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Autore: Rubysage    12/09/2020    0 recensioni
Guardati le spalle, Legolas! Tuo fratello ti odia e cercherà di distruggerti anche a costo di risvegliare il Male che dorme! Vecchi e nuovi amici si schiereranno al tuo fianco e ti accompagneranno in quest'ultima, terribile avventura...azione, dramma, colpi di scena e il giusto pizzico di sentimento per una storia FINALMENTE CONCLUSA dopo 17 anni!
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Legolas, Nuovo personaggio
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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34. Rinascita

 

 

Can't see nothin' in front of me
Can't see nothin' coming up behind
Make my way through this darkness
I can't feel nothing but this chain that binds me

 

(Bruce Springsteen, “The Rising”)

 

 

L’aria gelida che, sopra le montagne, sferzava il volto di Radagast era così pungente che lo stregone faticava a tenere aperti gli occhi. Con una mano reggeva il bastone, sulla cui punta la pallida luce azzurra cresceva di intensità con l’avvicinarsi alla meta, con l’altra stringeva più forte che poteva il folto e morbido piumaggio di Gwaihir. Radagast adorava volare, ma non era mai riuscito ad abituarsi alla sensazione di vuoto allo stomaco che gli provocavano le improvvise planate e le velocissime ascese che il Signore delle Aquile compiva senza preavviso. Si voltò verso Valerius, che si teneva stretto al suo torace al punto da bloccargli il respiro; a giudicare dal suo colorito verdognolo, il giovane se la stava passando decisamente peggio di lui.

-Cerca di coprirti un po’ di più – disse ad alta voce lo stregone, temendo che Val non udisse le sue parole – Non manca molto e se arriverai a destinazione già congelato temo che non ci sarai di grande utilità! -

Valerius non si mosse e borbottò qualcosa sull’allacciarsi meglio il mantello, che ora gli svolazzava alle spalle. Radagast non comprese le sue parole ma gli bastarono per capire che era ancora vivo. Lo stregone annuì e tornò a guardare davanti a sé, gli occhi ridotti ad una sottilissima fessura tra le palpebre. Lentamente si guardò intorno, sperando che il nemico non gli fosse già addosso; di certo Fermanagh, che ormai disponeva di poteri molto più grandi di quanto lui poteva immaginare, non avrebbe impiegato molto a capire dove erano diretti. Un mezzo di trasporto più discreto forse li avrebbe aiutati a passare inosservati; del resto lo stesso Gandalf aveva evitato di proporre alle Aquile di condurre Frodo a Monte Fato per lo stesso motivo, un essere così grande e potente avrebbe potuto essere molto più facilmente intercettato rispetto ad una piccola compagnia di viandanti. Ma il tempo era ormai contro di loro ed ogni minuto che passava rischiava di avvicinarli alla fine.

La luce azzurra del bastone si fece ancora più intensa.

- Tieniti forte, ora scendiamo – disse Radagast mentre Gwaihir planava curvando verso una parete rocciosa coperta di neve.

Val annuì senza che lo stregone potesse vederlo e strinse forte gli occhi. Il gelo gli bruciava la pelle del viso, ma in quel momento era il minore dei suoi problemi; l’essere sospeso nel vuoto lo terrorizzava e gli provocava dei violenti spasmi allo stomaco che riusciva a trattenere a fatica. Oltretutto era preoccupato per Polo, che sperò fosse ancora rannicchiato nel suo taschino, ma non aveva il coraggio di staccare una mano dalle morbide piume dell’Aquila e portarsela al petto per assicurarsene. Fortunatamente per entrambi, Polo pensò bene di appallottolarsi il più possibile sul fondo del taschino, artigliandone la stoffa con una zampa. Quel movimento rincuorò un po’ il giovane che cercò di concentrarsi il più possibile sulla missione che avrebbe dovuto compiere. Radagast, prima della partenza, gli aveva spiegato tutto: la grotta, le punte di ghiaccio, il Silmaril. Il tutto più velocemente possibile poiché il nemico non avrebbe tardato molto a trovarli, e il pensiero gli provocò una stretta al petto che gli mozzò quasi il respiro.

Chiuse gli occhi e cercò di richiamare alla mente l’unica immagine che gli potesse essere di conforto in quel momento: il viso di Rhiannon, con la sua tipica espressione corrucciata che veniva sbugiardata dallo splendere dei suoi occhi brillanti e pieni di vitalità.

Non voglio ricordarti. Voglio rivederti.

-Ci rivedremo, te lo prometto – sussurrò tra sé Valerius – In questa vita o nell’altra, se ne esiste una... -

Sorrise pensando a quelle parole, a quanto avrebbe voluto trovare il coraggio per dirgliele di persona; ma quel sorriso, come era nato, si spense con un improvviso scossone che rischiò di fargli perdere l’equilibrio. Un lampo d’acciaio si era abbattuto contro il fianco di Gwaihir, che aveva perso la direzione inclinandosi pericolosamente di lato. Val si strinse ancora di più contro la schiena di Radagast spingendolo in avanti; lo stregone soffocò un’imprecazione e, dopo essersi rapidamente guardato intorno, sollevò il bastone creando rapidamente una scudo luminoso per proteggere l’Aquila e i suoi passeggeri dal secondo colpo, che arrivò altrettanto improvvisamente.

-Là!! - gridò Radagast indicando una stretta apertura nella parete rocciosa – Gwaihir, avvicinati il più possibile! E tu, Val, preparati a saltare! -

Il giovane, ancora scosso, recepì a malapena le parole dello stregone. Questa volta l’istinto gli fece portare una mano al taschino stringendo nella fodera il corpicino tremante di Polo, quasi per proteggerlo, ma un terzo, violento scossone gli fece perdere l’equilibrio. Il giovane si aggrappò, urlando, al mantello di Radagast, sbilanciandolo verso un fianco e costringendo Gwaihir ad inclinarsi per non far cadere i suoi passeggeri. Il tutto complicato dal fatto che il Signore delle Aquile era costretto a schivare i numerosi colpi che, in forma di lampi color acciaio, arrivavano da ogni parte.

