La ninfa
Anne
stava suonando il piano, come sovente faceva. I suoi bambini, in genere, al
pomeriggio correvano per il giardino improvvisando battaglie e duelli. A lei la
confusione non piaceva, ma non poteva negare loro un po’ di sana scorribanda,
lo aveva fatto anche lei da piccola, di conseguenza aveva preso l’abitudine di
ritirarsi, nelle ore più calde della giornata, in quella stanza, sola con i
suoi spartiti. Fu perciò sorpresa quando qualcuno bussò piano all’uscio. Dalla
porta comparve Nausicaa, la più piccola. Aveva il viso scarlatto, doveva avere
corso per le scale, e il viso imbronciato.
<
Cosa c’è che non va, piccola? >
<
Non li sopporto quando fanno così, non vogliono farmi giocare perché sono una bambina,
staranno da soli. Ma non è giusto mamma! > cantilenò la bambina.
<
Lasciali fare, presto verranno a cercarti loro. Vuoi rimanere qui con me? >
<
Posso davvero? >
<
Certo > aveva risposto sorridente la donna rimettendosi a suonare.
Nausicaa
si era avvicinata alla madre e si era seduta accanto a lei sullo sgabello. La
osservava silenziosamente con gli occhi lucidi di meraviglia, non conosceva
nessuno in grado di suonare il piano così. Sua zia si cimentava spesso in nelle
Carole di Natale, la sera della Vigilia, ma non era certo la stessa cosa.
Anne
con la cosa dell’occhio osservava la figlia compiaciuta. Era una bella bambina,
dolce e composta, peccato che i suoi compagni di giochi fossero quei due
scapestrati di Harry e Mark, la bambola che teneva sotto il braccio non poteva
certo compensare quella mancanza.
<
Sai Nausicaa, la musica contiene sempre delle storie >
<
Storie? Come le fiabe che ci racconti la sera? >
<
Sì, si nascondono fra le note e non aspettano altro che qualcuno le narri >
<
Me ne racconti una per favore? Ti prego! Ti prego! >
<
Come vuoi, ma questo pezzo non è adatto, vediamo se trovo qualcosa di meglio
>
Anne
aveva smesso di suonare e si era alzata per prendere un altro spartito,
appoggiato sulla libreria. La bambina aveva seguito avidamente i movimenti
della madre, era incuriosita da quello che le aveva appena detto.
<
Ecco, questa dovrebbe andare > disse sedendosi e sfogliando le pagine.
Nausicaa
ascoltò attentamente le prime note cercando di captare qualcosa, un
personaggio, un paesaggio, una sensazione, una cosa qualsiasi insomma, ma non
ci riuscì.
<
Mamma, cosa ti fa venire in mente questa canzone? Qual è la sua storia? >
<
Mi viene in mente una bambina, seduta sull’altalena… >
Immagino una bambina, sugli otto anni, alta più o meno come te.
Ha un viso tondo e due occhi vispi,verdi come gli smeraldi. I capelli biondi
sono raccolti in una treccia stretta. Gli unici ciuffi liberi di svolazzare
sono quelli della frangetta. È seduta sulla sua altalena all’ombra di una
quercia secolare, nata molto prima che le costruissero una casa accanto. Gliel’
ha costruita suo padre due anni prima. Le è sempre piaciuto dondolarsi piano
piano e guardare in alto, tra le foglie dell’imponente albero. Quando c’è vento
le foglie cominciano a vibrare cambiando sfumatura di verde e cominciano a
frusciare delicatamente, suonando sempre una canzone diversa. La luce non è più
regolare e il sole fa fatica ad infiltrarsi, solo qualche raggio scintillante
sfugge alla rete del fogliame. Vorrebbe arrampicarsi, ma non ne è capace. Ci ha
provato molte volte. È sempre arrivata al primo ramo, e mai oltre. Perché ha
paura. Quando si arrampica vede il prato allontanarsi e ha paura di cadere,
inoltre se i suoi genitori lo scoprissero si arrabbierebbero molto, la bambina
vuole invece che loro siano fieri di lei. Eppure ai suoi occhi non sembra
un’impresa impossibile, né pericolosa; i rami sono grandi e possenti, potrebbe
starci seduta sopra a cavalcioni e vedere cosa c’è oltre quell’ enorme muro di
cinta che le impedisce sempre di guardare fuori. Lei non ha mai visto cosa si
nasconde là fuori, la sua camera è al piano terra, guarda sul giardino e ai
piani alti sta la servitù, lei non ci può andare. Esce spesso da quella casa,
ma viaggia in carrozza e da quei piccoli finestrini è difficile riuscire a vedere
qualcosa. Verde e soltanto verde, nessuna forma distinguibile in quel mare
tutto uguale.
