Oltre quel
muro
Ho avuto una folgorazione ascoltando un pezzo della colonna
sonora del film “ il favoloso mondo d’Amèlie”. N’è uscito un racconto che ha
del fiabesco, non so quanto senso possa avere, ma non ho resistito alla
tentazione di scriverlo. Fatemi sapere cosa se pensate, mi fareste davvero
molto felice…quindi coraggio commentate^^
Grazie mille, un bacione a tutti
Lady hawke
Casa
Chevalier
Se alzi un
muro, pensa a ciò che resta fuori.
Italo
Calvino
Tratto da “
Il Barone Rampante”
Da
anni nessuno frequentava più casa Chevalier.
Quella
che una volta era stata una deliziosa villa in campagna dove trascorrere
piacevolmente le afose estati giaceva abbandonata come un relitto insabbiato
sul fondo del mare. Le imposte scardinate cadevano a pezzi, la vernice che le
ricopriva si separava dal legno arricciandosi nervosamente; l’intonaco era
completamente sbiadito, al posto di quel bel giallo brillante che una volta
ornava le pareti era rimasta una debole sfumatura che tendeva al grigio, e numerosi
frammenti cadevano dal muro, sbriciolandosi a contatto con la terra producendo
un soffocato rumore. Anche il tetto versava in pessime condizioni; solo
l’imponente muro di cinta che si ergeva intorno all’abitazione resisteva
orgogliosa allo scorrere del tempo. Era
l’unica cosa ancora in grado di asservire la sua funzione originale. Era stata
aggiunta poco più di un centinaio d’anni prima, allo scopo di evitare gli
sguardi curiosi del mondo esterno; quella muraglia era una difesa, un rifugio
isolato ed incontaminato. Nessuno da allora era più riuscito a scorgere nulla
dell’immenso giardino che proteggeva; il possente muro alto due metri e mezzo
celava ancora il suo misterioso segreto. Nessuna breccia aveva scalfito quella
solida parete, nemmeno una fessura, nemmeno le erbacce erano riuscite ad
invaderlo. Dal bordo però si potevano scorgere le immerse fronde delle
numerosissime querce, dei tigli e degli alberi da frutto. Era una visione
meravigliosa poter osservare in primavera quel tripudio di fiori galleggianti
come le ninfee sugli stagni.
Ma
anche il giardino era abbandonato, come tutto il resto. Le aiuole ornamentali
erano state invase e distrutte da prepotenti erbe selvatiche alte e sgraziate;
i sentieri bianchi di pietre che si districavano all’interno come serpenti
sinuosi erano stati cancellati; le siepi erano incolte e la crescita sregolata
aveva donato loro forme grottesche; gli alberi da frutto che una volta
deliziavano con i loro doni erano cresciuti a dismisura ed erano diventati
incapaci di generare frutti dolci e succosi. Era davvero un bene che nessuno
potesse entrarvi perché in quel giardino avrebbe trovato solo desolazione ed
incuria. Dalla morte della vecchia signora Anne, che aveva voluto passare in
quel luogo i suoi ultimi anni, nessuno dei suoi figli aveva più fatto ritorno
in quella casa, fino a quel giorno.
La
figlia più piccola, Nausicaa, ormai divenuta madre, voleva che anche i suoi
figli passassero le estati in quella che era stata l’oasi di pace e di riposo
della sua infanzia, non le piaceva stare in città, non le era mai
piaciuto. Sopportava i quei lunghi
inverni grigi e bui solo per facilitare la carriera del marito, un uomo
d’affari; ma le estati passate al chiuso, tra quelle quattro mura soffocanti,
erano una tortura. Il rumore di quelle nuove automobili, venute a sostituire le
carrozze, ormai troppo lente, che correvano veloci sul selciato cittadino la
infastidiva infinitamente.
Scese
dalla carrozza si sistemandosi il lungo abito e lanciò un fugace sguardo alla
vecchia villa. Quella vista le strinse il cuore. Capì in quel momento di aver
aspettato troppo. La casa versava in condizioni paurose, erano davvero passati
così tanti anni? O forse lei aveva impresso nella memoria il ricordo della sua
infanzia? Anche quando la madre vi si era ritirata con quella poca servitù
nessuno aveva più badato alla manutenzione. Era un peccato, lo sapeva, ma forse
sarebbe riuscita a recuperarla e a riportarla agli antichi splendori.
<
Katie, portami le chiavi, per favore >
<
Eccole qui signora. È qui che passavate le estati da bambina? >
<
Sì, molto tempo fa, come vedi qui è tutto da rifare >
<
Penso che vostro marito avrà di che ridire >
<
Lo so, sarà un lavoraccio, ma questo favore non può negarmelo >
Sorrise
leggermente, più a se stessa che alla cameriera, quello che aveva detto a Katie
era vero, ma con qualche sforzo sarebbe riuscita realizzare il suo desiderio.
