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Autore: Sognatrice_2000    27/09/2020    2 recensioni
"Mi chiamavo Piton, come il serpente. Nome di battesimo: Harry.
Avevo dodici anni quando fui ucciso, il 5 dicembre 1992."
All’inizio del suo secondo anno a Hogwarts, Harry scompare misteriosamente.
Pochi giorni dopo, alcuni dei suoi vestiti e pezzi del suo corpo vengono ritrovati nella foresta proibita.
Il racconto è affidato alla voce di Harry, che dopo la morte narra dal cielo la vicenda.
Le vite degli amici di Harry, spezzate dalla sua tragica scomparsa, verranno raccontate con la dolcezza e l'ingenuità dell'infanzia.
(Ispirata al libro “Amabili resti” di Alice Sebold)
Questa storia partecipa al contest "Chi ben comincia è a metà del prologo" indetto da BessieB sul forum di EFP.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Silente, Il trio protagonista | Coppie: Harry/Severus
Note: Movieverse, OOC, What if? | Avvertimenti: Incest, Non-con | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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Il mio ultimo giorno di vita sulla Terra era stato un giorno perfettamente normale.    

Ma quello era stato il mio ultimo giorno e io l'avevo vissuto come uno qualunque -per questo non potevo permettermi di scordarne neppure il più piccolo dettaglio.

Mi ero alzato alle sette e mezzo come tutti gli altri giorni, avevo fatto colazione nella Sala Grande con Ron e Hermione, avevo partecipato alle lezioni mattutine e mi ero beccato un rimprovero dal professor Piton perché non stavo prestando attenzione in classe. 

“Signor Potter, quali pensieri la assorbono così tanto da impedirle di seguire la mia lezione? Dieci punti in meno a Grifondoro per la sua evidente disattenzione e pigrizia.”

Alle sue parole arrossii e mormorai un flebile mi scusi, perché in effetti aveva ragione, mi ero distratto pensando a quali regali avrei comprato ai miei amici per Natale, e nello specifico, quale regalo avrei comprato a lui.   

Era ancora presto per gli acquisti natalizi, ma controllando il mio programma scolastico avevo scoperto di avere tutti i pomeriggi occupati da lezioni e allenamenti di Quidditch fino alla vigilia, perciò quello era l’unico pomeriggio libero che avevo a disposizione per fare compere.

Dopo pranzo, dissi a Ron e Hermione che mi sentivo stanco e sarei andato a stendermi sul letto per un po’. 

Andai in camera, e lì, al sicuro da occhi indiscreti, usai la passaporta per uscire di nascosto dalla scuola  e mi materializzarmi a Diagon Alley. 

Prelevai un sacchetto di monete d’oro alla Gringott e andai prima a Mielandia, il negozio preferito di Ron, dove comprai un assortimento di vari dolci, tra cui cioccorane e penne d’aquila di zucchero che avrebbe potuto masticare in classe fingendo di scrivere; in seguito andai al Ghirogoro, e acquistai un libro che Hermione desiderava da tempo e aveva cercato nella biblioteca della scuola senza riuscire a trovarlo.

Era stato semplice trovare dei regali adatti ai miei amici  perché conoscevo i loro gusti, ma sapevo che scegliere l’ultimo regalo sarebbe stata la vera sfida.

Da qualche giorno infatti mi era venuta un’idea che Ron e Hermione avevano giudicato bizzarra e a dir poco assurda, guardandomi come se avessi perso il senno quando gli aveva esposto il mio suggerimento. 

“Voglio fare un regalo al professor Piton.” Sussurrai a Ron durante una lezione particolarmente noiosa della McGrannit.

Lui spalancò gli occhi guardandomi come se fossi impazzito. “Perchè?”

“Tutti hanno diritto a un regalo di Natale. Hagrid mi ha detto che nessuno gli ha mai fatto un regalo, e non è giusto, gli altri insegnanti ricevono dei doni natalizi! Silente ha così tanti pacchetti che la sua scrivania non basta a contenerli tutti!”

“E non ti sei mai chiesto il perché? È un uomo cattivo, Harry! 

“Se gli fai un regalo lo getterà in un calderone senza neanche aprirlo.” Intervenne Hermione con quella convinzione di avere ragione sempre impressa nella voce.

