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Autore: KaterinaVipera    12/10/2020    4 recensioni
Amira si reca in un piccolo villaggio sperduto nella campagna inglese a trovare la cugina, in cerca di un posto dove iniziare la sua nuova vita, lontana da casa e da tutte quelle persone che le hanno voltato le spalle quando ne aveva più bisogno.
Ciò che cerca è la possibilità di ripartire e, soprattutto, la tranquillità che negli ultimi mesi le è stata negata.
Ma, la vita, ha in serbo per lei tutt'altro e fin da subito si ritrova in una realtà che non sapeva esistesse; le persone che, all'inizio le sembrano solo strane si riveleranno per quello che sono veramente: creature straordinarie che credeva fossero solo fantasia e lei dovrà decidere se essere solo lei, una semplice ragazza, o, al contrario, farne parte ed accettare ciò che le dice il suo cuore: lei appartiene a lui, è sua, solo che ancora non lo sa.
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Apro un occhio e successivamente anche l’altro, cambiando posizione e rannicchiandomi sempre di più sotto le coperte, al caldo e al riparo dalla luce che filtra attraverso la fessura delle tende.
Distendo un braccio nel posto accanto a me, trovandolo vuoto, ma non preoccupandomi perché quasi subito mi giunge alle orecchie lo scrosciare ovattato dell’acqua nella stanza accanto.
Mi copro il viso con il lenzuolo, nascondendomi a riccio, per ripararmi dalla luce bianco grigiastra, non sapendo – e non volendo neppure sapere – che ore sono. Dopo tanto tempo, le cose sembrano aver iniziato a prendere una giusta piega ed io ho tutta l’intenzione di godermi questi attimi appieno.
Nel giro di qualche minuto, o forse di più, trascorso in un dormiveglia indefinito, mi giungono alle orecchie dei passi felpati che si avvicinano e, l’attimo dopo, il materasso si abbassa sotto il peso del visitatore.

“Ti sei svegliata, finalmente.” sale sul letto, sdraiandosi al mio fianco e costringendomi ad emergere dal mio nascondiglio caldo e sicuro.

“No, non è vero. Sto ancora dormendo.” mugolo con la voce ancora impastata dal sonno, celando un sorrisino che mi increspa le labbra.

Tento di ritornare con la testa sotto le coperte, per cercare di dormire, o almeno di riposare un altro po', dal momento che avevano ragione Ellie e Garreth: sono stati giorni lunghi e stancanti ed io voglio stare a letto, troppo stanca per muovere un muscolo.
Ovviamente, mi viene impedito dall’alfa che, con fare da esperto prepotente, afferra la coperta e con un unico, secco, gesto la tira via, ai piedi del letto, lasciandomi completamente esposta al freddo della stanza.

“Alzati e guarda fuori dalla finestra.” dice ridacchiando, mentre si alza e si sposta per la stanza.

Contrariata e anche molto arrabbiata, osservo i suoi movimenti per poi distogliere subito lo sguardo quando vedo che indossa solo l’accappatoio e che si sta per cambiare con me presente.

“No, tu dovresti rimanere a letto finché non sarai guarito del tutto.” lo rimprovero impensierita, coprendomi gli occhi con entrambe le mani, l’attimo dopo quando mi rendo conto che si sta cambiando di fronte a me, senza remore e senza pudore, sforzandomi di non sentire il fruscio dei vestiti sulla sua pelle e di non far vagare i pensieri.

“Amira...” è il suo richiamo, dolce e melodioso, ipnotico, come il canto delle sirene. “Fidati, va tutto bene.”

E come loro, è anche nocivo.
Per la mia salute mentale e per le mie facoltà raziocinanti, di sicuro.

Convinta a dargli retta e curiosa di scoprire cosa deve farmi vedere di tanto importante, mi faccio coraggio, scendo dal letto a malincuore e punto lo sguardo su di lui, sul suo viso. Tentando in ogni modo di tenere lo sguardo più in alto che riesco, ma avendo comunque una minima visuale del suo corpo.
Peccato che sia a petto nudo, e inevitabilmente l’occhio mi cade sul busto che non è più fasciato.
Mi allontano quel tanto che basta per poterlo vedere meglio – dato che ci sono, colgo l’occasione – e con la scusa – grande, immensa, abissale – di accertarmi che stia bene e che non vi sia più traccia della ferita, lo sfioro nel punto, dove però, è rimasta la cicatrice.
La sfioro delicata in punta di dita, seguendone il profilo, la carne ancora più scura a causa della recente operazione e, per questo, ancora molto più sensibile.
È un taglio lungo, obliquo, che gli attraversa parte del costato e sebbene non sia un medico, non mi ci vuole molto per intuire che sia stato davvero fortunato ad essere ancora vivo.
Garreth copre la mia mano con la sua, fermando la mia ispezione.

