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Autore: Alessia Krum    13/09/2020    1 recensioni
Acquamarina aveva continuato a vedere immagini, immagini brutte e spaventose, che non avrebbe mai voluto vedere. Acqua poteva pensare e vedere quelle figure, ma non stava né dormendo, né era svenuta, non era sveglia e non poteva svegliarsi. Voleva vedere e capire che cosa stava succedendo. Vide un villaggio, un piccolo villaggio sormontato da un castello. Il paesino sembrava tranquillo, ma fuori dalle mura si stava svolgendo una feroce battaglia. Persone con la pelle blu e le pinne combattevano con tutto quello che avevano e una grande speranza contro eserciti interi di mostri viscidi, squamosi e rivestiti da armature pesanti che mandavano bagliori sinistri. La battaglia infuriava. Per ogni mostro abbattuto, morivano almeno due uomini. Poi Acqua vide un uomo, protetto da un cerchio di mostri, che sembravano i più potenti e i più grossi. Quell’uomo aveva un qualcosa di sinistro e malvagio. Indossava un pesante mantello nero e continuava a dare ordini e a lanciare fiamme ovunque.- Avanti, Cavalieri, sopprimete Atlantis e l’oceano intero sarà mio! –
Genere: Fantasy, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 37
L’ultimo barlume

Erano passati due giorni. Due lenti, lunghissimi, interminabili giorni. La battaglia era finita, lasciando una scia di macerie e sangue che questa volta era difficile da cancellare. Le perdite pesano di più dopo un periodo di pace. In città c’era un gran movimento, ma mancava l’euforia che aveva caratterizzato i giorni precedenti alla battaglia. Anche se la primavera era appena iniziata, il buonumore della bella stagione se n’era già andato, portando con sé tutte le vane speranze che la gente si era costruita in quel periodo. Nulla era cambiato e nulla sarebbe cambiato. 
Mentre fuori tutti lavoravano alacremente, sebbene rassegnati, Acqua non abbandonava il suo stato di mutismo. Da quando aveva saputo che Max era stato catturato, non aveva quasi spiccicato parola. Il primo giorno, quando ancora fuori la gente combatteva, lo passò al fianco di Corallina, senza abbandonarla un attimo. E le lacrime non abbandonarono per un minuto il suo volto. La cugina cercava di distrarla, cambiando argomenti di conversazione alla velocità della luce, ma Acqua aveva un unico pensiero fisso ed era difficile che se ne scordasse. Corallina sembrava parlare da sola, mentre Acqua vagava con la mente cercando di immaginare ogni possibile scenario della cattura di Max. E in ogni modo se lo immaginasse, le sembrava sempre inverosimile. Una parte del suo cervello faticava ancora a crederlo. Com’era possibile che fossero riusciti a catturare Max? Ma l’altra parte del cervello era fin troppo lucida, percepiva la sua mancanza come un vuoto nell’aria. Attirava la sua attenzione ed era impossibile da ignorare. 
La cosa peggiore era riuscire a resistere la notte da sola. Finché era confortata dal chiacchiericcio costante della cugina, la mancanza si affievoliva, ma di notte tutto era più difficile. Il sonno faticava ad arrivare, e il buio la annientava, il silenzio la stordiva; perfino i lumini verdi sulle mura sembravano ammiccare da lontano, ricordandole quello che aveva perso senza nemmeno potergli dire addio. E allora singhiozzava sul cuscino, abbattendo la debole barriera che aveva cercato di erigere durante il giorno. Poi arrivava il sonno, e si portava via tutto. Almeno fino a quando non arrivavano i sogni.
Erano passati due giorni, e Acqua si sentiva sprofondare. Avrebbe dato qualsiasi cosa per sapere come stava, se c’era anche una minima speranza di rivedere i suoi occhi color nocciola che le mancavano così tanto. 
Ma qualcosa le diceva di no.