-Ci siamo! - gridò infine Radagast – Val, quando ti dico di saltare, salta!! -

-Cosa?! - rispose Valerius. Il giovane, che capiva a malapena dove si trovasse, aveva la vista completamente appannata e la testa che gli girava vorticosamente.

-Ora! SALTA! -

Aiutato dall’ultima planata di Gwaihir, molto vicina al punto in cui dovevano dirigersi, Radagast balzò a terra, tirandosi dietro il giovane che gli era rimasto aggrappato come un fagotto, mentre l’aquila si allontanava. Entrambi rotolarono sull’ampio spiazzo ricavato sulla roccia, fermandosi al limite del bordo, e lì rimasero un istante ansimanti per il dolore. Stordito, Val si rimise in piedi barcollando tra il sottile strato di neve ghiacciata e le rocce. Si portò una mano al petto: il ciondolo con il Silmaril era ancora appeso al suo collo. Poi si guardò intorno e vide le frecce sparse tutt’intorno e l’arco di Legolas, fortunatamente intatto, a pochi passi da lui.

-Polo? - disse Radagast rialzandosi a fatica mentre il giovane recuperava le sue armi.

Val si portò di scatto una mano al taschino, terrorizzato all’idea di aver schiacciato con il suo peso, durante il salto, il povero topo. Ma il taschino era vuoto.

Il giovane impallidì. - Polo!! - gridò, guardandosi intorno con gli occhi spalancati.

Un debole squittio gli giunse alle orecchie da dietro un sasso. Barcollando nella sua direzione, il giovane si chinò per raccogliere il topolino, giusto in tempo per evitare l’ennesimo colpo da parte di Fermanagh, che si schiantò sulle rocce circostanti. Val si rannicchiò dietro un masso, stringendo Polo, tremante, tra le mani. Radagast gli fu accanto in un istante.

-Vedi quell’apertura nella parete rocciosa alle nostre spalle? - sussurrò lo stregone ansimando - E’ lì che dovrete andare. Uscite da qui esattamente quando ve lo dirò io. -

-Ma… -

-Ora!! -

Radagast diede un forte spintone a Val che rotolò via da dietro il masso che lo proteggeva e balzò oltre con un’agilità inimmaginabile, stringendo il bastone con entrambe le mani.

Poi tutto accadde in un istante.

Non appena i suoi piedi toccarono terra, lo stregone lanciò un grido selvaggio e puntò il bastone dritto davanti a sé; dalla pietra che portava sulla sommità si sprigionò un cono di luce azzurra che fece da scudo contro cui il lampo d’acciaio di Fermanagh si schiantò, venendone respinto. Radagast venne spinto all’indietro ma non cedette.

Valerius giaceva bocconi, incapace di rialzarsi dalla paura e dallo stupore.

-Che accidenti stai facendo?! Muoviti!! - urlò Radagast, trattenendo il bastone con uno sforzo quasi inumano.

-Ma...dov’è?! - esclamò Val.

Radagast indietreggiò senza abbassare la guardia finché fu di nuovo accanto al ragazzo. I due si guardarono intorno con circospezione; Val si rialzò lentamente in piedi e rimise Polo, tremante di paura, nel taschino. Il silenzio che li circondava gli parve quasi innaturale.

-...Se n’è andato? - bisbigliò il topolino.

-No – rispose Radagast – Ma voi dovete farlo prima che… -

Non riuscì a terminare la frase. Da un punto imprecisato all’orizzonte il lampo d’acciaio schizzò nella loro direzione e improvvisamente si divise in due parti, ognuna delle quali atterrò a breve distanza dai tre compagni.

Come rocce sottili conficcate nel terreno, le due propaggini di Fermanagh si modellarono lentamente in due figure umane.

Radagast raggelò e imprecò tra sé appena ebbe capito di chi si trattava.

- Maledetto! – gridò con voce tremante dalla rabbia - Qual è il tuo gioco adesso?! Parla!! -

Val non riusciva a staccare gli occhi dai due uomini che ora li fissavano con sguardo vitreo, immobili come statue.

-Chi diavolo sono?! - disse, stringendo una spalla allo stregone che taceva.

-Hai davanti a te Aragorn, figlio di Arathorn, Signore di Gondor, e il suo Sovrintendente Faramir, figlio di Denethor – disse infine Radagast a denti stretti - O meglio, quelli sono i loro corpi, i loro involucri...interamente posseduti da Fermanagh, che ne farà ciò che vorrà. E’ andato a prenderli ed è tornato...in un lampo, letteralmente. Temo che quel maledetto non sia ottuso come credevo...e che si voglia divertire con noi, prima di finirci. -

Val sbiancò in volto e capì. Avrebbero dovuto combattere contro i loro stessi alleati. Non avrebbero potuto uccidere Fermanagh a meno di non uccidere chi invece gli era amico: avrebbero potuto solo difendersi.

-Ascoltami – disse Radagast afferrando Valerius per una spalla – Io cercherò di coprirti come meglio potrò. Tu pensa a ripristinare il Sigillo...e non voltarti mai indietro, qualunque cosa mi accada. -

Val annuì, facendo appello a tutto il suo coraggio, senza riuscire a staccare gli occhi dal Sovrintendente e dal Re che avanzavano lentamente verso di loro sguainando le spade.

-Non avete nessuna possibilità – dissero ad una sola voce, quella metallica e stridente di Fermanagh – Quindi penso che mi divertirò un po’ con voi...prima di distruggervi. -

- Vai ora – sussurrò Radagast stringendo il bastone fino a farsi sbiancare le nocche.

Val lo guardò come se non avesse capito le sue parole.