“Scusa, non volevo farti male...” bisbiglio, distogliendo lo sguardo dal suo, troppo intenso, profondo, improvvisamente scuro, per poterlo sorreggere a lungo.

Senza sapere come succede, mi ritrovo nuovamente distesa a letto, sotto di lui, gli avambracci a tenermi stretta e chiusa nella sua morsa, e le gambe impossibilitate a muoversi dalle sue che mi stringono.
La sua bocca cala sulla mia, disegnando il contorno delle labbra con la lingua e rincorrendo la mia l’attimo dopo, facendomi perdere il fiato e la ragione.
Lo accompagno in questo ritmo, sfiorandogli i fianchi con i polpastrelli e seguendo le linee del suo corpo, trovando traccia delle vecchie ferite, storie passate di cui mi auguro, un giorno, mi vorrà mettere al corrente. Per adesso, però, mi basta poter sentire la sua pelle ed il suo calore scorrermi sotto le mani, ed accertarmi che sia tutto vero e non una mia fantasia.
Tutto diventa concitato, frenetico, ed io non riesco ad arrestare la sua bramosia e nemmeno lo vorrei, per quanto mi inizi a sentire in imbarazzo sotto i suoi baci sempre più arditi e spinti, le sue carezze che iniziano ad ispezionare il mio corpo.
Si stacca per riprendere fiato, solo un attimo, breve e fugace, e si fionda a baciarmi le labbra, umide, gonfie e mai sazie delle sue attenzioni, che ricambiano come se non desiderassero fare altro, spostandosi sulla guancia, la mandibola, la gola dove si sofferma a suggere lento, insinuante e provocatorio la pelle, per finire irrimediabilmente nel punto dove il collo si unisce alla spalla e mordere, in maniera più forte e decisa rispetto a ieri sera, tanto da farmi lamentare impreparata per la punta di dolore.

Sorride, lui, staccandosi senza darmi la motivazione del suo gesto, calmando il respiro per farlo tornare lento e regolare.
Mi elargisce un bacio sulle labbra, veloce, che risuona nella stanza, prima di alzarsi ed invitare me a fare altrettanto.
Rimango inebetita e confusa per un attimo, non capendo cosa gli sia preso, avendo la sensazione che non sarà la prima volta e che ci dovrò fare l’abitudine.

“Vestiti pesante.” mentre lui si veste con noncuranza, limitandosi ad una maglia a maniche lunghe e a rimanere con un paio di pantaloni che, dall’aria, non hanno niente di pesante.

“Perché?” in casa si sta bene, non fa poi così freddo, anzi, devono aver alzato il riscaldamento, perché c’è un piacevole tepore.

Con un cenno della testa mi indica di guardare fuori di finestra e senza farmelo ripetere due volte, scendo dal letto con un scatto e mi fiondo davanti al vetro, rimanendo senza parole.
Durante la notte, deve essere iniziato a nevicare molto, continuando tuttora, ricoprendo il suolo di un leggero, soffice, strato bianco. I fiocchi sono grandi, cadono fitti, trasportati dal vento che impietoso non li permette di posarsi da nessuna parte.
Poso una mano sulla finestra, sentendo il freddo pungermi la pelle, e i brividi nascere lungo il braccio, troppo incantata per staccarmi da questo fantastico spettacolo.

“Forza, vestiti che dopo aver mangiato, usciamo.” e per rafforzare la sua affermazione, mi da una leggera pacca sul sedere, che mi fa sobbalzare.

Lo guardo sconcertata per il suo gesto, sopratutto vedendo lui che se la ride, divertito; anche quando mi porge altri abiti che non sono i miei.
Non mi serve molto per capire che sono di sua madre, l’ennesimo prestito che non saprò come sdebitare.
Solo che io non voglio aspettare di dover mangiare, non davanti agli altri membri della famiglia e non dopo aver trascorso la notte con lui. Ho troppa voglia di uscire, magari di nascosto – possibilmente –, e andare a godermi questo spettacolo invernale.

“Ti prego, Garreth! Non ho fame, possiamo mangiare dopo?” lo imploro, guardandolo con gli occhi di un cucciolo. “Se tu hai fame puoi mangiare il sandwich...” indico il piatto, trovandolo vuoto.

“Già fatto.” dice, avvicinandomisi. “Mentre tu russavi come un ghiro.”

Lo guardo scandalizzata.

