi strozzarsi.

Ancora questa storia?! Ancora brami la morte??? E a me e al Maestro Camus non ci pensi?! Non ti rendi conto di quanto tu sia importante per noi??? Daremmo la vita per te, Hyoga! HYOGA!!!”

Ma il biondo non gli dava retta. A capo chino, gli spasmi nel petto, gli passò di fianco barcollando, prima di dargli le spalle.

Avresti dovuto esserci tu, tu eri il degno possessore di Cygnus, non sarebbe successo nulla di tutto questo!”

E se ne andò. Isaac stette una serie di secondi immobile prima di riuscire a darsi una scrollata, poi si voltò.

Hyo...”

Ma suo fratello non c’era più, al posto suo un’altra parete bianca, spettrale. Il ragazzo irruente si ritrovò ben presto ad imprecare, mentre, con precisione, prendeva a pugni un punto di quel muro fino a sfondarlo.

Non c’era verso di farglielo entrare in testa, Hyoga non riusciva a capire l’importanza della sua vita, né l’immensa ventata di felicità che aveva portato nell’esistenza sua e del maestro. Non riusciva a comprenderlo. Lo sguardo perennemente rivolto indietro, al passato, disprezzando il futuro, il presente, tutto ciò che ancora aveva. Era intollerabile, da togliere il fiato per la rabbia. Incassò la testa fra le spalle, quasi supplice, anche se non sapeva bene chi pregare.

Sigh...”

Un nuovo singhiozzo lo riscosse, portandolo a raddrizzare la schiena. Di nuovo fu libero di muoversi, riprese a camminare fino a scorgere una nuova presenza davanti a lui.

C’era sempre quella irritante parete bianca come sfondo, ma ai suoi piedi, in un angolino, una ragazza era seduta sul pavimento, il volto nascosto dalle ginocchia piegate verso il petto, i capelli castani, di media lunghezza, che le arrivano, dietro, alle spalle, nascondendo, sul davanti, parte della fronte. Aveva le mani imbrattate di sangue, Isaac si accorse che le sue, di mani, non erano da meno, puzzavano di linfa vitale ormai raggrumata, esattamente come quelle di lei.

L’aveva comunque riconosciuta…

Tu sei… la bambina che popola i miei sogni fin da quando ero piccolo. Sei… sei cresciuta!” provò a schiarirsi la voce, accennando un passo, lei parve non accorgersene, continuando a singhiozzare.

S-sono Isaac, allievo di Camus di Aquarius… - dirlo gli sembrava importante – Potresti dirmi dove ci troviamo, o...”

Si bloccò nell’esatto momento in cui la ragazza, riconoscendo quell’ultimo nome, si riscosse, alzando finalmente la testa e puntandogli gli occhioni inondati di lacrime contro. Ad Isaac si spezzò il respiro, mentre il cuore accelerava in un solo colpo.

Non era la prima volta che si incontravano, lo ricordava bene, tutte le volte che stava male era sempre lei a rinfrancarlo, a ravvivargli l’umore nell’incoscienza in cui era sprofondato. Lei, la persona che aveva davanti, anche se non più nella sua forma bambinesca. C’era sempre stata lei, con lui, nelle nebbie del nulla, ma per qualche gioco del destino, gli occhi non glieli aveva mai visti. Era sempre stata con lui, certo, ma manteneva le palpebre chiuse, quasi fosse cieca, mentre, manina per manina, lo portava verso la luce, che poi il piccolo Isaac attraversava, risvegliandosi.

Si era sempre chiesto di che colore potesse avere gli occhi, quella bimba gentile e candida, ma non era mai riuscito a risolvere quel segreto, non prima di quel momento in cui le iridi sue, un poco spalancate per la sorpresa, non lo avevano scrutato da capo a piedi.

Erano blu. Non un blu qualsiasi. Un blu che Isaac conosceva bene e che venerava più di ogni altra cosa.

Si sentì improvvisamente la gola secca, era del tutto immobile, mentre, stentando ancora a crederci, si perdeva nel profilo un poco allungato della ragazzina, nei suoi lineamenti, del tutto simili a…

...Camus! - si ritrovò ancora di più sbalordito, il petto accelerato, come il suo cuore – Eri tu… sei sempre stata tu!”

Lei tornò con il mento poggiato sulle ginocchia, le guance rigate dalle lacrime preda dei tremori.

Isaac, splendido allievo di Camus… - il ragazzo sussultò a quell’appellativo, meravigliandosi che lei potesse conoscerlo, mentre il cervello gli dava l’imput di avvicinarsi ulteriormente – Perdonami… non sono stata abbastanza forte per proteggerlo!”

Cosa… cosa stai?”

La giovane gli mostrò le mani insanguinate, ormai erano vicinissimi, quasi da potersi toccare, ma entrambi sembravano bloccati da qualcosa.

Si è frapposto tra me e l’attacco, per difendermi… ha subito tre artigliate in pieno petto, ha perso molto sangue, è in pericolo di vita, Isaac ed io… io mi sono bloccata come una cretina!”

Si è… frapposto?” ripeté Isaac, fremendo.

Lei annuì, tutta tremante.

Perdeva molto s-sangue, non riuscivo a fermarglielo, e poi… e poi… Mu, l’ambulanza, lo hanno… s-spogliato e a-attaccato alle macchine, i-il respiratore sul suo volto mi ha fatto impressione… n-non reagiva, Isaac, NON REAGIVA! E poi… e poi… la corsa in ospedale, quel dannato sangue che non si fermava, la paura, i-il gelo… è stata tu-tutta colpa mia, MIA!!! Sono stata io a...”

Ma l’abbraccio che gli diede Isaac la bloccò all’istante, il viso ancora rigato dalle lacrime, mentre veniva accolta dal petto del ragazzo e premuta contro di sé, una mano dietro alla sua nuca e l’altra a circondargli le spalle, nel tentativo di rassicurarla.

Isaac l’aveva stretta a sé in maniera più che naturale. Tutte le volte che si erano visti, nei sogni, era sempre stata lei ad aiutare lui, ora era il suo turno.

Quando mai quella testa di cazzo non si subisce un colpo lui per salvare le persone che ama?! Mi sarei stupito del contrario!”

La sentì palpitare contro di lui, socchiuse gli occhi. Era un sogno, ma era tutto più che intenso e c’era complicità, tra loro, inspiegabile, perché era come se si conoscessero da una vita, sebbene non ne conoscesse nemmeno il nome.

Sai come è fatto Camus… per le persone che ama da l’anima e oltre, e tu… deve amarti molto, non è forse così?”

La ragazza annuì, affondando il suo viso nell’incavo della sua spalla, prima di ricambiare a sua volta la stretta.

Ce la farà, come sempre!” disse, deciso.

La ragazza annuì ancora. Stettero per una serie di minuti così, l’uno tra le braccia dell’altra.

Perché non mi hai mai detto di essere proprio tu la sorella del Maestro Camus? Lui… mi ha parlato di te, un giorno, gli manchi da morire, anche se sta provando, con tutte le sue forze, ad andare avanti… sai, un Cavaliere d’Oro, ha dei doveri da perseguire...”

Perché siamo su due linee spazio-temporali diverse, Isaac, non ci possiamo incontrare, se non così, se non qui, nel tempo fermo del nostro inconscio!”

Su due linee spazio-temporali diverse?” ripeté lui, sempre più allibito.

Ascolta, ci vorrà del tempo, ma… - si staccò un poco da lui nel guardarlo dritto negli occhi, ricercando un contatto visivo e rimanendo con le mani intrecciate alle sue – Ti ritroverò in qualche modo, e ti riporterò a casa, da Camus e Hyoga, dalla tua famiglia! Hanno bisogno di te, gli manchi da morire!”

Isaac era costernato, scosse il capo.

Gli manco?! Tu, piuttosto, sei tu che sei stata privata dell’affetto di Camus, sono io che ho detto al Maestro che ti avrei ritrovata e riportata a… cosa hai da ridacchiare, ora? Stai ancora piangendo, ma mi sorridi, cosa…?” Isaac si ritrovò ad arrossire senza neanche quasi accorgersene.

Questione di prospettive, Isaac! - soffiò lei, appoggiandosi con la fronte alla sua spalla, perché di altezza erano praticamente uguali – E’ tempo di risvegliarti, ora! ” lo incoraggiò poi, sempre con i fiumi di lacrime, ammiccando un poco. In effetti i contorni stavano sfumando.

Non prima di avermi detto il tuo nome!” provò ad opporsi lui, aumentando la stretta sulle sue mani sporche di sangue.

Lei sorrise, ancora una volta, e Isaac pensò che era dannatamente simile a Camus, quasi la sua sovrapposizione in veste femminile, il colore della pelle così delicato, il leggero rossore sulle sue gote, i suoi lineamenti, e gli occhi blu, che emanavano quella calma pregna di significato.

Mi chiamo Marta, prenditi cura di mio fratello, ti supplico, è molto debole e ha bisogno di te e Hyoga, i suoi… meravigliosi… allievi!” riuscì a dirgli, baciandolo sulla guancia sinistra, prima che tutto si facesse luce e sparisse come lapilli di lava.

 

“Mmh… Marta!” si ritrovò a bofonchiare Isaac, ancora preda di quel sogno strampalato. I suoi occhi si erano aperti, il suo braccio destro proteso verso l’alto, come a voler afferrare qualcosa, ma il suo cervello non era ancora in grado di scrollarsi completamente le nebbie del sonno. Attese, la mano gli ricadde a fianco, ne percepì una superficie morbida.

Si riscoprì stanco, spossato, contuso. Era avvolto da qualcosa di caldo e una sorta di fascia gli stringeva insistentemente il petto, dandogli non poco fastidio… dove si trovava? Non era più in mezzo al ghiaccio al freddo, si guardò confusamente intorno, riconoscendo, a fatica, la sua stanza.

Ma cosa…?

I ricordi gli piovvero addosso tutti di un colpo.

“MAESTRO CAMUS!” urlò, ricordando quel che era successo, rabbrividendo nel rammentare le sue gravi condizioni. Si alzò di scatto a sedere e poi tentò di reggersi in piedi da solo, ma un capogiro lo privò dell’equilibrio, facendolo ripiombare tra le calde complete. Il braccio destro di mosse nel tentativo di attutire la caduta, il sinistro no, era ancora ancorato al torace per mezzo di bendaggi stretti che gli impedivano di muovere la spalla, sussultò, mentre una nuova fitta di dolore gli passò nelle vene per poi irradiarsi al petto. Trattenne un mormorio sommesso. Non avrebbe permesso alle sue labbra di far uscire alcun suono, malgrado il dolore intenso che procedeva ad ondate, sarebbe stato un insulto per le condizioni di Camus.

Camus…

Isaac si rimise a sedere con più calma, desiderando sincerarsi delle condizioni del maestro, che non era lì, certo, non poteva essere lì, stante il fatto che per poco non era morto. Gli mancò il fiato in gola, mentre, roteando il bacino, si alzava lentamente in piedi. Non aveva che i pantaloni addosso, il busto era scoperto perché qualcuno si era preso cura di lui, della sua lussazione. Ricordò anche di essersi sentito male mentre Elisey gli parlava, ma tutto era pallido e insignificante se paragonato a quello che aveva subito il suo maestro.

Camus!

Finalmente riuscì a muovere i primi passi, che gli costavano non poca fatica, si sentiva frastornato, debole, dolorante, ma il suo obiettivo era uno soltanto, solo così la stretta al cuore si sarebbe allentata. Così sperava.

Camus!!!

Scese lentamente le scale, facendo meno chiasso possibile, giunto al piano terra, notò che fuori era buio e che la camera del maestro era illuminata. Si diresse lì con il cuore in gola, i battiti a mille.