Il giorno dopo tornò sulla Terra, per la prima volta da quando era scomparsa nel nulla. Ma era solo di passaggio, non si sarebbe fermata per ricominciare la sua solita vita. La scomparsa di Max le aveva lasciato un vuoto troppo profondo, e non sarebbe riuscita a mascherarlo neanche se fosse stata la migliore bugiarda di sempre. Non aveva più la forza di tenere su quel muro di menzogne, non ora che Max non c’era più. Arrivò in camera sua, e rimase qualche secondo a fissare quella stanza che l’aveva vista crescere. C’erano ancora il letto disfatto e la tapparella mezza sollevata, come quando se n’era andata. Sembrava tutto più strano, come se fosse in un ambiente ostile; Acqua si guardò intorno ed ebbe l’impressione di vedere la camera di qualcun altro; oppure di essere tornata indietro nel tempo ad un’epoca che non le apparteneva più. 
Il pensiero volò subito alla madre. La sua scomparsa doveva averla sconvolta, non meno di quanto aveva fatto quella di Max a lei. Le spezzava il cuore doverla lasciare senza una misera spiegazione, per un periodo che non sapeva nemmeno lei quanto sarebbe durato. E poi, una volta che si fosse sentita pronta a tornare alla sua vita, cosa le avrebbe detto? Acqua dovette chiudere gli occhi e prendere un bel respiro per evitare di scoppiare in singhiozzi e farsi sentire. 
Prese un foglietto dalla scrivania e scrisse velocemente un messaggio per Lyliana, per farle sapere che stava bene, più o meno. 
“Mamma, non ti preoccupare per me. Non posso dirti dove sono e non so quando tornerò, ma sarà il più presto possibile. Non volevo farti questo, scusami. Ti voglio bene.”
Le mani le tremavano quando chiuse il bigliettino, per poi metterlo in bella mostra sulla scrivania. Gettò un ultimo sguardo fuori dalla finestra, il respiro mozzato, poi tornò ad Atlantis.
Ad accoglierla trovò in camera sua Corallina ed Henri, che l’aspettavano seduti sul suo letto. Un’aura di tacito accordo aleggiava tra i due, ed Acqua si sentì minacciata inconsciamente, senza nemmeno saperne il motivo. Corallina le rivolse uno sguardo per spronarla a parlare, ma nemmeno una parola uscì dalla sua bocca. Rimase impietrita, sovrastata da quello che aveva appena fatto.
– L’hai vista? – domandò la rossa, mentre Acqua continuava a fissare ostinatamente il pavimento. Infine si riscosse, e mosse la testa in segno di diniego, senza rompere il silenzio. L’aveva abbandonata. Aveva abbandonato sua madre. 
Corallina scambiò uno sguardo veloce con Henri, per poi rivolgersi nuovamente alla cugina. 
– Io ti rispetto, Acqua, ma secondo me non hai preso la decisione giusta. – le disse, a voce bassa, come se temesse di svegliare qualcuno. La principessa alzò di scatto la testa, gli occhi fiammeggianti.
– Cosa avrei dovuto fare? – gridò – Non posso più continuare a mentire sperando di nascondere tutto quello che provo dietro una facciata! Prima la guerra, poi mio padre, Azzurra, e tutto il resto… Fino a lì potevo anche riuscire a tenere nascosta a mia madre la sofferenza che mi porto dietro! Ma per Max è diverso, non riuscirei mai a fare finta di nulla con lei. – si portò le dita alle tempie, e rise, con fare sprezzante. – “Scusa mamma, adesso va tutto bene” – recitò. – “L’unica cosa è che Max è stato catturato dalla persona che vuole distruggere il mio mondo e probabilmente non lo vedrò mai più in tutta la mia vita.” – Corallina tentò di ribattere, insoddisfatta della piega che stavano prendendo le cose, ma Acqua non si fermò, ritornando seria.
– Lui è sempre stato con me, sono cresciuta al suo fianco, e ora… non ce la faccio. – 
Corallina aprì la bocca, ma non riuscì a proferire parola. Era la cosa più dolce e maledettamente triste che avesse mai sentito. Un forte sentimento di compassione verso la cugina la investì, facendole dimenticare tutte le repliche che aveva immaginato. 