- VAI!! -

Lo stregone puntò il bastone contro Aragorn cercando di colpirlo con la sua luce azzurra, ma il Re lo evitò piegandosi di lato ad una velocità mai vista e gli corse incontro urlando di rabbia. Nello stesso istante Faramir si lanciò verso Valerius, che era fuggito verso l’apertura della grotta. Il Sovrintendente gli fu addosso in un attimo ma Val lo colpì alla tempia con l’arco di Legolas, facendolo cadere di lato. Poi si rifugiò dietro ad un masso, ansimante, con le gambe che gli tremavano, mentre Faramir si rialzava come nulla fosse. Poco più in là, Radagast lottava incessantemente contro Aragorn, che gli si faceva sempre più vicino.

-Cosa credi di ottenere? - disse Faramir – Io posso cadere e rialzarmi ogni volta che voglio...al contrario di te! -

La mente di Valerius lavorava in maniera furiosa per trovare una via d’uscita da quella trappola. Le sue uniche armi erano la sua corta spada e l’arco e le frecce di Legolas: tutte perfettamente inutili, le armi erano inutili se voleva risparmiare la vita sia al Sovrintendente di Gondor che al suo Re, o a ciò che ne restava.

Ma se falliremo, che ne sarà di loro?

Era tutto troppo veloce per lui.

Con mani tremanti incoccò una freccia all’arco e ne tese con fatica la corda di capelli elfici: poi trattenne il respiro e mirò alla mano con cui Faramir impugnava la spada. La freccia partì sibilando e centrò l’elsa, lasciando stupefatto lo stesso Val; se quell’arma non era magica, ci andava molto vicino. Ma nemmeno le frecce di Lothlòrien potevano qualcosa contro la forza sovrumana di Fermanagh: Faramir barcollò ma non cadde, né mollò la presa.

Valerius ripose l’arco imprecando e portò la mano al fianco cercando la spada, ma la mano gli finì sulla fiaschetta di liquore che Rhiannon gli aveva donato prima della partenza.

Un’idea gli attraversò la mente come un fulmine.

Non funzionerà mai, pensò il giovane, ma ci devo provare.

Più velocemente possibile prese la fiasca e ne rovesciò una parte del contenuto sulla punta di una freccia; poi, con un unico, forte colpo, sfregò la stessa punta contro il masso, a mo’ di acciarino, e le scintille a contatto con la forte bevanda la fecero prendere subito fuoco. Incoccando la freccia all’arco, Val fece un rapido calcolo mentale della distanza che lo separava da Faramir.

Valar, fate che questa pazzia funzioni, pregò il giovane.

Quindi lanciò in aria la fiasca con ciò che rimaneva del liquore e appena credette che si trovasse nel punto giusto incoccò e scoccò la freccia infuocata, che trapassò la fiasca di pelle proprio sopra la testa di Faramir.

In un attimo il liquido si incendiò e cadde come una pioggia infuocata sulla testa del Sovrintendente, appicandosi ai suoi vestiti.

Faramir si guardò attorno senza capire cosa gli stava succedendo e colpendosi con le mani i vestiti che stavano prendendo fuoco.

Val sorrise e trasse un sospiro di sollievo ringraziando i Valar per averlo ascoltato, ma soprattutto l’arco di Legolas che sembrava aver guidato la sua mano, e per un breve istante gli vennero in mente gli strani versi che Radagast canticchiava tra sé e sé la sera precedente.

-Frecce spezzate e bottiglie di pioggia...forse ho trovato un senso a quella stupida canzone! - disse, sperando quasi che lo stregone, troppo impegnato in una lotta senza quartiere con Aragorn, lo potesse sentire.

Ma il senso di sollievo durò poco; il giovane sapeva che quel poco tempo guadagnato non era sufficiente.

Doveva prendere una decisione, e doveva prenderla in fretta. Faramir, che si stava già rotolando nel

sottile strato di neve per spegnere le fiamme che lo avevano avvolto, avrebbe recuperato presto i suoi poteri.

Troppo presto, pensò Val.

Doveva prendere una decisione, e la prese.

Si slegò il ciondolo con il Silmaril dal collo e, dopo aver tirato fuori dal taschino un Polo terrorizzato e tremante, glie lo legò addosso.

-Mi dispiace, piccolo. Avrei voluto risparmiarti tutto questo. Ma ora tocca a te. – disse.

Polo capì. - Non ho scelto di venire per restarti nascosto addosso – disse, facendo appello al poco coraggio che gli era rimasto.

Val sorrise amaramente. - Sai cosa devi fare. Loro pensano che lo abbia io – disse, indicando il Simaril – Farò in modo che continuino a crederlo fino alla fine. Ma tu corri. Corri più veloce che puoi. -

Polo annuì con la sua testolina. L’aveva già fatto, nella fuga da Minas Tirith; ci sarebbe riuscito di nuovo. Ma mentre scendeva di corsa dalla mano del giovane e schizzava velocissimo in direzione della grotta, il topolino sapeva in cuor suo che non avrebbe mai più rivisto né Val né gli amici che aveva trovato in quell’ultimo, terribile periodo.

Arrivato all’ingresso, prima di imboccare la galleria che gli si apriva davanti, si fermò e si voltò un’ultima volta a guardare Valerius, che usciva dal suo nascondiglio e, spada in pugno, si preparava per l’ultima volta ad affrontare la seconda incarnazione del demone d’acciaio.

Scosse la testa e continuò la sua corsa nell’oscurità del tunnel.

Non doveva finire così, pensò. Perchè proprio noi? Perchè proprio io?

Ad un tratto l’oscurità del tunnel parve diradarsi, ma non cancellò quel pensiero cupo.

Polo continuò a correre.

Quanto vorrei che nulla di tutto questo fosse successo...vorrei tanto essere a casa, nella Contea, a fumare della buona erba-pipa invece di sognare di giocare al grande mago…E che il piccolo Galien fosse al sicuro con sua madre e suo padre, e Rhiannon…

Al pensiero della ragazza aggrottò la sua piccola fronte da topo. Non le era mai piaciuto, ma a lei non sembrava piacere mai nessuno. In ogni caso, aveva sofferto anche troppo. Aveva ritrovato Val, e ora lo stava perdendo di nuovo.

Non è giusto!