Era un’ipotesi che non potevo escludere del tutto, ma decisi che valeva lo stesso la pena tentare.

Ricordai il dolore che avevo provato ogni anno, quando a Natale mio cugino Dudley aveva una montagna di pacchetti sotto l’albero e a me restavano solo gli avanzi della cena.

Non importava se Piton l’avesse considerato un gesto stupido e sentimentale, nessuno meritava un Natale senza neppure un regalo.  

Il pensiero di poter allietare una giornata che altrimenti per lui sarebbe stata fredda e cupa, a giudicare da quanto mi aveva detto Hagrid, mi riempì di gioia.  

Quella mattina mi ero distratto proprio pensando a quale regalo avrei potuto fargli. 

La mia mente si era estraniata dalla lezione, mentre pensavo a cosa sarebbe potuto piacere ad un uomo così austero, che non sorrideva mai e sembrava perennemente infelice e tormentato.

Mi ritrovai a pormi la stessa domanda mentre passeggiavo tra i negozi e sbirciavo le vetrine in cerca del regalo perfetto. 

Avevo sempre ritenuto Pozioni una materia noiosa, ma in quel momento rimpiansi di non aver prestato più attenzione durante le lezioni.

Se l’avessi fatto, avrei saputo trovare sicuramente un qualche intruglio che avrebbe apprezzato.

Ma purtroppo di Pozioni non ne capivo molto e immaginavo che il professor Piton possedesse già la sua personale collezione, a cui di certo non mancava nulla.

Vagai inutilmente di negozio in negozio per circa un’ora, quando improvvisamente mi ricordai di una cosa che aveva detto Hermione.

“In Giappone, per dichiarare i propri sentimenti, le ragazze preparano un dolce al cioccolato per il ragazzo di cui sono innamorate. Se il ragazzo accetta il dono, significa che ricambia i suoi sentimenti. L’ho letto tempo fa in un libro.”

Ma certo, era un’ottima idea! Gli preparato un dolce con le mie mani, qualcosa di semplice ma personale, e ci avrei messo tutto il mio impegno e il mio affetto.

Tornai nel negozio di Mielandia per comprare gli ingredienti necessari, ma mi resi conto che non sapevo neppure da dove cominciare, così chiesi aiuto alla donna che stava alla cassa, una signora anziana paffuta che mi sorrise benevola e mi guidò attraverso i vari reparti.

Le dissi che volevo preparare un dolce ad un amico, e il suo sorriso divenne malizioso. “Ah, capisco, è per la tua fidanzatina?” 

Arrossii e scossi furiosamente la testa in segno di diniego. 

“N-no, no, è per un mio amico.” Se non fossi stato così imbarazzato, avrei riso nel sentire quella donna paragonare il severo professor Piton a una fidanzatina.

“Capisco.” Disse lei senza smettere di sorridere. “Sono sicura che al tuo amico piacerà un sacco.”

“Lo spero.” Sorrisi timidamente, ancora a disagio.

Lei mi mostrò gli stampi per le torte, fermandosi davanti a quelli a forma di cuore, e fui costretto a ripeterle ancora una volta che il dolce non era per una ragazza.

Lei sorrise di nuovo con l’aria di chi la sa lunga, ma non insistette oltre. Alla fine scelsi un classico stampo a forma rotonda, comprai il cioccolato e la glassa decorativa, e uscii dal negozio con un enorme sorriso sul volto.

La maggior parte delle persone che mi passava accanto mi ignorava, ma qualcuno mi guardò perplesso: forse sembravo un po’ scemo con quel sorriso da ebete stampato sulla faccia, ma in quel momento non me ne importava nulla. 

Ero felice e fiero della mia idea-anche se in realtà era tutto merito di Hermione. Dovevo ricordarmi di ringraziarla per il suggerimento-, ma ad un tratto mi venne in mente che c’era un problema. Come avrei fatto a cucinarlo?

L’accesso alle cucine della scuola era ovviamente  vietato, e nella mia camera non c’era niente di simile ad un forno.

Un forno… che sciocco a non averci pensato prima, la casetta di Hagrid ce l’aveva un forno! 

Sarebbe bastato chiedergli se potevo usarlo e il problema era risolto.

Ero certo che chiedendoglielo gentilmente mi avrebbe dato il permesso; Hagrid era una persona molto gentile e anche se non era un mio coetaneo lo consideravo un amico.

