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Autore: Alessia Krum    11/09/2020    1 recensioni
Acquamarina aveva continuato a vedere immagini, immagini brutte e spaventose, che non avrebbe mai voluto vedere. Acqua poteva pensare e vedere quelle figure, ma non stava né dormendo, né era svenuta, non era sveglia e non poteva svegliarsi. Voleva vedere e capire che cosa stava succedendo. Vide un villaggio, un piccolo villaggio sormontato da un castello. Il paesino sembrava tranquillo, ma fuori dalle mura si stava svolgendo una feroce battaglia. Persone con la pelle blu e le pinne combattevano con tutto quello che avevano e una grande speranza contro eserciti interi di mostri viscidi, squamosi e rivestiti da armature pesanti che mandavano bagliori sinistri. La battaglia infuriava. Per ogni mostro abbattuto, morivano almeno due uomini. Poi Acqua vide un uomo, protetto da un cerchio di mostri, che sembravano i più potenti e i più grossi. Quell’uomo aveva un qualcosa di sinistro e malvagio. Indossava un pesante mantello nero e continuava a dare ordini e a lanciare fiamme ovunque.- Avanti, Cavalieri, sopprimete Atlantis e l’oceano intero sarà mio! –
Genere: Fantasy, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 36
Non c’è più

Max era troppo distratto quel giorno, se ne rendeva conto. Raramente gli capitava di essere così poco presente a se stesso in battaglia, ma non riusciva ad impedire ai suoi pensieri di ammassarsi dietro la figura di Acqua. Colpiva e parava quasi meccanicamente, come se davanti agli occhi avesse avuto un velo che sfocava la realtà. Avrebbe dato qualsiasi cosa per sapere che stava bene. 
Gruppi di Cavalieri enormi, una decina di spanne più alti del normale, erano ammassati davanti alla porta sud e spingevano contro la barriera protettiva, che riluceva di un verde spettrale. Sembrava una bolla sul punto di rompersi. 
Max combatteva, rintronato dal rumore. Gli sembrava che tutto di fronte a lui si muovesse a rallentatore, come sfumato. Aveva temuto che Celeste non sarebbe stata in grado di badare a se stessa, nelle sue condizioni, ma ora avrebbe dubitato persino della propria concentrazione. E non era per niente buono.
Cercò di spazzare via dalla mente tutto ciò che lo distraeva. Cercò di fare chiarezza nei propri movimenti, e di recuperare quella lucidità che lo contraddistingueva sul campo di battaglia. Con una torsione del polso destro riuscì a muovere la spada in modo da disarmare il Cavaliere che lo tratteneva da qualche minuto. Un altro mostro viscido lo aveva raggiunto, minacciandolo dall’altro lato; il Generale finì con un colpo secco il primo e si voltò per fronteggiare il nuovo arrivato. Sfruttando il vantaggio della doppia spada, continuò per qualche istante a provocarlo sul lato sinistro, attendendo che il Cavaliere si traesse in inganno. Non appena il momento fu propizio, Max lo attaccò sul fianco destro con l’altra spada. Il mostro era lento, e ne rimase sorpreso. Non si accorse nemmeno della spada sinistra, che in pochi secondi calò sul suo collo. Il corpo cadde a terra con un tonfo. 
Il Generale si voltò a controllare la situazione del resto della sua squadra. Sembrava tutto sotto controllo. Accennò qualche passo, avvicinandosi all’uomo che combatteva alla sua sinistra, che sbuffava a ogni colpo inferto dal nemico. Max lo raggiunse, destreggiandosi nel marasma di combattenti, e sorprese da dietro il mostro, infilandogli la propria lama nell’addome. L’uomo gli urlò un ringraziamento, e finì di occuparsene, mentre Max si voltava di nuovo verso le mura. 