“Bravo, Hyoga, continua così, alterni manualità e dolcezza nel prenderti cura di lui, sei davvero abile!”

Avvertì la voce di Elisey, ma non la risposta di suo fratello. Ingoiò a vuoto, dirigendosi verso la camera, la porta era aperta, poteva vedere chi vi era dentro e accedervi senza impedimenti, ma si bloccò dallo stipite, non visto.

Si sentì come se stesse precipitando nel vuoto. Rimase lì, ammutolito, tremante, scalpitante, ma assolutamente impossibilitato a proseguire, non ne aveva le forze. Si sentì mancare, di nuovo, fortunatamente né Elisey né Hyoga si accorsero subito della sua presenza, del suo momento di debolezza, troppo impegnati in quello che stavano facendo.

Le luci soffuse, il profumo di menta, salvia, e di altre fragranze boscose inebriava tutta la camera, le loro figure erano avvolte nella penombra, entrambi chini sul letto, il cui ospite aveva attirato brutalmente l’attenzione del ragazzo, che barcollò, appoggiandosi di lato, del tutto incapace di rimanere in piedi da solo.

Su quel letto che odorava di un misto di sangue, medicinali ed erbe, era adagiata la figura di Camus, supina, ancora del tutto incosciente.

Isaac rabboccò aria, la gola secca, mentre, con quasi le lacrime agli occhi, si sforzava di continuare a guardarlo per cercare di capire, con un unico sguardo, se perlomeno avesse avuto miglioramenti da quando lo aveva lasciato.

Camus stava ancora male, era evidente. L’abbassarsi e l’alzarsi del suo torace era penoso, a volte più profondo, altre volte più repentino. Era completamente nudo tra le bianche lenzuola che facevano a gara con il pallore innaturale della sua pelle, tranne nella zona addominale, che aveva assunto un colore violaceo-bluastro per la formazione dell’ematoma. Esso tendeva a schiarirsi fino a scomparire del tutto sul fianco destro, che era invece arrossato nella zona dove si era formato il tatuaggio, ormai inesistente, perché ne era rimasto solo un segno come di una bruciatura. Nella parte mediana del tronco, invece, in prossimità dell’ombelico, il colore si faceva più scuro, come se tutto il sangue, per effetto della gravità, fosse rimasto lì, donandogli un aspetto quasi spettrale.

Fili lunghi e sottili collegavano il suo corpo a degli strumenti. Isaac ingoiò a vuoto, riconoscendone qualcuno. Sul bordo sinistro del letto vi era una sacca contenente un liquido ambrato, che Isaac abbinò -con una punta di allarmismo- all’urina, ed infatti quell’affare maledetto collegava direttamente là sotto, in un modo che ad Isaac fece mancare un altro, ennesimo, battito. Sulla sponda destra del letto, vi era un’altra sacca, contenente invece un liquido trasparente, collegata al dorso della mano destra di Camus, che giaceva molle sulle lenzuola. Risalendo lungo tutto il braccio, Isaac si meravigliò del quantitativo di lividi che, stante la pelle così chiara del suo maestro, creavano un brusco contrasto. Era come se sia Elisey che Hyoga avessero impiegato diverso tempo a ricercare una vena dove poter inserire l’ago. Fortunatamente non erano presenti né l’elettrocardiogramma né il respiratore, ma il ragazzo, nel vedere la posizione di Elisey, chino ad occhi chiusi sul di lui, con il palmo aperto posto proprio al centro del torace, ebbe la sensazione che lo stesse monitorando 24 ore su 24.

Era uno spettacolo difficilissimo da digerire, se non impossibile...

“Sommo Elisey, continuo a spalmare altra crema?” chiese ad un certo punto Hyoga, aspettando sue direttive, terminando di massaggiare la zona dell’addome.

“Male non gli fa, ragazzo… occorrerà del tempo perché si riassorba tutto, ma sono tutti rimedi naturali e balsamici, non temere!”

Il biondo annuì, immergendo le dita nuovamente nel barattolo per poi tornare a spalmare la crema di color giallo-verde sul ventre di Camus. Gliela passò dall’inguine verso l’alto, soffermandosi nella zona intorno all’ombelico, dove era più scuro. Al suo passaggio, avvertì un fremito sempre più forte provenire da quel corpo sfinito.

“Ecco, Maestro… sentite che buon profumo! Sembra di trovarsi in una foresta boreale dopo la pioggia estiva, non trovate? Guarirete presto, non temete!” aveva quindi detto, baciandolo sulla fronte con gesto delicato, per calmarlo, perché Camus si era agitato nel sonno, aveva girato più volte il viso impregnato di sudore e ogni tanto provava a dire qualcosa, ma la sua voce era afona, non aveva nulla della maestosità ed eleganza che Isaac ricordava.

E quello, solo per colpa sua. Era in quelle condizioni unicamente perché si era gettato senza pensare alle conseguenze, costringendolo così a farsi trafiggere per proteggere lui, che si era dimostrato un inetto.

“Oh, ma guarda un po’, ben risvegliato, Isaac!” lo salutò ad un certo punto Elisey, nel suo consueto tono impertinente. La sua frase fece sussultare Hyoga, che si girò nella sua direzione, ma non fece scaturire alcuna reazione da parte di Isaac, gli occhi spenti e puntati sul pavimento, un nodo in gola, un immenso macigno a pesargli sul giovane e inesperto cuore.

Furono solo le braccia di Hyoga, che si erano precipitate a stringerlo, a scuoterlo fin dal profondo. Ci mise un po’ a razionalizzare che il biondo lo stava abbracciando con un impeto che nascondeva tutta la sua preoccupazione per lui. Si sentì cingere da lui, ali candide di cigno che accarezzavano la superficie dell’acqua, facendogli percepire il calore. Lo fissò, incredulo.

Era la prima volta in assoluto che Hyoga si dimostrava così espansivo per lui, sempre un po’ riottoso a manifestare il suo affetto, come Camus, ma quando lo faceva era come essere avvolti da una coperta calda che proteggeva da qualunque tipo di intemperia.

“Hyo… Hyo...” il suo nome si perse nel vuoto.

“Cosa ti salta in mente, Isaac?!” esclamò il biondo, quasi soffiando, rassomigliante paurosamente al tono del maestro quando doveva rimproverarlo per una cazzata appena compiuta. Si accorse tuttavia che il suo corpo stava tremando.

“I-io?! E… e tu allora che… che hai assorbito il ghiaccio di Zima e… e… per proteggerci a momenti non...”

Si udì un singhiozzo nell’aria, le mani di Hyoga si strinsero sulla sue scapole. Sembrava davvero terrorizzato. Isaac avrebbe voluto dirgli che Camus non desiderava quello, che, se solo fosse stato cosciente, lo avrebbe sgridato, ma sembrava così sconvolto, così al limite… avevano entrambi rischiato grosso per salvarsi reciprocamente, e per salvare il maestro, proprio come una famiglia.

“Hyo… Hyoga!” lo chiamò infine, ricambiando la stretta con l’unico braccio disponibile.

“Hai avuto un rigetto, Isaac! Hai rischiato di morire, Elisey ti ha preso per il rotto della cuffia!”

Sussultò impercettibilmente, ma scrollò via quella sensazione. Non era importante, del resto.

“E le tue ferite, allora?! Eri lì, sanguinavi molto, ci hai terrorizzato, Hyoga!” provò a ribaltare la situazione, massaggiandogli dolcemente la schiena, dove sapeva che Zima lo aveva ferito.

“Sono una bazzecola! Elisey mi ha detto che, presto, ne spariranno anche i segni, sono già risanate, Isaac, non angustiarti, tu piuttosto, non...”

“Io sto bene! - liquidò la faccenda guardandolo negli occhi – Non pensare a me, dobbiamo occuparci di...”

“Non stai bene per niente, io ti ho visto! Non mi fare il Camus, non ora, non...”

“Io starei facendo il Camus?! E tu allora?! A momenti dissanguavi e dici di stare bene!”

“A momenti, infatti, ora è tutto apposto, non sono io ad aver avuto un brutto rigetto, ma...”

“TI HO DETTO CHE STO BENE! Ora possiamo non pensare a me, oppure…?”

“E chi ci crede, stai a malapena in...”

“A-arf… mmm”

Entrambi i due allievi sussultarono al suono di quel tentativo di parlare che era sfociato in un gemito. Entrambi lo avevano riconosciuto, si erano irrigiditi.

“Maestro!” lo chiamarono all’unisono, speranzosi, voltandosi ma trovandovi solo gli occhi severi di Elisey.

“Pensate di abbassarli i toni o vi devo sbattere fuori di qui?! State disturbando il vostro maestro! E’ fuori pericolo, ma ci vuole un nulla per agitarlo, ci mancate voi a rumoreggiare come due beduini nel deserto!”

Effettivamente Camus si era mosso nel sonno, preoccupandosi nel sentire tensione nella stanza, Elisey si era dovuto chinare nuovamente su di lui, sfiorandogli la fronte con le dita per farlo calmare. Il suo corpo tuttavia continuava a rimanere teso e rigido.

“Is… Hy… m-miei...”

“Sei un testone! I tuoi allievi stanno bene, preoccupati per te, adesso, devi riposare, Camus, il tuo corpo è al limite!” gli disse, modulando la voce.

Li stava chiamando debolmente, entrambi lo capirono, dirigendosi a capo chino vicino a lui, al suo fianco. Isaac era ancora paralizzato nell’assistere alle sue condizioni tutt’altro che buone, ma, infine, riuscì a prendergli la mano non vessata dai lividi, stringendola con delicatezza, mentre Hyoga, gli occhi ancora lucidi, gli passava un panno bagnato sul collo per asciugargli il sudore, perché era grondante.

“C-che giorno è?” riuscì infine a chiedere Isaac, dolente.

“Il 7 febbraio… hai dormito per due giorni, ragazzo!” rispose Elisey, con un pizzico di freddezza non voluta.

Era già arrivato il compleanno di Camus, che giaceva in quelle condizioni che gli procuravano diversi strappi al cuore.

“Ha più.. ripreso coscienza?” chiese ancora, stavolta a Hyoga, quasi faticando ad essere chiaro nell’esposizione.

Il biondo, passato a lavargli il torace, scuoté la testa, sospirando.

“No, all’inizio rifiutava anche l’acqua, era impossibile idratarlo, abbiamo dovuto fargli una flebo, ma non si trovava la vena, lo vedi ben da te, ci abbiamo provato più volte, prima di riuscire”

“E ora beve?”

“Qualcosa in più, se gli avvicini la scodella e gli sollevi la testa un po’ reagisce, ma… è ancora così debole, Isaac, non… uff, ci stiamo prendendo cura di lui e non vedo… miglioramenti!” si lasciò sfuggire, sfiduciato.

“Oh, ne ha… ne ha! Lo monitoro ogni ora! Il suo respiro è sempre più sicuro e regolare, e poi ora ci siete entrambi voi, a ronzargli intorno, vi percepisce, ciò gli darà nuova spinta a reagire!” intervenne Elisey, alzandosi in piedi per lasciare maggior spazio ai due ragazzi.

In quei due giorni aveva toccato il minimo indispensabile Camus, se non per controllarlo, sapeva bene che essere maneggiato da ‘esterni’ non gli piaceva per niente, del resto lo vedeva ben da sé, si provava a ribellare se era lui a sfiorarlo, ma se lo faceva Hyoga, con la sua dolcezza, crollava, abbandonandosi al suo tocco. Ora che c’era anche Isaac il suo dovere poteva definirsi concluso. Essere toccato dagli allievi tranquillizzava Camus, ora che erano entrambi vigili, fuori pericolo, lo avrebbero spinto a guarire più in fretta.

