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Autore: crazyfred    07/10/2020    3 recensioni
{FRANCESCO & EMMA} "La neve aveva assunto l'odore dei suoi baci sotto i portici, del cioccolato, della cannella e delle arance che aromatizzavano i bicchieri bollenti di vin brûlé"
Prosieguo ideale della storia d'amore di Emma e Francesco, dove li abbiamo lasciati alla fine della quinta stagione. La voglia di ricominciare da zero, ma anche di non cancellare quello che è stato, il ricordo indelebile di errori da non commettere più. E chissà, magari coronare il loro amore con un nuovo arrivo...
Ma anche la storia di quella banda di matti che li circonda: Vincenzo, Valeria, ma anche Isabella, Klaus e naturalmente Huber.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Commissario Nappi, Emma, Francesco
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 16 - Ad un passo dal cielo (parte 2)




 
 
"Sei ancora qui? Francesco sono le 9 e Vincenzo ti sta aspettando!" "Cinque minuti, che saranno mai! Mica posso andare a dormire con le galline…".
Dopo il campeggio in notturna alle Tre Cime di Lavaredo come addio al celibato, con buona pace di Vincenzo che ancora sentiva i polpacci pesanti dopo la lunga camminata di una settimana prima per raggiungere il rifugio, assieme a Francesco si erano accordati per un semplice giro di birre tra soli uomini la sera prima del grande evento. Valeria, invece sarebbe rimasta con Emma in palafitta. Non si conoscevano da molto, ma appena avevano avuto modo di passare un po' di tempo insieme tra le due era scoccata la scintilla e da allora erano diventate inseparabili. Due sorelle a tutti gli effetti.
"Non me la strapazzare troppo" fu l'ultima raccomandazione di Francesco, prima di lasciare Emma nelle grinfie di Valeria. "No, tranquillo, cercherò solo di farle cambiare idea" rispose la forestale, tirando fuori la lingua.
Emma non aveva voluto festeggiare in alcun modo la sua ultima serata da single. Non solo era ben conscia di non poter ancora strafare fisicamente, dovendo conservare le forze per la lunga giornata che la aspettava l'indomani, ma non aveva nulla da salutare della vita fino a quel momento: aspettava con ansia, ora che era libera finalmente dalla zavorra della malattia, di vivere la vita insieme all'uomo che amava.
Il mattino seguente, nonostante le tende tirate il più possibile, il risveglio di buon ora fu inevitabile. I passi veloci e insistenti sulle tavole di legno del terrazzo rimbombavano nella sua testa assieme al vociare animato, nonostante le raccomandazioni a far piano di una voce femminile che riconosceva essere di Valeria. Dopo essersi tirata su dal letto ed essere rimasta per qualche minuto ferma, come raccomandatole dal medico, Emma si alzò ed andò a scostare la tenda: oltre al sole accecante che per qualche miracolo aveva deciso di sovvertire ogni previsione meteo, si trovò davanti una decina di persone indaffarate a spostare fiori, teli, candele e qualsiasi altra cosa stessero usando per addobbare la terrazza. E lei li guardava, dalla finestra, in sottoveste e senza reggiseno. Che meraviglia! "Valeria!" urlò, tirando di nuovo la tenda, per coprirsi agli occhi degli operai.
"La sposina si è svegliata finalmente! Buongiorno!!!" esclamò l'amica, allegra come una bambina la mattina di Natale, entrando nella palafitta. In joggers e canotta, reggeva tra le mani uno scatolone con la scritta FRAGILE. "Vale mi spieghi chi è tutta questa gente fuori da casa mia?" "Fiorai e catering naturalmente" "Fiorai e catering?!" domandò Emma, perplessa. Valeria annuì. "Alle … 7 di mattina" puntualizzò Emma, accertandosi dell'ora dalla sveglia sul comodino di Francesco. Valeria annuì ancora "E siamo anche in ritardo considerevole. Alle 11.30 … 11.45 al massimo, se vogliamo che la sposa sia elegantemente in ritardo … devi fare il tuo ingresso in chiesa. E sei ancora in questo stato" "Mettiamo anche che quello che stai dicendo abbia un senso … ma mi spieghi esattamente cosa ci fanno sulla terrazza di casa mia, visto che mi sposo in chiesa?!" "Stanno preparando per il ricevimento, che domande, siete stati voi a volerlo fare qui" spiegò Valeria, come se Emma avesse posto la domanda più assurda del mondo "e devono finire prima che tu esca…non puoi mica uscire dallo stanzino delle scope?!"
Quando Emma aveva affidato a Valeria l'organizzazione delle nozze credeva di alleviare dalle sue spalle il peso di mille incontri con i fornitori e avere il consiglio di una ragazza con gusto nella scelta di cose che lei e Francesco non capivano e a cui, detto francamente, non interessavano. Ora si rendeva conto, tuttavia, di aver creato un vero e proprio mostro; il buon gusto c'era e rispecchiava le richieste di Emma rispetto a tema e colore, ma dire che si era fatta prendere un tantino la mano era un eufemismo. Emma sperava solo che a Francesco non venisse una sincope nel vedere la casa sul lago trasformata nel palazzo del re degli elfi.