All’improvviso, un boato lo fece tremare. La parte illuminata della cupola si era crepata, e lo squarcio la stava risalendo, diramandosi in varie direzioni, formando un disegno complicato che aveva un suo terribile fascino. Spaventoso. Per un attimo il rumore del vetro infranto superò lo sferragliare delle armature e il clangore delle armi. La cupola si ruppe in infinite schegge dai bagliori di diversi colori. Di nuovo, tutto accadeva al rallentatore. Mille volti si girarono verso la città, con gli occhi pieni di terrore e le bocche spalancate, mentre i pezzetti di quella barriera si dissolvevano nell’acqua ancora prima di iniziare la discesa verso il suolo. 
A Max morì il respiro in gola. Fu un attimo di esitazione generale, ma poi tutto ricominciò, veloce e frenetico. L’esitazione costò cara a molti combattenti, che vennero travolti dalla forza schiacciante del nemico. Max era stato sopraffatto di nuovo dai pensieri, tutto gli scorreva accanto senza minimamente sfiorarlo. Acqua era il suo punto fisso. 
Si riscosse solo quando udì il sibilo di un’arma dietro di sé, e si scostò appena in tempo per evitarla. Perse l’equilibrio e gli ci volle qualche istante per ritrovare la stabilità. I nemici gli piombarono addosso come un fiume in piena. Si guardò intorno, parando i primi violenti attacchi, ma non c’era più nessuno dei suoi nei paraggi. Erano accorsi tutti alle mura, e non si era nemmeno accorto di essere rimasto solo, facile preda disorientata per un gruppo di Cavalieri che lo circondava completamente. Imprecò più volte, rispondendo con ferocia ad ogni attacco, girando su se stesso per evitare di essere colpito alla schiena. I colpi di quei maledetti bastardi erano forti, e un’ondata di panico lo travolse. La paura lo stava accecando, si muoveva come un animale braccato, agitando le armi senza una vera e propria logica. Gridò, chiamando aiuto, e si vergognò di se stesso. Non aveva mai permesso a qualsiasi avvenimento di turbare la sua calma glaciale in  battaglia, e ora stava agendo come un novellino. Odiandosi per il momento di smarrimento, riprese il controllo delle proprie azioni e mise in moto il cervello. 
Erano una quindicina di Cavalieri, ne sarebbero arrivati altri, era solo, e aveva due spade, più il pugnale nel fodero. Ce la poteva fare, anche se non ne sarebbe quasi sicuramente uscito illeso. Prese a rispondere agli attacchi, facendo saettare le lame contro due diversi mostri contemporaneamente. Sentiva il ferro penetrare nella carne squamosa e viscida dei Cavalieri, ma spesso le spade incontravano le corazze nemiche. Troppo spesso. Cambiò strategia. Lanciò brevi stilettate ad ognuno dei mostri più vicini a lui, quelli che lo minacciavano di più, affondando ripetutamente le spade nei loro arti. Molte armi volarono via, e Max riuscì ad ammazzare alcuni di quei bestioni. 
Ne aveva eliminati tre o quattro, e aveva più libertà di movimento; ma sempre nuovi nemici continuavano ad accorrere verso di lui, li vedeva accalcarsi come una folla di demoni. Cominciava a stancarsi di quel combattimento così sfiancante. Bastò che abbassasse un momento la guardia perché una lama lo colpisse sul braccio sinistro. Il pezzo di armatura che lo copriva si era disintegrato, lasciando il braccio libero. Un taglio rosso vi si era disegnato sopra, ma non era profondo; Max lo ignorò e continuò a battersi. 
Un altro mostro cadde a terra, e due inciamparono sul suo corpo. Il ragazzo li uccise entrambi con un unico colpo, con l’altra spada parò un attacco pesante, e il bruciore del taglio si fece sentire. Qualcosa lo colpì all’addome, ma l’armatura resse e Max accusò solo il colpo. Le sue spade andarono a segno innumerevoli volte, molti Cavalieri cadevano e venivano continuamente rimpiazzati. Di nuovo, il Generale venne raggiunto da una lama nemica, questa volta nel punto della corazza che congiungeva la lastra del petto con la protezione per la spalla, a destra. Il dolore lo annebbiò per un attimo, lasciandolo stordito. Avvertì con sgomento la spada sinistra che veniva strappata via dalla sua mano, e uno strano trambusto dietro di lui. Erano i rantoli di Cavalieri in punto di morte, quindi poteva soltanto sperare che fossero arrivati dei rinforzi. Impugnò la spada rimasta con entrambe le mani e riprese ad attaccare. Continuò, ancora e ancora, ma le ferite bruciavano e i muscoli imploravano riposo. Sobbalzò quando avvertì una presenza dietro la schiena: lanciò un breve sguardo all’indietro, pronto ad attaccare. 