Hyoga nel frattempo, era sceso con la spugnatura tra le due cosce, continuava a lavarlo con tutte le attenzioni possibili, ma era lampante il suo imbarazzo.

“Z-Zima… Jacob, Avrora, i Figli della Siberia, come stanno?” domandò ad entrambi, non smettendo di fissare il corpo del suo maestro, ogni livido, ogni goccia di sudore, per poi soffermarsi, dolente, sul taglio presente sul basso ventre, ancora ben visibile.

“Stanno tutti bene, Isaac, la pandemia non colpirà più per una serie di anni, hai presente quella pioggia dorata? E’ stato merito di quella! Zima se ne è andata, non aveva più ragioni per rimanere...”

“Quindi… ha recuperato il controllo?” ne dedusse Isaac, meravigliato.

“No, Isaac… Zima non ha recuperato alcun controllo, è vessata dal male, si è allontanata in qualche luogo remoto per tentare di salvaguardare i suoi figli, ma non sta affatto bene, la posso ben avvertire”

“E allora come è riuscita a…?” si incuriosì anche Hyoga, alzando il capo.

“E’ stato Camus… il vostro maestro ha creduto in lei, ciò le ha permesso di intervenire. - rispose lui, prima di apprestarsi a dare una spiegazione più possibilmente sintetica, perché l’argomento era arduo – Quando un Eone come Zima fa un patto con gli uomini, concede tutte le sue energie a loro. Solo gli Evocatori possono convergere tali forze di nuovo sulla creatura e operare per il bene, fungendo così da intermediari tra il divino e l’immanente, ma se tale patto viene violato, lo stesso principio vitale dell’Eone si disperde nel mondo, se nessuno lo coglie il suo destino, sul lungo andare, è segnato...”

Sia Isaac che Hyoga sussultarono a quell’affermazione. Avevano tante domande da porgli, troppi dubbi non avevano risposta, ma qualcosa nell’espressione di Elisey fece capire ad entrambi gli allievi che non si sarebbe ulteriormente soffermato su quell’argomento che sembrava farlo soffrire molto.

“Quindi tu… hai mandato Camus là, pur non essendo un Evocatore, nella speranza che salvasse la creatura? - arrivò alla conclusione Isaac, sentendosi nuovamente terribilmente in colpa – Altrimenti Zima rischiava di scomparire?”

“Sta già succedendo, in verità, la sua perdita di controllo è indizio di una fine imminente, anche se questa parola, per una creatura millenaria come lei, racchiude un significato diverso dal nostro – prese un profondo respiro, gettando un’occhiata a Camus, alla sua espressione sofferente, alla sua bocca semi-aperta, sinonimo del desiderio di parlare – Nessuno crede più in Zima, per la gente è solo un dio caduto, terribile, desideroso di vendetta, nessuno le crede più, l’hanno lasciata da sola, ad erodersi come un essere insignificante...”

Hyoga e Isaac si guardarono tristemente negli occhi, non sapendo più cosa dire, nervosi.

“Ma Camus si è fidato di lei, voleva aiutarla, e ha dato l’anima per Zima, permettendo così a quest’ultima di recuperare un poco del vecchio fulgore, anche se per un tempo limitatissimo. Ciò le ha permesso di salvarvi, di annullare, anche se temporaneamente, la maledizione. Ora è ancora più prosciugata di prima, non tornerà, credo che le sue intenzioni siano quelle di scomparire in solitudine...”

“N-no… è inaccettabile, q-questo!” biascicò Isaac, fremendo selvaggiamente. Non poteva tollerare una fine simile, soprattutto considerando che il maestro ce l’avrebbe potuta fare, se solo lui…

 

Se solo io l’avessi capita! Non potevo sentire la sua voce, per me era un nemico e basta, non ho esitato un attimo, volevo distruggerla, quando invece era vittima a sua volta. Il sacrifico di Camus non è servito a niente… A NIENTE! E’ in queste gravi condizioni per un nulla di fatto, e Zima rischia di scomparire… non me lo perdonerò mai!

 

“L’unico che poteva fare qualcosa era Camus, purtroppo, essendo rimasto gravemente ferito, non aveva abbastanza energie per farlo, ma lui ne ha percepito la voce, l’ha sostenuta, regalandone un po’ di conforto. Ora Zima è in pace con sé stessa, si spegnerà con la consolazione che, almeno un essere umano, è tornato a credere in lei… - asserì, non riuscendo a nascondere il malessere – Il vostro maestro… è eccezionale, immagino lo sappiate!”

Hyoga e Isaac annuirono di nuovo, l’umore ridotto a rasoterra.

“...Ma non diteglielo! Non mi piacciono questo genere di moine!” aggiunse, nel tentativo di alleggerire la tensione.

Trascorsero minuti di assoluto silenzio, Isaac non aveva la forza di fare alcunché, solo rimanere lì, stringere la mano di Camus, vederne il respiro ora profondo, ora veloce, e desiderare di essere al suo posto, di patire su di sé quella sofferenza che era assolutamente immeritata nei suoi confronti.

 

Io dovrei essere in queste condizioni, non voi, Maestro! Nemmeno nel sonno riuscite a trovare un po’ di tranquillità, per poco non perdevate la vita e siete qui, sfinito. Non immaginate cosa darei per essere al vostro posto. Io lo meriterei senz’altro!

 

“Sommo Elisey… c’è qualcosa che possiamo ancora fare per il Maestro? Non so, qualche altra erba, qualcosa da fargli assumere per via endovenosa o, se riesce, oralmente...”

“Le riserve di questi giorni sono quasi esaurite, Hyoga, te la senti, nelle tue condizioni, di scendere più a sud, insieme a me, per raccogliere quanto serve? Io conosco vari metodi non convenzionali, ma ho bisogno di una mano giovane e lesta, la tua, abile discepolo di Camus, pensi di potermela...”

“CERTO! - saltò su Hyoga, meravigliando sia Isaac che Elisey, che sussultarono istantaneamente, non abituati ad un comportamento simile. In effetti sprizzava determinazione da tutti i pori, la stessa che suo fratello, in quel momento, non possedeva minimamente – V-voglio dire… v-vorrei essere d’aiuto a Camus, in qualche modo, e mi sento in forze, nonostante il bruciore alla schiena!” aggiunse, arrossendo a dismisura.

Elisey ridacchiò, alzandosi difficoltosamente in piedi, sorreggendosi con il bastone. Non lo diceva apertamente, ma era chiaro che fosse stremato.

“Che queste tue energie non vengano sprecate, ragazzo! Precedimi a prepararti, io ti raggiungerò appena avrai finito!”

Hyoga annuì, prima di ricercare lo sguardo di Isaac, che tuttavia era perennemente rivolto verso il basso, colpevole.

“I-Isa...”

“Vai pure, Hyoga, io rimarrò qui a vegliare su Camus, qualcuno lo deve fare, sarei solo una palla al piede per voi...”

“Ma Isaac...” tentò di opporsi il biondo, cercando le parole per risollevargli l’umore, ma una mano sulla sua spalla lo fermò.

“Ha ragione, sarebbe solo un peso, non ha una spalla funzionante e ci rallenterebbe, vai a prepararti, Hyoga!”

Isaac strinse forte i denti e il pugno a quell’ultima affermazione, avrebbe voluto rispondergli a tono, come era abituato a fare, ma si ritrovava completamente mal partito, soprattutto sapeva che le parole di Elisey erano veritiere, non aveva fatto altro che danni, in quella missione, aveva rovinato tutto.

“Per me non sei un peso, non lo sarai mai, Isaac, ma è giusto che ti riposi, so di lasciare il Maestro Camus in mani sicure, con te!”

La voce gentile di Hyoga gli arrivò appena alle orecchie, avvertì il calore della sua mano sulla sua spalla, ciò gli dava fiducia, ma era impossibile uscire dalla voragine nera di colpe che lo stava risucchiando. Tacque, fremendo.

“Voglio sottolineare ancora un punto, prima solo sfiorato, ovvero che tu sei completamente INADATTO a ricoprire il ruolo di Cavaliere di Atena, l’ho sempre pensato, fin dalla prima volta che ti ho visto. La tua reazione di questi giorni mi ha dato piena conferma!” affermò Elisey, in tono atono. Lapidale. Secco. Dritto al punto.

Isaac accusò il colpo ma non disse niente, non ne aveva più la forza. Aveva smarrito la determinazione, navigava nell’incertezza, nel senso di inadeguatezza, ed era spaventoso, lui, che aveva un sogno, lui, che, quel sogno, lo stava per raggiungere, dopo sei anni di allenamento con Camus, eppure, proprio in quel momento il suo obiettivo gli sembrava lontano come non mai, persino più di quando aveva cominciato l’addestramento all’età di 7 anni.

“Non sei stato in grado di udire la vera voce della creatura... Camus, guardalo bene, ancora una volta, è conciato così per colpa tua, lo abbiamo preso per il rotto della cuffia, solo grazie all’intervento di Zima che, a causa del tuo non capire, scomparirà anche lei. E che dire di Hyoga? Si è ferito per proteggervi, lui, che invece la voce della creatura l’ha udita prima di te, lui, che l’aveva compresa con un unico sguardo, lui!”

“...”

“Non sei stato in grado di vedere le sfumature, Isaac, così accecato dalla rabbia, dal tuo desiderio baldanzoso di far vedere a Camus i tuoi miglioramenti...”

“N-non l’ho fatto solo per quello, i-io… avevo paura per lui, t-tu mi hai detto che rischiava la vita, ed io… non ci ho più visto!”

“Già, tu non vedi, Isaac, non hai spirito di osservazione, per te è tutto o bianco o nero, una dote che invece è indispensabile per un Cavaliere di Atena! - Elisey prese una breve pausa, guardandolo. Era diruto, non si sarebbe opposto, non quella volta, il pensare di infierire così su un ragazzo privo di difese gli dava ribrezzo, persino a lui, ma era necessario arrivare al punto – Sei senza ombra di dubbio più forte di Hyoga, più determinato, più intraprendente, più tutto, o quasi, ma se vuoi la mia opinione, non ti avrei affidato nemmeno un criceto, figurarsi l’armatura del Cigno!”

Altro pugno nello stomaco, Isaac continuava a tacere, ma la mano che stringeva quella di Camus tremò con ancora più forza.

“Affidare a te un’armatura come quella del Cigno… affidare a te un messaggio come quello che reca con sé, che unisce cielo e terra, acqua e aere, emisfero Nord e Sud, è un errore! Sei assolutamente indegno di ricalcare quel ruolo, tuttavia… - Elisey mosse qualche passo, fermandosi nuovamente ai piedi del letto – è ciò che lui vuole, e la decisione finale spetta a lui e a lui solo, all’allievo di Fyodor!”

Isaac strabuzzò gli occhi, riuscendo finalmente ad alzare il capo per sostenere il suo sguardo, che tuttavia era puntato verso Camus.

“Il tuo maestro ha già scelto a chi affidare l’armatura del Cigno e, quel qualcuno, sei tu, Isaac!”

Ad Isaac mancava la saliva in bocca, ingoiò a vuoto, l’ossigeno sembrava latitare in quella stanza, vagò con lo sguardo perso.

“Camus vorrebbe che fossi tu a diventare Cavaliere del Cigno e, credo, in un futuro prossimo, a succedergli! - sottolineò ancora, burbero – Io penso ciò che ti ho detto, non ti reputo adeguato al ruolo, vedo Hyoga molto più brillante e sfavillante di te, dotato di un potenziale inesauribile, per quanto sia incompreso e bistrattato da voi...”

“E-Elisey! – sibilò Isaac, recuperando finalmente quei due toni di voce in più. Aveva taciuto fino a quel momento, ma su quell’ultimo argomento, tirato fuori gratuitamente, non poteva in alcun modo transigere – Sia Camus che io conosciamo bene il potenziale di Hyoga, non lo abbiamo mai sottovalutato, siamo cresciuti con lui! Con quale diritto parli di cose che non sai?! Gli vogliamo un bene dell’anima, proprio per questo stiamo solo cercando di… di...”