“Io non russo!” mi impunto.

“Sì, invece.”

“No!”

“Ti faccio sentire, se vuoi.” ribatte lui, tranquillo.

Sdegnata, prendo gli abiti di sua madre e senza più guardarlo né rispondergli, esco dalla stanza.
Il tempo di cambiarmi i vestiti lo impiego per prendermi alcuni attimi per riflettere sulla notte appena trascorsa e su quello che avverrà una volta da soli.
Probabilmente ne vuole approfittare per continuare il discorso che abbiamo interrotto; io devo farlo assolutamente, poiché non era prevista una permanenza così prolungata e non so come comportarmi adesso. Se da una parte questa situazione mi elettrizza, mi fa ritrovare la voglia di rimettermi in gioco, dall’altra mi spaventa perché è successo tutto così in fretta che non mi è stato dato il tempo di capire bene a cosa andassi incontro. Mi sto per immergere in un mondo che non conosco, con abitudini, usanze e leggi che di cui sono all’oscuro e non so nemmeno se riuscirò ad accettarle.
Anna ci è riuscita benissimo, ha accettato tutto e si è integrata alla perfezione, tanto che ancora oggi le fanno i complimenti.
Da quello che ho capito, il mio ruolo, pare sia molto più impegnativo e difficile.
Ma io sarò in grado di essere brava come lei? Addirittura meglio?

Se ragiono così, sembra proprio che io abbia già preso una decisione.

Sembra che la storia che son venuta qui per ritrovare la pace e la tranquillità non convinca più nemmeno me, dal momento che non c’è mai stata calma. Non so se riuscirò a vivere in un luogo che è più piccolo rispetto a quello dal quale provengo.
Decisa a pensarci a tempo debito e, comunque, a continuare il discorso con Garreth quando saremo fuori e, spero, da soli, mi sciacquo il viso per cancellare i dubbi e i segni della stanchezza.
Qualche minuto dopo, esco dal bagno vestita di un morbido maglione celeste di lana dal collo alto, forse un po' lungo di maniche, e da un paio di pantaloni caldi, morbidi, di pile, soffice come una nuvola.
Scendo in punta di piedi, i calzini fucsia e stelline gialle che stonano con l’abbigliamento sobrio di Ellie, ma questi ho e mi devo accontentare, sperando di non trovare tutti al piano inferiore.
Una volta tanto, le mie preghiere sono esaudite, e nel salotto, dove nel camino c’è un fuoco vivacemente scoppiettante, trovo solo Garreth intento a parlare con la madre che, più piccola di lui, è costretta ad alzare la testa, per poterlo guardare.
Subito si accorgono di me, nonostante sia stata silenziosa, e la donna mi viene incontro, sorridendomi raggiante.

“Scusa per i vestiti.”

“Ma scherzi? Per me è un piacere. Mi ha detto Garreth che ti porta a fare una passeggiata nel bosco.” si incammina nell’atrio e noi la seguiamo per vedere che cos’ha in mente questa volta. “Ti serviranno questi...” prende un paio di stivali alti e imbottiti, lasciandoli vicino alla porta. “E questo.” indica un cappotto dall’aria pesante, posato sull’attaccapanni.

La ringrazio per la sua infinita gentilezza, senza rendermene conto, punto il mio sguardo su Garreth, e lui su di me.
Non so quanto tempo sia trascorso, sono solo consapevole che per attimi interminabili ci siamo estraniati, dimenticandoci di tutto, all’infuori che di noi stessi; persino di essere in compagnia di sua madre. Ma sono sicura che lui, come me, si sta ricordando i momenti vissuti insieme e quei brividi che si sono impressi nella mente e nel cuore e che non andranno più via.

“Va bene, io sono di troppo, vi lascio soli. Siate prudenti, mi raccomando. Ciao ragazzi.” la mamma è costretta ad alzare il tono di voce per farsi sentire e per penetrare nei nostri pensieri, facendoci, in tal modo, ritornare coi piedi per terra e presenti.

La vedo voltare lo sguardo da me al figlio e viceversa, e una dolce luce illuminarle gli occhi.
Dal canto mio, divento rossa come un pomodoro, senza più sapere dove nascondermi per obliare a questa ennesima figura, e credo che usare i capelli sciolti come tenda per farlo, non sia una scelta valida.

“Ci vediamo stasera.”

“Non hai bisogno di aiuto al villaggio?”

“No, cara, ti ringrazio. Prenditi un giorno di riposo, ne hai bisogno anche tu.” mi fa l’occhiolino. “Ci sono gli altri che mi daranno una mano per oggi.” sorride guardandoci entrambi e poi, a passi veloci, se ne va via, lasciandoci da soli veramente.