– Hai tutte le ragioni di questo mondo, e sappi che noi ti staremo accanto anche se la pensiamo diversamente. – disse Henri, facendo sentire la propria voce per la prima volta. Acqua sorrise debolmente e coprì velocemente la distanza che li separava, tuffandosi tra le braccia dei suoi amici più cari. E infine si lasciò andare, perdendosi tra il proprio pianto sommesso e il supporto delle due teste rosse che le stavano accanto, registrando ogni particolare di quell’abbraccio: la stretta affettuosa della cugina, il supporto silenzioso ma tenace di Henri, e il calore dei corpi vicini. E lei aveva un gran bisogno di calore.
 
***

Troppi sguardi, troppe attenzioni. Il nuovo inizio della scuola non aveva giovato all’umore di Acqua. Di sicuro la perdita di Max aveva avuto un influsso sulla vita di tutti, ma chiunque sapeva che la persona più colpita era stata sicuramente la principessa. Era chiaro come la luce del sole. Il Generale e la figlia del re erano nei pensieri di tutti, legati da un filo indissolubile che non se ne sarebbe mai andato. Acqua si domandava che cosa si aspettassero da lei. Tutte le persone che aveva incontrato l’avevano fissata insistentemente, quasi con sfacciataggine, e lei non sapeva se fosse per compassione o per cos’altro. 
In classe, non passava un secondo senza che non fosse raggiunta da uno sguardo curioso, o preoccupato, o triste. Sembrava quasi che la guardassero con pena, come se avesse dovuto scoppiare a piangere in qualsiasi momento. Ed era quello che la innervosiva più di tutto. L’insegnante aveva persino tenuto una specie di discorso, prima di cominciare a spiegare. Li incitava a non demordere, a non considerare l’accaduto come la fine del mondo. Il Consiglio di Guerra si stava riorganizzando, la caduta di Max non avrebbe significato la definitiva sconfitta della città. Ad Acqua sembrava che quelle parole fossero dirette implicitamente a lei. Come se ci fosse stato bisogno di tranquillizzarla, di coccolarla, come si fa con un bambino triste.
Si sentiva incompresa da tutti, a volte anche da Corallina ed Henri, nonostante loro cercassero sempre di essere a sua disposizione.
Le tornava, come un pensiero fisso, l’idea di rivedere Julian. Non lo aveva più sentito da quando Max le aveva impedito di incontrarlo. Avrebbe voluto andare da lui, parlargli, magari ricominciare ad allenarsi; ma allo stesso tempo ne aveva paura, perché sarebbe stato come contraddire Max, di nuovo, ora che lui non c’era più. Acqua lo vedeva come un’enorme mancanza di rispetto nei suoi confronti, e questo la frenò, almeno per la prima settimana. Poi però decise che non poteva più aspettare. Qualcosa la spingeva a volerlo assolutamente vedere. 
Uscì dal castello senza farsi notare, senza dire nulla a nessuno. Era una faccenda che riguardava lei, e lei soltanto. Si sarebbero accorti della sua mancanza e l’avrebbero rimproverata, dato che uscire era ancora pericoloso, ma non le importava. Avrebbe fatto i conti più tardi con la zia e Corallina.
Si avviò ostentando noncuranza verso la piazza del mercato, dove Julian una volta le aveva indicato la sua casa. Era convinta di volerlo vedere, ma al tempo stesso era dubbiosa rispetto a sé stessa. In fin dei conti, non sapeva nemmeno che cosa gli avrebbe detto una volta lì, e non sapeva che cosa potesse offrirle il ragazzo in più - comprensione, forse, conforto? Che cosa stava cercando in lui esattamente, non lo sapeva nemmeno lei. Fu sul punto di tornare indietro, una volta arrivata avanti alla porticina di legno dal batacchio di metallo consumato e arrugginito. La gente camminava e nuotava vorticosamente intorno a lei, che stava ferma davanti alla porta. Ma poi le sue dita sfiorarono il ferro, e picchiò due volte, con un suono debole e esitante. Qualche secondo dopo, uno scricchiolio profondo accompagnò l’apertura della porta. 