“Di indirizzarlo! Costringendolo a diventare ciò che non è! So bene che lo condannate per guardarsi perpetuamente indietro, volete forgiarlo come meglio credete, convinti che ci sia un’unica strada per elevarsi. Non immaginate quanto stiate sbagliando!”

Isaac abbassò di nuovo il capo, confuso, mordendosi il labbro inferiore.

“D-dici a me che non sono adeguato a rivestire quel ruolo, e… e posso capirlo, ma poi vuoi darlo a Hyoga, così com’è… lui vuole diventare Cavaliere per sua madre, per raggiungerla, come puoi accettare una cosa del genere?!? Perderà la vita, PER UN MORTO, lasciando me e il maestro con una ferita aperta, grondante di sangue, nel petto. NON POSSO ACCETTARLO!”

Elisey tacque, guardando con crescente distacco il ragazzo davanti a lui, che aveva ripreso a piangere, pressato dagli ultimi avvenimenti.

“Gli uomini stanno uccidendo Zima proprio perché, lusingati da un futuro luminoso quanto fuorviante, hanno sepolto il passato, smarrendo così le radici...” disse solo, chiudendo gli occhi.

“Sommo Elisey, sono pronto!”

Si udì la voce di Hyoga dalla camera di sopra, mentre i suoi passi tamburellavano per tutta la piccola isba siberiana. Isaac fu grato alla prontezza dell’amico, almeno il dialogo con Elisey sarebbe presto finito, perché non ne poteva più, avrebbe solo voluto piangere, andando contro gli insegnamenti del mentore. Si piegò ulteriormente su di sé, quasi singhiozzando, la mano ancora stretta a quella, del tutto immota, di Camus.

“Io penso quello che ti ho detto! - ribadì per l’ennesima volta Elisey, riprendendo a camminare in direzione della porta – Ma...”

“L-l’ho capito, me lo hai ripetuto tre volte, non sono sordo! O-ora vattene, per favore, lasciami in pace, lascia che mi prenda cura di...”

Si bloccò, spalancando gli occhi nell’avvertire la mano di Elisey accarezzargli teneramente la testa, come mai aveva fatto prima di quel momento.

“Non ho mai capito cosa ci trovasse in te Camus, non prima di due giorni fa, quando ti ho visto, tra le lacrime, chiamare nuovamente Zima per chiederle aiuto. I tuoi occhi, la tua espressione, quella luce nel tuo sguardo, che il tuo maestro considera sacra… la creatura è giunta a te perché l’hai supplicata di aiutarti e, non te ne sei accorto, ma, nel farlo, ti sei comportato esattamente come uno Sciamano! Sei riuscito ad evocare Zima con le tue parole e, insieme, lo avete salvato. Non ci fossi stato tu, Camus sarebbe morto, ma tu c’eri, sei stato con lui, lo hai sorretto e gli hai stretto la mano per fargli forza, così come stai facendo ora, incurante di essere ferito e allo stremo!”

Isaac era incredulo a quelle parole, quasi tremava, non riuscendo più a voltarsi nella sua direzione, del tutto paralizzato.

“C’è senza dubbio un principio oscuro in te, dei più terribili, oltretutto! Nondimeno, hai altresì la capacità e la maturità giusta per riparare ai tuoi peccati, dando tutto te stesso, anche oltre, per coloro che ami, e questa, Isaac, è una capacità che pochi esseri umani possiedono!”

“E-Elisey, vuoi forse dirmi che… mi accetteresti?”

La mano si fermò per un attimo sulla sua testa, tra i capelli.

“L’armatura del Cigno è molto importante per la mia famiglia… noi abbiamo avuto l’onere e l’onore di prendercene cura per secoli e secoli, in attesa di un degno custode. Io vorrei che tale custode fosse Hyoga, lui più di ogni altro la merita, per la sua attitudine, per il suo sognare, per i suoi ideali, ma ora ho capito che, anche se finisse nelle tue mani, tu ne saresti comunque meritevole, Isaac!” si accomiatò, prima di uscire dalla porta e dirigersi all’esterno.

Isaac attese che i loro passi svanissero tra la neve, prima di permettersi di crollare, accartocciandosi su sé stesso per poi posare la fronte sopra il braccio di Camus e versare tutte le lacrime di cui fosse capace. Gli ruotò un poco il polso, in modo da essere in contatto palmo contro palmo. Aveva un disperato bisogno del suo conforto, del suo tocco, che gli mancava come mancava il respiro, ma Camus non era lì, perso nelle nebbie dell’incoscienza, lontano anni luce, anche se fisicamente vicino. Isaac sollevò un poco il busto nel tornare a guardarlo, percorse, con gli occhi, tutto il suo corpo centimetro per centimetro, dai piedi fino alle spalle tornite. Continuava a non riuscire a vederlo così, a non accettare quel suo immenso dolore che era visibile ovunque, quel suo essere collegato, tramite fili, a degli arnesi che lo nutrivano e idratavano in sua vece, perché lui era incosciente, sfatto, completamente nudo a cielo aperto, e non aveva nemmeno controllo sui suoi sfinteri, un qualcosa che -l’allievo lo sapeva bene- terrorizzava Camus, una delle sue paure più recondite.

Gli lasciò momentaneamente la mano, andando a recuperare le lenzuola ai piedi del letto, lo ricoprì alla ben meglio, per quanto gli concedesse l’uso di un unico braccio e l’impedimento di tutti quegli strumenti che -probabilmente solo un dio sapeva dove- Elisey aveva recuperato da qualche parte… forse da Pevek, la cittadina più grande nelle vicinanze, oppure dal cappello dello stregone, anche se non ne possedeva, o chissà da quale altro luogo recondito. Isaac aveva smesso di farsi domande su quel vecchio, era un mistero ambulante e, in quella situazione, neanche gli importava di indagare. Estrasse con qualche difficoltà il braccio sinistro del maestro da sotto, posandolo sopra le lenzuola, il palmo della mano nuovamente semi-aperta, in modo tale da poterlo stringere meglio. Gli sfuggì un nuovo singhiozzo, mentre, crollando per la seconda volta, si appoggiava con la fronte lì vicino, nella piega del gomito di Camus, come a ricercare conforto. Era in una posizione scomodissima, ma non gli importava, voleva solo che lui stesse meglio, che si svegliasse, che aprisse gli occhi e che gli parlasse. Era ancora terrorizzato dagli avvenimenti di due giorni prima, era spaurito nel vedere le sue condizioni, tutta la sua fragilità, buttata lì, come un oggetto vuoto, quando invece, ai suoi occhi, era sempre stato quasi invincibile. Singhiozzò ancora una volta, mentre le lacrime ripresero a scendere.

“Guarisci presto, Camus, ti prego!” gli sussurrò, accarezzandogli teneramente il palmo della mano con il pollice, prima di sprofondare nell’oblio dato dalla stanchezza e da emozioni che lo sfinivano.

 

Passò del tempo, Isaac non seppe bene quanto. Secondo il suo schema interno non erano trascorsi che pochi secondi, ma al di là delle palpebre chiuse stava filtrando una debole luce che stava lentamente rischiarando la stanza. Si ricordò di dove si trovasse, la morbidezza sotto di sé lo aiutò a catalogare quel giaciglio, ma c’era qualcosa di diverso rispetto a prima, qualcosa tra i suoi capelli, come brezza leggera che accarezza le chiome degli alberi. Qualcosa lo stava accarezzando per davvero! Erano movimenti deboli, fluidi e delicati al tempo stesso, ogni tanto si fermavano come a recuperare le forze, ma poi ricominciavano, senza mai lasciarlo solo.

Il ragazzo, nel passaggio dal sonno all’incoscienza, tremò distintamente: avrebbe riconosciuto quel tocco tra miliardi e miliardi di altri, perché era qualcosa di sacro di inviolabile. Quasi boccheggiò.

“I-Isa-ac...”

Quella voce, la sua voce, si rizzò a sedere, emozionato, il cuore a mille. Lo guardò. Si guardarono. Finalmente.

Gli occhi di Camus erano sfiniti, più tendenti al nero del mare tempestoso che non a quello suo solito, che emanava una calma è una brillantezza quasi sovrannaturale.

Gli occhi di Camus erano sfiniti, eppure lo osservavano, abbracciandolo come solo loro sapevano fare. Gli sorrise, con tutte le forze che aveva difficoltosamente racimolato in corpo.

“I-Isa-ac - ripeté il suo nome con estrema fatica, una smorfia sul suo volto, nel tentativo, fiacco, vuoto, di mettersi seduto – U-uno dei miei primi in-insegnamenti, anf, è stato q-quello di n-non...” non ultimò la frase, lo sforzo era troppo al di là delle sue energie, il braccio sano dell’allievo si mosse per cingerlo, passando dietro al suo collo, sollevandolo appena senza fargli male. Camus si ritrovò contro la sua spalla, il respiro mozzo, il busto un poco sollevato, le lacrime del suo piccolo, forte, e coraggioso Isaac a lambirgli la guancia. E stette lì, emozionato, sfinito, ma al sicuro.

“L-lo so, un Cavaliere non deve dimostrarsi mai fragile, LO SO! M-ma non mi importa in questo momento, non ha la benché minima importanza, M-maestro! N-non riesco più a...”

Neanche lui riuscì più proseguire, semplicemente affondò il suo viso nella suo chioma, tremando come una foglia. Camus si accorse nitidamente del palpito di quel giovane corpo contro il suo, come quando, da piccolo, dopo la morte di Lisakki, lo aveva stretto a sé, cullandolo sopra il suo torace. In quel frangente, però, era impossibilitato a rassicurarlo, non ne aveva le energie, e ciò lo umiliava. Era quindi l’allievo che cullava lui, del tutto stremato, stringendolo con una foga tanto, tanto, disperata.

Aveva avuto paura di perderlo, era sconvolto, pressato da tanti, troppi, sensi di colpa. Buttò fuori aria, Camus dell’Acquario, provando a muovere il braccio destro per tornare ad accarezzargli i capelli, giacché, per come era posizionato, non gli era possibile usare il sinistro, quello più libero, ma una fitta subitanea gli arrivò dritta al petto, facendolo annaspare. Gli faceva male muoverlo, quella dannata flebo sembrava una sanguisuga, gli dava impiccio, non permettendogli di sollevarlo oltre una certa altezza, nemmeno la mano, dove gli avevano inserito l’ago e che, proprio in quel momento, pulsava con forza. Si lamentò sommessamente, mentre il respiro accelerò, causandogli affanno.

“Maestro!”

Isaac capì che quella posizione gli faceva più male che bene, sebbene volesse stringerlo con tutte le sue forze, pertanto lo riaccompagnò giù, dove Camus stette a recuperare fiato, gli occhi serrati in una smorfia di dolore che fece preoccupare ancora di più l’allievo, il quale, con il cuore gonfio, il battito a mille, si chinò verso il suo volto.

“M-maestro, avete bisogno di qualcosa? Di un… cuscino in più, oppure, oppure...”

Si stava visibilmente agitando ancora di più, non sapendo come girarsi per alleviare le sofferenze della persona a lui più cara. Le guance ancora rigate dalle lacrime.

Camus si costrinse a riaprire le palpebre, sebbene si sentisse una stanchezza colossale addosso, quasi da perdere i sensi, ma non poteva lasciare l’allievo lì, in balia della paura e delle emozioni dopo tutto quello che aveva già passato.