Impugnò il mazzo di chiavi e si diresse verso il portone per aprirlo. Non fu
facile come immaginava, la serratura era andata arrugginendosi negli anni, e ci
volle l’aiuto di Katie per far girare la chiave nella toppa. In breve tempo
furono sommerse dalla vegetazione selvaggia.
<
Temo che dovrete assumere un giardiniere >
<
Già, credo anche io >
S’inoltrarono
attraverso quello che una volta doveva essere stato il viale principale che le
condusse direttamente al portone principale della villa. Era invaso dalla
vegetazione, ma, a differenza degli altri sentieri, si poteva ancora
distinguere dalla schiera di siepi che ne costeggiava i contorni. Nonostante
tutti quei cambiamenti la signora lo riconobbe con facilità.
<
Avresti dovuto vederla ai tempi d’oro, Katie. Quello che vedi non le rende
minimamente onore >
Katie
osservava sorridente la sua signora persa nei ricordi della sua infanzia, la conosceva
da anni, sapeva che era una persona a cui piaceva sognare, sempre immersa in
altri pensieri e poco attenta ai tumulti del mondo, ma non l’aveva mai vista
così presa da qualcosa.
Entrarono
nell’atrio e si trovarono nella più completa oscurità. Sparute lame di luce
fendevano di tanto in tanto la luce illuminando la danza del pulviscolo, ma non
erano certo sufficienti quei pochi raggi per illuminare la stanza.
<
Katie, per favore dammi una mano ad aprire le imposte, presta attenzione, sono
così malridotte che potrebbero rimanerti in mano > disse ridendo.
<
Spero proprio di no, non saprei dove appoggiarle! >
Si
diedero da fare con le numerose vetrate e in meno di un minuto la luce torno a
regnare su quelle stanze.
C’era
uno strato di polvere ovunque, persino il pavimento appariva opaco, a fatica si
distingueva il complicato arabesco che lo ornava; le due donne camminando
avevano lasciato le loro impronte, e la signora con il lungo vestito aveva
lasciato una lucida scia ad ogni suo passo. Sembrava che qualcuno avesse
fermato il tempo, tutti i mobili, gli oggetti, le suppellettili erano
perfettamente sistemati al loro posto come se il proprietario se ne fosse
andato solo per un attimo. Tutto era in ordine: il bel sofà rosso sulla destra,
il tavolino di mogano accanto, le pile di libri sulle mensole e le librerie…
<
Nessuno di voi è più tornato qui, signora? >
<
Da quando è morta mia madre no. Vedi, nel suo testamento aveva chiesto che
questa casa mantenesse le sue funzioni di un tempo. Doveva essere usata come
casa estiva e nient’altro. Né io né i miei fratelli ci abbiamo più pensato, non
pensavamo di tornarci; ma ora penso possa tornarmi utile >
<
Penso che dovremmo arieggiare un po’, c’è un discreto odore di chiuso, signora
>
<
Prima preferisco ispezionare la casa, vorrei vedere quanto lavoro dovremo fare
effettivamente >
<
Come preferite >
Nonostante
il desolante aspetto esteriore, la villa non se la passava male. Le stanze
erano state ermeticamente chiuse, e il buio aveva evitato i danni maggiori,
all’interno si trattava, più che altro, di un’enorme opera di pulizia e di
rinnovamento. I mobili erano perfettamente riutilizzabili, una volta cambiati i
tendaggi e le carte da parati tutto sarebbe stato perfetto. Nausicaa andava
avanti e indietro per le stanze immaginando come le avrebbe potute sistemare, e
sognava e sognava seguita dalla fida Katie.
Attraversarono stanze e stanzette, piccoli corridoi, ampi porticati che
davano sul giardino. La giovane donna sentiva ancora prepotentemente la
presenza della sua infanzia, ogni oggetto poteva evocare un ricordo. Un piatto,
un nastro ben nascosto in una scatola, un libro di fiabe, soprattutto libri di
fiabe. Quante avventure aveva letto da bambina? Quante saghe memorabili,
principesse, draghi, battaglie rivivevano nella sua mente. Un teatro
dell’immaginario rimasto chiuso per troppo tempo in un angolino della sua
memoria.
