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Autore: Sebassssss    07/11/2020    1 recensioni
Un Harry diverso dal canon, un combattente, che durante la battaglia di Hogwarts sconfigge Voldemort, ma ad un prezzo troppo alto. Una guerra senza vincitori, di cui lui è il solo sopravvissuto. Deciso a mettere fine alle sue sofferenze, si ritroverà catapultato in un mondo in cui sono ancora tutti vivi, compreso Voldemort, che è all'apice del suo potere, mentre Harry Potter è morto la sera di Halloween del 1981. Una nuova speranza di riavere indietro i suoi amici e la sua famiglia, una nuova speranza per il mondo magico di mettere fine alla tirannia del Signore Oscuro.
Genere: Avventura, Azione, Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Silente, Famiglia Weasley, I Malandrini, Il trio protagonista | Coppie: Harry/Ginny, James/Lily, Luna/Neville, Ron/Hermione
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Violenza | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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CAPITOLO VIII
 
Harry osservò le onde infrangersi sotto i suoi piedi. Il tempo era proibitivo, e la grotta era separata dal suo scoglio da circa venti metri di acque gelide e furibonde. Arrivare alla grotta a nuoto era chiaramente un suicidio, poco ma sicuro. L’unico modo per raggiungerla in sicurezza se non si aveva a disposizione una barca, era in volo.
Montò quindi sulla scopa che aveva appena ingrandito a dimensioni normali e si diresse con difficoltà verso l’insenatura, contrastando le forti raffiche di vento che lambivano la base dell’alta scogliera.
L’interno dell’insenatura era oscuro, umido e odorava di salsedine. Il rumore del mare si andava ad attenuare sempre di più man mano che Harry procedeva verso l’interno. Poco dopo giunse alla terminazione della grotta, un punto cieco, una nera parete di roccia da cui grondavano filamenti d’acqua infiltrata dalla superficie.
Harry avvertì immediatamente la magia oscura di quel luogo. Era nel posto giusto.
 
Scese dalla scopa, appoggiandola contro la parete umida della grotta. Sapeva qual era la prossima mossa. Il tributo di sangue. Prese perciò la bacchetta e se la punto sul palmo della mano sinistra. “Diffindo”. Un taglio non tanto profondo ora e percorreva il palmo diagonalmente per tutta la sua lunghezza dalla base dell’indice all’attaccatura del pollice. “Ecco a te Tom, il mio tributo.” Disse sarcastico Harry prima di strisciare la mano insanguinata sulla parete.
 
Dopo alcuni attimi in cui non accadde nulla all’improvviso nella roccia si aprì uno stretto passaggio. Era pronto. Lanciò un incantesimo cicatrizzante sul taglio del palmo che scomparve all’istante. Afferrò la scopa appoggiandosela sulla spalla, mentre con l’altra mano teneva puntata la bacchetta dinanzi a sé.
Si incamminò ancora più in profondità, superando il varco appena creatosi.
La visibilità era pressoché nulla, ma sapeva di essere ormai prossimo all’enorme lago sotterraneo con al centro l’isolotto che conteneva il bacile di pozione con dentro il medaglione.
“Bene”. Disse lanciando verso il centro una sfera di luce bianca accecante che rimanendo sospesa a diversi metri d’altezza illuminò come un sole artificiale l’interno della grotta.
Harry aveva ragione. Era giunto sulla riva del lago. L’acqua sembrava densa come petrolio, e non permetteva di vedere l’assembramento di inferi che abitava sotto la sua superficie. Sembrava una distesa di pietra vulcanica perfettamente levigata. Nessuna increspatura, o movimento. L’acqua era immobile.
 
Harry porse la sua attenzione sull’isolotto centrale. Decise di agire. Sali sulla sua scopa e silenziosamente volo nella sua direzione.
Harry avvertiva la traccia oscura sprigionata dal medaglione custodito all’interno del bacile farsi sempre più forte.
Raggiunse la meta appoggiando il piede sul terreno roccioso intorno al bacile. Il liquido al suo interno era cristallino e all’apparenza innocuo. Harry lo osservava disgustato e interessato allo stesso tempo.
Lasciò a terra la scopa prendendo dalla tasca l’ampolla con l’antidoto.
“Vediamo se funziona.” Disse prima di stapparla e berne il contenuto tutto d’un fiato.
Il sapore era qualcosa di orribile. Molto peggio della polisucco. Indecifrabile. Harry non riusciva a descriverlo, ma di sicuro avrebbe preferito mille volte bere un calice di piscio di folletto.
 