Ma non era un Cavaliere. Due occhi neri come l’abisso più profondo, gli occhi inconfondibili del ragazzo che Acqua aveva conosciuto al ballo. Max tenne da parte l’odio che provava nei suoi confronti e accettò di buon grado l’aiuto che gli offrì. I due si coprivano le spalle a vicenda, e Max riuscì a tirare un sospiro di sollievo. 
Aveva ripreso il controllo della situazione, tutto gli era più chiaro, ogni mossa, ogni singolo movimento. Riusciva persino a percepire tutto quello che accadeva alle sue spalle. Aveva bene impresso lo stile con cui quel ragazzo combatteva, e coglieva ogni suo errore. Continuarono a lungo a fronteggiarsi con i mostri, seguendo un ritmo perfetto e preciso, quasi… surreale. Ad un tratto Max ebbe una strana sensazione. Si voltò, e il ghigno che vide dipinto sulla faccia di quel bastardo gli gelò il sangue nelle vene. Era una stramaledetta trappola. 
Accadde tutto troppo velocemente. Delle mani viscide lo afferrarono per le braccia, premendo sulle ferite, paralizzandolo. Un mostro lo tirò per i capelli, costringendolo in ginocchio. Il Generale cercò di divincolarsi, tra le urla, tirando poderosi strattoni con le braccia, ma fu tutto inutile. Gli venne in mente un’altra scena simile, di cui era stato spettatore sei anni prima. 
La storia si stava ripetendo, solo che ora il prigioniero braccato era lui. 
Un colpo alla nuca, e Max vide nero.
 
***

Acqua cercava di trattenere il tremito nelle mani, con gli occhi sbarrati fissi fuori dal portone nel castello. Non c’erano molti Cavalieri in città, ma il rumore era agghiacciante. La principessa immaginò che ce ne dovessero essere molti di più fuori dalle mura, impegnati in una battaglia all’ultimo sangue per riuscire ad entrare. 
Era il finimondo. Il poco che si vedeva dal castello bastò per farle accapponare la pelle. Su una via di Atlantis saliva una nuvola rossa, e lì vicino, sulle mura, una squadra di arcieri veniva presa d’assalto da due Cavalieri che erano riusciti a salire. Una torre di controllo delle mura andava a fuoco, disperdendo fumo grigiastro sui tetti delle case. 
Acqua ripensò a quello che aveva detto Julian. “La paura ti tiene in pugno come se fosse l’unica cosa che respiri”. Aveva ragione. La ragazza sentiva scariche di terrore attraversarle il corpo, impietrita nel salone del castello, senza riuscire a muovere un muscolo. Le ci volle un enorme sforzo di volontà per compiere qualche passo. Julian aveva detto che se hai un obiettivo chiaro, nulla ti può fermare. Lei un obiettivo ce l’aveva: accertarsi che Max stesse bene, e combattere. Nulla l’avrebbe fermata, nemmeno il Generale. Era una decisione importante, che avrebbe di certo avuto delle conseguenze, ma lei sentiva che era quello che avrebbe dovuto fare. E lo avrebbe fatto. 
Con le orecchie piene del frastuono della battaglia, raggiunse la porta dei sotterranei per andare a prendere le armi. Esitò un attimo, con la mano ferma sulla maniglia, schiacciata dal peso di ciò che stava per fare. Fu allora che la raggiunse la voce di Corallina, dalle scale.