Passato l’imbarazzo iniziale per essere stata colta in flagrante proprio dalla madre, non perdo altro tempo e svelta, mi infilo gli stivali ed il cappotto ed esortando il licantropo a fare altrettanto veloce, per poter uscire.

“Sembra che tu non abbia mai visto la neve.” fa notare lui, divertito.

“In effetti è così. Non così tanta, almeno.” non perdo occasione per sbirciare fuori dalle finestre per poter ammirare lo spettacolo bianco che si manifesta ai miei occhi, per timore che possa svanire da un momento all’altro.

Percorriamo il giardino, che ha perso i suoi confini, diventando un tutt’uno con il resto del paesaggio. La neve ha coperto ogni cosa con i suo fiocchi, dal prato dietro casa, il vialetto che adesso non si vede più, anche il piccolo caminetto dove più un mese fa era stato fatto il barbecue; il ponticello è diventato bianco ed assomiglia molto a quello di Frozen e solo percorrendolo notiamo che persino il laghetto si è gelato, e ai bordi la neve lo sta ricoprendo.
Mi soffermo un attimo, non solo ad ammirare lo spettacolo che dalle mie parti è praticamente impossibile da vedere, ma per ripensare a quando ci sono stata la prima volta, al mio pazzo gesto sconsiderato ed a tutto quello che ne è conseguito.
Garreth mi prende la mano, strappandomi dai ricordi, ne bacia il dorso infreddolito, e per la prima volta, le nostre anime sono quiete, il passo è lento e l’unica bufera che ci potrà colpire è una tormenta di neve che, intanto, ci sta imbiancando i capelli.
Camminiamo in silenzio, i nostri piedi affondando nella coltre nevosa; intorno a noi è silenzioso, solo di tanto in tanto sentiamo qualche scricchiolio di un povero ramo che, carico, fa cadere la troppa neve che lo ricopre. Persino il vento si è pacato, non soffiando più, dandoci tregua per proseguire il nostro sentiero.
Vorrei iniziare il discorso, avere la forza di aprire la bocca e dirgli le mie paure, i miei dubbi, ma qui in mezzo alla vegetazione imbiancata, dove regna una pace sovrana anche la mia mente e il mio cuore lo sono ed è come se ogni dubbio, ogni remora che avevo prima, qui fosse svanita.
Timori e paure sono sparite, lasciandomi libera di respirare e con l’anima leggera.
Ci fermiamo nel bel mezzo del bosco, in un punto che non riconosco, non in queste condizioni almeno, ma la mia guida si guarda intorno, annusando l’aria, voltandosi verso di me come se stesse pensando a qualcosa, indeciso se mettermene al corrente o meno.
Sposta il suo sguardo alle nostre mani, che nel frattempo non si sono mai separate, sfiorandomi la pelle con il pollice.
Guardo i suoi gesti, grata che non abbia mai lasciato la presa, facendomi sempre sentire accettata, voluta. Permettendomi di far parte di un mondo, il suo, dal quale sono sicura, non vorrò più allontanarmi, perché significherebbe separarsi da lui e so in cuor mio, che non lo sopporterei, non reggerei il colpo.
Faccio una smorfia disgustata, stranita perlomeno, per il pensiero che ho appena avuto.
Da quando sono così sentimentale e smielata?
Verrebbe da prendermi in giro da sola.
Che Garreth mi abbia fatto male.
O bene, dipende dai punti di vista. Edoardo direbbe che mi ha fatto estremamente bene e che una persona come lui mi ci voleva nella vita.
Di sicuro, mi ha rincitrullita.

“Stai bene?” mi domanda l’uomo in questione, notando prima la smorfia e poi il risolino che non sono stata capace di nascondere.

“Si, sto bene. Perché ci siamo fermati?” cambio discorso, non solo per non farlo concentrare sui miei pensieri, ma per vero interesse.

“Per fare questo.” mi bacia la fronte e si distanzia.