Dopo aver rischiato di rimettere un paio di volte, appoggio le mani ai lati del bacile, osservando il liquido cristallino. Prese due respiri profondi e titubante incominciò ad ingerirlo.
 
Già al primo sorso avvertì qualcosa di tremendamente sbagliato farsi avanti dentro di lui: paura. Una paura primordiale, asfissiante, assoluta. L’occlumanzia non servì a nulla. Tutte le emozioni vennero cancellate, lasciando unicamente spazio alla paura. E poi incominciarono le allucinazioni. C’erano tutti, i suoi genitori, il suo padrino, Remus, i suoi amici, Ron ed Hermione e Ginny, tutti loro. Lo osservavano con occhi vitrei, privi di anima. Erano posizionati intorno a lui in cerchio. E si avvicinavano, si avvicinavano sempre di più allargando le loro braccia scheletriche verso di lui.
“È colpa tua Harry, solo colpa tua. Se non fossi nato noi saremmo ancora in vita!” lo incriminava sua madre. “Dovevi morire tu quella notte, non mia moglie, non io. Tu. Stavamo così bene prima che tu arrivassi. Eravamo felici. Eravamo vivi. E tu ci hai ucciso!” continuò suo padre.
“Vorrei non avverti mai incontrato quella volta sul treno. Vorrei non averti mai rivolto la parola in quella carrozza.” Si aggiunse Ron. “Ci hai ucciso Potter. Ci hai ucciso tutti.”
“Colpa tua” “Si, solo colpa tua”
“Harry...” lo chiamò Ginny. “Harry… perché? Io ti amavo. Ti amavo. Perché mi hai fatto questo? Perché hai rovinato la mia famiglia? Perché hai ucciso Fred? Perché hai ucciso Ron? Harry perché?” continuò urlando “ti odierò per sempre per quello che hai fatto! Ci hai usato! È colpa tua!”
 
“No, no, non è vero!”  incominciò a ripetere Harry piangendo. “Non è vero, vi prego c-credetemi.”
“Colpa tua.” “Colpa tua.”
Vide i loro volti intrisi di odio, di disprezzo. E le sue gambe non furono in grado di sorreggerlo. Cadde in ginocchio, le figure si avvicinavano sempre di più. “Colpa tua!”
“Mi dispiace…” sussurrava con il volto tra le mani.
 
Poi pian piano le voci si fecero sempre più lontane e indistinte. Aprì gli occhi e si ritrovò a fissare la base del bacile.
La sua mente stava tornando al presente. L’antidoto stava contrastando la pozione.
Si rimise in piedi a fatica e notò che aveva bevuto circa tre quarti del contenuto.
Con uno sforzo immane prese un altro sorso. E poi un altro ancora. Le voci tornavano. Più forti di prima. Ma lui continuava a bere. “Ci hai ucciso tutti!” “Avrei dovuto ucciderti quando ne ho avuto occasione” disse Remus. Le lacrime scendevano sul viso di Harry. Un altro sorso. “Noi eravamo felici senza di te!” disse Hermione.
 
Il dolore fu insopportabile, ed Harry crollo ancora una volta in ginocchio in preda a degli spasmi. Tentava di ripescare ricordi felici dalla sua mente, ma non c’era niente. Solo paura. Solo colpa. Solo disperazione.
 
Molto lentamente il buio si stava dissipando. Le voci avevano ripreso ad affievolirsi un’altra volta. L’antidoto stava assolvendo al suo compito.
E ci fu il silenzio.
 