Una donna piccola e gracile comparve sull’uscio e lanciò un rapido sguardo alla ragazza. Sul suo volto si dipinse un’espressione di profonda sorpresa non appena si rese conto di chi fosse l’ospite. La donna raddrizzò la schiena e accennò un piccolo inchino in segno di ossequio, indecisa lei stessa su come comportarsi. Acqua cercò di capire quanti anni potesse avere. Le sembrava ancora giovane, nonostante avesse qualcosa, negli occhi, nella postura, che la faceva apparire anziana e debole, come se si fosse arresa. Le ricordò quel ragazzo che aveva visto entrare in città con il carro di provviste.
– Come posso aiutarla? – sussurrò la donna, mantenendo il capo un po’ abbassato. Aveva parlato con una riverenza e un rispetto incredibili, e Acqua si sentì lusingata dal sorriso cortese che le rivolgeva. 
– Sono qui per vedere Julian. – le rispose, cercando di sembrare altrettanto gentile, anche se il suo sorriso era senza dubbio più impostato e rigido.
– Come? – chiese, aggrottando le sopracciglia. I suoi occhi sembravano persi ad inseguire qualcosa di impalpabile come un respiro.
– Vorrei parlare con suo figlio. – ripeté Acqua, intimorita. C’era qualcosa che la inquietava. Un’ombra scura aveva avvolto i tratti della donna, e lei si era ritratta impercettibilmente, come se qualcosa l’avesse urtata, ferita.
– T-temo che non sia possibile. – balbettò, nascondendosi dietro lo stipite. Acqua sentì il cuore accelerare. Le rivolse una tacita domanda, mentre lei si ritraeva ancora di più.
– Mio figlio è morto quattro anni fa. – sussurrò la donna.– E non si chiamava Julian. – 
Il tempo si dilatò. Acqua non riusciva a respirare, si sentiva oppressa da un peso incredibile. Farfugliò qualcosa di incomprensibile e si allontanò rapidamente dalla casa. Non era possibile. Le mani le tremavano come foglie, mentre le passava sul viso, camminando a passo di marcia e cercando di ignorare il senso di colpa e quel malessere insostenibile. Si fermò nei pressi di un muretto e vi si sedette di fronte, appoggiandosi con la schiena.  Le dita serrate sugli occhi, respirava profondamente, cercando di ignorare i tremiti che la percorrevano. Le girava la testa vorticosamente, perché ormai aveva capito. 
Julian le aveva indicato esattamente quella casa, le aveva detto che viveva lì, ma non l’aveva mai invitata. Acqua era certa di quello che ricordava, casa sua era quella. O almeno, avrebbe dovuto esserlo. Ma Julian non viveva lì, nessun Julian era mai esistito. Non importava quanto cercasse di ingannare sé stessa, immaginando mille scuse diverse per sentirsi meglio. La consapevolezza di aver sbagliato la inchiodava al suolo. Era la sensazione peggiore che avesse mai provato. Era stata ingannata, e il peggio era che Max l’aveva avvertita, l’aveva messa in guardia. E lei, per difendere Julian, quel Julian che in realtà non esisteva, aveva perso la fiducia di Max, aveva perso Max per sempre. 
Lui non c’era più e il peggio era che lui aveva sempre saputo la verità e lei non gli aveva mai dato ascolto. Aveva commesso l’errore più grosso della sua vita e non poteva rimediare in alcun modo. Julian era un Cavaliere, e lei gli aveva permesso di avvicinarsi a tal punto da considerarlo uno dei suoi migliori amici. Si era fidata di lui, e gli aveva consentito di instillare in lei il dubbio, di dirottarla nella direzione voluta da Darcon, di manipolarla, di separarla dal Generale per sempre. Era stata lei a consentirlo, e gli aveva reso il compito molto più facile del necessario. 
Acqua era nauseata da sé stessa. Perché Max aveva ragione, ed era stato lui a soccombere al suo posto.