– Acqua! – le gridò, scendendo alla velocità della luce. – Che ci fai qui? – 
– Ho sentito che c’era qualcosa che non andava, e volevo… – non ebbe il coraggio di continuare, e si limitò a rivolgere un cenno alla porta. Ma c’era qualcosa di strano in Corallina, qualcosa che le fece salire una strana angoscia nel cuore. La cugina aveva gli occhi cupi, e rifuggiva il suo sguardo. 
– Corallina, che ti succede? – le chiese, stordita dalla sensazione che qualcosa stesse andando per il verso sbagliato. La rossa rimase in silenzio, con gli occhi a terra. Ad Acqua sembrò che il tempo si dilatasse. Voleva spronarla a parlare, ma qualcosa la frenava. Dopo quella che le sembrò un’eternità, Corallina la serrò in un abbraccio, sorprendendola. Era tutto così sbagliato. 
– Acqua, Max non c’è più. – sussurrò, talmente veloce da essere quasi incomprensibile. – L’hanno catturato. –  Acqua ebbe l’impressione che il mondo girasse intorno a lei, lo stomaco serrato in una morsa. 
– Non è vero. – gemette Acqua. Scosse la testa, cercando di trattenere tra le dita  frammenti del suo mondo che si sgretolava. – No, non è vero. Max non può essere stato catturato. – ripeté, con gli occhi sbarrati e il respiro corto. Era rigida, sembrava che cercasse di opporre resistenza. Corallina la strinse più stretta, affondando il viso nell’incavo del suo collo. Solo allora Acqua rilassò i muscoli e si lasciò andare. Le lacrime  scesero a bagnarle le guance, offuscandole la vista. Cominciò a singhiozzare senza nemmeno rendersene conto. No, non era vero, non poteva essere vero. 
– No! – lo gridò al mondo intero, aggrappandosi alla cugina come alla sua ancora di salvezza. Non è vero. La principessa continuò a biascicare quelle parole, tra le lacrime, mentre la sua voce lentamente si perdeva tra i singhiozzi. Una litania senza senso, le cui parole avevano ormai perso il loro significato.
 
***

Quando Max si riebbe, la gravità di ciò che era appena accaduto lo travolse come un’onda. Con la testa annebbiata studiò la situazione. Le mura di Atlantis erano lontane, perse sull’orizzonte. Max era trasportato a peso morto da due Cavalieri che lo sorreggevano per le braccia, lasciando che le sue gambe trascinassero al suolo. Intorno a lui era disposto a cerchio un manipolo di Cavalieri, che ancora non si erano accorti del suo risveglio, mentre in testa al gruppo camminava Julian. 
Di lui Max intravedeva ben poco: la testa e un pezzetto dell’armatura scura che mandava strani bagliori riflettendo la luce dell’alba. Inequivocabilmente aveva ancora la sua forma umana, e il prigioniero si chiese cosa aspettasse a riprendere il suo vero aspetto. 
Il ragazzo era stato privato delle spade, ma poteva avvertire il peso rassicurante del pugnale nel fodero: fortunatamente non l’avevano notato. Nonostante si sentisse incredibilmente debole, Max doveva tentare di fuggire.  Non poteva cadere così semplicemente nelle mani  di Darcon. Prese un respiro e, carico d’adrenalina, puntò i piedi a terra e si liberò della presa dei Cavalieri. Qualche secondo dopo, uno dei due bestioni che lo trasportavano era morto, e tutto quello che di lui restava a Max era il suo sangue giallastro che gli imbrattava il pugnale e la mano. 
Il secondo Cavaliere si gettò su di lui, seguito da tutti gli altri. Max sbuffò. Erano tanti i mostri che lo circondavano e lui non era nelle migliori condizioni. Il corpo non rispondeva ai suoi comandi, stremato, mentre la mente non riusciva a tenere il passo di ciò che accadeva. Finì tutto in pochi secondi: altri due mostri lo afferrarono e lo spinsero a terra bloccandogli gli arti al suolo. Max cercò di divincolarsi, sbuffando, ma le ferite, vecchie o nuove, su cui i Cavalieri spingevano le loro dita viscide, dolevano da impazzire. 