In un primo momento non comprendo le sue intenzioni, muovo un piede per seguirlo, per non farmi lasciare da sola in questo posto, lontano da casa, da lui, ma basta un suo sguardo addolcito, per tranquillizzarmi e rassicurarmi che non c’è niente di cui mi debba preoccupare.
Cammina all’indietro, muovendosi di una decina di passi e quando cade in ginocchio in mezzo alla coltre bianca, per un breve istante, vorrei raggiungerlo per timore che si stia sentendo male, ma subito dopo mi giunge alle orecchie il suono raccapricciante delle ossa che si rompono e capisco cosa stia facendo.
Si sta trasformando davanti ai miei occhi.
È una cosa breve, secondi, attimi, gli occhi hanno faticato a recepire l’immagine di ciò che stava accadendo, e poco dopo, a qualche passo da me, trovo un bellissimo e possente lupo dal pelo scuro, folto, tanto da poterci far sparire la mano se provassi ad accarezzarlo.
Mi avvicino a lui, incantata perché per la prima volta ho la possibilità di poterlo ammirare senza minacce o pericoli, e cauta perché non sapendo molto sulla loro natura animale, non voglio fare movimenti bruschi.
Dopotutto è pur sempre un lupo che mi supera di parecchi centimetri.

“Oh mio Dio.” dico a corto di fiato, spostando lo sguardo in modo frenetico per osservare ogni minimo dettaglio.

Le orecchie ben dritte per captare ogni suono, che si spostano come delle antenne, il naso umido intento ad annusare, le zanne che si intravedono dalle fauci e che mi fanno venire qualche brivido al solo pensiero di quante persone – seppur crudeli – hanno morso. O sventrato.
E gli occhi. Quelli sono rimasti i suoi, seppur assumendo contorni e lineamenti ferini.

“Sei… sei bellissimo.”

Gli basta fare un passo per essermi di fronte e costringermi ad alzare la testa per guardarlo negli occhi. Mi da una leggera pacca con il muso, all’altezza del viso, sfiorandomi con la folta pelliccia calda.

“Tu riesci a capirmi?”

Annuisce leggermente con un cenno del muso, socchiudendo gli occhi e riaprendoli su di me.
Ripensandoci anche la lupa che incontrai la prima volta, a cui salvai la vita, pareva capirmi benché fosse più incline a volermi mangiare. Spero che con Garreth le cose siano diverse, perché il solo sguardo mi mette molta più soggezione di quello umano.

“Posso?” chiedo, allungando appena la mano, in attesa di una sua reazione, incerta se sia una buona idea o meno.

È lui a togliermi ogni dubbio, perché mi si affianca permettendomi di accarezzarlo, ed io non capisco più niente.
All’inizio lo tocco con una mano sola, non sapendo fino a che punto possa apprezzare queste attenzioni, ma quando vedo che non ha niente in contrario, lo accarezzo con entrambe le mani sul muso ed una strana euforia si impossessa di me, insieme ad una dirompente emozione che mi fa nascere le lacrime agli angoli degli occhi.
Sorrido inebetita e meravigliata, di fronte ad una creatura tanto maestosa ma che in questo momento sembra più un cucciolo tanto affettuoso.
Le mani sprofondano nel manto, trovando riparo dal gelo; riesco a percepire il calore del suo corpo, in netto contrasto con il gelo del mio.
Vorrei dirgli tante cose, fargli sapere ciò che sto provando qui, con lui, ma non riesco a trovare le parole. I sentimenti sono tanti e troppo prepotenti, che riesco solo a cingergli il collo con le braccia, alzandomi ovviamente in punta di piedi per sollevarmi, e sussurrargli un debole ed emozionato “Grazie.”
Sono convinta che non lo lascerebbe fare da un qualsiasi altro essere umano. Non si sarebbe neppure trasformato davanti ad uno di noi.
In risposta, mi elargisce dei piccoli ed umidi baci con la lingua ruvida, provocandomi il solletico e costringendomi a fare qualche passo indietro, prima che mi lavi tutto il viso.

“Basta, ti prego!” cerco di spingerlo via, ridacchiando, ma ormai mi ha leccato tutta la faccia.

Mi inginocchio e prendo una manciata di neve, per colpirlo e imbiancarli il muso.
Rido divertita dalla sua espressione contrariata da lupo, e mi faccio i complimenti da sola per l’ottimo lancio.
In cambio, ricevo uno sguardo truce – questo è uguale al suo in versione umana – e non mi preoccupo neppure quando snuda le zampe ed inizia a ringhiare.

“Oh, andiamo Garreth, non fare lo sbruffone!” lo prendo in giro, e per ribadire il concetto che non fa paura, prendo altra neve, e gliela tiro, prendendolo però solo di striscio.