Harry, con le gambe tremanti ed instabili si tirò su. Non sentiva più niente se non una cosa. La sete. Come se non bevesse da giorni, anzi mesi. Ma riuscì a concentrarsi sul bacile ormai vuoto. Il medaglione era lì, a portata di mano. Ce l’aveva fatta. Ci era riuscito. Compì dei respiri profondi. Si concesse qualche minuto per riprendersi. I tremori cessarono. La sete lo spingeva ad affondare la testa nell’acqua del lago ma doveva resistere alla tentazione. Sapeva che era proprio quello che si aspettava Tom e non gli avrebbe dato questa soddisfazione.
 
Ripresosi dagli effetti della pozione, prese il medaglione in mano. Poteva sentire una sorta di battito regolare provenire dall’oggetto. Come di un cuore. Sorridendo Harry lo adagio per terra. Prese la spada miniaturizzata dal mokessino e la ingrandì. Osservò la lama lucente intrisa del veleno del basilisco. La impugno con due mani, elevandola sopra alla sua testa.
Fissò per l’ultima volta il medaglione, pronunciando qualche indistinto verso in serpentese. Il medaglio si aprì, facendo fuoriuscire una nube densa e oscura, da cui provenivano grida e urla. Harry sapeva che se non avesse agito subito, l’anima di Voldemort avrebbe tentato di corromperlo o disorientarlo pur di non essere distrutta. Ma non gliene diede il tempo. Il tutto durò una frazione di secondo.  
Con un fendente rapido, potente e deciso Harry distrusse il medaglione. Le grida e la nube scomparvero.
 
Harry non ebbe neanche il tempo di realizzare quanto fosse successo, poiché delle figure biancastre e ripugnanti incominciarono a fuoriuscire dall’acqua circostante. Si dimenavano in maniere innaturale, scomposta, sbagliata. Gli inferi avanzavano verso di lui velocemente nonostante si muovessero come neonati deformi.
“Cazzo!”
Harry scattò in piedi e si voltò verso l’unico mezzo che poteva usare per fuggire, la sua scopa, che distava da lui di pochi passi. Con le creature che si avvicinavano velocemente non ci pensò due volte e si precipitò verso la Comet 180. L’aveva appena afferrata quando un infero gli afferrò la caviglia con le sue viscide e lunghe dita biancastre mostrando le fauci affilate come rasoi.
Harry lo decapitò con un fendente di spada, facendone fuoriuscire un liquido verdastro dalla carotide tranciata del collo. Ne abbatté un altro immediatamente dopo affondandogli la lama nell’orbita oculare. In poco tempo fu circondato. Tranciò il braccio ad un terzo. E ne decapitò altri due. Quando si decise a saltare sulla scopa un infero gli saltò sulla schiena affondandogli i denti nella spalla, pericolosamente vicino al collo. Harry gridò dal dolore, ma riuscì a scattare in aria, con l’essere ancora aggrappato alla sua schiena e i denti affondati nella sua carne.
 
Harry incominciò allora a roteare su sé stesso a grande velocità con la scopa, colpendo il mostro con gomitate energiche. Alla fine, l’infero cedette e cadde nell’acqua da una decina di metri di altezza. Harry reggeva la scopa con una mano, mentre con l’altra teneva saldamente la spada. Stava perdendo molto sangue.
L’isola sotto di era ormai ricoperta da quelle bestie infernali e molte altre stavano giungendo dalla riva.
“È il momento di andarsene” si disse prima di puntare la sua scopa verso l’uscita.
Nonostante stesse praticamente manovrando con una mano sola, Harry riuscì a passare per la il passaggio nella roccia e percorrere in volo la grotta per tutta la sua lunghezza raggiungendo finalmente l’esterno. Dovette combattere contro le potenti raffiche di vento che lo sferzavano lateralmente, ma una volta allontanatosi a sufficienza, focalizzò la sua meta nonostante la vista prese ad offuscarsi, e si smaterializzò ancora a cavallo della sua scopa.
 