Isaac gli aveva salvato la vita, insieme ad Elisey, mentre Hyoga non aveva smesso un secondo di prendersi cura di lui, in quei giorni infernali. Erano i suoi ragazzi, la sua famiglia, non aveva ceduto perché sapeva che c’erano loro là fuori, lo aspettavano. Per loro, per il bene che gli voleva, non si era arreso.

“N-no, I-Isaac, ho solo bisogno d-di te, della tua, urgh, vicinanza… - riuscì a biascicare, stremato, prima di alzare faticosamente il braccio sinistro e tornare ad accarezzargli i capelli – V-vieni qui, a-appoggiati a me...” disse ancora con estrema fatica, sospingendo gentilmente la nuca dell’allievo per fargli capire di posare la sua testa sopra il suo torace.

“Non posso, rischio di...”

“Non ho ferite sul torace, Isaac, ma sull’addome...” gli sorrise, gli occhi brillanti.

“Siete affaticato… se mi appoggio...”

“N-non ha importanza, anf, ho b-bisogno di sentirti vi-cino...”

Isaac esitò un altro attimo. Era una cosa che il maestro faceva spesso, quando lui era ancora un bambino e prima dell’arrivo di Hyoga. Se avvertiva il suo turbamento interiore, le sue paure, la sua irrequietezza, lo stringeva a sé, facendogli avvertire i battiti ritmati del suo cuore, che riuscivano sempre, sempre, a calmarlo.

Ad Isaac mancava da morire quel gesto tra loro sempre vivido nella mente di entrambi, ma appartenente al passato, tuttavia una parte di lui, quella che voleva dimostrare di essere cresciuto, avrebbe voluto dirgli che ormai era grande, che era tardi per quel tipo di coccole, che il tempo non sarebbe più tornato indietro, come lui stesso gli aveva insegnato, ma aveva così bisogno di essere rassicurato, di sentire i battiti pulsanti della vita di Camus, di un cuore che aveva rischiato di fermarsi per sempre… non si oppose, quindi, accogliendo così quell’invito ad appoggiarsi con un lungo e prolungato singhiozzo. Avrebbe potuto dimenticare, per quel solo attimo di tempo, tutti gli insegnamenti impartiti? Avrebbero potuto ritagliarsi alcuni momenti tra loro, non più come maestro e allievo ma come padre e figlio? La voce di Camus sembrava bisbigliare di sì.

“Va tutto bene, piccolo, sono qui, il peggio è passato!” gli sussurrò tremante, stringendolo a sé con tutta la (poca!) forza di cui disponesse. Al sicuro. Vivi. Entrambi.

“Non sapete cosa avete rischiato...” biascicò, parlando con non poca fatica, cercando di rilassarsi.

“Oh, lo so bene, soldo di cacio… anf, ma c’eravate voi, al mio fianco, m-mi avete inseguito in capo al mondo e… protetto. G-grazie, Isaac, i-io...”

“Fate a meno di ringraziarmi… ho incasinato tutto, Maestro. Se non fossi intervenuto, v-voi ce l’avreste fatta a...” tacque, singhiozzando.

Isaac si sentiva addosso una stanchezza colossale, chiuse le palpebre, avvertendo nitidamente il calore della pelle di Camus sulla sua guancia, e le sue lunghe e duratura carezze, che gli solleticavano i capelli e le scapole, facendolo assopire sempre di più.

“Mi hai salvato la vita, I-Isaac, hai… hai avuto un rigetto p-per me, mi hai spaventato a morte, sai? Percepivo che stessi male, anf, ti ho sentito avere le convulsioni, ed io… ed io non potevo… - le parole gli mancavano, sebbene il petto ne fosse gremito, fremette – Uff, riposa ora, piccolo, starò presto bene… riposa!”

“Come… come lo sapete, questo?”

TU-TUM… TU-TUM

“Come ti ho detto, anf, vi potevo percepire, siete i miei ragazzi… ora riposa, Isaac, non rischiare più così la vita per me!” gli soffiò quasi tra i capelli, stringendolo ancora di più a sé.

“Voi lo avete fatto per noi...”

“E’ mio dovere proteggervi, anf… avrei voluto fare di più per voi, p-per Zima, e invece… urgh, non ne sono stato in grado...” produsse un respiro più prolungato degli altri, tremando per il dolore e lo sforzo.

Malgrado questo, i battiti del suo cuore erano armoniosi e regolari, forse solo un poco accelerati per via della fatica. Cullavano l’allievo, portandolo sempre di più a cedere alle tenebre di un sonno ristoratore.

“Vi voglio… no, anzi, ti voglio bene… papà, non affaticarti ulteriormente! Anche Hyoga ed io rischieremmo ben oltre la vita per salvarti, per… proteggerti!” si lasciò sfuggire ancora, facilitato nell’esposizione dalla coscienza che andava defluendo.

L’ultima cosa che avvertì nitidamente, prima di cedere del tutto, fu il respiro di Camus tra i suoi capelli, mentre teneramente gli baciava la nuca, prima di lasciarsi a sua volta andare, stremato. C

L’Acquario chiuse a sua volta gli occhi nell’avvertire un cerchio alla testa dato dalla spossatezza. La sua mano compì ancora un’ultima carezza, prima posarsi tra le scapole di Isaac, da dove partiva uno spesso bendaggio per tenere ferma la spalla lussata. Così piccolo, dal suo punto di vista, eppure così forte... si era dibattuto con coraggio, incurante dei rischi per sé stesso, lo aveva spaventato a morte, eppure gli era grato per quanto aveva fatto, per non averlo lasciato solo un secondo in quei momenti disperati, quando la vita gli sfuggiva via dal corpo, insieme al calore e al sangue. Rabbrividì a quell’ultimo pensiero. Ci era andato così’ vicino… rischiando di lasciarli soli, quando loro avevano ancora bisogno di lui. Fremette.

“Sei… sei diventato così grande, I-Isaac, e Hyoga con te! S-se… se ti volessi s-stringere a me, come facevo quando eri per davvero un soldo di cacio, lasciandoti dormire sul mio petto, non… non ce la farei, anf. Sei cresciuto troppo in fretta, mio ometto, ed io non sono ancora del tutto pronto ad accettarlo!”

 

 

* * *

 

 

Isola di Milos, 7 febbraio 2008

 

 

“...Segreteria telefonica, risponde il numero...

“Vaffanculo te e al numero irraggiungibile!” sbraitò Milo, lanciando quell’aggeggio infernale, che parlava con voce metallica, sul letto. Purtroppo per lui il cellulare rimbalzò male, andando contro il muro, fracassandosi e ricadendo, disastrato, sul pavimento.

“Fanculo due volte, intanto non mi servivi!” gli inveì di nuovo contro, andando verso la finestra di camera sua, dove stette assorto, del tutto in fibrillazione, le braccia conserte mentre muoveva nervosamente le dita impossibili da tener ferme.

Camus non rispondeva da due giorni, impossibile contattarlo, ormai aveva dato il suo telefono per morto, forse inabissato sotto la banchisa. Non era affatto tranquillo.

In circostanze normali sarebbe stato tutto ordinario, perfettamente schematico, Camus che non rispondeva al telefono era all’ordine del giorno, un grande classico, la stessa Myrto, che però non era con lui al suo fianco, poiché aveva accettato “l’invito” a diventare archivista, del Grande Sacerdote, lo avrebbe rassicurato con parole di miele. Si accorse, una volta in più, che le mancava da morire.

“Ma quando mai quell’essere risponde alla prima, o alla seconda, volta?!” avrebbe detto, sbuffando come una locomotiva.

“Guarda, fosse un ragazzo normale ti direi che è in piacevole compagnia, ma starà di sicuro facendo qualcosa di noioso, o più semplicemente i cazzi suoi, che botta di vita! E’ così da giovane, tremo ad immaginarmelo da vecchio, un vero spasso!” avrebbe rincarato la dose, tornando alle sue faccende.

Milo sorrise leggermente nell’immaginarsela, ma il sorriso venne presto aspirato da una nuova, più intensa, preoccupazione.

Guardò fuori dalla finestra, verso il buio della notte, non trovando soluzione alcuna ai suoi patimenti. Quella non era affatto una situazione ordinaria, quel giorno era il suo compleanno, Milo sapeva che avrebbe tenuto sott’occhio il cellulare in attesa di ricevere la sua chiamata, perché era stata una delle tante promesse che si erano scambiati da piccoli, all’età di 7 anni, quando, per la prima volta, Camus aveva ricevuto l’ordine, in un primo tempo saltuariamente, poi sempre più spesso, di andare ad allenarsi in Siberia, sebbene fosse già Cavaliere d’Oro; e il Milo bambino, quello che proprio ora si stava affacciando nella sua mente, aveva giurato solennemente di fargli gli auguri ogni anno che sarebbe passato, malgrado la lontananza.

C’era anche un’altra cosa che lo agitava, una sensazione, un peso sul cuore, che si portava avanti da due giorni, quando era cominciato l’incubo ricorrente che non lo faceva più dormire: Camus, con indosso strani abiti, che camminava a stento, una mano tenuta sull’addome, tenuto scoperto, da dove spuntava una stalagmite di ghiaccio che affondava nelle sue carni. Il suo sangue, l’espressione martoriata, prima di cadere a terra, il battito del cuore un leggerissimo fremito…

Si era svegliato completamente sudato, urlando il suo nome, e non era più riuscito a chiudere occhio. Aveva provato a contattarlo, con il cosmo, tutti i giorni, prima tre volte, mattino, pomeriggio e sera, poi sempre più insistentemente, ad ogni ora, senza ottenere risposta. Anche quello era un grande classico, quando non voleva essere disturbato, dedicando tutto sé stesso all’allenamento degli allievi, non si faceva trovare. Mai. Ma quella volta, Milo ne aveva uno oscuro sentore, non era stato volontario.

“Che ti è successo, amico mio? Come stai? Perché non ti fai sentire? - si chiese, rivolto al suo riflesso che lo guardava silente, condividendo le sue stesse ansie – Oggi fai 19 anni, non è da te non farti trovare il giorno del tuo compleanno...”

Tremò, appoggiando la fronte contro il vetro. Che gli fosse successo qualcosa era più che evidente, ormai.

Il cigolare della porta attiro la sua attenzione, portandolo a voltarsi e a dilatare le pupille quando vi scorse la figura, avvolta da un pigiama a pois grigio, con il cappuccetto da orsetto lavatore, di Sonia.

“E-ehi, piccoletta, non riesci a dormire?” le chiese, avvicinandosi a lei, mentre la vedeva sbadigliare e sfregarsi un occhio. Sembrava stanca.

“Tu non dormi da due giorni, Milo!” rispose lei, alzando le braccia per farsi prendere in braccio, in cerca di un po’ di conforto. Lo Scorpione eseguì la tacita richiesta, traendola a sé e accarezzandole la chioma.

Non era cambiato nulla, in Sonia, dalle mestruazioni che aveva avuto il novembre passato, certo, il seno cominciava a formarsi, acquisiva altezza piuttosto velocemente, ma era sempre lei, dentro, la stessa bambina di sempre, Milo ne era sollevato.

“Sono solo preoccupato per quell’ottusangolo di Camus… ho una brutta sensazione, piccola!” si lasciò sfuggire, un poco affranto. In verità non voleva spaventarla, aveva tentato di nasconderlo, in quei due giorni, ma l’ansia era aumentata, invece di diminuire.

“Pensi che… gli sia successo qualcosa? Ma lui è fortissimo, Milo!”provò a rassicurarlo Sonia, appendendosi al suo collo e nascondendo il visino nell’incavo della spalla.

“E’ fortissimo, hai ragione, ma, vedi, non bada molto a sé stesso e ho paura che stavolta abbia travalicato i suoi limiti...”

“Lo… senti da qui?” chiese ancora lei, posandogli una mano sopra il cuore, che lui subito strinse con il suo palmo, prima di alzarla e baciarle teneramente le dita.