"Ora per cortesia metti questa e fai colazione" le disse, posando a terra lo scatolone e passandole la vestaglia che era sulla poltrona. "Sul tavolo ci sono caffè e brioches" continuò la forestale "il caffè nel thermos dovrebbe essere ancora caldo. Poi fai una doccia che tra mezz'ora arrivano parrucchiera e truccatrice" "Comunque potevi avvertirmi almeno, non mi sarei fatta trovare così da degli estranei …" Valeria fece spallucce, tornando al suo lavoro. "Grazie eh, bell'inizio per la giornata più bella della mia vita…" Emma non ebbe la forza di farsi risentire oltre: del resto Valeria era nel novero di persone a cui non sarebbe stata mai in grado in rimproverare alcunché; l'altra l'avrebbe sposata quel giorno. Si versò del caffè e prese una brioches ma, anziché stare a guardare il via vai di gente sul terrazzo, uscì dalla porta del piccolo magazzino ed andò a gustarsi la colazione in fondo alla passerella, seduta sulla scala di legno che si tuffava in quello specchio d'acqua che aveva di fronte, dove in passato doveva esserci una risalita dalle barche. Si sedette, le gambe a penzoloni e la testa appoggiata al vecchio legno della ringhiera. Come in un film, le tornò alla memoria la prima volta che vide il lago, appena arrivata da Milano, due anni prima. Ricordò lo stupore di fronte a tanta bellezza, così perfetta ed unica da sembrare uscita dalla tela di un artista invece che dalle abili mani di Madre Natura. Si era sentita avvolta dalla maestosità di quelle montagne così vicine e così imponenti, ma non ne era mai stata intimorita: come avrebbe potuto avere paura di qualcosa che riusciva ad esprimersi con tanto splendore. I colori brillanti della primavera di allora avevano ceduto il posto a quelli saturi e accesi di quell'autunno, l'aria calda piena di speranza ora era frizzantina e pronta, da un momento all'altro, a mandare tutto in letargo con una coltre bianca. L'incanto, tuttavia, restava inalterato. Allora come in quel momento lo sciabordio dell'acqua che, invisibile e ribelle, scorreva lungo le rocce a formare tante piccole cascatelle, era l'unico suono che Emma aveva selettivamente conservato nel marasma di quella mattina.
Ricordava benissimo cosa aveva pensato, da ragazza malata, quando aveva immerso i suoi piedi nelle quelle acque gelide, scorgendo la palafitta da lontano, per la prima volta: "Come vorrei vivere abbastanza perché possa diventare casa mia". Non poteva sapere, allora, quale viaggio terribile e meraviglioso quelle acque le avrebbero regalato, nonostante allora non sapesse neanche nuotare. Non poteva immaginare che quella casa sul lago sarebbe diventata davvero casa sua: non era una questione di residenza, ma di cuore; quel luogo le era entrato nel cuore, e ci sarebbe rimasto per sempre.
D'improvviso, il nitrito di un cavallo si propagò lungo il lago. Emma si voltò, verso l'entrata, ma non c'era nessuno. Come poteva pensare, con la caserma della forestale a quattro passi, che Francesco fosse l'unico cavallerizzo della zona?! Tornò a bere il suo caffè, sovrappensiero.
Fu così che Francesco la trovò, scendendo da cavallo. Quella mattina aveva deciso di fare il giro del lago in senso antiorario, e dall'insenatura Emma non aveva potuto vederlo arrivare. A lui per un attimo sembrò di rivederla lì, in quello stesso punto della casa, in lacrime, ad aspettarlo: affrontare da sola l'ospedale e la sua malattia, era qualcosa che non era più disposta a fare. Insieme l'avevano affrontata ed insieme l'avevano sconfitta. Ora non piangeva più.
Si dice che tutte le spose siano belle il giorno delle proprie nozze. Emma, senza abito e con l'aria di chi aveva appena lasciato il letto, era la creatura più bella che avesse mai visto. Un angelo: nonostante le falcate rumorose di lui, nonostante l'andirivieni che quella mattina c'era in casa loro, sembrava lontana ed staccata da tutti, in una bolla perfetta di silenzio e calma tutta per lei. Si accovacciò al suo fianco, soffiandole lievemente dietro l'orecchio. Lei sussultò, il tempo di capire chi fosse al suo fianco.
"Che ci fai qui?" domandò, sorpresa. "Volevo solo dare il buongiorno alla mia sposa" Emma arrossì, non era abituata a quel genere di piccole attenzioni. "Se ti vede Valeria ti caccia via a pedate lo sai, vero?" "Correrò questo rischio…come stai?" "Bene … a parte il risveglio un po' traumatico" commentò, accennando ai lavori in corso e scuotendo la testa, ancora incredula "è meglio se non entri…tu? Nervoso?" "Ora non più" Emma posò la testa sulla sua spalla e sentì le labbra di lui premerle sul capo.
