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Autore: lady hawke    14/05/2005    2 recensioni
Nausicaa torna dopo anni nella casa della sua infanzia, quella casa dove sua madre Anne le aveva raccontato tantissime fiabe...ma davanti ad un pianoforte alla ragazza, ormai madre torna in mente una storia dimenticata, una favola che Anne le aveva raccontato solo una volta accompagnato dalla musica di quello strumento...
Genere: Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Oltre quel muro

Oltre quel muro

 

 

 

 

Ho avuto una folgorazione ascoltando un pezzo della colonna sonora del film “ il favoloso mondo d’Amèlie”. N’è uscito un racconto che ha del fiabesco, non so quanto senso possa avere, ma non ho resistito alla tentazione di scriverlo. Fatemi sapere cosa se pensate, mi fareste davvero molto felice…quindi coraggio commentate^^

Grazie mille, un bacione a tutti

Lady hawke

 

 

Casa Chevalier

 

 

Se alzi un muro, pensa a ciò che resta fuori.

Italo Calvino

Tratto da “ Il Barone Rampante”

 

 

 

Da anni nessuno frequentava più casa Chevalier.

Quella che una volta era stata una deliziosa villa in campagna dove trascorrere piacevolmente le afose estati giaceva abbandonata come un relitto insabbiato sul fondo del mare. Le imposte scardinate cadevano a pezzi, la vernice che le ricopriva si separava dal legno arricciandosi nervosamente; l’intonaco era completamente sbiadito, al posto di quel bel giallo brillante che una volta ornava le pareti era rimasta una debole sfumatura che tendeva al grigio, e numerosi frammenti cadevano dal muro, sbriciolandosi a contatto con la terra producendo un soffocato rumore. Anche il tetto versava in pessime condizioni; solo l’imponente muro di cinta che si ergeva intorno all’abitazione resisteva orgogliosa allo scorrere del tempo.  Era l’unica cosa ancora in grado di asservire la sua funzione originale. Era stata aggiunta poco più di un centinaio d’anni prima, allo scopo di evitare gli sguardi curiosi del mondo esterno; quella muraglia era una difesa, un rifugio isolato ed incontaminato. Nessuno da allora era più riuscito a scorgere nulla dell’immenso giardino che proteggeva; il possente muro alto due metri e mezzo celava ancora il suo misterioso segreto. Nessuna breccia aveva scalfito quella solida parete, nemmeno una fessura, nemmeno le erbacce erano riuscite ad invaderlo. Dal bordo però si potevano scorgere le immerse fronde delle numerosissime querce, dei tigli e degli alberi da frutto. Era una visione meravigliosa poter osservare in primavera quel tripudio di fiori galleggianti come le ninfee sugli stagni.

Ma anche il giardino era abbandonato, come tutto il resto. Le aiuole ornamentali erano state invase e distrutte da prepotenti erbe selvatiche alte e sgraziate; i sentieri bianchi di pietre che si districavano all’interno come serpenti sinuosi erano stati cancellati; le siepi erano incolte e la crescita sregolata aveva donato loro forme grottesche; gli alberi da frutto che una volta deliziavano con i loro doni erano cresciuti a dismisura ed erano diventati incapaci di generare frutti dolci e succosi. Era davvero un bene che nessuno potesse entrarvi perché in quel giardino avrebbe trovato solo desolazione ed incuria. Dalla morte della vecchia signora Anne, che aveva voluto passare in quel luogo i suoi ultimi anni, nessuno dei suoi figli aveva più fatto ritorno in quella casa, fino a quel giorno.

La figlia più piccola, Nausicaa, ormai divenuta madre, voleva che anche i suoi figli passassero le estati in quella che era stata l’oasi di pace e di riposo della sua infanzia, non le piaceva stare in città, non le era mai piaciuto.  Sopportava i quei lunghi inverni grigi e bui solo per facilitare la carriera del marito, un uomo d’affari; ma le estati passate al chiuso, tra quelle quattro mura soffocanti, erano una tortura. Il rumore di quelle nuove automobili, venute a sostituire le carrozze, ormai troppo lente, che correvano veloci sul selciato cittadino la infastidiva infinitamente.

Scese dalla carrozza si sistemandosi il lungo abito e lanciò un fugace sguardo alla vecchia villa. Quella vista le strinse il cuore. Capì in quel momento di aver aspettato troppo. La casa versava in condizioni paurose, erano davvero passati così tanti anni? O forse lei aveva impresso nella memoria il ricordo della sua infanzia? Anche quando la madre vi si era ritirata con quella poca servitù nessuno aveva più badato alla manutenzione. Era un peccato, lo sapeva, ma forse sarebbe riuscita a recuperarla e a riportarla agli antichi splendori.