Ad un tratto, ciò che Polo cercava apparve davanti ai suoi occhi. La galleria si allargò in una caverna illuminata dal bagliore di una sorta di clessidra di ghiaccio fatta da due coni appuntiti e uniti per i vertici, tra i quali però si trovava un piccolo spazio fatto apposta per accogliere il Silmaril.

Polo si fermò, senza fiato, ad osservare quella strana costruzione. Rabbrividì, ma non per il freddo; sapeva di essere giunto alla fine della sua missione.

Si drizzò sulle zampe posteriori e, con le anteriori, tastò la pietra che Val aveva legato al suo corpo. Era grande quasi come la sua testa e, con la corsa, era arrivata a penzolargli sul petto. Poi guardò i coni di ghiaccio, la loro superficie liscia e lucente: come arrivare lassù? E come mettere al suo posto il Silmaril, visto che non sapeva nemmeno come slegarselo di dosso?

Il suo cuore accelerò il battito e il suo respiro si fece più affannoso nella paura. Si guardò intorno finché vide uno spuntone di roccia staccarsi dalla parete della grotta.

Deglutì.

Era abbastanza vicino.

Poteva farcela. Doveva farcela.

Avrebbe voluto chiudere gli occhi mentre si arrampicava velocemente sulla parete rocciosa e prendeva la rincorsa, avrebbe voluto chiuderli durante il salto da quella piattaforma improvvisata e lo fece, alla fine, mentre si afferrava alle punte di ghiaccio e incastrò il Silmaril, ormai tutt’uno con il suo corpicino, tra esse.

Avrebbe voluto pensare ai capelli di Rosie Cotton, alla birra del Drago Verde, agli alberi sotto cui si sdraiava al tramonto a fumare la pipa.

Non doveva succedere, pensò invece. Vorrei che non fosse mai successo niente di tutto questo.

Poi ci fu un’esplosione di luce e tutto scomparve.

 

 

 

...sky of memory and shadow

(a dream of life)

your burnin’ wind fills my arms tonight...*

 

 

 

Rhiannon ebbe una strana sensazione, come se qualcuno le avesse ordinato di svegliarsi dopo un lungo sonno. Si sentiva la testa leggera, quasi galleggiante nel vuoto, ma forse era solo l’emozione del momento, pensò.

Quale momento?

Ebbe un brevissimo istante di consapevolezza che scomparve come era giunto e tornò definitivamente nel presente.

O in quello che pensava fosse il presente.

I ricordi andavano e venivano. Volti amati, volti odiati, volti che non avevano più un nome. E che da un momento all’altro avevano smesso di esistere, almeno nella sua mente.

Il sogno era finito.

Se solo ricordassi quale…

Valerius era dritto davanti a lei e la guardava, ancora più confuso.

-Anche tu eri nel mio sogno – gli sussurrò Rhiannon, seria.

-Sì... – rispose Val. Poi sembrò scuotersi dal torpore e riprendere coscienza di sé. – Sì. Hai detto di sì… - aggiunse.

Rhiannon aggrottò la fronte, come se cercasse di ricordare. Quelle parole avevano un senso, ma in quel momento le sfuggiva. La sua mente era un rompicapo in cui quasi tutti i pezzi erano al loro posto tranne uno, quello fondamentale.

Si guardò intorno: nella Locanda dei Tre Passi il tempo sembrava quasi essersi fermato. Cercò la sua solita sicurezza negli occhi di Potter, che la fissava a sua volta attonito e immobile, appoggiato al bancone come se faticasse a reggersi in piedi; gli altri pochi avventori, Finbar, Frey e Yain, sembravano partecipare a tutto quel complicato gioco di sguardi sorpresi.

-Potter…? - disse la ragazza.

L’uomo trasse un profondo respiro e le rivolse un sorriso rassicurante.

-Beh, ragazza mia...questa sì che è una sorpresa! - disse.

Rhiannon si portò una mano alla tempia. - Sopresa..? -

Tornò a guardare Valerius, che, a differenza di tutti gli altri, non sorrideva, ma sembrava ancora più confuso di prima.

Il giovane scosse leggermente la testa. - Non chiedermi niente – sussurrò. E Rhiannon capì che Val era confuso quanto lei.

-Qualcuno vuole spiegarci cosa sta succedendo?! - sbottò infine la ragazza.

Finbar scoppiò a ridere. - Non dirci che hai già cambiato idea! - esclamò.

-No! - disse Val, quasi con disappunto, ma si bloccò all’istante, come se avesse di nuovo perso e ritrovato la consapevolezza del momento che stava vivendo.

Potter alzò una mano che tremava impercettibilmente. - Rhiannon – disse – Forse non te ne sei accorta, ma si dà il caso che il qui presente Valerius ti abbia chiesto per l’ennesima volta di sposarlo. E fin qui niente di strano, è una scena a cui ormai siamo tutti abituati. Se non che…-

I due giovani trattennero il fiato.

-...stavolta hai detto . -

Sì.

E la mente dei due giovani si snebbiò del tutto, lasciando che il turbinare di vaghi ricordi e volti senza nome che aleggiavano intorno a loro svanisse per sempre.

Certo, pensò Rhiannon, cosa c’è di strano?

Era giunto il momento di mettere un po’ di ordine nella sua vita. Non sapeva come, ma all’improvviso aveva lasciato andare tutto il suo passato; Roslyn era morta e il suo grande amore non sarebbe tornato da lei, mai più. Perchè farsi del male con false speranze?

E poi, in fin dei conti, voleva bene a Val, anche se era sempre stata così stupidamente orgogliosa da non volerlo ammettere nemmeno a se stessa. E lui ne voleva a lei, da sempre.

Lo guardò nei suoi brillanti occhi neri e le parve di aver condiviso con lui molto più di quello che aveva condiviso con Eomer.

Il ragazzo le sorrise, con il cuore sulle labbra.

-Sì – disse Rhiannon – Ma a due condizioni. -

-Quali..? - disse Val sospirando e alzando gli occhi al soffitto.