Però non volevo approfittare della sua disponibilità e perciò decisi che avrei comprato un regalo anche per lui.

Dopo aver vagato un altro po’ senza meta, mi ritrovai attratto da una vetrina  che esponeva pupazzi colorati di ogni forma e dimensione.

Senza rendermene conto mi avvicinai così tanto che la punta del mio naso toccava il vetro.

Non avevo mai avuto un peluche, neppure quando ero bambino. 

Era la prima volta che ne vedevo così tanti, e per un po’ me ne stetti semplicemente fermo lì ad ammirarli, immaginando come sarebbe stato affondare la faccia nel loro pelo morbido e avere qualcosa da abbracciare e stringere forte al petto quando fuori c’era un temporale e io ero chiuso in uno sgabuzzino buio, con la sola compagnia delle mie paure. Poi notai un enorme orso dal pelo marrone chiaro in un angolo della vetrina. E- a questa osservazione non potei trattenere una piccola risata- quell’orso grassoccio, quasi a grandezza d’uomo, con il suo pelo arruffato, mi ricordava terribilmente Hagrid, con la sua statura imponente e la folta barba in disordine.

Ancora ridacchiando, spinsi la porta a vetri ed entrai, facendo tintinnare il campanello all’ingresso. 

La commessa, una ragazza dai morbidi boccoli biondi vestita da elfo, con una tuta verde e un buffo cappellino rosso, mi venne incontro con un sorriso gentile e mi chiese cosa poteva fare per me.

Gli indicai l’orso in vetrina e lei annuì, lo prese e lo posizionò sul bancone. 

“Ottima scelta, era l’ultimo orso sbaciucchioso rimasto.”

Aggrottai la fronte, confuso. “Orso sbaciucchioso?” 

“Ma sì!” Rise lei. “Vedi?” Gli stampò un bacio sulla guancia, morsicò un orecchio e scaraventò il pupazzo sul pavimento.

Allibito, lo vidi tirarsi su e correre allegramente per gettarsi dritto tra le mie braccia. Aveva la stessa espressione corrucciata, ma stava protendendo verso di me le piccole braccia pelose come se chiedesse un abbraccio.

“Ecco, io… che cosa devo fare?” Chiesi un po’ imbarazzato, ancora incredulo di avere un pupazzo vivente tra le mie mani. Non avevo tenuto conto del fatto che i giocattoli del mondo magico fossero così diversi da quelli Babbani.

La ragazza sorrise. “Non preoccuparti tesoro, non puoi fargli male! Sono fatti apposta per essere coccolati dai bambini, possono anche essere masticati. Avanti, dagli un bell’abbraccio.” 

“Non è per me.” Me lo staccai dal petto, rimettendolo sul bancone. “Me lo può incartare? È un regalo.”  Lasciai cadere le monete sul banco e afferrai la busta che lei mi porgeva.

Quando uscii dal negozio venni investito da una pioggia gelida che in pochi secondi mi appiccicò i vestiti alla pelle e mi incollò i capelli alla faccia. 

Stupidamente non avevo con me un ombrello e quell’acquazzone improvviso mi aveva colto di sorpresa. 

Corsi per qualche metro con le buste dei regali strette al petto come fossero tesori preziosi per ripararli dalla pioggia, finché non mi ritrovai sotto la tettoia di un bar.

Ripresi fiato per qualche secondo e usai di nuovo la passaporta, ma scioccamente dissi istituto di Hogwarts  invece di specificare che volevo ritrovarmi nel mio dormitorio. Che sciocco, la mamma di Ron me l’aveva detto che dovevo specificare con attenzione il nome del luogo durante il trasporto, ma per me la passaporta era ancora una novità e avevo commesso un errore da principiante.

Così, invece di essere nella mia stanza, mi ritrovai nei giardini che circondavano l’edificio. 

“Harry!” La voce di Hagrid mi colse di sorpresa.

Mi girai e me lo ritrovai a pochi passi di distanza, seduto su una sedia fuori dalla sua casetta.

“Cosa ci fai qua fuori? Dovresti essere nel castello, sta cominciando a fare buio.”