Però oggi la bambina è annoiata. Fa caldo e tutti stanno facendo
una pennichella, ma lei non ha sonno, eppure non sa cosa fare. È uscita in
giardino nella speranza di trovare qualche svago. Vorrebbe avere un fratello, o
una sorella, per poter giocare. E invece si ritrova lì sempre da sola,
circondata solo da adulti.
Perché la mamma non la vuole accontentare?
C’è la sua palla di cuoio lì per terra. Ma a che può servire se
non hai nessuno a cui lanciarla?
Però è da sola, nessuno la controlla. Se salisse su quell’albero
nessuno lo verrebbe mai a scoprire, sarebbe il suo segreto. Corre verso la
grande quercia e si mette a guardarla con il naso all’insù. Non le è mai sembrata
così alta come oggi, ma non può tirarsi indietro, non adesso che si è decisa.
Spicca un salto e si appende al primo ramo. Ora bisogna farsi forza e tirarsi
su, ma le mani scivolano, non ci riesce, meglio mollare la presa e saltare giù.
L’atterraggio non è dei migliori. Ma non si è fatta niente, e il vestito non è
rovinato. La piccola sospira e guarda in alto, di nuovo. L’albero l’ ha
sconfitta. Perché non vuole che lei salga lassù in cima?
Non bisogna mai arrendersi al primo insuccesso. La bambina salta
di nuovo e si riappende al ramo, stavolta deve assolutamente riuscire a tirarsi
su. Una gamba, e poi l’altra.
Ma perché il ginocchio brucia così tanto?
Nel salire se lo è sbucciato contro la ruvida corteccia del
tronco. Sono comparse due piccole gocce scarlatte di sangue. Le fa male,
vorrebbe piangere e chiamare qualcuno, ma così sarebbe scoperta. Si siede e
succhia via quel poco sangue che sta uscendo, e pensa che se la ferita si
rimarginerà in fretta nessuno noterà nulla.
E adesso? Come fare per salire ancora? Più in alto non è mai
andata, e ha paura. Il trucco è non guardare mai in basso, ma dovrà pur far
caso a dove mettere i piedi. Le sudano le mani e la sua presa è poco salda,
tenta comunque di andare un po’ più in alto, su di un ramo che sta proprio di
fianco a lei. Però non è esperta e si è attaccata ad un ramo secco, che si è
spezzato non appena ha provato ad attaccarcisi. Per un attimo ha perso
l’equilibrio, si è dovuta accucciare per rimanere saldamente sulla pianta, per
poco non cadeva di sotto, non si era mai spaventata tanto. Per oggi ne ha
abbastanza, scende velocemente e corre a sedersi sulla sua altalena, che è
molto più sicura. Il ginocchio fa ancora male. La bimba sbuffa e si scosta la
frangetta dalla fronte sudata. È delusa, nemmeno oggi ha compiuto la sua
impresa. Sospira e comincia a dondolarsi distrattamente. L’aria fresca che le
arriva sul volto è un sollievo. Senza quasi accorgersene comincia ad andare
sempre più veloce, sempre più in alto. Ora con i piedi riesce a sfiorare le foglie
dei rami più sottili, sorride, felice. È vero, non è riuscita a salire sulla
quercia, ma non è mai andata così in alto. Con la su altalena non ha paura, può
guardare il prato allontanarsi e ritornare, avanti e indietro, senza aver paura
di cadere. La bambina ride contenta.