< Katie, portami le chiavi, per favore >

< Eccole qui signora. È qui che passavate le estati da bambina? >

< Sì, molto tempo fa, come vedi qui è tutto da rifare >

< Penso che vostro marito avrà di che ridire >

< Lo so, sarà un lavoraccio, ma questo favore non può negarmelo >

Sorrise leggermente, più a se stessa che alla cameriera, quello che aveva detto a Katie era vero, ma con qualche sforzo sarebbe riuscita realizzare il suo desiderio. Impugnò il mazzo di chiavi e si diresse verso il portone per aprirlo. Non fu facile come immaginava, la serratura era andata arrugginendosi negli anni, e ci volle l’aiuto di Katie per far girare la chiave nella toppa. In breve tempo furono sommerse dalla vegetazione selvaggia.

< Temo che dovrete assumere un giardiniere >

< Già, credo anche io >

S’inoltrarono attraverso quello che una volta doveva essere stato il viale principale che le condusse direttamente al portone principale della villa. Era invaso dalla vegetazione, ma, a differenza degli altri sentieri, si poteva ancora distinguere dalla schiera di siepi che ne costeggiava i contorni. Nonostante tutti quei cambiamenti la signora lo riconobbe con facilità.

< Avresti dovuto vederla ai tempi d’oro, Katie. Quello che vedi non le rende minimamente onore >

Katie osservava sorridente la sua signora persa nei ricordi della sua infanzia, la conosceva da anni, sapeva che era una persona a cui piaceva sognare, sempre immersa in altri pensieri e poco attenta ai tumulti del mondo, ma non l’aveva mai vista così presa da qualcosa.

Entrarono nell’atrio e si trovarono nella più completa oscurità. Sparute lame di luce fendevano di tanto in tanto la luce illuminando la danza del pulviscolo, ma non erano certo sufficienti quei pochi raggi per illuminare la stanza.

< Katie, per favore dammi una mano ad aprire le imposte, presta attenzione, sono così malridotte che potrebbero rimanerti in mano > disse ridendo.

< Spero proprio di no, non saprei dove appoggiarle! >

Si diedero da fare con le numerose vetrate e in meno di un minuto la luce torno a regnare su quelle stanze.

C’era uno strato di polvere ovunque, persino il pavimento appariva opaco, a fatica si distingueva il complicato arabesco che lo ornava; le due donne camminando avevano lasciato le loro impronte, e la signora con il lungo vestito aveva lasciato una lucida scia ad ogni suo passo. Sembrava che qualcuno avesse fermato il tempo, tutti i mobili, gli oggetti, le suppellettili erano perfettamente sistemati al loro posto come se il proprietario se ne fosse andato solo per un attimo. Tutto era in ordine: il bel sofà rosso sulla destra, il tavolino di mogano accanto, le pile di libri sulle mensole e le librerie…

< Nessuno di voi è più tornato qui, signora? >

< Da quando è morta mia madre no. Vedi, nel suo testamento aveva chiesto che questa casa mantenesse le sue funzioni di un tempo. Doveva essere usata come casa estiva e nient’altro. Né io né i miei fratelli ci abbiamo più pensato, non pensavamo di tornarci; ma ora penso possa tornarmi utile >

< Penso che dovremmo arieggiare un po’, c’è un discreto odore di chiuso, signora >

< Prima preferisco ispezionare la casa, vorrei vedere quanto lavoro dovremo fare effettivamente >

< Come preferite >

Nonostante il desolante aspetto esteriore, la villa non se la passava male. Le stanze erano state ermeticamente chiuse, e il buio aveva evitato i danni maggiori, all’interno si trattava, più che altro, di un’enorme opera di pulizia e di rinnovamento. I mobili erano perfettamente riutilizzabili, una volta cambiati i tendaggi e le carte da parati tutto sarebbe stato perfetto. Nausicaa andava avanti e indietro per le stanze immaginando come le avrebbe potute sistemare, e sognava e sognava seguita dalla fida Katie.  Attraversarono stanze e stanzette, piccoli corridoi, ampi porticati che davano sul giardino. La giovane donna sentiva ancora prepotentemente la presenza della sua infanzia, ogni oggetto poteva evocare un ricordo. Un piatto, un nastro ben nascosto in una scatola, un libro di fiabe, soprattutto libri di fiabe. Quante avventure aveva letto da bambina? Quante saghe memorabili, principesse, draghi, battaglie rivivevano nella sua mente. Un teatro dell’immaginario rimasto chiuso per troppo tempo in un angolino della sua memoria.