Prendo le dovute distanze, per avere una mira migliore, ma lui si sposta facendomi mancare il tiro; quello successivo va quasi a buon fine, se non fosse per il fatto che riesce ad afferrarlo tra le fauci e mordicchiarla con i denti.
È una scena buffa che continuo a guardare, smettendo per poter scappare quando da segno di avvicinarsi.
Correre è davvero difficile; i piedi affondano nel manto fresco, rallentandomi ma lui sta al gioco e finge di non riuscire a raggiungermi.
Mi volto indietro, per vederlo praticamente alle mie spalle, molto più a suo agio e veloce di me, ridendo felice come una bambina, dopo tanto tempo che non lo facevo e non lo ero.
Guardo il cielo sopra le nostre teste, coperto da basse e bianche nubi, che continuano a far cadere, di tanto in tanto qualche chicco gelato, con un sorriso stampato sulla bocca, per niente intenzionata a nasconderlo.

Dopo minuti passati ad inseguirci, sfinita dalla corsa, cado in terra, immergendomi nella coltre fredda, bagnandomi gli abiti, ridendo incurante del lamento contrariato del lupo e del fatto che potrei prendermi un raffreddore.
L’animale mi si affianca, forse temendo che stia poco bene, perché inizia ad annusarmi e sospingermi col naso, fino a che, capito che sto bene e che sono solo un po' strana, si sdraia al mio fianco, circondandomi con il suo maestoso corpo.
Lo accarezzo, senza avere la vera capacità di rendermi conto di ciò che sto facendo.
È da quando ho messo piede in questo villaggio che non ho un briciolo di normalità nella vita, stravolta, movimentata e a tratti quasi rocambolesca. Ma la cosa mi sta dannatamente piacendo e non chiederei niente di diverso, non vorrei assolutamente tornare alla vita sciatta che avevo prima. Nonostante non sia la prima volta che ne veda uno e ci interagisca, la mia mente ancora fatica a credere alla loro esistenza; è stato come essere in salotto con un libro fantasy aperto tra le mani, di quelli che leggevo per scappare dalla realtà, alzare gli occhi e scoprire che ci sono finita dentro.

E lui temeva che io andassi a spifferarlo a giro.

Se delle volte neanche io credo a ciò che vedo, andiamo!

Piego l’angolo delle labbra in un piccolissimo sorriso, divertita dall’immagine che mi si è creata in testa, catturando l’attenzione dell’animale che, a quanto pare, non si è perso nessuno dei miei gesti e nelle mie espressioni, non capendo – ovviamente – cosa ci sia di divertente nel fissare il vuoto e ridere.

“Niente, solo pensieri stupidi.” evito di metterlo al corrente proprio di tutto, non vorrei che tante di quelle volte cambiasse idea, non si sa mai, e gli accarezzo la testa, in mezzo alle orecchie trovando immediata la sua approvazione.

Intorno a noi tutto tace, regna il silenzio assoluto, solo qualche rumore attutito dalla morbidezza del terreno.
E tra il silenzio paradisiaco del luogo e il dolce calore del corpo di Garreth, mi viene da chiudere gli occhi, trasportata in un mondo lontano dal suo respiro.

Sto seriamente per addormentarmi, evidentemente le ore di sonno della notte passata non sono state sufficienti oppure hanno ragione i miei amici a dirmi che mi addormenterei persino su un ceppo, iniziando a fare uno strano sogno, quando un brontolio vibrante, che aumenta d’intensità fino a trasformarsi in un ringhio forte e deciso, mi riporta alla realtà, spaventandomi.
Apro immediatamente gli occhi, leggermente offuscati, e la mente intontita, ma non ci metto molto a capire cosa ha causato il repentino cambio d’umore del lupo.

Davanti a noi, un gruppo di cacciatori ci ha accerchiato.
Sono forse una quindicina, le divise mimetiche bianche, così come i fucili, i cappelli e la bandana per nascondere il viso.
Riesco solo ad intravedere gli occhi.
Garreth balza in piedi, nascondendomi con il suo corpo alla vista degli uomini, ma ormai è del tutto inutile, mi hanno vista, ci hanno spiati e da chissà quanto tempo ci stavano seguendo senza essere visti o fiutati.

“Guarda, guarda… il nostro alfa si è fatto la compagna.”

Si fa avanti uno di loro, un teschio nero disegnato sulla bandana, divaricando le gambe con aria strafottente. I suoi occhi prendono la tipica piega di chi sta sorridendo.

“E che cosa abbiamo qua? Cappuccetto Rosso che se la fa con il lupo?”

I suoi amici ridono alla sua battuta e solo in un secondo momento mi accorgo che, di loro, ce ne sono molti di più, che sbucano alle nostre spalle.
Siamo letteralmente, irrimediabilmente, circondati.

“Garreth...” è un flebile lamento il mio, mentre mi stringo alla sua pelliccia.