Qualcosa però le passa davanti agli occhi,è un attimo, lo vede
appena. Lei si guarda intorno incuriosita, cosa può essere stato? Non vede però
nulla, forse se lo è solo immaginato.
Ecco, di nuovo qualcosa le passa vicino silenziosamente. Non è
riuscita a capire di cosa si tratti, ma una cosa è certa, lei ha visto qualcosa
di lilla. Continua a dondolarsi guardando freneticamente intorno, nel tentativo
di scorgerla, ma nulla, non riesce a vederla.
Ad un tratto però nota qualcosa, qualcosa che si muove fra le
foglie, ed è lilla.
Ora ha capito, è una farfalla, una piccola farfalla dalle ali
colorate. È davvero molto bella. La bimba comincia a dondolare più piano, è
concentrata sulla farfalla, ora. L’ insetto spicca il volo, e in un attimo è su
un altro ramo, poi su una foglia, e poi sul ramo ancora. È così leggera mentre
svolazza da una parte all’altra, lei la osserva affascinata.
Poi comincia a volarle vicino, così vicino che le sembra di poter
sentire il rumore delle ali che si muovono, le fa quasi il solletico. Fruscia
intorno ai suoi capelli, al suo vestito; la farfalla sembra attratta dalla
bambina. Si è posata sulla sua mano. Lei la guarda incuriosita, non ha mai
visto una creatura del genere così da vicino. Le sue ali sono splendenti e
piene di luce, ad ogni movimento d’ali cambiano sfumatura e colore. La bambina
vorrebbe toccargliele. Si avvicina con l’altra mano per accarezzarla, ma basta
accennare quel gesto e l’insetto sfugge via. La piccola sembra delusa, ma poi
le viene in mente una cosa che le aveva raccontato la nonna..
Mai toccare le ali di una farfalla, perché sono fragili come le
fate, e come loro sono magiche. È in quella piccole macchie di colore che
risiede la polvere che le fa volare, toccarle, anche solo sfiorarle equivale a
privarle dei loro poteri, equivale ad ucciderle.
La bambina adesso si sente in colpa, stava per fare del male alla
sua compagna di giochi, ma il piccolo insetto torna a farle compagnia, non l’
ha abbandonata come aveva pensato. Si comporta in modo strano però. Sembra che
la chiami, che la voglia guidare da qualche parte. Si avvicina, le sfiora una
guancia e poi vola lontano verso il giardino. Poi torna, l’accarezza di nuovo e
ritorna verso il giardino, un po’ più lontano di prima. Questa piccola, strana
danza si ripete diverse volte fino a che la bambina non scende dall’altalena e
si appresta a seguirla.
La farfalla ora vola veloce verso la sua meta, solo di tanto di
tanto rallenta la sua corsa, come per accertarsi di essere seguita. La piccola
la segue a fatica perché l’insetto non prosegue mai in linea retta ma a zig-zag
deviando continuamente. E così lei deve passare il tempo a stare attenta a dove
mette i piedi per evitare aiuole, siepi e alberi. Spesso rimane indietro e deve
mettersi a correre per non perdere di vista la sua amica volante. Seguirla
forse è uno sciocco passatempo, ma lei è convinta che la farfalla voglia
guidarla da qualche parte, in un posto meraviglioso, magari proprio nel regno
delle fate.
Alla fine però, la magica creatura scompare alla vista. La
fanciulletta continua a correre sperando di trovarla, invano. Continua a
camminare fino a che non si imbatte nel muro di cinta, il confine del giardino,
la fine della sua breve avventura. Si guarda intorno sconsolata, la sua amica
non può averla abbandonata a se stessa, non può aver superato il muro senza di
lei. Quasi per caso, nota un piccolo cancello a lei sconosciuto. È davvero
grazioso, la grate sono finemente sbalzate, e la serratura è un piccolo
capolavoro, perché non l’ ha mai notato? In effetti non si era mai spinta così
lontano nell’enorme giardino, era sempre rimasta vicino a casa, in modo da
poter sentire i richiami della madre. E se la stessero cercando? No, è troppo
presto, staranno ancora riposando. Torna a guardare il cancello, curiosa.