La stanza dei giocattoli fu quella che la colpì di più, quasi non la ricordava, a quei tempi non era importante dove si era, ma quali storie si potevano creare ed inventare. Ritrovò, nascosta in un baule, la sua bambola preferita. Era consunta dagli abbracci, ora si ricordava, la portava con sé ovunque, a letto, a tavola, ai pic-nic, era stanca e vissuta, povera bambola di pezza, l’aveva sfruttata fino all’ultimo. Ora se ne stava lì, a guardare la sua vecchia padroncina ormai cresciuta. Aveva perso molti capelli, ma qualche ciuffo di lana bionda si intravedeva sulla sua testa enorme; invece il suo eterno sorriso compariva ancora davanti agli occhi della donna, stinto, consumato ma ancora allegro. Il vestito rosso era proprio rovinato, mancava una manica, la destra, e l’orlo della gonna completamente strappato. A Nausicaa però parve bellissima, bella ed inconsistente come un ricordo felice, pronto ad uscire ogni qualvolta sul tuo viso compaia un velo di tristezza.

< Guarda Katie, questa è la mia vecchia bambola >

< Doveva essere bella, peccato che sia così rovinata >

< Oh, lo so, ma sai ne ha passate tante, mi stupisce che sia ancora intera, la portavo ovunque, anche quando andavo a fare le escursioni in montagna, era sempre sotto al mio braccio. >

La ripose con cura, aveva tempo ora per occuparsi di lei, tutto il tempo del mondo. Più avanti rivide un cavalluccio a dondolo di legno scuro, il passatempo dei suoi due fratelli Harry e Mark. Facevano un gioco da bambini, lei piccola e indifesa, vessata dai fratelli prepotenti e gelosi, interpretava sempre la parte della giovane fanciulla indifesa, o della principessa in pericolo da salvare. Immancabilmente Harry e Mark avevano il compito di salvarla, no, non era un compito, era una vera e propria missione. Facevano a gara a chi la salvava per prima, l’onore innanzi tutto; il cavallo a dondolo aveva sempre un gran ruolo. Lui era il fedele destriero del campione, giovane e forte; se solo avesse potuto muovere un solo passo. Era divertente vedere un bambino scalmanato dondolare dolcemente mentre fingeva di correre al galoppo sfrenato in una prateria. Fortunatamente poi lei era cresciuta e aveva imparato a difendersi, due fratelli grandi possono sempre tornare utili nonostante gli svantaggi iniziali. Sua madre era inorridita all’idea che la sua dolce bambina si trasformasse in un maschiaccio.

La donna dovette malgrado abbandonare la stanza per continuare il loro giro. Si trovarono ben presto in una stanza ottagonale circondata da vetrate colorate. Le pesanti tende di tessuto erano ancora tirate, ma, nonostante tutto, una fioca luce riusciva a filtrare illuminando di caleidoscopici colori l’ambiente.  Spalancarono le finestre e finalmente la luce bianca investì le pareti chiare. Nausicaa la riconobbe all’istante, la stanza che sua madre preferiva, la Stanza della Musica. La cara Anne adorava la musica, e da ragazza aveva insistito le poter imparare a suonare uno strumento. La reticenza dei genitori era caduta davanti l’ostinazione della figlia. Aveva scelto dapprima il violino e poi, verso i dodici anni, il pianoforte. Anne aveva abbracciato la musica con passione ed era diventata una musicista molto abile. Era un incanto poter vedere le sue esili mani correre veloci su quei tasti bianchi e neri. Da bambina Nausicaa aveva creduto la madre una sorta di fata, capace di far uscire melodie meravigliose da quella scatola magica. In quella sala troneggiava ancora, al centro, l’enorme pianoforte a coda della madre. Quante volte da piccola si era seduta accanto a lei, ad ascoltare. Avrebbe tanto voluto imparare anche lei a suonare, ma non era mai stata una persona costante, al contrario era volubile per carattere. Rimpiangeva ora, a distanza d’anni, di non essersi applicata con dedizione. Un magnifico strumento sprecato. Ma l’avrebbe conservato ugualmente, e l’avrebbe fatto accordare, era troppo legata a quell’oggetto.

< Un bellissimo strumento signora >

< Se fossi capace di suonare lo sarebbe ancora di più. Apparteneva a mia madre, non sai quante volte l’ ho vista sedersi lì e suonare. Capitava a volte che ci raccontasse delle storie accompagnate dalla musica, verso il tramonto. Con le luci fioche era tutto così magico. >

 

Mentre pronunciava queste parole a Nausicaa tornò in mente una storia che Anne le aveva raccontato una sola volta, in assenza dei suoi fratelli. Con il passare degli anni aveva tentato inutilmente di convincere sua madre a ripetergliela; peccato era davvero una bella favola.

 

 

 

  
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