Il suo sguardo indugiò su di me e notò che i miei abiti erano bagnati, allora si alzò e mi venne incontro. “Santo cielo, ragazzo, sei fradicio! Cosa ti è successo? Ah, non importa, entra e vieni a scaldarti davanti al fuoco, su!”

Tentennai per qualche secondo, indeciso, lanciando un’occhiata all’edificio scolastico. Era quasi ora di cena, sarei dovuto rientrare… ma non era ancora buio e dopotutto volevo chiedere ad Hagrid se potevo usare il suo forno la vigilia di Natale, perciò… 

“Sei sicuro che non ti disturbo?” Dissi timidamente, ancora incerto. Non ero abituato ad essere ben accolto dagli adulti, i miei zii mi facevano sempre sentire di peso, perennemente indesiderato.

Ma lui scosse la testa e mi mise una mano sulla spalla. “Sciocchezze, Harry, non mi disturbi affatto! Che aspetti, entra, hai bisogno di riscaldarti o ti verrà un malanno.”

Non potevo certo dire di aver vissuto un’infanzia colma d’affetto, e accolsi con piacere questa sua preoccupazione quasi paterna.

In fondo che c’era di male se mi fermavo qualche minuto?

Solo per poco, il tempo di riscaldarmi un po’ e chiedergli quel favore. 

Sarebbe bastato così poco, sarebbe bastato un semplice no. Invece accettai e lo seguii oltre la soglia.

L’interno della sua casa era caldo e confortevole, e mi avvicinai al caminetto, infreddolito.

“Avanti, siediti, non fare tanti complimenti.” Sorrisi grato e mi sedetti sul pavimento. Hagrid venne a sedersi accanto a me. “Cosa sono?” Hagrid indicò i pacchetti che stringevo ancora al petto.

“Ho fatto un po’ di compere a Diagon Alley. Regali di Natale. Prima che me ne dimentichi, volevo chiederti un favore.”

“Tutto quello che vuoi, Harry.” Non feci caso al tono con cui fu pronunciata quella frase. Non feci caso a tante cose. 

“Posso usare il tuo forno la vigilia di Natale?”

Hagrid sembrò perplesso da quella richiesta, ma annuì con un cenno del capo. “Sì, fa’ pure. Cosa devi preparare?”

“Niente di speciale, solo un dolce… per un amico.” Rimasi sul vago, deciso a non svelare troppi dettagli, ma Hagrid insistette: “Dì la verità, è per una ragazza? C’è qualcuna che ti piace a scuola?” Cominciò a darmi pizzicotti sul braccio, e io ridacchiai per il solletico, divincolandomi. “Aspetta aspetta, non dirmelo, si tratta di Hermione vero?” 

“Cosa? No!” Esclamai con voce fin troppo stridula. Ero certo di essere arrossito. Hermione mi piaceva, certo, ma come amica, niente di più. Mi accorsi però che il mio imbarazzo poteva essere frainteso, così, perché Hagrid non continuasse a stuzzicarmi come aveva fatto la signora del negozio, ripetei in tono più calmo: “No.” Cercai di mantenere un tono neutro. “No, è per il professor Piton.”

“Severus Piton?” Ripetè Hagrid, aggrottando le sopracciglia. 

“Sì, hai detto che non riceve mai regali a Natale…” Giocherellai nervosamente con una delle nappe del mio cappello. “… e ho pensato che preparargli un dolce fosse un’idea carina, tutto qui.”

“Capisco.” Hagrid sembrava quasi dispiaciuto. Dopo qualche istante di silenzio, parlò di nuovo. “Devo ammetterlo, sono un po’ geloso.” Sotto il tono scherzoso, capii che era serio e che gli dispiaceva che io non avessi pensato a fare un regalo anche a lui, così mi affrettai a consegnargli la busta con l’orsacchiotto.

“Oh, non devi esserlo, non mi sono dimenticato di te. Ti ho comprato questo, e so che non è molto, ma spero ti piaccia.”

Hagrid guardò incuriosito il pacco regalo, poi iniziò a scartarlo. 

Sorrisi della sua espressione spaesata quando si ritrovò tra le braccia l’orso, che cominciò ad agitare le braccia e ad allungarsi, chiedendo di essere coccolato.

“Vuole solo un abbraccio. Così.” Ridacchiai, prendendolo dalle sue braccia e stringendolo forte al petto, e l’orsetto smise  di muoversi. 