Non riesco a trovare la forza di fare niente, paralizzata dal freddo e dalla paura cieca, benché sappia che averne potrebbe essere più pericoloso e letale che buttarsi in mezzo a questi pazzi fanatici, ma il loro numero e le loro armi mi stanno immobilizzando.
Forse perché adesso sono consapevole di cosa andrei incontro, perché non voglio mettere a rischio la sua vita, non adesso che ci siamo trovati.

“Bestiaccia, so che ci capisci, per cui tieni aperte quelle orecchie del cazzo.” l’uomo con la bandana disegnata fa un passo avanti, sprofondando appena nella neve.

Garreth ringhia, snudando le zampe e il cacciatore è costretto a non andare oltre.

“Non è lei che vogliamo. Mandala via e che avvisi pure il villaggio, tanto non cambia, noi siamo troppi per te!” lo sfida, arrogante.

“No! Io non me ne vado.” urlo, rimanendo al fianco del lupo.

“Non fare la stupida.” l’uomo si avvicina di nuovo, almeno ci prova perché basta un avvertimento di Garreth per farlo fermare.

E adesso fa davvero paura: le zanne snudate, le orecchie basse e la saliva che schiuma dalle fauci, colando ai lati.
Se non stessi con lui, se non fossi la sua compagna, ne sarei terrorizzata, ma a quanto pare, loro no perché non battono ciglio e si avvicinano tutti insieme.

“Io non ti lascio.” gli sussurro, col fiato che si condensa in nuvolette bianche, osservando attentamente gli uomini davanti a noi.

La neve non cade più e dalle nuvole filtra uno spiraglio di sole, per poi sparire e lasciarci soli coi nostri nemici.
Garreth divarica le zampe, pronto ad attaccare appena se ne presenterà l’occasione, continuando a farmi da scudo con la sua mole e – ne sono sicura – per darmi il tempo per fuggire, ma anche loro non si fanno cogliere impreparati e impugnano i fucili puntandoceli contro.

“NO! Vi prego, no!” urlo con quando fiato ho in corpo, sperando che qualcuno del branco possa sentirmi anche se siamo molto lontani, inciampando ma parandomi di fronte al lupo, con le braccia aperte per non far avere loro una buona visuale.

Qualcuno prende la mira, qualcun altro, al contrario, abbassa l’arma e guarda il capo indeciso su cosa fare.
Segue un attimo di stallo, poi mi sento afferrare da dietro, spinta dietro di lui in maniera così decisa che ruzzolo nella neve, di faccia.
Alzo il viso, la vista offuscata dai granelli gelati e quando mi volto vedo che Garreth sta lottando contro di loro che, invece del fucile, cercano di ferirlo con i pugnali e di incastrarlo sotto una grossa rete.
Perchè mi ha spinta via? Sapeva – avrebbe dovuto immaginarlo – che non me ne sarei andata senza di lui.
Mi rialzo, pronta a dar battaglia come meglio posso, con ogni mezzo a mia disposizione – che ahimè non saranno tanti – ma vengo afferrata ancor prima di poter muovere un passo, con un coltello dalla lama seghettata che mi sfiora il collo.
Grido, spaventata, cercando di far mollare la presa all’uomo, sentendo le ginocchia cedere ed abbandonarmi sotto il peso di un cieco terrore.
Il mio lamento distrae Garreth che smette di attaccare, mordere e sferzare colpi, per vedere cosa mi sia successo.
Provo a chiedergli scusa con lo sguardo, per essermi fatta catturare, per essere un costante peso per lui e non un aiuto; ma lui non sta guardando me, bensì l’uomo che mi tiene ferma.
Ringhia, gli occhi ridotti a due fessure e le orecchie basse; il pelo irto sulla schiena e le zampe pronte a scattare per sferrare il colpo, ma il mio aguzzino non è uno sprovveduto e non si lascia intimorire dall’avvertimento, tanto che rinsaldala presa premendo più forte la lama sulla gola.
Percepisco la seghettatura sulla pelle, non riesco a pensare ad altro se non al pugnale che sta per tagliarmi la gola.
Gli occhi si inumidiscono – è più forte di me – le gambe tremano e mi vedo costretta ad afferrare il suo braccio per non crollare e tentare di allontanarlo almeno di poco.

“Fermo! Fossi in te, non farei un altro passo se non vuoi andare a raccogliere la testa della tua compagna.”