Chissà cosa potrà vedere da lì, finalmente vedrà la campagna. Si affaccia
titubante, sta per scoprire qualcosa di nuovo e ha un po’ paura. Prende le
sbarre con le mani e rimane a fissare incantata l’immensità di ciò che è
apparso ai suoi occhi. È semplicemente meraviglioso.
Verde, verde e oro ovunque si posi lo sguardo. Di fronte a sé
vede una distesa infinita di campi di grano, lucenti e rigogliosi. Le ricche
spighe altissime ondeggiano pigramente come le onde del mare sotto il sole del
pomeriggio. Più lontano riesce a scorgere le piccole, grigie casupole dei
contadini e i grandi casolari bianchi dei borghesi. Riesce anche a sentire,
portato dal vento, l’abbaiare furioso di un cane, anche lui vorrebbe correre
nell’immensità della campagna, ma una catena, nemmeno molto lunga, lo tiene
saldamente. Sopra di sé c’è il meraviglioso blu del cielo, punteggiato dalle
nuvole bianche che corrono veloci verso una meta misteriosa, come le amanti che
corrono al luogo del loro appuntamento segreto. Il sole rovente è così
abbacinante che non si riesce a fissarlo. Qualche corvo vola gracchiando
sguaiatamente di qua e di là, prima di tuffarsi nell’oro dei campi. Alla sua
sinistra si spande un piccolo boschetto multiforme popolato da delicate betulle
chiare, possenti querce e molte altre piante e arbusti di cui ignora il nome.
Se solo potesse andarci…
La farfalla compare di nuovo davanti ai suoi occhi, oltre il
cancello. La sta di nuovo invitando a seguirla. Ma come può aprire il cancello?
Lei non ha con sé nessuna chiave. Si sporge come per guardare meglio per
l’ultima volta ciò a cui dovrà, suo malgrado rinunciare quando il cancello si
muove davanti a lei, aprendosi. La piccola lo spinge con forza, fino a
spalancarlo completamente, non c’è più nessun ostacolo che la possa fermare, è
sola davanti alla sua libertà inattesa. L’insetto la incoraggia di nuovo,
incalzante. La bambina prende in mano l’orlo del suo vestito, indecisa. Se
segue quell’animaletto dove finirà? E se si perdesse? Si deve fidare o è meglio
che torni indietro? Ma se torna indietro chissà quando potrà tornare il quel
mondo misterioso…
Basta un attimo e lei decide.
Un passo..
Un altro passo…
L’erba si piega soffice sotto ai suoi piedi…
Ad un tratto si ferma
Ora lei è nell’ignoto, ha lasciato la sua casa per l’avventura.
Si volta ancora per guardare il familiare giardino, sembra quasi
noioso ora in confronto a quello che la aspetta là fuori. Accosta il cancello,
e prende la via del bosco seguendo la sua amica.