Il matrimonio non era mai stato una sua priorità assoluta. Lo sognava da ragazzina, come facevano tutte le bambine, in linea teorica, come un gioco, come una favola. Del resto, con la sua famiglia disastrata, non aveva un buon esempio da seguire. Quando poi le avevano diagnosticato l'aneurisma, si era convinta di non poter permettersi di progettare un campeggio in montagna, figurarsi una vita coniugale. Ma aveva conosciuto Francesco e, innamorandosene, non le era importato veramente di come sarebbe stata la loro vita di coppia: purché insieme, lei gli avrebbe donato ogni secondo della sua vita, lunga o corta che fosse, e tutto il resto sarebbe passato in cavalleria. Quella cerimonia, quella giornata di festa, rappresentava solo il ringraziamento per un miracolo che era già avvenuto, una celebrazione di quell'amore che era stato più forte di ogni cosa.
"Cos'hai lì?" domandò Emma, accorgendosi che Francesco armeggiava di nascosto alle sue spalle. "Niente, solo un pensiero per te …" disse, presentandole un modesto bouquet di fiori di montagna. Non era elegante come le composizioni con stavano decorando il tavolo o l'arcata che avevano tirato su in terrazza, ma era semplice e delicato, ed era come se potesse tenere il profumo delle loro montagne tra le mani. "È assolutamente perfetto" decretò Emma, posandogli un bacio leggero sulla guancia. "Ti ricordi cosa ti avevo detto una sera, qualche mese fa, qui in palafitta?" domandò Francesco. Si erano detti tante cose: Emma non poter fare altro che guardarlo disorientata. "Non vedevo l'ora che tu diventassi mia moglie ... ma non potevo sapere allora quanto mi sbagliavo" "Che significa?" Emma lo guardò, sempre più attonita "Non sei convinto?"
"No, non potrei essere più convinto di quanto non lo sia ora" disse Francesco, guardando avanti, verso il lago; lo faceva sempre - evitare lo sguardo - quando aveva paura del giudizio altrui.  "Lo sai, non sono bravo a spiegare quello che sento … ma ho capito quanto erano vuote quelle parole" Emma stette ad ascoltarlo, ad ascoltare anche i silenzi con cui Francesco pesava ogni singola parola. Sentiva che quella testona complicata si stava sforzando perché i pensieri venissero fuori chiari e sinceri. "Emma quando ti ho incontrata io non pensavo minimamente ad una seconda possibilità. Non la volevo, lo sai meglio di me … ma tu mi hai cambiato la vita. Era in bianco e nero e l'hai resa a colori. E ho avuto paura, una paura assurda, perché mi sono reso conto che non eri un'alternativa. Ma quando ti ho chiesto di sposarmi l'ho fatto perché volevo mettere una pezza ai casini che avevo combinato con te … e non è più così. Voglio sposarti perché non posso immaginare un singolo giorno senza vederti, perché anche quando siamo insieme ho bisogno di sentirmi legato a te." "Perché mi dici queste cose adesso?" "Perché voglio che tu sappia cosa c'è dietro quel sì, quando lo pronuncerò … non sei la prima …" "Non l'ho mai preteso …" "Non sei la prima" ripeté lui "ma sei l'unica." "Io ti amo" aggiunse lei "e l'unica cosa che conta è che tu provi lo stesso per me" "Non dubitarne mai"
No, non lo dubitava. C'era stato un momento in cui aveva vacillato, in cui lo aveva visto distante, perso nei suoi problemi. Lei, pur disposta a condividere il peso delle sue paure, non lo aveva sentito pronto a fare uno sforzo, lo stesso che lei compiva quotidianamente per lui. Come combattere una battaglia ad armi impari, destinata ad essere persa in partenza? Nel momento più difficile invece lo aveva sentito di nuovo al suo fianco, lo aveva visto farsi coraggio per lei. Le sue mani erano state il primo contatto e il suo sorriso bagnato di lacrime la prima cosa che aveva visto al suo risveglio. Non temeva più.
Stettero in silenzio, fronte a fronte, a respirare i loro respiri, ad assorbire l'essenza dell'altro. Per qualche ora gli sarebbe bastato.