La
stanza dei giocattoli fu quella che la colpì di più, quasi non la ricordava, a
quei tempi non era importante dove si era, ma quali storie si potevano creare
ed inventare. Ritrovò, nascosta in un baule, la sua bambola preferita. Era
consunta dagli abbracci, ora si ricordava, la portava con sé ovunque, a letto,
a tavola, ai pic-nic, era stanca e vissuta, povera bambola di pezza, l’aveva
sfruttata fino all’ultimo. Ora se ne stava lì, a guardare la sua vecchia
padroncina ormai cresciuta. Aveva perso molti capelli, ma qualche ciuffo di
lana bionda si intravedeva sulla sua testa enorme; invece il suo eterno sorriso
compariva ancora davanti agli occhi della donna, stinto, consumato ma ancora
allegro. Il vestito rosso era proprio rovinato, mancava una manica, la destra,
e l’orlo della gonna completamente strappato. A Nausicaa però parve bellissima,
bella ed inconsistente come un ricordo felice, pronto ad uscire ogni qualvolta
sul tuo viso compaia un velo di tristezza.
<
Guarda Katie, questa è la mia vecchia bambola >
<
Doveva essere bella, peccato che sia così rovinata >
<
Oh, lo so, ma sai ne ha passate tante, mi stupisce che sia ancora intera, la
portavo ovunque, anche quando andavo a fare le escursioni in montagna, era
sempre sotto al mio braccio. >
La
ripose con cura, aveva tempo ora per occuparsi di lei, tutto il tempo del
mondo. Più avanti rivide un cavalluccio a dondolo di legno scuro, il passatempo
dei suoi due fratelli Harry e Mark. Facevano un gioco da bambini, lei piccola e
indifesa, vessata dai fratelli prepotenti e gelosi, interpretava sempre la
parte della giovane fanciulla indifesa, o della principessa in pericolo da
salvare. Immancabilmente Harry e Mark avevano il compito di salvarla, no, non
era un compito, era una vera e propria missione. Facevano a gara a chi la
salvava per prima, l’onore innanzi tutto; il cavallo a dondolo aveva sempre un
gran ruolo. Lui era il fedele destriero del campione, giovane e forte; se solo
avesse potuto muovere un solo passo. Era divertente vedere un bambino
scalmanato dondolare dolcemente mentre fingeva di correre al galoppo sfrenato
in una prateria. Fortunatamente poi lei era cresciuta e aveva imparato a difendersi,
due fratelli grandi possono sempre tornare utili nonostante gli svantaggi
iniziali. Sua madre era inorridita all’idea che la sua dolce bambina si
trasformasse in un maschiaccio.
La
donna dovette malgrado abbandonare la stanza per continuare il loro giro. Si
trovarono ben presto in una stanza ottagonale circondata da vetrate colorate.
Le pesanti tende di tessuto erano ancora tirate, ma, nonostante tutto, una
fioca luce riusciva a filtrare illuminando di caleidoscopici colori l’ambiente. Spalancarono le finestre e finalmente la
luce bianca investì le pareti chiare. Nausicaa la riconobbe all’istante, la
stanza che sua madre preferiva, la Stanza della Musica. La cara Anne adorava la
musica, e da ragazza aveva insistito le poter imparare a suonare uno strumento.
La reticenza dei genitori era caduta davanti l’ostinazione della figlia. Aveva
scelto dapprima il violino e poi, verso i dodici anni, il pianoforte. Anne
aveva abbracciato la musica con passione ed era diventata una musicista molto
abile. Era un incanto poter vedere le sue esili mani correre veloci su quei
tasti bianchi e neri. Da bambina Nausicaa aveva creduto la madre una sorta di
fata, capace di far uscire melodie meravigliose da quella scatola magica. In
quella sala troneggiava ancora, al centro, l’enorme pianoforte a coda della
madre. Quante volte da piccola si era seduta accanto a lei, ad ascoltare.
Avrebbe tanto voluto imparare anche lei a suonare, ma non era mai stata una
persona costante, al contrario era volubile per carattere. Rimpiangeva ora, a
distanza d’anni, di non essersi applicata con dedizione. Un magnifico strumento
sprecato. Ma l’avrebbe conservato ugualmente, e l’avrebbe fatto accordare, era
troppo legata a quell’oggetto.
<
Un bellissimo strumento signora >
<
Se fossi capace di suonare lo sarebbe ancora di più. Apparteneva a mia madre,
non sai quante volte l’ ho vista sedersi lì e suonare. Capitava a volte che ci
raccontasse delle storie accompagnate dalla musica, verso il tramonto. Con le
luci fioche era tutto così magico. >
Mentre
pronunciava queste parole a Nausicaa tornò in mente una storia che Anne le
aveva raccontato una sola volta, in assenza dei suoi fratelli. Con il passare
degli anni aveva tentato inutilmente di convincere sua madre a ripetergliela;
peccato era davvero una bella favola.