Attraversa i campi dorati di corsa ridendo forte. Con le mani
accarezza le spighe che si piegano docili sotto al suo tocco. La gambe scoperte
e non protette dalla stoffa vengono pizzicate dai gambi ruvidi. La farfalla
vola alta nel cielo, ma sempre visibile, come una cometa, come un aquilone. I
gridolini della bimba sono così forti che spaventano i corvi che fuggono
irritati dai loro nascondigli. Al suo passaggio lascia dietro di sé una sottile
scia, e i preziosi chicchi si spargono sul terreno. Poi l’oro del grano si
esaurisce e davanti a sé compare un largo canale pieno d’acqua verdastra,
l’ultimo ostacolo prima della sua meta. Deve stare attenta ora, se il salto
sarà troppo breve farà un bagno non previsto. Prende la rincorsa corre e spicca
il salto. Atterra sull’argine umido, ma un piede ciondolante si immerge
nell’acqua melmosa. La faciulletta lo ritrae di corsa, ma ormai è troppo tardi,
si arrampica fino alla riva per poi poter constatare i danni. Si toglie la
scarpa di vernice sporca di fango e di alghe, purtroppo è irrimediabilmente
rovinata. Si strizza la calzetta gocciolante e la indossa di nuovo. Si rimette
anche la scarpina e passa ad esaminarsi il vestito. Trova macchie verdi e scure
d’erba e di terra un po’ ovunque. Qualunque cosa faccia ora è nei guai, tanto
vale proseguire. Solleva lo sguardo verso il cielo, la farfalla è ancora lì,
prova per guidarla. L’insetto s’immerge nel verde, ora vola piano, radente ai
rami in modo da non essere persa di vista. Prosegue per un po’ silenziosa
godendosi lo spettacolo della natura, degli alberi, ascoltando il tintinnante
canto degli uccellini che festeggino la bella giornata di sole. L’afa dei campi
è scomparsa e la bimba sente di nuovo la dolce aria fresca che accompagnava il
suo ozio in giardino. La luce però si fa, man mano che prosegue, più tenue. Non
può trattarsi del tramonto, è ancora troppo presto, perché però non riesce più
a vedere i raggi del sole tra i rami?
Gli alberi sono più vicini, più ammassati, il fogliame più fitto.
Ovunque c’è ombra, tanto che l’erba in basso non cresce più. Anche le piante
sono diverse, strane, lugubri, innaturalmente alte. I rami bassi sono secchi,
morti e senza foglie, e tutto un protendersi verso l’alto nella disperata
ricerca del sole, della luce e della vita .L’insetto prosegue sicuro, convinto,
la bambina però non è più così convinta.
L’aria sta diventando fredda, lei sente i brividi, vuole tornare
indietro. Si ferma e si guarda intorno, spaesata.
Da dove è venuta? In che direzione troverà i campi dorati? Si è
persa. Ora ha davvero paura. Continua a camminare, ma i rami secchi si
impigliano tra i suoi vestiti e i suoi capelli, la treccia è ormai
completamente sciolta. Una lacrima solca la sua piccola guancia rosata. La
farfalla la vede, le sia avvicina e le asciuga la piccola goccia di acqua
salata. La piccola sorride timidamente, non si è persa, ha una guida, una guida
che saprà riportarla nel suo giardino. Sospira e continua a camminare. Il
paesaggio cambia ancora, ora tutto è ricoperto da uno strato di edera: le
rocce, le piante, le radici…ogni cosa. La terra diventa un po’ fangosa. La sua
piccola amica le sta indicando qualcosa ora, ma lei non vede nulla. Si avvicina
curiosa. Si tratta di un arco di pietra, ricoperto dall’edera. L’insetto lo
attraversa, e lei lo segue. Il passaggio però è basso e stretto, la piccola lo
supera con fatica.
Allora esiste davvero….
È arrivata nel paese delle fate.
C’è un piccolo stagno davanti a lei, popolato da numerose ninfee
in fiore. È magnifico, sembra un quadro. Le foglie sono piatte e scure e i
fiori sono rosa screziati con le tonalità più strane. L’atmosfera che si
respira è…magica. L’acqua trasparente riflette la natura che le sta intorno,
come un enorme specchio. Intorno una varietà infinita di fiori.
Cespugli di rose gialle, grandi come soli e dal profumo
intensissimo. Sul prato centinaia e centinaia di margherite e all’ombra sulle
piccole scarpatelle primule e viole.
La bambina però è attratta dall’acqua. Vuole specchiarsi in quel
piccolo stagno.
E la farfalla? Eccola là,
su una rosa, a godersi un meritato riposo dopo quel lungo tragitto percorso
insieme.