 
***

Acqua si svegliò di soprassalto, respirando affannosamente. Nell’aria sentiva ancora l’eco di un grido; il difficile era stabilire se fosse uscito dalla sua bocca o se fosse soltanto ciò che le restava del suo ultimo sogno. Si osservò le mani tremanti nella penombra della stanza. Non ricordava i particolari del sogno, ma quel grido che era rimasto con lei la angosciava. Senza poter fare nulla per impedirlo, le lacrime presero a scorrere lentamente sul suo volto. Cercando di calmarsi, si sistemò all’indietro i capelli che le erano caduti sul viso e si appoggiò con la schiena alla testata del letto. Sarebbe stato difficile dormire, ora. 
Aveva esperienza, ormai, e quando si svegliava a quel modo non valeva a nulla pensare positivo o cercare qualcosa con cui risollevarsi il morale. Si infilò di nuovo sotto le coperte e con gli occhi chiusi cercò di convincersi a riaddormentarsi. Ma i suoi pensieri ormai erano rivolti ad altro, e il buio e il silenzio le premevano addosso, costringendola ad accettare la realtà. Cominciò a tremare incontrollabilmente, riflettendo per la prima volta, con spietata serietà, su quante probabilità ci fossero che Max fosse ancora vivo.

Corallina non riusciva a dormire, restava semplicemente sveglia fissando i lumini sulle mura. Aveva sentito dei passi strascicati in corridoio, perciò quando la porta della sua stanza si aprì, non si spaventò. Acqua scivolò dentro in silenzio, e Corallina fissò il suo sguardo su di lei, che cercava di trattenere il pianto. 
– È morto. – disse, semplicemente, come una mera constatazione, per poi scoppiare in singhiozzi. La rossa le fece spazio sul letto senza dire una parola e Acqua si sistemò accanto a lei, continuando a piangere. A Corallina si strinse il cuore. Cosa poteva fare lei più di così per aiutarla a superare il dolore?
 
***

Corallina sbadigliò, confermando ad Acqua che quei cinque interminabili minuti di studio serio in biblioteca sarebbero finiti presto. La rossa aveva smesso di blaterare poco prima, quando uno sguardo eloquente del Saggio, poco più in là, l’aveva convinta a tacere e a sprofondare per un po’ con la testa nel libro. 
Acqua aveva accolto il silenzio della cugina con sollievo: ultimamente le sue chiacchiere le davano alla testa e preferiva la sua compagnia silenziosa, come la notte prima. Acqua si chiese se non stesse diventando un po’ troppo intollerante. Scacciò il pensiero e ricominciò a leggere, ma neanche mezzo minuto dopo si fermò, confusa. Nemmeno lei riusciva a concentrarsi: leggeva una frase e tornava indietro di due, non riuscendo a capire ciò che aveva appena letto. Sembrava che i suoi occhi scivolassero sulle parole come su una serie di lettere disordinate e prive di senso, senza trattenere nulla. 
– Senti, Acqua, io mi sto stufando. – proruppe Corallina – Che ne dici di… – 
Un suono forte e prolungato interruppe la proposta della ragazza. Ad Acqua sembrò che il mondo si fosse fermato, teso nel suo strazio verso quel richiamo minaccioso. Suonò due volte, come per accertarsi che tutti avessero capito, e poi tacque lasciando dietro di sé un eco grave. Acqua si girò verso la cugina, col cuore che batteva all’impazzata e una sensazione opprimente nel petto. Corallina era pallida come un cencio e aveva gli occhi sbarrati; cominciò a guardarsi intorno, armeggiando con qualsiasi cosa le capitasse sotto tiro. Le sue mani si muovevano febbrilmente, cercando di riunire tutte le cose che aveva sul tavolo, mentre Acqua la osservava, senza capire, i muscoli tesi e i pensieri confusi. Il suo istinto non le suggeriva nulla di buono, e il comportamento della cugina di certo non la rassicurava. 