"NON CI CREDO! SEI QUA?!" un grido alle loro spalle ruppe la bolla che li proteggeva e in cui sarebbero volentieri rimasti a lungo. Valeria irruppe con la sua solita energia "E tu" disse ad Emma, aiutandola a tirarsi su "sei ancora in queste condizioni! Come devo fare con voi due? Mi farete venire un infarto!!!" "Valeria basta sul serio adesso! Sei pesante! Francesco era solo venuto a portarmi il bouquet …" spiegò Emma. "Ed ero venuto ad accertarmi che non le avessi fatto cambiare idea" continuò lui, sarcastico. La magia era andata ed entrambi tornarono con i piedi per terra. "Mmmm…non ci sono riuscita, anche se devo ammettere che il ricordo del massaggiatore della SPA dove siamo andate la scorsa settimana stava per farla cedere …" "Simpatica…" "Ma non starla a sentire …" disse Emma al suo fidanzato, sorridendogli e appoggiandogli le mani sul torace. Ne avevano passate di tutti i colori, stavano per sposarsi eppure percepiva ancora, talvolta,  quella stessa insicurezza del primo giorno "adesso vai, avrai anche tu ancora un sacco di cose fare". Valeria stette a guardare, incredula, mentre si salutavano con un bacio "Ma insomma … una cosa tradizionale riuscirete a farla voi due? Lo sposo non dovrebbe vedere la posa prima delle nozze … e voi vi baciare per giunta" "Vale dimmi una cosa" la calmò Emma, mentre rientravano in casa  "ci hai mai visti fare una cosa tradizionale? E poi, sinceramente, con quello che abbiamo passato, dovrei ancora credere a certe scaramanzie? Stai tranquilla e goditi questa giornata come ho intenzione di godermela io"
Valeria, un po' per sfinimento, un po' per assecondare le richieste della sposa, finì per accontentarla e calmarsi. Forse, pensò, aveva esagerato un tantino con la caffeina da quando si era alzata. Non era così, normalmente: era energica, ma non isterica, propositiva, non dittatoriale. Quando Emma le aveva chiesto di aiutarla con il matrimonio, non ci aveva impiegato meno di un secondo ad accettare: nonostante avesse avuto poche settimane, nonostante le richieste non convenzionali, aveva deciso di dare loro il matrimonio da favola che non sapevano di volere, ma che decisamente meritavano: per i bastoni tra le ruote che avevano dovuto rimuovere e gli ostacoli che avevano dovuto superare. Lei non aveva mai provato un amore grande, forte e puro come Emma e Francesco, forse non l'avrebbe mai provato, ma non aveva alcuna invidia: solo una grande felicità per i suoi amici; aveva assistito alle paure, alla rabbia, alle recriminazioni e al dolore, era finalmente arrivata l'ora di raccogliere la loro giusta e meritata porzione di felicità.
I capelli, mossi, erano semiraccolti a mezza altezza con poche forcine e qualche bocciolo, il necessario per poter accogliere il lungo velo cattedrale. Era poco pratico per le nozze celebrate quasi sul cucuzzolo della montagna, ma era il compromesso necessario per l'abito che aveva scelto: semplice e composto sul davanti, con un top accollato di pizzo ricamato e le maniche lunghe, celava una generosa scollatura posteriore, poco adatta ad una chiesa.
"Sei bellissima!!!" in un soffio, come stesse trattenendo il respiro, Vittoria Giorgi stava alle spalle di Emma con i pugni stretti vicino al viso, incredula nel vedere sua nipote in abito bianco. Arrivata da Milano il giorno prima, era stata mandata in spedizione dagli uomini prima di andare da Emma, per accertarsi che non combinassero pasticci con i loro abiti, e controllare anche i bambini, affidati alle cure di Isabella, così era arrivata della sposa solo quando ormai mancavano gli ultimi dettagli e Klaus stava già scattando le prime foto - rigorosamente non in posa. "Oh ziaaaa!" sospirò Emma, incrociando il suo sguardo tramite lo specchio.
Capelli biondi mossi e raccolti, un abito cocktail corallo e uno scialle stretto tra le mani assieme alla pochette dorata, gioielli minimal e contemporanei, si definiva una sciura milanese, ma di snob e retrò non aveva nulla.  Zia Vicky, così Emma l'aveva ribattezzata fin da quando era bambina, era l'unica figura materna che Emma riconosceva: sua madre, lontana, tra Firenze e le sue mostre nel resto del mondo, non era stata molto presente durante le tappe più importanti della sua vita. Vittoria, nonostante fosse quasi troppo giovane per essere una vera mamma per Emma, non si era tirata indietro vedendo questa ragazzina sola e con un padre sempre immerso nel suo lavoro. Alla fine, nonostante la sua vita professionale e la sua famiglia, Emma era diventata la sua bambina in tutto e per tutto ed erano inseparabili.
"Oh cavoli!" esclamò, frugando disperatamente nella borsetta "niente lacrime o cede il trucco!!! È ancora troppo presto per commuoversi!!!" "Zia sei sempre la solita!" "Mi vorresti diversa..?" "Neanche per sogno!" affermò Emma, girandosi ed abbracciandola. Valeria, nel suo abito bordeaux, aveva deciso ormai di non sprecare più fiato con la sposa ribelle, limitandosi ad ancorare il fermaglio del velo al meglio delle sue possibilità.