Rhiannon tornò a guardare Potter, l’uomo che era stato tutta la sua famiglia, la sua luce guida negli anni più bui; non aveva smesso di sorridere, come per incoraggiarla ad andare avanti.

-Primo, scordati che ti faccia da serva: in famiglia dovremo aiutarci tutti quanti, chiaro? Soprattutto quando avremo dei figli. -

Figli?!

Val spalancò gli occhi e soffocò un’esclamazione di sorpresa. Le aveva semplicemente chiesto di sposarlo, immaginando l’ennesimo rifiuto e lei gli stava già parlando di figli?

-E mi lascerai tornare qui alla locanda ogni volta che vorrò. Potter è vecchio, non ce la farà mai a mandare avanti la baracca senza di me. Chiaro? -

-Vecchio?! - protestò Potter.

I due lo ignorarono.

-Ogni volta che vorrai – rispose Val sorridendo. Ecco la Rhiannon che conosceva, la sua Rhiannon. Prese delicatamente una mano della ragazza e intrecciò le sue dita con quelle di lei.

Rhiannon le strinse forte, ricambiando il sorriso.

E’ ora di tornare ad essere felici, pensò.

 

 

...sky of longing and emptiness

(a dream of life)

sky of fullness, sky of blessed life...*

 

 

E’ ora di tornare ad essere felici, pensò.

Legolas si svegliò con quella frase in mente e un dolore lancinante nel petto, come se qualcuno gli stesse dilaniando l’anima con un coltello, un contrasto di emozioni che non riusciva a capire né affrontare.

Una mano leggera gli accarezzò la guancia; d’istinto, l’elfo sussultò e si ritrasse da quel tocco mettendosi a sedere di scatto, con il cuore che batteva all’impazzata.

-Legolas…? -

Inspirando profondamente cercò di calmarsi e mettere a fuoco la figura che gli stava accanto nel buio della stanza, illuminata solamente dalla pallida luce della luna.

Anìrwen lo guardava preoccupata: era la prima volta che il suo sposo si sottraeva da una sua carezza.

Anìrwen.

Legolas non sapeva perché, ma si sentì sollevato nel vederla lì, vicino a lui, nel loro letto. Perchè era là che si trovavano, dove se non nella stanza che condividevano da anni, anche se per un breve istante l’elfo aveva provato l’inquietante sensazione di non doversi trovare lì in quel momento.

O meglio, la sensazione che lei non avrebbe dovuto trovarsi lì. Nè lui né lei avrebbero dovuto trovarsi lì, nudi, nel loro letto...

-Un incubo? - disse dolcemente Anìrwen.

-Non lo so. Ma fa male – rispose lui, tremando – Troppo male. -

-Cosa ricordi?-

-Nulla. Come...come un salto nel vuoto. -

Lei non disse nulla ma il suo volto, dapprima teso, si rasserenò. Sorrise e lasciò nuovamente scorrere le dita sul viso confuso di Legolas, che questa volta glie lo permise, indugiando sulla sua fronte.

-Domani ci aspetta un lungo viaggio; e questo, per te, è stato un periodo molto impegnativo, carico di preoccupazione e di aspettative. - disse poi, incapace, nonostante il suo Dono di percepire l’origine del turbamento del suo sposo.

Legolas annuì e, pian piano, la sua mente tornò a tutto ciò che era accaduto nei giorni precedenti.

 

Era stanco, stanco da tempo. Il matrimonio con Anìrwen, la nascita di Galien e l’ascesa al trono del Bosco Atro avevano portato una ventata di novità nella sua vita ma non erano mai riusciti a cancellare quel senso di vuoto e fragilità nascosto in fondo alla sua anima e che di tanto in tanto si ripresentava, al mutare delle foglie in autunno, al morire degli alberi, al trascorrere delle stagioni.

Il periodo della bellezza immortale era finito; Legolas si trovava immobile in un mondo che mutava in continuazione, incapace di rassegnarsi all’idea di non appartenervi più, lacerato tra il desiderio che gli albergava nel cuore, il disperato desiderio di andarsene verso il mare, di raggiungere infine suo padre, e il suo dovere di sovrano.

Inoltre, per quanto solo la spumeggiante vivacità del figlio e la pazienza e dolcezza della sua sposa riuscissero a portargli un po’ di serenità, si era reso conto che anche Anìrwen doveva provare la sua stessa inquietudine. La trovava spesso a vagare con lo sguardo perso ad ovest, il pensiero sicuramente rivolto a quel che rimaneva della sua famiglia e di quella tanto agognata luce divina nella quale essi ora camminavano, ma anche se ne avevano spesso discusso lei non aveva mai voluto ammetterlo apertamente.

Doveva prendere una decisione, per il bene della sua famiglia e di coloro che, nel loro popolo, provavano il medesimo desiderio.

E la prese.

Con quanti avrebbero voluto seguirli, si sarebbero diretti verso l’Ithilien, e lì, con il permesso di Aragorn, avrebbero soggiornato almeno fino alla nascita del bambino che Anìrwen portava in grembo, elevando ad ulteriore splendore quella regione selvaggia. Poi, al momento opportuno, avrebbero fatto vela lungo l’Anduin fino al mare, esaudendo finalmente il suo desiderio, e da lì nelle Terre Imperiture. Il secondogenito di Legolas e Anìrwen non avrebbe mai conosciuto la sua terra di origine, ma non avrebbe nemmeno sofferto nel vederla sbriciolarsi sotto i suoi occhi. Forse nemmeno Galien l’avrebbe fatto, sperò Legolas.

Comunicarlo alla sua sposa e al loro figlio fu più semplice di quanto aveva previsto: contrariamente a quanto temeva, furono estremamente felici di quella decisione, lo avrebbe letto anche nei loro occhi durante i giorni successivi.

Più difficile fu comunicare ad Eredhil che gli avrebbe ceduto il trono del Bosco Atro.