“Sì, lo sento da qui...”

“E allora non puoi sbagliare, Milo, te lo dice il cuore! Cosa possiamo fare?” chiese ancora la piccola, cominciando a sua volta a preoccuparsi.

“Non… non lo so...”

Sonia ci rimuginò un po’ su, facendosi seria, prima di essere folgorata da una idea.

“Milo, sai dove si trova Camus?”

“All’incirca… non nello specifico”

“E allora… andiamo a cercarlo, Milo!” saltò su lei, grintosa, quasi da fare sussultare il Cavaliere.

“Andare… a cercarlo?”

“Sì, se è in difficoltà, se ha bisogno di noi… ci saremo!” continuò lei, gli occhi luminosi.

Milo esitò un attimo. Andare in Siberia avrebbe significato entrare, a forza, negli affari dell’amico, una cosa che Camus non amava particolarmente, vista la sua riservatezza. Più ancora avrebbe portato lo Scorpione a conoscere i sue due allievi, cosa che lo incuriosiva, se non fosse stato lo stesso Camus a mettere i paletti.

“Non sono ancora pronti ad entrare nel nostro mondo, conoscere un altro Cavaliere d’Oro li destabilizzerebbe non poco, diamo tempo al tempo! – gli aveva detto un giorno, prima di prendersi una pausa e alleggerire il suo tono di voce, perché si era accorto della durezza involontaria adoperata. Gli aveva sorriso, con quella scintilla negli occhi densa di orgoglio – Milo… è come se fossero mie creature, è nei miei desideri presentarteli, un giorno non troppo lontano, ma… non adesso, amico mio, è troppo prematuro!”

“Milo! - attirò di nuovo la sua attenzione Sonia, quasi facendolo sussultare -Allora, andiamo?”

Camus non ne sarebbe stato contento, meno ancora lo sarebbe stato il Grande Sacerdote, che si sarebbe accorto dello suo spostamento, visto che avrebbe usato la velocità luminare che non poteva passare inosservata, ma un amico aveva bisogno di lui, quei sogni erano troppo vividi per non essere reali. Camus era davvero rimasto gravemente ferito, ne era più che certo. Buttò un’ultima occhiata fuori dalla finestra, nel buio della notte. Vi erano 6 ore di differenza in avanti da Milos a Pevek, probabilmente là erano le prime luci dell’alba, avevano quindi tutta la giornata davanti per rintracciarlo, sebbene la giornata stessa fosse paurosamente corta. Posò gentilmente Sonia per terra.

“Va bene, andremo, insieme! Camus non ti vede da più di un anno, sarà felice di poterti riabbracciare, frugoletta!”

“Yuppieee!!! Ed io di riabbracciare lui!!!” esclamò la bambina, anche se sarebbe stato più corretto dire ragazzina, forse, ma Milo non si era ancora abituato a vederla come tale. Le spettinò dolcemente i capelli, regalandone un sorriso aperto e sincero per infonderle coraggio.

“Andiamo a raccattare quanto di più pesante troviamo per la casa, sarà un’esperienza… gelida!” la avvertì, facendole l’occhiolino.

 

 

* * *

 

 

Camus ansimava continuamente nel sonno, la febbre alta, il corpo nuovamente bagnato dal suo stesso sudore. Isaac gli aveva appena passato una spugnetta sul busto, ma era di nuovo fradicio, soprattutto non era in grado, da solo, di girarlo per asciugargli la schiena.

Era infine riuscito, con un po’ di difficoltà, a cambiargli la flebo, come gli era stato insegnato, ma aveva avuto la tremenda sensazione di avergli fatto male, perché nell’estrarre l’ago, disinfettarlo, e rimetterglielo, il maestro aveva sussultato, per poi abbandonarsi nuovamente alle nebbie del delirio. Il catetere invece, che pure sembrava dargli così tanto fastidio, non aveva avuto il coraggio di toccarlo.

Gli stavano somministrando antipiretici e analgesici per via endovenosa, ma non bastavano, erano lenti ad agire, ragione per cui l’allievo si era messo in testa di usare, per la prima volta, il suo gelo, dosandolo allo scopo di dargli sollievo. Ci era riuscito, infine, la febbre stava scendendo. Sospirò sonoramente.

Si era quindi permesso di dormire al fianco di Camus per una manciata d’ore, non di più, perché poi aveva avvertito nuovamente i suoi gemiti, che lo avevano messo in allarme. Lo aveva guardato, aveva compreso il motivo del suo malessere, e aveva agito, di nuovo, prima con un po’ di incertezza e poi con sempre più praticità, anche se usare un solo braccio non era stato affatto facile. L’aria congelante poteva servire anche come calmante, e finalmente la sua tempestività aveva dato i suo frutti, perché la situazione era tornata a stabilizzarsi.

Era passata quindi un’altra mezz’ora prima che gli occhi dell’allievo si erano decisi a smuoversi dalla figura ansante del maestro, poi, notando la regolarizzazione del suo respiro, si era permesso di sciogliersi del tutto, dirigendosi momentaneamente in camera per prendere quella cosa che celava da anni. Né Hyoga né Elisey erano tornati, Isaac pregò che facessero in tempo, i medicinali stavano davvero per finire, nonostante la loro dispensa ne fosse sempre stata piena. Quando rientrò nella camera del maestro, si accorse che Camus si stava muovendo debolmente, tastando con la mano libera, sotto di sé alla disperata ricerca di qualcosa.

“Sono qui, non agitatevi!” provò a tranquillizzarlo, posando il pacchetto sul comodino per poi accarezzargli una spalla. Le palpebre di Camus si contrassero più volte, prima di aprirsi del tutto, ferite dalla debole luce fuori che filtrava e che tuttavia, per lui, era intollerabile.

“Mmmh, Isaac, pensavo di essere… solo...” gli disse, sentendosi la bocca impastata, rilassandosi al suo contatto.

“Mi sono allontanato solo per un istante, ora sono di nuovo qui” lo rassicurò, modulando la voce. Camus sembrava molto fragile, come non lo aveva mai visto.

“Mmmh...” mormorò, rilassandosi ulteriormente al contatto dell’allievo. Aveva paura di essere lasciato solo, ma non lo disse, aveva bisogno di sentire i suoi ragazzi vicini, di sincerarsi delle condizioni di Hyoga, perché era stato lì con lui, a coccolarlo nelle vertigini dell’incubo, ma lo sapeva ferito e il solo rivivere quei momenti, l’impotenza, lo faceva sentire male. Tanto.

“Non dovreste muovermi, avete avuto un’emorragia interna, sebbene già trattata, Elisey ci ha intimato di non farvi alzare dal...”

“E-Elisey può andare al diavolo!” ribatté Camus, subito sul piede di guerra, con nuove energie che l’allievo non aveva la minima idea di dove avesse racimolato in così breve tempo. Lo vide provare ad alzarsi, orgoglioso, ma una fitta all’addome lo fece ricadere sulle lenzuola, il fiato corto. Tipico di lui, appena stava un po’ meglio eccolo ad azionarsi, era quello il vero il problema!

“Non è solo Elisey, Maestro! Anche Hyoga ed io lo desideriamo, è follia alzarvi già ora!” lo provò a tranquillizzare Isaac, accarezzandogli il braccio.

“S-sto bene, riesco a...”

“Sì, una meraviglia state! Rimanete lì, non affaticatevi, ci pensiamo noi a voi”

“Mmmh, Isaac...”

Sembrava incerto se continuare a parlare o no, in paurosa difficoltà, ma non più per la fatica, quanto piuttosto per il disagio crescente.

“Che c’è?” lo incoraggiò Isaac, cercando di capire di cosa avesse bisogno.

“S-sono nudo come un verme...”

Ad Isaac, suo malgrado, scappò un risatina nervosa.

“Lo siete da due giorni...”

“Mmmh, puoi… puoi passarmi almeno dei pantaloni?”

“Temo sia impossibile, al momento… - rispose, a metà strada tra il divertito e il rassegnato. All’occhiata obliqua del maestro, diede la spiegazione – Avete il catetere attaccato al...”

“HO IL…?! - ripeté Camus, sconcertato, piegando un poco la schiena per sincerarsi della veridicità delle parole dell’allievo, prima di scorgere un filo sottile ma ben visibile che, compiuta una curva, spariva dalla sua vista per tuffarsi nel suo inguine. Lo avvertì dentro di sé, spiacevolmente ancorato all’uretra, ecco cosa era quel fastidio interno che lo disturbava nel sonno e che aveva abbinato erroneamente ai danni riportati – N-no, per Atena, no! Anche questo supplizio no!” si lamentò lasciandosi cadere tra le lenzuola, nascondendo parte del volto con la mano libera, le guance rosse. Era il colmo farsi vedere dagli allievi in simili, deprecabili, condizioni.

Isaac sbuffò nel trattenere un’altra risata dentro di sé. L’ingenuità del maestro, a volte, era sorprendente: davvero si era accorto solo in quel momento di essere completamente nudo e con il catetere attaccato? Incredibile!

“Come vi sentite?”

“Starei meglio… se fossi vestito!” bofonchiò, sospirando profondamente nel riadagiare il braccio di fianco al suo busto. Aveva percepito gli allievi che si prendevano cura di lui, era vero, si era sentito protetto e al sicuro nelle nebbie dell’incoscienza, mentre le mani di Hyoga gli spalmavano, con dolcezza, la crema, ma ora che stava cominciando a riprendersi, al tepore di averli vicini si stava aggiungendo una più intensa vergogna di essersi fatto vedere ridotto così. Lentamente il ruolo del maestro stava tornando preponderante, anche se non spazzava via completamente il resto. Era una sensazione davvero strana, per certi versi soverchiante.

Isaac percepì tutto questo nei suoi occhi. Intanto scoccava occhiate nervose al pacchetto posato sul comodino, cercando le parole e il modo corretto per darglielo. Non era la prima volta che ci provava, quel regalo era il frutto di anni e anni di lavoro, ma ogni volta che si decideva a consegnarglielo, qualcosa lo bloccava, impedendogli di andare fino in fondo. Stava accadendo anche quella volta lì, di nuovo. Come sempre. Eppure, non seppe perché, si sentiva come se quella sarebbe stata l’ultima occasione.

“Cosa ti succede, Isaac? Hai male alla spalla?” chiese ad un certo punto Camus, notando i movimenti inconsueti dell’allievo.

“N-no...”

Diceva del maestro, ma anche lui aveva grossi problemi ad esprimersi.

“Dovresti riposare anche tu, Isaac, subire un rigetto… non è uno scherzo!”

Stava tornando in cattedra, gli dava occhiate oblique, di avvertimento, cercando al contempo di nascondere l’immensa preoccupazione che provava per lui, che non si era lesinato di manifestare quando invece, appena sveglio, probabilmente rincoglionito dall’antidolorifico, lo aveva voluto contro il suo petto. Che cataclisma di contraddizione che era!

Isaac sorrise di sbieco, si stava rimettendo, lo capiva dal suo modo di esprimersi, aveva sempre avuto una velocità di recupero fuori dalla norma, o forse era semplicemente incurante di sé stesso. Probabilmente entrambi.

“Isaac...” la mano di Camus si mosse nella sua direzione, come per accarezzarlo, proprio nell’istante in cui l’allievo finalmente riusciva a sbloccarsi.

“Oggi è il 7 febbraio, Maestro! Auguri di buon compleanno! - esclamò, gli occhi luminosi, recuperando il pacchetto dal comodino – E questo è per voi!” gli disse, porgendoglielo.

“G-grazie, m-ma… non ce n’era bisogno, davvero...” farfugliò Camus al limite dell’imbarazzo. Provò ad alzarsi una seconda volta, ma una nuova fitta alla pancia lo fece sussultare, così ci rinunciò, prendendo incuriosito il pacchetto per poi posarlo al suo fianco.