"La mia bambina si sposa … sembra ieri che mi hai detto che saresti venuta a lavorare qui…" commentò la zia, tamponando gli occhi, ancora lucidi. Emma credeva profondamente al destino: troppe coincidenze si erano dovute allineare perché lei e Francesco si conoscessero proprio lì, a San Candido, per essere una semplice casualità. No, decisamente le stelle avevano giocato con loro. La zia, girandole attorno, notando ogni dettaglio, si sperticava in commenti nei confronti della nipote. "Stefano e Riccardo diventeranno gelosi, un giorno o l'altro, se continui così …" Né la sua carriera da architetto, né la nascita dei figli, tantomeno il divorzio impedirono a Vittoria di seguire Emma negli anni difficili dell'adolescenza o, dopo la scoperta della malattia, di vegliarla da lontano. Si era sempre chiesta, da donna prima e da madre poi, come fosse possibile che suo fratello e la sua ex moglie non riuscissero a fare quello che a lei pareva la cosa più naturale del mondo: amare i propri figli. Emma sembrava averlo capito molto prima di lei: non tutti siamo fatti per amare, le disse un giorno, tagliando corto. Per fortuna, la piccola Emma sembrava aver preso da lei. Metteva amore in tutto quello che faceva.
"Ma loro ti vogliono bene e, anzi, ti mandano i loro auguri. Ci sono rimasti male che non sono potuti venire" "Zia, abbiamo fatto le cose in piccolo, lo sai … fosse stato per noi …" "Sì, lo so…fosse stato per voi sareste stati solo voi, i testimoni e il prete … e comunque, il matrimonio di una figlia femmina è sempre un'occasione speciale per una mamma, non me lo sarei persa per nulla al mondo" "Ma tu non sei …" "Sì lo sono" tagliò corto sua zia "se chi ti ha partorito non ha saputo apprezzarti, io che ti ho cresciuta non posso che essere orgogliosa per la donna che sei diventata. Che tu possa essere felice per quanto sei bella piccola mia!"
"Allora sarà di sicuro la donna più felice del mondo …"
"Pietro?!" esclamò Emma, incredula, la voce a metà tra la risata e lo stupore "oh mio Dio, ma sei proprio tu? Che ci fai qui?" "Beh...sai...mi era arrivata voce che si celebrava un matrimonio nella mia palafitta...non potevo mancare"
Pietro, il vecchio comandante della Forestale di San Candido, che aveva vissuto proprio su quella palafitta prima di lei e Francesco, e che aveva conosciuto durante un viaggio lontano dalle montagne della Pusteria, era fermo sull'uscio della porta finestra, vestito di tutto punto come non lo aveva probabilmente mai visto nessuno. Era stato lui ad indirizzare Emma verso quel progetto di conservazione dei lupi sulle Dolomiti, lui l'aveva aiutata a trovare alloggio presso il forestale che tutti conoscevano come Roccia ed era stato sempre lui a parlare per la prima volta del lago e della palafitta.
"Ma come? Chi è stato?" Emma domandò, voltandosi verso Valeria, la quale ne sapeva, evidentemente, quanto lei. Probabilmente era stato uno tra Vincenzo e Huber a contattarlo. Lei gli aveva fatto sapere del matrimonio, ma non aveva mai fatto accenno ad un invito: non si riteneva così importante da valere un volo intercontinentale dall'Asia. "Tuo marito" spiegò Pietro, con la sua proverbiale pacata imperturbabilità "anzi, il tuo futuro marito"
Emma si lasciò andare ad un sospiro di stupore, non poteva credere che Francesco avesse pensato ad invitare proprio Pietro, senza il quale, molto probabilmente, loro non sarebbero stati lì.
"E così ora abiti qui…" le chiese, guardandosi intorno. "Sì...ti piace come l'abbiamo sistemata?" Sembrava incuriosito, sinceramente, dal vedere quanto era cambiata la sua casa da quando l'aveva lasciata; difficile dire se lo convincessero o meno le modifiche che erano state apportate. "Si poteva fare di meglio … diciamo che non è esattamente di mio gusto. Ma voi siete giovani...cosa ne posso capire io… è bello però che non sia rimasta vuota. La palafitta è una creatura di questo lago: qualcuno deve prendersene cura"
Emma annuì. Anche lei l'aveva sempre vista come un essere vivente, meritevole di attenzioni e rispetto. Era bello che lei e Francesco non avessero disatteso le speranze di Pietro e si erano passati il testimone, senza saperlo, in una ideale staffetta.
"Abito a casa tua, non è buffo?" "Ci credi nel destino, Emma?" la ragazza annuì. "Ecco, qualcuno una volta ha detto che il destino va preso per quello che è: ogni giorno è un’opportunità, un regalo che qualcuno ci ha fatto."