-Solo se non vorrai seguirci anche tu – aveva aggiunto Legolas, sentendosi quasi in colpa per non aver consultato il fratello nel prendere quella decisione. Ma del resto lui e Eredhil si erano allontanati da tempo, nonostante il figlio minore di Thranduil si fosse sempre adoperato al meglio nell’eseguire gli ordini che il fratello gli impartiva, e nonostante Legolas avesse sempre una parola di elogio per lui.

Eredhil era rimasto completamente ammutolito, come se tutte le sue aspettative fossero tutto d’un tratto svanite e rinate. Tremando, aveva portato una mano chiusa a pugno sul cuore in un solenne giuramento e fissato il fratello negli occhi.

Quanto orgoglio e quanta gratitudine aveva letto Legolas nel suo sguardo, in quel momento...

I giorni successivi erano stati frenetici e privi di riposo, tra i preparativi per la partenza e le discussioni con Eredhil circa le direttive di governo del loro paese; infine, la sera prima di quella strana notte, la notte prima della partenza, lo aveva convocato, solo, nella sala del trono. Gli si era presentato ammantato d’argento, come amava vestirsi il loro padre, in testa la corona di foglie autunnali che invece lui non aveva mai voluto indossare, come se sentisse che non era quello il suo posto.

Prima aveva ceduto al fratello lo scettro di quercia, poi si era tolto la corona e, sorridendo, glie l’aveva posta sul capo con un sospiro, come se si fosse finalmente liberato da un peso troppo gravoso.

Eredhil, con gli occhi umidi dall’emozione, si era inginocchiato al suo cospetto, ma Legolas gli aveva stretto le mani tra le sue e costretto ad alzarsi.

-Il nostro mondo è nelle tue mani, adesso, solo nelle tue - gli aveva detto – Prenditene cura. -

-Non dubitarne – aveva risposto Eredhil, tenendo a freno le lacrime.

-Non lo farò. Non ho nessun motivo per farlo. -

Legolas sapeva di avere ragione. L’aveva veramente, lo sentiva nel profondo della sua anima.

Quindi aveva lasciato la sala con il cuore che gli batteva più forte che mai, la mente finalmente lucida e serena, aveva controllato che Galien dormisse tranquillo e infine aveva raggiunto Anìrwen nelle loro stanze.

-Siamo liberi – le aveva detto mentre la stringeva a sé, e si erano concessi un’ultima notte d’amore in quella che l’indomani non sarebbe più stata la loro casa.

E si erano infine addormentati l’uno nelle braccia dell’altra fino a quando…

 

...fino a quando si era svegliato con quel terribile malessere nel corpo e nella mente, un malessere che nemmeno il dolce viso della sua sposa riusciva a scacciare.

-Credo che tu abbia semplicemente bisogno di riposare. Forse avremmo dovuto farlo entrambi invece di… - Anìrwen si interruppe e abbassò lo sguardo sorridendo timidamente; poi si portò il lenzuolo al petto, un gesto di ingenuo e inconsapevole pudore che suscitò nel suo sposo un’immensa tenerezza.

Legolas conosceva bene quel corpo che lei tentava invano di coprire e che stava sbocciando in tutto lo splendore della gravidanza; la pelle luminosa, i seni più colmi, la lieve rotondità del ventre.

Le sorrise dolcemente e la guardò con lo stesso amore con cui la guardava fin dal primo giorno, ma non riusciva comunque a nasconderle il suo turbamento.

D’istinto prese la mano della sua sposa, appoggiata al letto.

Ho tanto desiderato di poter stringere le tue mani ancora una volta…

Scosse la testa. Cosa significava tutto questo?

-Conosci quella sensazione che ti prende quando svanisce un incubo? Tu non lo ricordi già più, ma il malessere che lo accompagna rimane e non capisci perché, né da dove provenga...ma lo senti così reale fino a quando sparisce anch’esso, facendoti perfino dubitare che sia mai esistito, se non fosse per il suo ricordo. Ti è mai successo? -

Anìrwen lo guardò negli occhi,tolse la mano da sotto la sua e glie al pose, leggera, sul petto. Immediatamente il cuore in subbuglio di Legolas si calmò e il suo respiro tornò regolare.

-Solo in parte – rispose poi la fanciulla – Perchè al mio risveglio c’eri sempre tu accanto a me. -

Allora l’Elfo sentì il suo cuore traboccare d’amore per la sua sposa, e capì quanto era sciocco.

Gli tornò in mente la frase che gli si era fissata nella mente al suo risveglio; era vero, sarebbero stati di nuovo felici, ma quando mai lui era stato veramente infelice?

Accarezzò il viso di Anìrwen e la rivide in tutto ciò che era stata per lui.

Lei, che per amore di Legolas aveva lasciato tutto e l’avrebbe fatto di nuovo.

Lei, che gli aveva dato uno splendido figlio, luce dei suoi occhi, e ne portava un altro in grembo.

Lei, che era l’unica persona al mondo a cui bastava uno sguardo per riportare la pace nel suo cuore e nella sua mente.

Lei, era lei la sua pace.

Bosco Atro, Ithilien, Terre Imperiture, non importava dove purché Anìrwen fosse al suo fianco.

E Legolas capì anche da dove proveniva il dolore che aveva provato: dall’idea, inconsapevole e devastante, che un giorno avrebbe potuto perderla, che non non l’avrebbe potuta rivedere mai più.

No.

Non doveva succedere, non a lei, non a loro, mai.

E non sarebbe successo.

Pose la mano su quella di Anìrwen e se la strinse al petto. Era un gesto che condividevano da sempre; il mio cuore ti appartiene, significava, e non me lo riprenderò.

Poi la abbracciò e lasciò che lei si rannicchiasse nelle sue braccia; baciandole la fronte la strinse a sé, per sentire la pelle della fanciulla contro la sua, fremendo in una sensazione di appartenenza reciproca.

-Ti amo. Ti amo, ti amo, ti amo… - le sussurrò poi sulle labbra, prima che lei glie le chiudesse dolcemente con un bacio.

 

 

A dream of life comes to me

like a catfish dancin’ on the end of my line...*

 

 

L’immagine turbinò e si dissolse, mentre Radagast sollevava la punta del suo bastone dallo Specchio di Galadriel, lasciando che l’acqua tornasse immobile.