Lo riconsegnai a Hagrid, che mi fissò in silenzio per un lungo momento con uno sguardo… strano.

Non sapevo come definirlo, non gliel’avevo mai visto prima. Si sporse, serrandomi le braccia attorno alla schiena e spingendomi contro il suo petto.

L’orsetto cadde a terra con un tonfo sordo, e io rimasi immobile, sorpreso.

“Non a me, all’orso.” Dissi divertito, tentando di sgattaiolare via dalla sua presa ma finendo solo per strusciarmi ulteriormente contro il suo petto. 

Non ero mai stato abbracciato prima, neppure dai miei zii, ed era una sensazione piacevole, anche se era un po’ strano che ad abbracciarmi fosse Hagrid.

Lo interpretai come un gioco, lui che mi stringeva e io che tentavo invano di sgattaiolare dalla sua stretta.

Ad un certo punto però smisi di trovarlo divertente e cessai di ridere e di contorcermi.

Rimasi fermo tra le sue braccia, con il suo viso affondato nel mio collo e la sua barba a solleticarmi una guancia.

Lo sentii inspirare profondamente contro la mia pelle e fui percorso da un brivido. 

“Starai congelando con questi vestiti bagnati.” Il suo tono non aveva più nessuna traccia dell’affettuosa preoccupazione di prima.  

La sua voce risuonava bassa e roca nel mio orecchio, e sentii una sensazione spiacevole agitarsi nel mio petto.

E poi arrivò quella parola, quella parola che mi si schiantò nelle orecchie con violenza, facendomi precipitare in un abisso di terrore. “Togliteli.” Divenni una statua di pietra.

“No, non fa niente, mi cambierò nella mia stanza…” Iniziavo ad avere paura.

Feci leva con le braccia per allontanarlo da me, e lui si scostò, ma solo di poco, stringendomi gli avambracci in una presa ferrea.

Il suo viso aveva perso ogni traccia di quella gentilezza che lo contraddistingueva, aveva negli occhi una luce strana, come quella di un animale feroce e affamato che muore dalla voglia di divorare la sua preda.

“Fai il bravo bambino, levati i vestiti.” Disse a bassa voce, ma perfettamente udibile, percorrendo il mio petto con la punta della sua bacchetta.

Il cuore mi batteva forte, talmente forte che sentivo risuonarlo nelle orecchie.

Mi slacciai il mantello con dita tremanti e tolsi il berretto e la sciarpa a righe, facendoli cadere a terra.

A loro si aggiunsero in breve tempo anche il maglione e i pantaloni, che mi vennero sfilati da mani grosse, ruvide e impazienti, che una volta libero da ogni barriera presero a strisciare come tentacoli sulla mia pelle scoperta e increspata di brividi.

Tremavo come una foglia da capo a piedi, tremavo di freddo, disgusto, terrore. 

Provai a lottare, ma lui sottrasse la mia bacchetta in un istante e mi inchiodò al letto con il suo peso.

Era un gigante, alto e forte il triplo di me, dimenarsi e cercare di sfuggirgli era inutile.

Così dopo un po’ smisi semplicemente di muovermi e mi arresi alle sue mani e alle sue labbra che diventavano sempre più invadenti.

Il letto scricchiolava, mentre l’orsetto sul pavimento mi fissava con i suoi occhi tondi e vuoti.

In quei terribili attimi qualcosa dentro di me si ruppe con uno schianto assordante.

Il mio corpo rimase fermo, immobile sotto l’assalto di ruvidi baci e carezze, ma la mia anima volò via, spalancò la porta della capanna e corse lontano, lanciando un grido feroce, il pianto di un’innocenza violata e di una vita strappata troppo presto.

Scivolavo via. Questa era la sensazione. 

Ero nell'azzurro orizzonte, tra il Cielo e la Terra. 

I giorni tutti uguali e ogni notte sempre lo stesso sogno. 

L'odore della terra umida, l'urlo che nessuno udiva, il suono del battito del mio cuore, come un martello su un pezzo di stoffa.

Ma la mia anima non si nutriva di paura e odio; si nutriva d’amore. Amore per coloro che erano rimasti.

E continuai a vegliare sulle persone che amavo per molto tempo, intrappolato nel mio mondo perfetto.

  
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