Pietro le strizzò l'occhio, come faceva sempre quando voleva instillarle un dubbio nella testa, portarla a riflettere su qualcosa: certo non poteva essere sicuro di essere stato l'artefice materiale del suo amore con Francesco, ma quell'insinuazione era sufficiente per farla sognare. E dopo tanta cruda realtà, aveva un disperato bisogno di sogni.
"Mi accompagneresti all'altare?" domandò Emma all'uomo, diretta. "Volevo farlo da sola, ma non so se mi reggono le gambe …" "Ci sono io …" le disse, dolcemente, offrendole il braccio.
 
"Assicurami al 100% che hai avuto il permesso dalla sposa e soprattutto dalla sua testimone di non indossare la cravatta…" esclamò Vincenzo, preoccupato. "Perché, scusa?" "Perché conosco Valeria abbastanza da sapere che se è una tua iniziativa, poi sarò io a pagarne le conseguenze" "Parola di scout che Emma è d'accordo" sentenziò Francesco, mimando il saluto scout mentre, lasciata l'auto, si incamminavano verso l'altura dove era sita la chiesa. Di fronte a loro, oltre il tipico campanile a punta, appariva, fragile ed imponente al tempo stesso, lo spettacolo delle Dolomiti. Le cime più alte, innevate di fresco da un accenno d'inverno passeggero, contrastavano il verde, ancora rigoglioso, dei boschi sottostanti.
Leonardo, poco avvezzo a situazioni formali, aveva lasciato la sua giacchina elegante ad Isabella e si avviava correndo verso il prato di fronte alla chiesa. A nulla valsero le raccomandazioni degli adulti a che evitasse di sudare: le sue guance erano già rosse come due mele appena colte. Con lui, una delle figlie di Huber - Vincenzo non sapeva neppure quale, aveva così tanti figli che aveva perso il conto: a Francesco ed Emma sarebbe bastato Leonardo come paggetto, ma Huber aveva insistito perché una delle sue bimbe aiutasse Emma con il velo.
Emma aveva detto alla zia che avevano organizzato un matrimonio intimo, ma era più corretto dire che l'invito era stato esteso a tutti coloro che, in piccolo o in grande, avevano dato il loro contributo alla nascita di quell'unione. E anche se la lista degli invitati era ufficialmente esigua, la chiesa era piena. Roccia, l'ex vice di Pietro prima e di Francesco poi, era tornato da Innsbruck, dove si era trasferito dopo la pensione; Natasha, che per qualche tempo aveva diviso casa con Emma a San Candido e suo marito Tommaso. In generale, quando in paese si era diffusa, ad opera di Huber, la storia di Emma, della sua malattia e il suo desiderio di sposarsi tra le montagne a loro tanto care, l'intera cittadina di era mossa in una sorta di gara di solidarietà affinché il tutto diventasse possibile in poco tempo. Francesco, entrando in chiesa, si sentì sopraffatto dall'affetto di tutta quella gente che era lì per lui. Non aveva mai avuto una grande famiglia; ora, invece, sentiva di aver trovato una dimensione domestica a sua misura: non di sangue, ma di affetti. Ripensò a quelle settimane trascorse, che sembravano così lontane ora che tutti erano così felici, ripensò al sostegno di quegli amici. Allora, come in quel preciso istante, nonostante il bene che provava per loro, essi erano solo spettatori di qualcosa che riguardava solo lui ed Emma.
"Non staremo facendo una cazzata?" domandò Francesco a bassa voce, sperando che il parroco, dalla sacrestia alle loro spalle, non sentisse quella parola che gli era scappata per sbaglio.
"Ah France'? Ma te ne saresti mica uscito pazzo? Dopo quello che avete passato, mò ti ricordi a farti venire i dubbi…?"
"Ma no…non ho alcun dubbio. È solo che Emma è ancora così debole e forse ho spinto per qualcosa che potevamo benissimo fare a primavera, non sarebbe cambiato nulla…"
"Fattelo dire, France', il tuo tempismo è devastante" gli disse, sorridendo e indicando un punto fuori dalla chiesa che Francesco aveva difficoltà a vedere a causa del sole che proveniva dall'esterno e il contrasto con la penombra dell'interno. Le campane nel frattempo suonavano a festa. Era arrivata la sposa.
Tutti si alzarono in piedi. Isabella, che era rimasta fuori a tenere i bambini occupati, entrò in chiesa, tenendo in braccio Carmela, assieme a Valeria e alla zia di Emma. A Vincenzo scappò una lacrima prima ancora che la sposa varcasse la soglia: Francesco ed Emma, infatti, avevano voluto che la sua piccolina avesse lo stesso vestitino della damigella perché, anche se non era ancora in grado di camminare, era anche lei parte del gruppo.
Appena furono tutti al loro posto, e la sagoma di Emma apparve all'ingresso della piccola chiesetta, scendendo i due piccoli gradini di pietra che la separavano dalla navata, un violoncello iniziò a far vibrare le sue corde, diffondendo una melodia dolce e malinconica nella piccola pieve.