In un attimo si ritrovo a sorvolare la stamberga strillante senza controllo, la smaterializzazione aveva inficiato sul suo equilibrio e precipitò al suolo a pochi passi dall’entrata del casolare. Ringraziò la neve per aver attutito il colpo, ma ben presto si rese conto delle sue condizioni. Stava sanguinando, e anche parecchio. Prese la bacchetta da sotto la giacca, se la puntò sulla ferita pronunciando qualche incantesimo curativo. Niente. Riprovo con diversi incantesimi, dal più semplice al più potente e complicato che conoscesse ma la ferita non sembrava volersi richiudere. “Dannazione” imprecò sotto voce.
La neve attorno stava prendendo a tingersi di un cremisi acceso.
Il ragazzo non aveva molte possibilità, l’unica che lo poteva aiutare in quel momento era Silente. Usando la spada come appoggio, si alzò in piedi ed entrò nella casa dalla quale avrebbe poi imboccato il passaggio che conduceva al platano picchiatore.
Il tunnel sotterraneo era molto angusto, non costituiva un grosso problema di solito per Harry, ma ora la ferita non faceva che impattare contro le strette pareti del passaggio provocandogli lancinanti fitte di dolore.
 
Il ragazzo sapeva di non avere tanto tempo, stava incominciando a perdere lucidità. Inciampò diverse volte, ma con determinazione proseguì. Dopo quella che gli parve un’eternità, giunse all’uscita del tunnel. Immobilizzò il Platano Picchiatore con un incantesimo e prosegui verso il castello.
Vide diversi gruppi di studenti giocare con le palle di neve in lontananza nel parco.
Di sicuro se fosse spuntato fuori di nuovo morente, insanguinato e per giunta con una enorme spada nella mano avrebbe destato ancor più sospetti di prima.
A malincuore decise di rimpicciolire la spada, suo unico sostegno, e di nasconderla sotto la giacca. Poi con la bacchetta evoco un pesante mantello che si appoggiò sulle spalle per nascondere il sangue e con la più grande disinvoltura che riuscì a tirare fuori passò tra i ragazzi diretto dal preside.
 
Varcate le soglie dell’ufficio, si precipitò dal professore che sedeva dietro alla scrivania.
Alla vista del ragazzo, Silente scattò in piedi allarmato.
“Harry cos’è successo? Tutto bene?”
“Sono stato meglio a dire il vero.” Rispose sofferente Harry lasciando cadere a terra il mantello con una smorfia di dolore e rivelando la ferita che non aveva smesso di sanguinare.
Gli occhi azzurri del professore ispezionarono attentamente la spalla del ragazzo.
“Inferi.” Disse solamente Harry confermando i timori del preside.
“Ho provato con diversi incantesimi curativi, anche alcuni belli potenti ma nulla. Credo che nel loro morso abbiano una specie di anticoagulante resistente agli incantesimi. Le sarei grato se potesse chiedere a Fanny di lasciarsi sfuggire qualche lacrima per me.” Chiese Harry appoggiandosi ad un tavolino in mogano lì vicino.
Silente annuendo senza proferire parola, si diresse verso il trespolo sopra il quale la fenice scrutava i presenti.
Il professore gli sussurrò qualcosa, e dopo un attimo il maestoso volatile spiegò le sue ali dorate e planò verso il ragazzo. Harry ricordava benissimo l’ultima volta che Fanny lo soccorse, nella camera dei segreti. La fenice si avvicinò cauta portandosi a pochi centimetri dalla sua faccia. I loro occhi si incrociarono per un lungo istante, poi la creatura scrutò il morso sulla spalla di Harry, e lasciò cadere poco dopo tre lacrime cristalline sulla ferita.
In un attimo, il sangue cessò di fuoriuscire e il dolore si placò. I fori impressi dai denti dell’infero si richiusero non lasciando alcun segno sulla pelle.
“Ti ringrazio Fanny.” Disse gentilmente Harry accarezzandone il morbido piumaggio.
 