“E’ da anni… che provo a darvelo!”

“Oh, Isaac… n-non occorreva, lo sai, il migliore regalo che mi potete fare, tu e Hyoga, è quello di crescere sani e forti, oltre a dare il massimo negli allenamenti, e lo state già facendo, miei allievi!” gli sorrise con dolcezza, adagiandosi meglio sul cuscino nell’avvertire la stanchezza impossessarsi nuovamente di lui.

“Lo so, ma ci tenevo a darvelo, è… parte del mio cuore...” provò a spiegarsi, arrossendo a sua volta. Effettivamente così era, perché era stato fatto di sua mano e, solo grazie agli ultimi avvenimenti, era riuscito a completarlo, aggiungendoci l’ultimo pezzo del puzzle.

“Allora… lo accetto volentieri!” gli disse, portandosi il pacchetto ancora più contro di sé, tra la piega dell’ascella e il petto.

“Però… vi devo anche chiedere un’altra cosa, – aggiunse, un poco emozionato – di non aprirlo ora...”

“Per-perché?”

Già, perché? Isaac tacque per una serie di secondi, fissandolo dritto negli occhi, poi non reggendo più quello sguardo puro, che per lui significava tutto, lo discostò, soffermandosi invece sul suo corpo. Seguì ancora una volta i fili lunghi che lo collegavano agli affari del diavolo, venne per un attimo soggiogato dalle goccioline della flebo che scendevano dalla sacca, poi si recò nuovamente ad osservare il suo addome, vessato da quel tremendo ematoma, con l’incisione praticata da Elisey ancora ben visibile pochi centimetri sotto l’ombelico, in un mare violaceo/bluastro che, ai bordi, diventava giallognolo per poi sparire quasi totalmente sul fianco destro, dove comunque capeggiava un vistoso arrossamento somigliante ad una bruciatura. Doveva avere un male allucinante, eppure cercava di non dimostrarlo. Sospirò. Aveva ragione Elisey, Camus era in quelle condizioni per colpa sua, si era dimostrato indegno di diventare Cavaliere del Cigno, eppure… eppure come sdebitarsi per tutto quello che il maestro aveva fatto per lui?! Quale altro modo, se non… comprovare che la fiducia riposta fosse corretta?!

 

Io… vi proteggerò, Maestro Camus, non dovrete più combattere da solo, diventerò forte per rimanere al vostro fianco e sostenervi con tutto me stesso!

 

Gli occhi gli si erano fatti lucidi, si sentì stringere la mano libera, ciò lo portò a guardare ancora una volta il viso pallido e sudato della persona più importante della sua vita.

“Starò bene… non devi avere così tanta paura per me!” lo provò a rassicurare, sforzandosi di sorridergli.

Finalmente le parole gli vennero a galla con naturalezza, come se quel tono affaticato e strascicato del maestro, quei suoi occhi sempre, sempre, brillanti, fossero in grado, da soli, di sistemare tutto.

“Vi chiedo di aprire il regalo solo quando sarò diventato Cavaliere del Cigno… perché io diventerò Cavaliere del Cigno, Maestro!” asserì con decisione, fremendo notevolmente, chinandosi verso il suo volto.

Le iridi di Camus ebbero un sussulto nel guardarlo, si ritrovò anche lui a fremere emozionato, non poté impedirselo.

“Otterrò io quell’armatura, non perché non riconosca il valore di Hyoga, anzi proprio perché so di che pasta è fatto! - affermò con decisione, recuperando finalmente la grinta – Voglio dimostrare che da un maestro straordinario come voi, non possano che uscire due allievi straordinari. Sconfiggerò Hyoga in un combattimento solenne, dimostrerò di essere degno di Cygnus e combatterò al vostro fianco come Cavaliere di Atena, ve lo prometto!”

“Oh, Isaac...”

Non riuscì ad aggiungere momentaneamente nient’altro ma, sospingendo ancora una volta l’allievo verso di sé, lo volle ancora una volta adagiato sul suo petto, sopra quel cuore gremito d’orgoglio. Isaac ne avvertì ancora una volta i battiti meravigliosi, sorrise, cingendogli il collo con il braccio libero, mentre le dita gentili di Camus, gli accarezzavano teneramente i capelli.

“So che darai tutto te stesso nello scontro con Hyoga, come hai sempre fatto! Qualunque sia il risultato, sono e sarò fiero di voi, questo ricordalo sempre, mio coraggioso Isaac!” gli soffiò parole dense di passione, sebbene il tono gli si stava facendo sempre più flebile. Isaac chiuse gli occhi. Li chiuse anche Camus.

Stettero un po’ così, fino a quando l’allievo non percepì distintamente l’affanno proveniente da quel torace che lo ospitava, e lo aveva sempre ospitato, con così tanta dolcezza.

“Maestro!” si allarmò, raddrizzandosi, notando che faceva sempre più fatica a rimanere sveglio, la palpebra calante, sebbene tentasse di opporsi.

“V-va tutto bene, Isaac, sono solo molto stanco...”

La mano gli ricadde molla sul fianco, Isaac gliela prese, controllò per precauzione i battiti tramite il polso, trovandoli regolari anche se un po’ affaticati.

“Cosa posso fare, per farvi stare un po’ meglio?” gli chiese, mordendosi il labbro -si chiese a sua volta dove caspita fossero finiti Elisey e Hyoga, perché non erano ancora tornati?! Si erano trovati in Alaska a prendere altri medicamenti?!- prima di accarezzargli dolcemente i capelli nel vedere che Camus stava crollando dal sonno.

“S-solo un po’ d’acqua, ho… ho la gola secca” biascicò lui, chiudendo gli occhi, davvero tanto, troppo, spossato.

Isaac non se lo fece ripetere due volte, con un’ultima carezza tra i suoi capelli, si alzò in piedi, dirigendosi in cucina alla ricerca del prezioso liquido. Ne trovò una borraccia, ma si accorse che era troppo fredda, gli avrebbe fatto più male che bene, occorreva riscaldarla almeno un poco. Accese uno dei fornelletti, in inverno, in Siberia, bisognava pulirli di frequente, prendersene cura, più che dalle altri parti, per farli funzionare. Il clima era troppo rigido, a tratti invivibile per degli essersi umani, occorrevano mille e una accortezze per viverci, in un percorso che era di continuo adattamento e riadattamento.

Mentre riscaldava un poco l’acqua pensò ad un modo per rendersi utile, il più lo avevano fatto Elisey e Hyoga, a lui cosa restava? Hyoga… sussultò, nel ricordarsi dello strano sogno che aveva preceduto il suo risveglio, del nuovo incontro con la ragazza, che ora sapeva di chi trattarsi. Il cuore gli si accelerò in petto, mentre il ricordo di un vecchio dialogo avuto con il suo maestro, gli sfiorò la mente.

 

Quindi… avete una sorella?”

Avevo… come ti ho già detto, il passato non esiste più. Un tempo sono stato un fratello maggiore, un tempo avevo una famiglia, ora non più. Non ha senso soffermarsi con la mente, ormai è scivolato via, irreversibilmente, come una singola particella d’acqua di un fiume, non passerà più accanto agli atomi incorruttibili di un masso...”

E’ passata… ma può tornare sotto forma di goccia di pioggia!” gli aveva fatto notare Isaac, lesto. Camus non aveva risposto, aveva solo sussultato, scosso. Era chiaro non ne volesse parlare ma, per qualche ragione, l’argomento premeva molto all’allievo.

Vi fa male il solo rievocarla nei ricordi? Ci eravate legati a tal punto, Maestro?”

Non ha più… importanza!”

La ha! Vi manca tremendamente, è evidente! Sapete dove si trova ora?”

Non lo so...”

Il suo nome?”

Non lo ricordo più...”

Ma…!”

ISAAC!”

Il suo tono era salito fino a strozzarsi, mentre, burbero, si era girato con un astio crescente nei suoi confronti. Non voleva approfondire quell’argomento, la ferita era ancora aperta, probabilmente non sarebbe mai guarita del tutto. Era lampante.

Perdonatemi...”

Non ha importanza davvero, Isaac! Ora sono qui, con te e Hyoga, solo questo conta, il presente! Lasciamo alle spalle ciò che più non è!”

Non aveva aggiunto altro, tornando a lavare minuziosamente le zampe degli Husky della sua muta, che, dopo il lungo tragitto, necessitavano di trattamenti specifici, nonché di cure.

Isaac era rimasto in silenzio per una serie di minuti, non perdendosi un solo movimento e desiderando apprendere anche quello, da Camus. Poi aveva stretto i pugni, determinato, mentre dalle sue labbra erano fuoriuscite parole a cui lui credeva fermamente.

Ve la riporterò...”

Camus si era bloccato, voltandosi nella sua direzione con espressione esterrefatta, la zampa di Nikita ancora tra le sue dita. Il cagnolino, geloso delle sue attenzioni che non gli stava più dando, aveva uggiolato un paio di volte, prima di leccargli più volte la faccia, perché il suo padrone gli era sembrato davvero sconvolto. Lo era.

Isaac aveva sorriso, imprimendo i suoi occhi in quelli del mentore.

Ve la riporterò! - sottolineò di nuovo, deciso, prima di continuare – Quando sarò più grande e Cavaliere del Cigno, ve la riporterò, Maestro!”

Non aveva alcun dubbio che sarebbe davvero stato così.

 

...Quella sorella sperduta, lui aveva appena scoperto chiamarsi Marta, che strano nome per una sorellina minore di Camus, se ben ricordava, il nome era italiano.

L’acqua era diventata finalmente un po’ meno fredda, la tolse dal fuoco, apprestandosi a portarla al maestro. C’era qualcos’altro che poteva portare, ed era una cosa che poteva fare solo lui, riconsegnare il nome di sua sorella alle sue memorie, per apprestarsi poi un giorno a ritrovarla, perché era lampante che il maestro ci fosse estremamente legato, anche se cercava di nasconderlo.

Entrò finalmente nella stanza, un largo sorriso nel voler palesare ciò che aveva scoperto.

“Maestro, non chiedetemi come, ma… penso di aver scoperto come si chiama vostra sor...” si fermò nel distinguere la figura profondamente addormentata di Camus tra le candide lenzuola del letto. Si avvicinò senza più fiatare.

Camus aveva ceduto alla stanchezza, si era adagiato di profilo sul cuscino, i capelli un poco appiccicati alla pelle a causa del sudore, il respiro cadenzato e ritmato, visto che sia il torace che l’addome seguivano armoniosamente la sua respirazione senza particolari scosse o segni di pena. Finalmente! Il braccio destro, intessuto di fili e pieno di lividi era rimasto fermo al fianco del busto, era il sinistro che si era piegato, stringendo il pacchetto che gli aveva donato contro il suo petto con un cipiglio d’urgenza, come se fosse il tesoro più prezioso che avesse ricevuto. Gli occhi di Isaac si intenerirono ulteriormente nello scorgere un sorriso solcargli le labbra, ora stese in posizione rilassata. Avvicinò la mano, accarezzandogli i capelli con tutte le premure di cui fosse capace, prima di scendere sul collo, tracciargli la linea della spalla e del braccio per giungere infine alle lenzuola ammucchiate ai suoi piedi. Gliele raccolse, sistemandogliele meglio per coprirlo dall’addome in giù, poi prese posto sulla sua sedia, rimanendo a contemplarlo per un tempo indefinito. Avrebbero parlato della sorella in un altro momento. Si chinò su di lui, gli baciò teneramente una guancia, prima di sorridergli, gli accarezzò di nuovo i capelli sulla fronte.

“Fate bei sogni, Maestro Camus!” disse, accucciandosi sul bordo del letto, permettendosi di riposare un altro poco al suo fianco.