– No, no, no, no, no… – mormorava quest’ultima a mezza voce, ripetendo convulsamente quella parola come una litania. Nonostante tutto, sembrava agire secondo un pensiero logico, mentre Acqua era priva di qualsiasi razionalità, in preda al panico, e non riusciva a fare altro che guardarla. Erano passati pochi secondi, che le erano sembrati un’eternità, quando finalmente trovò la forza di parlare.
– Corallina, che succede? – domandò, tremando incontrollabilmente, con la vista offuscata. Non si era nemmeno resa conto di aver afferrato con forza le estremità del tavolo. Corallina si alzò, imitata a fatica da Acqua.
– Loro sono qui. – disse, e cominciò velocemente a parlare – Due suoni lunghi significano che sono abbastanza vicini da essere distinti dalle torri. Questo vuol dire che in poco tempo saranno alle porte, diciamo un quarto d’ora, venti minuti, dopodiché attaccheranno. Stai tranquilla, adesso scendiamo a cercare mia madre, ci dirà lei cosa fare… – Acqua si sentì afferrare per un braccio e cominciò a nuotare dietro la cugina. Tra la confusione generale e l’angoscia, l’unica figura che la ragazza riuscì a distinguere con chiarezza fu la sagoma del Saggio, ritto ed immobile in mezzo al caos, come se gli eventi del mondo intorno a lui non lo sfiorassero nemmeno. I loro sguardi si incrociarono mentre Acqua si affrettava dietro a Corallina e le sembrò di scorgere un sorriso di incoraggiamento sul volto del vecchio, come se lui avesse capito qualcosa che ancora andava al di là della sua comprensione. 
Incontrarono Olimpia per caso, lungo un corridoio. Corallina si gettò tra le sue braccia, chiedendole se avesse informazioni più precise e che cosa dovesse fare. Dopo la cattura di Max, Olimpia era l’unico membro della casata reale in grado di prendere il suo posto, perciò ora era lei il Generale in carica. Acqua si mise in disparte, ascoltando distrattamente la loro conversazione concitata, con l’impressione che dialoghi simili fossero ormai diventati usuali tra le due. La ragazza realizzò di essere arrivata lì quasi in automatico, senza nemmeno rendersi conto di quello che stava facendo. I suoi ricordi dall’uscita dalla biblioteca a quel momento erano un insieme di immagini confuse, come se il suo cervello fosse temporaneamente andato fuori servizio. Il panico l’aveva accecata, e la stava ancora soggiogando: le gambe le tremavano e faticava a respirare normalmente. Guardando madre e figlia parlare, non riuscì a fare a meno di immaginare sé stessa lì accanto scambiarsi informazioni a bassa voce con Max, pochi passi lontano da lui, fissandolo con determinazione negli occhi e implorandolo o di non andare, o di accompagnarlo. E immaginava la sua espressione sofferente mentre pensava a cosa stava per accadere, e la dolcezza bruciante con cui l’avrebbe abbracciata e rassicurata. Se solo lui fosse stato lì. 
Acqua si riscosse al richiamo della zia e si unì all’abbraccio, trattenendo le lacrime, ascoltando le ultime raccomandazioni della donna per loro.
– Non andate da nessuna parte, vi prego. Il castello è l’unico posto protetto per adesso e l’ultima cosa che voglio è che usciate e vi succeda qualcosa mentre io vi credo al sicuro. Se le cose si mettessero molto male e dovessero riuscire ad entrare, farò venire delle guardie alle porte del castello, così potete stare tranquille. – le guardò per un’ultima volta, soffermandosi prima su Corallina e sorridendo con complicità alla figlia, per poi rivolgersi ad Acqua.
– Mi raccomando. – disse infine, con immensa serietà. Poi riprese la sua tipica aria distesa e mormorò – Ci vediamo dopo. – 
Diede un buffetto alla nipote, che sorrise amaramente, per poi allontanarsi senza aggiungere altro.