Julian entrò nel suo campo visivo, con quel ghigno che non l’aveva abbandonato per un minuto. A Max sembrò che gli risplendessero gli occhi, e nemmeno mezzo secondo dopo si ritrovò attraversato da un dolore tremendo, inimmaginabile, come se ogni cellula del suo corpo fosse stata dilaniata da mille aculei. Si dimenò con foga, il cervello in fiamme, urlando come mai aveva fatto in vita sua. Le sue grida si persero nella pianura.
Julian gli si inginocchiò accanto, senza una parola, e gli strinse una mano sul collo. Max annaspò, in cerca di aria, sempre squassato dal dolore di quell’incantesimo assurdamente potente. Dalla mano di Julian cominciò ad irradiarsi un freddo innaturale, e Max cercò nuovamente di sottrarsi alla sua presa, ma era tutto così doloroso. Il gelo lo risalì completamente, avvolgendolo nella sua morsa, incuneandosi in ogni anfratto, pungente come artigli. La vista del prigioniero si offuscava, i sensi si indebolivano, ma non il dolore. E, improvvisamente, Max fu sottratto al suo corpo, relegato nel buio più profondo, e perse di nuovo i sensi. 
La scena si era ripetuta più volte, ad ogni risveglio del Generale, che non abbandonava i suoi folli tentativi di fuga. Era sempre più debole, e si muoveva come per inerzia, trascinato dalla forza di volontà, sempre più in contrasto con ogni razionalità. Non aveva senso continuare così, ma i suoi fiacchi tentativi non si fermarono.
Quando si risvegliò all’interno della caverna era distrutto. Il suo corpo era interamente ricoperto di graffi, tagli e ferite più o meno profonde. L’armatura che avrebbe dovuto proteggerlo era ridotta a brandelli, il pugnale aveva la lama storta e scalfita. Non avrebbe comunque potuto usarlo; degli anelli di roccia gli circondavano i polsi e le caviglie e lo immobilizzavano, inchiodati alla parete. I suoi piedi non toccavano terra, e la posizione in cui era costretto era faticosa e scomodissima. Doveva tenere la schiena inarcata per evitare che le rocce appuntite gli graffiassero ulteriormente la pelle. Max sollevò lo sguardo, senza riuscire a muovere la testa, ed esplorò rapidamente la stanza di roccia. 
Era piccola, di sicuro non era l'unica stanza della caverna. C'erano due porte, una grande alla sua destra, e una più piccola alla sua sinistra, dove sarebbe passata a fatica una persona. Dalla grande apertura a destra sembrava si diramasse un lungo corridoio, dalla cui fine entrava un po' di luce. Un silenzio surreale abbracciava quel luogo, come se lui fosse stato l'unico essere vivente nella quiete disperata di quella trappola oscura. A Max sembrava che quel silenzio fosse strano; lo percepiva vivo, come se stesse cercando di dirgli qualcosa. Alzò gli occhi al limite del possibile, con la testa abbandonata inerte sul petto, fino a quando riuscì a distinguere un'immagine che lo folgorò, lasciandolo travolto da un'onda di panico. Di fronte a lui c'erano altri prigionieri, incatenati alla parete. I loro occhi lo fissavano, vuoti, le loro bocche si aprivano in grida mute. Erano rinchiusi in bozzoli di ghiaccio, che riluceva della fioca luce della caverna mandando bagliori sinistri. Max fu scosso dai brividi, e abbassò subito gli occhi, sentendo il cranio perforato da quegli sguardi senza speranza.
Poi il silenzio si interruppe. Erano dei passi, che risuonavano secchi sui muri di pietra e ghiaccio. Max sentiva il sangue scivolare da una ferita superficiale vicino al sopracciglio sinistro. La pelle bruciava; al limite del campo visivo intravedeva una nuvoletta rossa che si disperdeva nell'acqua. Max attese nella calma angosciante dei suoi pensieri che quei passi si avvicinassero. Non poteva che essere Lui, e senza saperne il perché, Max sentiva che la sua meta era in quella stanza, davanti al corpo martoriato di un prigioniero che attendeva il suo destino. 