Francesco, istintivamente, fece un passo in avanti, come volesse raggiungerla, ma Vincenzo, prendendolo per un braccio, gli impedì di andar oltre. Ma l'amico non badò più di tanto a quel contatto, il pensiero e lo sguardo erano totalmente rapiti dalla figura eterea che gli si stava avvicinando. Le dimensioni ridotte della navata permisero alla sposa e al suo accompagnatore di raggiungere l'altare in breve tempo, ma ad entrambe era sembrata un'eternità. Gli sguardi di tutti fissi su di loro non esistevano, non c'erano la commozione delle amiche né i sorrisi orgogliosi dei colleghi. C'erano solo Emma e Francesco, il sorriso di lei e le lacrime di lui. In sottofondo, solo il battito dei loro cuori, che arrivava forte fino in gola, come quella volta in cui lei aveva confessato di amarlo ancora, nonostante il tempo e nonostante la distanza. Avevano provato a stare lontani, ad odiarsi, anche a farsi del male, ma avevano finito solo per amarsi ancora di più. Allora, lei aveva preso tutto il suo coraggio e aveva deciso di rischiare, ma lui aveva avuto paura. Ora, invece, lui non aveva più paura e lei non doveva più rischiare. Lo sapevano, ci sarebbero stati ancora momenti tristi, giorni in cui tenere il broncio o sere in cui darsi la schiena nel letto, andando a dormire; ma sarebbe tornato sempre, puntualmente, il momento per fare la pace, per abbracciarsi, per essere insieme. Era il loro destino.
Salutato Pietro, Francesco porse la mano ad Emma, che ricambiò forte la stretta, carezzando quelle grandi dita con il pollice. Anche sistemandosi tra sgabello e inginocchiatoio, mentre lui, pur con le mani tremolanti, l'aiutava con velo e bouquet, non riusciva a staccargli gli occhi di dosso: lui, così attento e premuroso, non riusciva a smettere di piangere, come un bambino, soffiando fuori l'aria per provare a ritrovare la calma e l'autocontrollo. Appena anch'egli si fu sistemato al suo posto Emma posò la mano sulla sua guancia, costringendolo finalmente a guardarla negli occhi per bene, come fino a quel momento non era ancora riuscito a fare. Gli sorrideva e lui la trovava bellissima, ancora più del solito, raggiante come quando l'aveva raggiunta nel loro posto speciale, libera e felice come mai prima di quel momento: non l'avrebbe delusa ancora, come aveva fatto quella volta, quando aveva scelto messo al primo posto la ragione invece del cuore. Abbandonò totalmente sé stesso in quella carezza, come solo di fronte a lei era capace di fare; lo aveva già intuito, ma fu lì che ne ebbe la certezza definitiva: aveva sposato Livia perché era la cosa giusta da fare, stava sposando Emma perché l'amava, perché era l'unica cosa che voleva il suo cuore.
 
"Francesco! Francesco!" la vocina acuta ed insistente di Leonardo, unita al leggero scatto di Francesco che si era girato verso il bimbo e suo cognato, fece svegliare Emma dal torpore in cui era caduta, aiutata anche dal lieve massaggio che suo marito le stava facendo alle tempie. "Vieni! Vieni a vedere!"
Emma fece cenno al marito di andare, mentre si rialzava lentamente dalle sue gambe che aveva usato come cuscino, ancora sonnacchiosa.
Francesco si avvicinò a Giulio e il piccolo, i quali se ne stavano accovacciati davanti alla porta della legnaia. Leonardo, in punta di piedi, cercava in tutti i modi di sbirciare attraverso una spaccatura nelle assi della vecchia porticina di legno logora. "Che c'è?" "Abbiamo sentito dei versi" spiegò Giulio "come un piagnucolio, ci sarà qualche animale…"
"Leo vai in braccio allo zio per favore" disse Francesco, prendendo dalla tasca un mazzo di chiavi. Negli ultimi mesi aveva usato quella legnaia come ripostiglio per gli attrezzi e per alcuni dei mobili dei vecchi proprietari che aveva deciso di salvare. L'ultima volta che era entrato, però, era stata solo pochi giorni prima, quando aveva fatto portare via i mobili per il trattamento antitarme. Nel frattempo, nel silenzio, anche lui iniziò a sentire qualcosa: erano chiaramente dei guaiti, molto acuti.
Emma, avvicinatasi, andò anche lei a dare un'occhiata, rimanendo all'ingresso del piccolo capanno. Francesco, all'interno, era chino tra alcune travi di legno e un rotolo di rete metallica. Rialzandosi, mostrò a tutti la sua scoperta: un piccolo batuffolo di pelo ancora ispido e sporco di terriccio e fogliame, tra il marroncino e il grigio, che per poco non riusciva a stare completamente nascosto tra le mani del forestale.