 
***

La lama bluastra scintillò nella teca sotto lo sguardo bramoso di Acqua. L'Intoccabile la richiamava, ma lei aveva scelto di non prenderla e ormai la sua decisione era irrevocabile. Combattere con la spada di suo padre sarebbe stata la mossa più stupida che avrebbe potuto fare, chiunque l'avrebbe riconosciuta. Prese quella con cui di solito si allenava insieme a Julian e la infilò nel fodero. Il pugnale che le aveva dato Max era già pronto, così come mantella color sabbia e l'armatura che aveva indossato, la più piccola che fosse riuscita a trovare nella stanza delle armi. Era passata qualche ora dall'inizio della battaglia, perché Acqua voleva essere certa di allontanarsi senza destare sospetti nella cugina, non avrebbe voluto trovarsela alle calcagna dopo mezz'ora. 
Era stato complicato riuscire a convincere Corallina a lasciarla sola. All'inizio aveva passato tutto il tempo ignorandola deliberatamente, fingendo di essere persa nei suoi pensieri. Beh, per quello non aveva dovuto sforzarsi troppo. Corallina però non demordeva, anzi sembrava intenzionata a passare tutto il tempo con lei. Perciò Acqua aveva atteso pazientemente il momento opportuno, che finalmente era arrivato qualche ora più tardi. 
Le due ragazze si erano sistemate sul letto della principessa, cercando di riposarsi. Era quasi ora di pranzo, ma il sonno accumulato dopo diverse notti di veglia le aveva convinte che in quel momento mangiare non era la cosa più importante. Parlavano sommessamente, come se avessero paura di disturbare qualcuno, ma quando un attimo di silenzio aveva interrotto i loro scambi di battute, Acqua aveva notato il respiro di Corallina farsi più pesante e regolare. I minuti passati ad aspettare che la cugina si fosse realmente addormentata le erano sembrati infiniti. Era rimasta immobile, con ogni muscolo teso ad ascoltare lo strano connubio tra il respiro tranquillo accanto a lei e il fragore che proveniva da fuori. Era buffo, ma sembrava quasi che insieme formassero un ritmo determinato, qualcosa di potente e irresistibile, che sembrava stregarla e catturare ogni sua fibra, con una forza incontrastabile. 
Era stato in quel momento che la volontà di combattere si era fatta più forte e che la ragazza aveva capito improvvisamente, come se un fulmine l'avesse colpita, che l'unico motivo per cui lo voleva fare era lui, Max. Se c'era anche solo la più piccola possibilità di trovarlo, vivo o morto, lei lo avrebbe fatto. Aveva lasciato un biglietto sul letto per la cugina. "Sono in biblioteca" aveva scritto, per poi abbandonare la camera, senza ripensamenti, nel silenzio assoluto. Mentre ultimava i preparativi nella stanza delle armi, prendendo l'orologio-bussola di Max e una cartina, pensò che forse non sarebbe più tornata. Non le importava. Tutto quello che contava, al momento, si trovava in una caverna a chilometri di distanza, rinchiuso nel ghiaccio. 
Si allacciò la mantella con fare febbrile e lanciò un ultimo sguardo all'Intoccabile. La teca le rimandò indietro il riflesso del suo viso e la ragazza non poté fare a meno di sentirsi orgogliosa. Nei propri occhi rossi e gonfi riconobbe lo stesso sguardo determinato di suo padre.
Risalì le scale in fretta, spegnendo velocemente le torce lungo la strada. Indugiò solo un attimo di fronte al portone semichiuso del castello. Ora capiva cosa intendeva Julian con quella frase. In quel momento, la paura riempiva il suo essere, minacciava di soggiogarla. Ma lei aveva un obiettivo e nulla era più importante.
Le sembrava di essere tornata indietro a quando stava per lanciarsi nella battaglia prima di apprendere della cattura del Generale: sentiva una smania irrefrenabile di buttarsi nella mischia, di fare qualsiasi cosa. 
Acquamarina uscì dal castello camminando con lunghe falcate e la testa bassa, nascosta dal cappuccio. Non si voltò indietro.
Dall'alto della torre della biblioteca, il Saggio sorrise.
   
 
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