-Bene – disse lo stregone, raddrizzando la schiena – Direi che ora possiamo concedere ai nostri amici un po’ di discrezione. -

Il giovane hobbit riccioluto al suo fianco arrossì e si ritrasse, imbarazzato.

-Andiamo, Polo – disse Radagast sistemando i finimenti del suo cavallo, ma Polo non lo seguì.

-Radagast… - disse lo hobbit, incapace di distogliere lo sguardo dal bacile di pietra – Ehm...perchè credi che lo Specchio ci abbia voluto mostrare proprio quelle immagini? Voglio dire… -

Lo stregone sorrise. - Capisco cosa intendi. Beh, lo Specchio non sceglie cosa mostrare, lo fa e basta, a volte ascoltando il cuore di chi vi guarda. Credo che abbia voluto farci vedere quello che hanno provato i nostri compagni nel momento della loro...rinascita, se mi passi il termine. -

-Quindi quello che abbiamo visto appartiene al loro passato? -

-Al loro passato, al loro futuro...o al loro presente, questo ancora non possiamo saperlo. Ricorda: lo Specchio mostra cose che furono, cose che sono e cose che devono ancora essere, ma noi non siamo in grado di stabilire a quale periodo appartenga ciò che vediamo. -

-E Aragorn? Faramir, Eowyn…? Come possiamo essere sicuri che tutto sia tornato al suo posto? - lo incalzò Polo raggiungendolo e tirandolo per il mantello.

Radagast gli pose una mano sulla spalla. - Non possiamo essere sicuri di niente. Credo che lo Specchio non abbia voluto mostrarceli perché nel loro cuore sono stati meno colpiti da ciò che è accaduto. Ma credo che la dimostrazione più evidente che le cose sono cambiate sia che tu sei qui, Polo. E che non sei più un topo. -

Lo hobbit sorrise, grattandosi i disordinati capelli neri. - Mi sembra ancora impossibile. E’ come...essermi svegliato da un brutto sogno. -

-E hai svegliato anche tutti gli altri, permettendone il ritorno alla normalità. Tu hai desiderato che nulla fosse successo e nulla è successo, inclusa la tua trasformazione. Ancora una volta il piccolo popolo della Contea ha avuto una parte fondamentale nella salvezza della Terra di Mezzo... -

Polo parve ignorare quest’ultima frase, anche se in cuor suo lo sapeva e ne era orgoglioso.

-Ma io non ho avuto la stessa reazione di Rhiannon e Legolas. Io ricordo tutto, perché loro no? -

-Perchè, per quanto la loro vita sia stata sconvolta dal potere del Silmaril, tu ti sei trovato a strettissimo contatto con il suo potere nel momento in cui hai ripristinato il Sigillo. Ne sei stato completamente investito. E forse è un bene che sia stato così, perché il ricordo di quello che hai passato ti impedirà di commettere la stessa sciocchezza in futuro… -

-Come hanno fatto gli altri? -

-Quello che gli è successo è dipeso da loro in minima parte, Polo. -

Lo hobbit si incupì. - Eredhil… -

-Lui ha avuto quello che desiderava fin dall’inizio. Non possiamo essere certi che non asseconderà mai più la sua ambizione e il suo desiderio di potere, ma di certo Legolas, abdicando in suo favore, li ha decisamente placati. Ha reso immotivato il suo desiderio di rivalsa, annullando, di fatto, il potere che il Silmaril ha esercitato su di lui. Sempre ammesso che, in questo presente, passato o futuro, l’abbia trovato. Vedi, le nostre azioni dipendono sempre da noi stessi, ma spesso sono altri a guidarle… -

-Allora il pericolo è scongiurato? -

Radagast sospirò e salì a cavallo. Polo montò in sella al suo pony.

-Possiamo solo sperarlo, Polo – disse lo stregone mentre si allontanavano. - Quanto a te, sei proprio certo della tua decisione? -

Lo hobbit abbassò lo sguardo.

-Sai, la magia mi ha sempre affascinato più di ogni altra cosa...ma non mi apparterrà mai. Ma credo che l’unico modo per avvicinarmisi sia...studiarla da vicino. Vedere come funziona, senza interferire. Per questo sono venuto a cercarti, lo sai. -

-Sì, l’avevo capito...ma spero che tu abbia capito anche che la vera magia si trova in tutto quello che ci circonda, e che ciò che farò sarà semplicemente insegnarti ad apprezzarla. -

Polo annuì, convinto.

-E...tutte quelle altre cose adorabili della Contea... birra, erba pipa, tè e dolcetti, pennichelle sotto le fronde degli alberi? -

-Oh, c’è bel di meglio nel vasto mondo! - rise Polo - E poi...non credo che qualcuno sentirà la mia mancanza, nè che la mia presenza sia così gradita nella Contea. Oh, maledizione, sono un eroe e non posso nemmeno raccontarlo a nessuno! -

Radagast scoppiò a sua volta a ridere. - Meglio così, amico mio! Meglio così… -

 

I due compagni si allontanarono, sollevati, lasciando lentamente alle loro spalle il cuore di Caras Galadhon.

Ma quando lo Specchio di Galadriel fu lontano dalla loro vista, un vento freddo e leggero iniziò a soffiare tra gli alberi, spazzando via le foglie cadute e incurvando i fiori.

Quindi la superficie liquida dello Specchio si increspò e iniziò a turbinare di nuovo...fino a quando vi apparve la figura chiara di un elfo dai lunghi capelli biondi che portava sulla testa una corona di foglie. Si aggirava smarrito in una grande sala vuota e silenziosa, guardandosi intorno come se non la riconoscesse sebbene l’avesse desiderata a lungo.

Si sedette sul trono, lo sguardo perso nel vuoto, e dopo aver inspirato profondamente aprì una mano tenendone il palmo rivolto verso l’alto, per osservare ciò che conteneva.