"È un cane?" domandò Leo, sporgendosi più che poteva dalle braccia di Giulio. "Credo di sì … è una femmina"
"È ferita?" domandò Emma. "No, solo un graffietto … c'erano dei chiodi su una delle travi. Credo sia affamata più che altro. Come sarà arrivata qui?" "È troppo piccola per esserci arrivata da solo, avrà 5/6 settimane al massimo" considerò Emma "forse è il caso di controllare bene nei dintorni… magari la mamma aveva trovato rifugio qui, è scappata al vostro arrivo e lei è rimasta bloccata. Non sei convinto…" Non era una domanda. Vedeva benissimo lo scetticismo negli occhi del marito. "È che qui il randagismo è una cosa rara … addirittura una cagna con dei cuccioli …"
"Magari è scappata dai padroni che erano in vacanza ed era incinta, raro ma non impossibile …"
L'uomo annuì e, posati a terra sia il cucciolo di animale che quello d'uomo, Giulio e Francesco iniziarono a cercare nella boscaglia intorno alla casa. "Posso?" chiese immediatamente il piccoletto, tendendo le mani per poterlo prendere. "No, Leo, è pericoloso" urlò Francesco, da lontano. "Ma è così piccoloooo!!!" reclamò Leonardo. Emma, portò un dito davanti alla bocca, raccomandando a Leonardo di fare silenzio e, con attenzione, mise tra le braccia le bambino la trovatella, che aveva l'aria troppo stanca per protestare di fronte a tutte quelle attenzioni e sballottamenti. Leonardo la teneva saldamente tra le braccia, come fosse una porcellana preziosa che per alcuna ragione deve cadere e rompersi. Non poteva essere impaurito da un esserino così piccolo e indifeso anche per lui, né lo infastidiva la sporcizia che aveva sul pelo. Certo aveva passato un anno in una fattoria, dopo che la setta dove era nato era stata chiusa, ma le persone con cui viveva limitavano molto il suo raggio d'azione e le sue esperienze.  
"Vieni" gli disse Emma, a bassa voce "diamole un po' d'acqua e qualcosa da mangiare"
Mentre, sulla coperta, Leonardo osservava rapito e divertito il cucciolotto che spazzolava i pezzettini di prosciutto e dei cracker sbriciolati, le uniche cose che avevano in quel momento adatte ad un cucciolo così piccolo. Anche Emma, dal canto suo, aveva meccanicamente attivato il suo occhio esperto.
"Francesco!" chiamò, allarmata ma non troppo, per non preoccupare Leonardo "vieni un momento per cortesia?!"
"Che succede?" domandò Francesco, accorrendo di corsa "Emma che state facendo? Dovete stare attenti, di sicuro non è vaccinato! E tu sei incinta … la toxoplasmosi …"
Emma neanche badò alle parole del marito. "Non sono sicura che sia un cane …" disse, a bassa voce. "Come non è un cane? Pensi sia un …" "… lupo?! Sì. O al massimo un ibrido. Guarda…"
Emma prese la cucciolotta tra le mani e fece notare a Francesco, sebbene fosse ancora molto piccola, come i denti e le zampe fossero molto più simili a quelli di un lupo che a quelli di un cane.
"Forse è il caso di portarla dal veterinario … se è veramente un lupo bisogna riportarla nel branco il prima possibile" "Facciamo passare il week end … " sentenziò Emma, riportando la cucciolotta da Leo che scalpitava per poter giocare ancora con lei "… i lupi sono animali molto schivi ed è facile che se non l'hanno abbandonata volontariamente potrebbero tornare appena andiamo via."
Francesco valutò che l'idea di Emma non era poi così malsana, d'altronde era un'esperta di lupi e dei loro comportamenti. Coinvolgendo anche Leonardo, prepararono una cuccia più confortevole e sicura nella legnaia e sistemarono una fototrappola, per controllare i movimenti attorno alla casa. Entrambe ricordarono di quando avevano reintrodotto un altro cucciolo nel suo branco, quando entrambi erano arrivati a San Candido da poco ed erano poco più che degli estranei. Era bello farlo di nuovo, insieme, da famiglia.

 

Angolo dell'autrice

Salve a tutte!!!
Da tanto non faccio sentire la mia voce a fine capitolo, ma questa volta penso proprio che fosse necessario. Non penso che un'autore debba mai scusarsi per la lunghezza di ciò che scrive, se sente che sia il modo giusto di affrontare quello che vuole raccontare. A maggior ragione se quello che sta raccontando porta in sé la carica emotiva di questo capitolo. E poi volevo condividere con voi la gioia del mio viaggio a Braies, cornice meravigliosa della serie e di questa storia d'amore. Spero che l'esperienza in prima persona sia rintracciabile in quello che ho scritto.
Proprio perché il flashback proposto è un momento tanto importante, io spero che vogliate condividere con me le vostre impressioni. 
A presto, con la cucciolotta trovatella e le avventure e disavventure dei nostri personaggi preferiti.
   
 
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