I passi si arrestarono dietro la piccola porta di sinistra, e nella stanza fece il suo ingresso Darcon, l'uomo che teneva in stallo il mondo intero. Max gli rivolse uno sguardo d'odio stanco, come se non avesse avuto energie nemmeno per quello. Il Signore del Ghiaccio lo squadrò soddisfatto, con i tratti del viso rilassati quanto glielo permettevano le numerose cicatrici che gli attraversavano la carne. Il suo volto sembrava un arazzo intessuto di simboli incomprensibili che solo lui avrebbe potuto decifrare, il significato dei ghirigori blu di tessuto cicatriziale apparteneva a lui soltanto. Guardava Max come si guarda un trofeo, e lui era uno dei suoi trofei più belli. 
– Alla fine arrivate tutti alla mia mercé... Uno... dopo... l'altro. – commentò con falsa aria annoiata, come se nemmeno i suoi successi gli interessassero più di tanto. Parlava con tono di voce grave, lentamente, dando ad ogni parola lo stesso, fatale, peso. Il suo volto si illuminò, acceso da una gioia folle. 
– Bravo, il mio nuovo assistente, non é vero? – sibilò, alludendo a Julian. Max si sentì invadere dalla furia, ma non disse nulla. – Nemmeno io so perché ho aspettato così tanto, ma ora sta andando tutto secondo i piani. – Darcon si riscosse e puntò lo sguardo dritto su Max. 
– Sai cosa vorrei, Generale? Vorrei che Aquarius potesse vedere dove sta finendo il suo regno, vorrei che potesse vedere te in questo momento, come tu lo hai visto morire sotto i tuoi occhi. – la serietà e l'odio nella sua voce e nel suo atteggiamento furono spazzati via da una risata gutturale, bassa e strascicata. Darcon scacciò via il pensiero agitando una mano. 
– Mi accontenterò di vedere la faccia della principessa, quando sarà qui e ti vedrà. – Max sussultò e il suo corpo urlò di dolore. Ecco perché non era morto, ed ecco perché Darcon non lo voleva uccidere, almeno non subito. Voleva la distruzione di due persone insieme, nel modo più plateale e doloroso possibile. 
Nemmeno lui avrebbe saputo dire come, ma dalle labbra di Max uscì un lamento strascicato, che traeva con sé l'eco di qualcosa di grande, potente: 
– Conosci il tuo destino. – sussurrò il prigioniero tra i denti, contraendo il viso in una smorfia. Quelle parole sussurrate, fiacche, suonarono invece forti e pregne di una minaccia invincibile. 
– E chi é il destino per dirmi quello che devo fare? – gridò Darcon, esplodendo di rabbia. – Io sono il mio destino, e io distruggerò questa dannata città, prendendo per me tutti i poteri che il Dragone non mi permette di avere. Io diventerò la Leggenda, e a quel punto non sarò inferiore nemmeno al Dragone! – l'eco delle sue parole si perse lungo i corridoi della caverna di ghiaccio, rimbalzando sulle pareti e tornando indietro deformate, inquietanti. Max trasalì, e seguì con orrore Darcon che si voltava e muoveva qualche passo verso il capo opposto della stanza.
– E ora, Generale... – sussurrò l'uomo, giocando con le parole come fossero sue servitrici. – ...é arrivato il momento di dire addio alla tua gloria! – gridò.
Per tutto quel tempo, Max non era riuscito a sostenere il peso del capo, ma quando Darcon si girò di scatto verso di lui e dalla sua mano aperta si sprigionò un'esplosione di cristalli di ghiaccio, il prigioniero alzò il volto, e affrontò il nemico a testa alta. 
Quell'aria di sfida rimase impressa nel ghiaccio eterno, a suggellare la sconfitta del più giovane e valoroso re che Atlantis avesse mai avuto.
   
 
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