Una pietra liscia e luminosa…

L’elfo rimase ad osservarla per un tempo indefinito, con lo sguardo di chi è roso dai dubbi e dai desideri.

In quel momento, tra i possenti alberi di Mallorn parve risuonare una voce lontana...

 

Lo Specchio mostra cose che furono, cose che sono e cose che devono ancora essere…

 

Eredhil, sovrano del Bosco Atro, socchiuse gli occhi e strinse di nuovo la mano intorno alla pietra.

Poi l’immagine tremò e svanì.

 

 

 

FINE

 

 

 

 

 

* Bruce Springsteen, “The Rising”

 

 

Fine. O no? Beh, indubbiamente per me lo è, ed è stato talmente difficile arrivarci che non ho intenzione di rimettere in discussione questa parola :D

Duuunque, dopo la bellezza (o meglio, bruttezza) di DICIASSETTE ANNI arrivo al momento a cui speravo di arrivare: quello delle scuse e dei ringraziamenti. E siccome sono ancora confusa all’idea di aver chiuso per sempre questo capitolo della mia vita (perché di questo si è trattato, indipedentemente dalla bellezza – o bruttezza – di questa storia, che è QUASI OOC, QUASI AU, QUASI song-fic...insomma, non ho ancora ben capito cos’è ma le ho comunque voluto molto bene) credo che partirò con ordine.

LE SCUSE: sempre troppo poche… Innanzi tutto per il tempo che ho impiegato a finire questa storia. Purtroppo, come capita a tanti, molti fattori (lavoro, famiglia, altre cose per la testa, mancanza di ispirazione ecc.) hanno concorso nel ritardarne mostruosamente la conclusione. E’ banale, banalissimo, ma è così. Per cui mi cospargo il capo di ceneri, mi scuso veramente con chi l’aveva amata e se l’è trovata abbandonata. Non so se qualcuno dei vecchi lettori sia ancora in fedele attesa (dopo tutto questo tempo non credo proprio) ma se fosse ancora davanti al pc vorrei dirgli: questa conclusione è per te. Scusa se non è quello che avevo in mente all’inizio (il finale che avevo pensato in origine era totalmente diverso, ma è cambiato esattamente come sono cambiata io, che non sono la stessa di 17 anni fa) e che forse non ti piacerà perché, se inizialmente doveva essere praticamente un massacro, alla fine mi sono sentita in colpa per come avevo trattato i miei “ragazzi”. Scusa per gli svarioni tolkieniani (tra i tanti: Thranduil non è mai partito per le Terre Imperiture, e nemmeno Celeborn; il palazzo di Thranduil non ha finestre perché è costruito in un insieme di grotte; la distanza tra Edoras e il Fosso di Helm non è decisamente un tiro di schioppo, e così quella tra il Bosco Atro e Minas Tirith, gli Elfi non hanno mai combattuto ai campi del Pelennor ecc. ecc.) veramente terribili, di cui mi sono resa conto mano a mano che rileggevo “Il signore degli anelli” e le altre opere correlate. Spesso, troppo spesso, sono una lettrice frettolosa e distratta, anche se alcuni di loro sono stati funzionali allo svolgersi della storia. Mi riprometto (ma lo scriverò più vanti) di fare una bella correzione.

I RINGRAZIAMENTI: eh, qua ci dovrei perdere le ore…

Grazie a chi ha letto la storia in passato e l’ha amata e si è sentito tradito e deluso dalla sua incompiutezza. Se ci siete ancora...l’ho detto sopra <3

Grazie ai nuovi lettori, pochi o tanti che siano, quelli che hanno aspettato a lungo tra un aggiornamento e l’altro (ma non 17 anni :D), soprattutto Attemptastic che ha lasciato delle recensioni che mi hanno quasi commosso, e che spero abbia resistito ai mesi passati tra il penultimo e l’ultimo aggiornamento (e soprattutto che non sia rimasta delusa da questo finale).

Grazie a Erika, la webmistress , e ai suoi preziosi collaboratori per aver mantenuto questa storia sul sito per tutto questo tempo...fiducia ripagata :)

Grazie a Cowgirl Sara, che ho conosciuto grazie a questa storia (e che mi ha regalato delle bellissime fanart *_*) e con cui abbiamo costruito un’amicizia che dura ancora <3

Grazie a Hareth, che scriveva favolosamente e che ora è scomparsa da EFP...se qualcuno ne avesse notizia gli sarei grato se mi dicesse che fine ha fatto. Ovunque tu sia, ripenso ancora alle tue storie e a quanto mi piacerebbe rileggerle <3

E ora, grazie alla mia musa...la musica.

Quasi song-fic, dicevo all’inizio, ma avrei voluto che lo fosse davvero, perché senza la musica non sarebbe mai nata.

Quindi grazie, in ordine sparso, a Peter Gabriel, Fleetwood Mac, Jim Croce (che Dio mi perdoni per lo scempio che ho fatto con la traduzione della meravigliosa “I got a name”), David Crosby, Loreena McKennitt, Albion Band, Sting, Francesco Guccini, Queen, Fairport Convention, Simple Minds, Fabrizio De Andrè, Howard Shore (la colonna sonora dei film di Jackson è stata fondamentale) ma soprattutto a lui. Bruce Springsteen. E al suo MERAVIGLIOSO “The rising”. Questa storia non sarebbe mai nata senza quel disco; dentro c’è tutto, in un modo o nell’altro, ve lo garantisco, e la title-track DOVEVA essere nel finale.

Ecco, una delle cose che mi piacerebbe accadesse è che qualche lettore provi ad ascoltare le canzoni che ho usato come sottofondo per la storia. E che magari mi dicesse “Non c’entrano un tubo ma sono bellissime” <3

E infine, grazie a mio marito e al mio bimbo, mie principali fonte di ispirazione. Perchè, come per la musica, per scrivere devo amare quello che scrivo, ma prima di tutto devo amare <3

Ora vado a postare questo capitolo e a cliccare sul tasto “storia completa”.

Non ci credo ancora.

Grazie a tutti.

Ovunque siate, grazie.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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