“R-rimani qui… c-con me”

Isaac ridacchiò nell’udirlo parlottare nel sonno, scoprendo così il suo cuore, i suoi bisogni, come non avrebbe mai fatto da cosciente.

“Certo, non siete solo, il peggio è passato!” gli disse ancora, addormentandosi poco dopo.

 

A diversi chilometri di distanza, intanto, molto più a sud e molto più ad ovest, Elisey, piegato in avanti, intento a raspare nel terreno, dovette fermarsi un attimo, sorreggendosi completamente al bastone per evitare di cadere a seguito del capogiro. Prese una pausa, rifiatando, cercando al contempo di non far vedere a Hyoga il malore che lo aveva colto.

Spedire i ragazzi nella Kolyma, raggiungerli, curare il primo allievo e poi il maestro, e poi anche l’altro, che, per salvare il proprio mentore non aveva esitato a subirsi un rigetto, poi… poi la veglia su Camus, le cure, di nuovo in viaggio, perché i medicamenti mancavano… forse davvero aveva osato troppo per le sue forze, le conseguenze cominciavano già a farsi sentire. Non era il momento di riposarsi, però, non ancora.

“Sommo Elisey! Sommo Elisey! Guardate, queste vanno bene?” esclamò in quel momento Hyoga, accorrendo al suo fianco per far vedere ciò che aveva trovato nelle profondità del permafrost. Si costrinse a raddrizzarsi e voltarsi verso di lui, regalandogli uno stentato sorriso.

“Queste sembrano veramente pregiate! Dove le hai trovate, giovane Hyoga?”

“Là, ai piedi di quella betulla! Deve esserci un fiume nelle vicinanze, ciò mi ha spinto a scavare lì e ho trovato queste. Vanno bene per il Maestro Camus?” chiese, tutto trafelato, speranzoso.

Elisey già sapeva la risposta, ma si mise comunque ad annusarle con naso sopraffino, prima di rispondere.

“Sono ottime, Hyoga, ne faremo un infuso da dare a Camus per farlo dormire e, al contempo fargli percepire meno dolore, bravo ragazzo, devi avere fiuto per queste cose!”

Hyoga arrossì a quei complimenti, sentendosi genuinamente apprezzato, poi si ravvivò, più determinato che mai.

“Allora ne troverò altre; altre radici e altre erbe medicamentose, talmente tante che il Maestro Camus guarirà in un batter d’occhio!” esclamò, scattando di nuovo a raschiare il terreno con le mani, proprio sotto agli alberi spogli.

“Attento al ghiaccio, se torni nei pressi del fiume. Prudenza!” lo avvertì ancora, un poco apprensivo.

“Sono abituato al freddo, anche se il ghiaccio dovesse cedere non mi fermerò!”

Elisey si permise di osservarlo, mentre raccoglieva quanto potesse essere utile e lo metteva nella sacca, senza mai riposare, nonostante avesse i geloni alle mani, le dita arrossate e le unghie spezzate, senza contare le ferite alla schiena, non del tutto risanate... perché da quando erano lì non si era fermato un attimo, la mente desiderosa di aiutare Camus, talmente tanto che la sua salute veniva messa da parte. Era del tutto incurante, come il suo maestro.

Gli occhi di Elisey brillarono davanti a quell’ennesima manifestazione di dedizione che irradiava calore al solo scorgerla.

Esattamente la stessa che possedeva Dégel, il migliore amico di suo padre.

Esattamente la stessa che possedeva Dégel, il cigno che univa le due sponde divise…

Esattamente la stessa che possedeva Dégel, il sognatore.

E Hyoga era la fotocopia caratteriale di Dégel, il suo… testamento spirituale.

Elisey si permise di sedersi un attimo su una roccia ghiacciata, gesto che non sfuggì al ragazzo, che si preoccupò, ma lui minimizzò tutto, dicendo di proseguire nelle ricerche, così il ragazzo fece.

Era così dedito a voler far star meglio Camus… quel suo desiderio superava ogni cosa. Ed ecco una delle mille e una ragioni per cui l’armatura del Cigno dovesse andare a lui, ma quella decisione non era più di sua pertinenza, sarebbe spettata a Fyodor, come loro padre, Unity, il Governatore di Bluegrad, aveva desiderato; Fyodor che, di Unity e della zia Seraphina, aveva ereditato il colore degli occhi, Fyodor, che non c’era più, che gli mancava da impazzire, che possedeva più discernimento di lui, più gentilezza, più dolcezza… Fyodor era sempre stato un giardino sbocciato di fiori e di speranza verde smeraldo, lui no, questo aveva sempre pensato, mentre guardava con ammirazione il fratello minore. Eppure essere un giardino gremito di fragranze gli era costato la vita, lasciando in lui una voragine che non si sarebbe più colmata.

Avrebbe dovuto essere Fyodor a scegliere il degno possessore di Cygnus, ma era mancato, gli era stato tolto, strappato, e quell’onere e onore era passato a Camus; Camus l’Evocatore che rifiutava di diventare tale, Camus e il suo immenso potenziale, Camus il Cavaliere, l’uomo, lo Sciamano…

Sospirò, buttando un occhio ancora su Hyoga, il quale, riesumando altre radici, quasi saltò per la gioia. Sorrise. Lui era il degno possessore di Cygnus, lo sapeva, ma si fidava del giudizio di Camus e, quei giorni stessi, aveva saggiato la grandiosità di Isaac, capendo finalmente cosa ci trovasse di così speciale in lui l’allievo di Fyodor, sebbene, in fondo al cuore, continuasse a sperare più nella riuscita dello schivo Hyoga che non in quella dello stesso Isaac, assai meno candito del biondo.

 

Candido e puro come Dégel, in effetti, il tuo migliore amico, papà, che si è sacrificato per salvare la tua vita! Hyoga profuma della sua essenza, è un peccato tu sia morto prima, senza conoscerlo, avresti provato tanta nostalgia… papà…

Se Camus ne è la fotocopia fisica, del tuo Dègel, Hyoga ne è quella spirituale, così pieno com’è di sogni e ideali, così dedito a salvare il suo maestro, così puro e immacolato.

Camus… ho sempre pensato che tu fossi completamente diverso da ciò che eri, ma così non è, lo hai dimostrato con l’approccio che hai avuto verso Zima. Tu… in fondo non hai mai tradito te stesso, vero? Sei ancora quel ragazzo gremito di ideali, sensibile sopra ogni dire, che vivrebbe e morirebbe per un sogno, per le persone che ama e che ha vissuto per una promessa ad un amico, ma sei stato tradito, come Zima, e cerchi di nasconderlo dentro di te, di seppellire la parte più bella del tuo essere, di rigettare indietro tutto questo universo che ti porti dietro. L’ho capito, sai? Mi ci è voluto un po’ , un bel po’, ma l’ho capito… Finalmente ti ho compreso, Camus!

Ecco perché hai così tante difficoltà con Hyoga, perché in lui rivedi inconsapevolmente il tuo vecchio te stesso, la tua parte più fragile, che stai provando a rifiutare con tutte le tue forze, rivedi i tuoi stessi errori della tua precedente vita.

Per Hyoga è lo stesso, sai, ha difficoltà a relazionarsi con te perché siete davvero troppo simili, dovreste capirvi più di ogni altro, invece non fate che erigere muri su muri per preservarvi. Quando riuscirete a guardare dentro di voi con onestà, quando accetterete la vostra debolezza, che è anche la vostra forza, allora finalmente riuscirete a capirvi e, insieme, potrete crescere. Ne sono più che sicuro!

 

Un pallido raggio di sole fuoriuscì dalle nubi, rischiarandogli il viso, quasi come se, da lassù, qualcuno lo avesse percepito e volesse, in qualche modo, assecondare quella sua speranza. Sorrise, rialzandosi difficoltosamente in piedi con l’intenzione di aiutare il ragazzo malgrado la stanchezza sempre più atroce.

Hyoga o Isaac… qualunque dei due si fosse rivelato il degno possessore di Cygnus, lui non se sarebbe stato deluso… finalmente lo aveva capito.

 

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

...Ebbene sì, Elisey e Fyodor sono figli di Unity, nonché nipoti di Seraphina, a qualcuno è passato per l’anticamera del cervello? Ho messo indizi qua e là, prima della rivelazione, ma era comunque difficile da capire. Non fatevi ingannare però, come ho detto più o meno schiettamente, non sono loro ad essere vissuti a lungo, quanto Unity, che è stato maledetto da Zima a vivere una lunga vita (e direi che dopo quello che ha combinato se lo merita pure XD). Le colpe dei padre ricadono sui figli… questo è un po’ meno giusto, ma deve essere ancora approfondito, alcuni punti salienti mancano ancora, saranno disvelati passo per passo.

Che ne dite di questo chappy che trasuda Hurt/comfort? Eh, lo so… c’è di mezzo di nuovo il povero Camus, ma, che vi devo dire, è un pg che, a parer mio, si sposa perfettamente in questa categoria di fanfiction.

Il capitolo si sofferma altresì sulla figura di Elisey, che spero di aver caratterizzato bene in questa parte e che avrà un ruolo centrale anche nella terza storia, la Melodia della neve. E’ un personaggio difficile da intendere e capire appieno, ma qui, in questa situazione disperata, mi sembra si sia manifestato un po’ di più, non trovate? :)

Altro argomento cardine è il rapporto Camus/Isaac, che sapete che adoro visceralmente, e che non mi stancherei mai di descrivere. Qui viene messo in luce maggiormente Isaac, ma anche Hyoga ha il suo posticino importante e, soprattutto, ha i favori dello stesso Elisey, che conosce bene Dégel, anche se tramite le parole di suo padre. Ho voluto fare riferimento all’armatura del Cigno come ponte tra Dègel e Hyoga, due personaggi che mi sembrano molto simili tra loro, che adoro, e che metto spesso in correlazione.

Desidero soffermarmi ulteriormente su Isaac, soprattutto nel “sogno” che fa, che lo porta a vedere sia Hyoga che Marta. Il momento in cui avviene è quando Camus, lo avrete capito, subisce la ferita al petto per salvare la sorella, si hanno così le reazioni sia della ragazza che del Cigno. Qui è Isaac che, non si sa bene come, riesce a raggiungerli. Un indizio: il sangue di Camus ha influito sul processo, fungendo da vettore, ma non è l’unica spiegazione al riguardo. E’ lampante che Marta e Isaac siano collegati, visto che, per bocca dello stesso ragazzo, non è la prima volta che si “incontrano”, nei sogni è già successo, anche qui, per avere una spiegazione esauriente dovrete aspettare un po’.

Isaac promette a Camus di riportargli la sorella; Marta ha promesso lo stesso al fratello per quanto concerne Isaac. Si cercheranno, entreranno altre volte in contatto, ma come saprete, Isaac, nel tempo corrente della Melodia della Neve si trova ad Ipsias… c’è un modo per incontrarsi?

Isaac e il regalo a Camus… inutile dirvi che, stante gli avvenimenti, che sappiamo, l’Acquario quel pacchetto ce l’ha ancora chiuso da qualche parte, probabilmente neanche vorrà vederlo… anche questo lo trovo molto triste :( chissà cosa gli avrà regalato…

E ora cosa succederà? Milo e Sonia si sono mossi verso Pevek, Camus non sta ancora benissimo, impiegherà un po’ a rimettersi, e Zima… beh, al momento è persa.

Spero questo capitolo lungo, lunghissimo, vi abbia emozionato, a me è piaciuto molto scriverlo, scendere nei dettagli, come mai era successo prima d’ora, insomma spero possiate gradire anche voi! Alla prossima! ^_^

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Saint Seiya / Vai alla pagina dell'autore: MaikoxMilo