La bimba si avvicina carponi verso la sponda e si sporge. Ora si
vede riflessa nell’acqua. Mamma mia, che aspetto trasandato. Le guance
arrossate, i capelli spettinati e l’abito sporco. Ma è felice, non vorrebbe che
essere lì, con le fate. Sorride alla sua immagine che ricambia dolcemente. Ad
un tratto però la sua immagine vacilla, si scompone e scompare. Sulla
superficie dell’acqua si formano delle increspature. Lei le osserva,
affascinata, infrangersi contro le sponde. Le ninfee ondeggiano placide. Poi
tutto torna calmo. E il suo riflesso ricompare. Ma c’è anche un altro riflesso
nell’acqua, l’immagine di un’altra bimba come lei. Che sia una fata? O anche
lei è stata portata qui da una farfalla? Continua a guardare il riflesso con
un’espressione stupita dipinta sul volto. Poi alza lo sguardo e vede la bambina
di fronte a lei, sull’altra sponda. Si guardano un attimo, per un lungo
momento, poi la ragazzina la saluta la saluta con la mano, e svanisce come
un’ombra.
La piccola spalanca la bocca per lo sgomento. Si guarda attorno,
poi incredula si stropiccia gli occhi.
Li riapre e si ritrova nella sua camera, a letto. Scaglie di luce
penetrano dalle persiane accostante. Si mette in piedi e guarda la sveglia sul
suo comodino: segna le sette. Tutti dormono ancora.
Che sia stato un sogno?
Corre verso l’armadio e lo apre. Il vestito è pulito, e le scarpe
sono rovinate, allora è vero, si è immaginata tutto. La piccola comincia a
pensare accarezzandosi i capelli sciolti, e sente che qualcosa è impigliato. È
un rametto di legno scuro, come quelli che le si erano impigliati nel bosco…
Qualcuno chiama, è ora di colazione. La bambina posa il ramo sul
comodino e corre via.
Anne
suonò ancora un paio di note e poi il brano finì. Sua figlia la guardava ora
con occhi scintillanti.
<
Ti è piaciuta? >
<
O si moltissimo. Ne conosci altre? > chiese speranzosa.
<
Può darsi, dipende tutto dalle note, ma non vorrai che te le racconti tutte
adesso no? >
Nausicaa
scosse la testa, delusa. Anne le carezzò i capelli e le baciò la fronte.
<
Vuoi sapere un segreto? >
<
Sì!! >
<
Devi promettermi di non dirlo mai a nessuno però >
<
Perché? >
<
Prometti >
<
Nemmeno a Harry e a Mark posso dirlo? >
<
Soprattutto a loro. Loro non dovranno mai saperlo >
la
bambina pensò un attimo dubbiosa. Perché la mamma non voleva che loro due
conoscessero quel segreto? Poi si convinse, in fondo sarebbe stato divertente.
<
Mmm…va bene d’accordo, così impareranno a non farmi giocare. Prometto. >
<
Vedi piccola, la bambina della storia ero io >
<
Cosa? Davvero? > chiese Nausicaa sconcertata.
<
Davvero >
<
Hai conservato il rametto che hai trovato tra i tuoi capelli? >
<
Certo, posso fartelo vedere >
Anne
si alzò e si diresse verso il suo scrittoio. Aprì un piccolo cassetto e ne
trasse una scatolina di legno intagliato. La porse alla figlia ancora seduta
sullo sgabello del pianoforte.
<
Ecco, guarda tu stessa >
Nausicaa
aprì la scatolina e trovò al suo interno un piccolo rametto di legno scuro.
Guardò la madre a lungo prima di pronunciare quella domanda che le premeva
tanto.
<
E…chi era la bambina che hai visto? >
<
Eri tu, Nausicaa. Ti ho incontrato quando ero ancora una bambina >
<
Ma non ero nemmeno nata allora! > esclamò confusa.
<
Dimentichi che era un sogno >
<
E il rametto allora? E come fai a dire che ero io? >
Anne
tornò a sedersi, pensò a lungo prima di rispondere.