Questa sembrò inclinare il capo in segno di assenso per poi ritornare sul suo trespolo. Silente sorrideva mentre fissava il ragazzo.
“Sai le fenici sono esseri molto potenti e misteriosi, ma una cosa è certa: bisogno essere in un certo senso “degni” ai loro occhi per ricevere un aiuto come questo. Destinati a grandi cose insomma.”
“Fanny mi ha già aiutato una volta sa? Non ce l’avrei fatta se non fosse venuta in mio soccorso quella volta. Gli devo la vita.”
“Credo ti abbia preso in simpatia.” Disse Silente accarezzando la testa della fenice. “Probabilmente voi due siete legati. Sono loro a scegliere il padrone, un po' come le bacchette Harry” continuò ridacchiando “Se mai avrai ancora bisogno di Fanny, prova a invocarla mentalmente, se lo terrà necessario verrà in tuo soccorso.”
“Ma tornando a noi Harry, ce l’hai fatta?” Chiese interessato Silente avvicinandosi al ragazzo.
“Certamente, aveva dubbi?” rispose malandrino Harry.
“Nessun dubbio alcuno, caro ragazzo.” Disse complice il preside, per poi diventare pensieroso. “Con il medaglione siamo a due Horcrux distrutti non è vero?”
“Esattamente, i più semplici da trovare e levare di mezzo, per gli altri la questione è… più complicata”
Silente lo guardava perplesso, guadagnando l’attenzione di Harry.
“Suvvia professore, ho detto complicata, non impossibile.” Intervenne ghignando.
Silente demorse, e con un cenno di assenso andò a sedersi dietro la scrivania, congiungendo le mani davanti al volto.
“Molto bene allora, credo che ora tu abbia bisogno di un bel po' di riposo, ragazzo mio.”
“Riposo? No non credo. Quello di cui ho bisogno è una pozione rimpolpa-sangue e un bel bicchiere di Whiskey incendiario.” Rispose malandrino. “Credo che farò una visita a Poppy.” Concluse avviandosi verso l’uscita dopo aver fatto evanescere il mantello pregno di sangue. “Arrivederci professore.” Disse aprendo la porta dell’ufficio.
“Arrivederci sig. Sullivan” lo congedò Silente.
 
***
 
“Asticello.” Pronunciò Harry. La Signora Grassa si fece da parte per permettergli di accedere alla torre dei Grifondoro. Era appena stato da Madama Chips per la pozione, che stranamente gliela aveva data senza fare troppe domande. “Probabilmente c’era lo zampino del preside.” Si ritrovò a pensare il ragazzo.
Poco importava, ora la priorità era quella di fare una bella doccia per lavare via il sangue ormai essiccato ma soprattutto per togliersi quel tanfo di fogna e putrefazione di quegli esseri da addosso.
Varcato l’ingresso della Sala Comune si ritrovò Ron e Seamus intenti a giocare a scacchi, Hermione intenta naturalmente a leggere merlino solo sa quale libro vicino al camino scoppiettante e Ginny e Dean abbracciati che guardavano distrattamente la l’alfiere di Ron sfasciare letteralmente la torre di Finnigan. Nessuno sembrò accorgersi della sua presenza. Meglio, non era conveniente farsi vedere in quelle condizioni, con i vestiti incrostati di sangue.
Con passo felino, si diresse verso le scale del dormitorio, sperando di non essere notato.
“Jake! Cosa ti è successo?” Naturalmente non andò così. Era stata Ginny Weasley a parlare, che ora lo scrutava con apprensione rivolgendo l’attenzione del gruppo sul sottoscritto.
“Oh. Nulla di che tranquilli.” Tentò di sminuire Harry.
“Ma quello è sangue…” Intervenne suo fratello maggiore.
“Perspicace Ronald” pensò lui.
“Questo, be’ in effetti si. Ma come ho detto, non è nulla. Stavo andando a fare una doccia e cambiarmi vestiti proprio adesso. Quindi…” tentò di svicolare, voltandosi verso le scale con un sorriso educato.
“Chi ti ha fatto questo, Jake?” continuò il rosso.
“Nessuno Ron, direi più qualcosa. Come lo chiamate voi? Platano Strozzatore?” tentò di sviare Harry.
“Platano Picchiatore” Lo corresse Hermione osservandolo con grande attenzione.
“Giusto, Platano Picchiatore. Stavo passeggiando per i giardini e me lo sono trovato davanti. Ma ho imparato la lezione, ora se volete scusarmi…” Si congedò finalmente salendo su per le scale a chiocciola, lasciando i suoi amici apprensivi in Sala comune.
   
 
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