Sento un improvviso male alla pancia, dove c’è la vescica e un impellente quanto fastidioso stimolo di fare la pipì mi inizia a tormentare.
Cerco di non pensarci, di ripetermi che in questo momento c’è una cosa decisamente più seria a cui pensare, ma è come se la mia attenzione si fosse concentrata lì e non riuscisse a spostarsi su altro.
È questo ciò che si prova quando si dice pisciarsi sotto dalla paura?
E sopratutto, morirò?
Le lacrime spuntano involontarie, ma sbatto le palpebre più e più volte per non farle uscire e ricacciare dentro, trovandolo un ottimo diversivo.
Non vorrei davvero andarmene, non adesso e non in questo modo. Non ora che ho trovato qualcosa… qualcuno per cui combattere.

Tiro una testata al mio aguzzino dritto sul naso e dall’impatto fa cadere il pugnale a terra, che afferro e glielo conficco nella gamba, senza rimorso. Anche Garreth si è ribellato, ora che sono libera non c’è più bisogno che stia buono, e inizia a mordere, ferire e scaraventare lontano chiunque gli capiti a tiro.
Qualcuno prova a sparargli ma lui, nonostante non sia al massimo delle forze, riesce a schivarli riducendo in pezzi due armi.
Corre verso di me, permettendomi di salirgli sulla schiena, aiutandomi con il muso e assicuratosi che sia ben salda sul suo dorso, inizia a correre ad una velocità disarmante.
Sfreccia tra gli alberi, seminando in poco tempo i cacciatori.
Chiudo gli occhi, sollevata che il peggio sia finito.

Quando li riapro mi accorgo con immenso, profondo, sconfinato orrore, che il mio, era tutto un sogno della mia mente, e che niente è cambiato da qualche istante fa.
L’uomo che mi teneva prigioniera è ancora qui, dietro di me, la sua lama preme più forte sulla gola, rendendomi impossibile persino deglutire.
Garreth sta cercando in tutti i modi di non farsi avvicinare dagli uomini, che adesso hanno in mano delle pesanti catene.
Alcuni di loro, i più coraggiosi – o i più stupidi – si fanno avanti, stringendole tra le mani, ma si fermano quando vedono le intenzioni per nulla amichevoli dell’animale.

“Siete un branco di incompetenti!” grida spazientito il capo, avvicinandosi ad uno dei suoi e strappandoli di mano il fucile. “Devo fare tutto da solo!” lo punta verso il lupo, prendendo la mira.

Adesso non c’è più tempo per i sogni ad occhi aperti, è giunto il momento di agire seriamente o per lui è la fine, e incurante di quello che mi potrebbe accadere, sposto la mano dal suo avambraccio fino alla mano, che impugna sempre ben salda il manico del pugnale, per poter afferrargli le ultime due dita inguantate e contorcergliele fino a sentire le ossa scricchiolare e i tendini irrigidirsi, sotto le sue imprecazioni.
Il tizio è costretto a lasciare la presa, colto alla sprovvista dal mio gesto, spingendomi in avanti e facendo cadere il coltello nel manto innevato, in mezzo ai nostri piedi.
Lo raccolgo e mi scanso prima che venga riacciuffata, per correre incontro a Garreth e frappormi tra lui e la traiettoria del fucile, ma ancora prima che abbia il tempo di avvicinarmi al lupo, o anche solo di muovere qualche passo, sento il rumore ovattato di uno sparo e un dolore immediato alla coscia destra, che si estende per tutta la gamba, che pian piano sta perdendo sensibilità.
Devio lo sguardo in basso per vedere una siringa conficcata nella carne, con uno strano batuffolino rosso all’estremità.
Provo a muovere la gamba, a fare un passo, guardando sconcertata e piena di spavento il lupo, ma il mio corpo si è fatto pesante, intorpidito ed i muscoli oltre a non rispondere ai comandi, non mi sorreggono più.
Allungo una mano verso Garreth, in un ultimo patetico tentativo di avvicinarmi; lui ci prova, a venirmi vicino, a difendermi, ma viene a sua volta colpito e legato da quelle pesanti catene che, immagino, siano fatte di argento per indebolirlo.
Sfinita, cado a terra con il viso rivolto verso il cielo, in una posizione innaturale, e l’ultima cosa che vedo, prima di chiudere gli occhi, sono i volti coperti di alcuni uomini che mi oscurano la visuale già offuscata.

Il mio ultimo pensiero, mentre mi stanno sollevando per portarmi non so dove, ed io sto scivolando nell’oblio, va a Garreth ed a quel discorso che forse non avremmo più modo di intraprendere.









*Angolino personale della ritardataria*

Buondì lettrici e lettori....
Spero che sia stata una lettura piacevole. Siamo ormai quasi a fine, mancano pochi capitoli e finalente potrete leggere l'epilogo della storia.

Fino ad allora, stay tuned!

Besos para todos <3
Nina

  
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