<
Ci sono cose che non sono in grado di spiegare, come quel sogno, o quel
rametto. Ma sono sicura che quella bambina eri tu. Ogni giorno che passa me ne
rendo sempre più conto. Sai quel sogno mi ha cambiato la vita. Da piccola ero
molto sola, ma da quel giorno in avanti sono sempre riuscita a trovare volti
amici, finalmente non ero più circondata da soli adulti. Il giorno dopo che feci
quel sogno arrivò la nuova governante che aveva una figlia della mia età. Una
vera compagna di giochi. Per questo tu ti chiami Nausicaa >
<
Perché? >
<
Nausicaa era il nome di un personaggio del libro dell’ Odissea, il nome delle
ninfee che popolavano quello stagno, tu porti il loro nome >
Nausicaa
avrebbe voluto fare molte altre domande alla madre, ma non vi riuscì. I suoi
fratelli erano entrai senza nemmeno bussare.
<
Nausicaa vieni a giocare con noi? >
< Harry! Mark! Come vi permettete, entrare senza bussare,
chi vi ha insegnato certe
cose?
>
<
Scusa, mamma. Nausicaa può venire? >
<
Certo, vai a giocare piccola, tu non devi rimanere in casa >
<
Ma…io… >
<
Vai… > disse Anne accompagnandola fuori.
In
futuro Nausicaa non riuscì più a parlare con la madre di quello strano sogno,
la madre era diventata inspiegabilmente riluttante sull’argomento. Non riuscì
nemmeno a farle suonare quel brano. Negli anni, crescendo se ne dimenticò. Ma
ora, di nuovo in quella casa, tutto era tornato nitido come allora, ma non aveva
più una madre con cui parlarne.
<
Signora? Mi state ascoltando? >
<
Si Katie, cosa c’è? >
<
Dicevo, ora che abbiamo finito il giro d’ispezione diamo aria a queste stanze..
>
<
Va bene, vai pure giù, io ti raggiungo >
Aspettò
che la donna uscisse e poi si diresse velocemente verso lo scrittoio. Aprì il
cassettino e trovò di nuovo la scatolina di legno intagliato, il rametto era
ancora lì. All’interno recava un
biglietto..
Cara
Nausicaa, so che non ti ho dato le risposte che volevi quando eri bambina, ma
non potevo dirti altro, non sapevo altro. Sei cresciuta e te ne sei
dimenticata, per me è stato quasi un sollievo. Se sei qui a leggere questo
messaggio però significa che questo posto ti ha riportato alla mente vecchi
ricordi. Capisci ora perché sono stata così esigente con le mie ultime volontà?
Questa casa per me è stata tutto il mio mondo, non volevo che passasse in mano
d’altri. Troverai il mio spartito, quello che per anni hai cercato di farmi
suonare in una carpetta rossa. Ora potrai sentirlo ogni volta che vorrai. È un
peccato che tu non ti sia mai applicata abbastanza. Ma potresti imparare con un
po’ di pazienza a suonare il piano come si deve, sei ancora in tempo.
Sei
la più piccola, ma forse sei quella a cui ho voluto più bene. è ingiusto lo so,
una madre non dovrebbe mai fare distinzioni, o avere preferenze. Ma per me tu
sei molto speciale, sei una di quelle fate che volevo incontrare da bambina, e
lo sarai sempre. Pensa a me ogni volta vedrai volare una farfalla.
Ti
voglio bene, Anne.
Nausicaa
ripose la lettera e la scatola nel vano dello scrittoio con le lacrime agli occhi. Corse alla finestra e
guardò fuori, la campagna si scorgeva lontana aldilà del muro. Una farfalla
bianca si posò sul davanzale, incuriosita dalla presenza della donna. Le
volteggiò intorno e sparì come era arrivata. Nausicaa sorrise, quella casa
Chevalier sarebbe stata molto più che una residenza estiva.
Uscì
dalla Sala della Musica e corse da Katie che la stava chiamando.
Fine
Ringrazio
chiunque si sia soffermato su questo breve racconto e lo prego di lasciare un
piccolo commento per farmi sapere le sue impressioni.
Grazie
Ladyhawke