CAPITOLO
QUATTORDICI
Ci svegliammo
di
nuovo abbracciati, con la coperta scivolata di lato. Nel dormiveglia
sentii
subito una presenza estranea. Wyvern! Dormiva beato incollato alla mia
schiena,
facendomi sudare come un ossesso con il suo pelo e russava. Russava,
dico! Chi
ha mai sentito un cane russare? Vabbè, non ho mai avuto
l’abitudine di dormire
con un mastino, quindi può anche essere che russino, ma quel
suono mi ricordò
dannatamente mio padre, per cui gli tirai un calcio per farlo smettere
e mi
alzai. Zabluda era ancora nuda, così la coprii con la
coperta e andai a bere un
sorso d’acqua. Mentre facevo così colazione mi
resi conto che eravamo
totalmente senza cibo e lontano da qualunque città. Poteva
essere un problema.
Wyvern si
stiracchiò
e zoppicando venne a sedersi vicino a me. Eravamo lì seduti
a guardare l’acqua
del torrente che correva e io svuotavo la mente in attesa che qualche
Dio di
qualche mondo me la riempisse con un’idea geniale quando
Zabluda si svegliò. Si
svegliò è riduttivo. Diciamo piuttosto che
cacciò uno di quegli urli che tanto
odiavo, giusto per sconvolgere l’atmosfera di pace e
serenità.
“Wivern!
Liron! Crni
smrt!”
Alzai gli occhi
al
cielo.
“Che
succede?”
“E’
risorto!”
“Risorto?
Come
risorto?”
“E’
tornato, c’è di
nuovo, emana di nuovo potere!”
“Beh,
evidentemente
non era morto.”
“Si
che lo era!”
“Ma
non si risorge
così a caso! Non può essere risorto! Non so nel
tuo, ma in questo mondo nessuno
è mai risorto!”
Beh, quasi. Ma
non
andavo a spiegarle le sottigliezze. E poi era successo solo una volta e
un
sacco di tempo prima. Per più di due millenni non era
risorto nessuno quindi la
cosa direi che poteva essere messa ufficialmente nel dimenticatoio in
quel
momento. A patto che non ci trovassimo in presenza di un nuovo profeta,
oppure
che non stessimo per scoprire il segreto della resurrezione
oppure… Ma no, non
emozionatevi, non eravamo sul punto di risolvere niente di
così teologicamente
importante. A volte le cose sono più banali di come si
immagina. E le mie
digressioni cominciano a infastidire pure me.
“Ma
neanche da noi si
risorge, ma non mi sto inventando niente, è solo
ciò che sento Liron!”
Ci guardammo
qualche
secondo, poi, senza una parola, iniziammo a tirare su le nostre cose di
fretta.
“In
che direzione è?”
E piegavamo la
coperta.
“Di
là, riesco a
sentirlo, oltre a questo campo, dopo quella collinetta credo”
E cercavamo le
borse.
“Sei
sicura? E’
ancora in salute o sta per avere un altro collasso?”
E si rivestiva.
Peccato.
“Idiota.”
E partivamo. Un
po’
di corsa, un po’ incespicando nel grano verde, un
po’ occhieggiando Wyvern che
ci seguiva zoppicante e ballonzolante. Neanche a dirvelo, ci stancammo
presto.
Il sole era sempre più caldo e noi eravamo affamati e
assetati. Mangiammo un po’
di more da un rovo, poi ripartimmo sempre più infiacchiti.
Ogni tanto Zabluda
si fermava, chiudeva un secondo gli occhi e aggiustava la rotta. Dopo
un tempo
incalcolabile arrivammo ad una collina e la risalimmo chini. In cima ci
sdraiammo pancia a terra. Dietro uno spinoso cespuglio di mirto, mentre
io mi tentavo
di pulire alla meglio le mani ferite, lei sbirciò
dall’altro lato. Sentii
distintamente il rumore del suo sorriso.
“Una
capanna.”
“Con
un vecchio
stregone malvagio dentro?”
Due pozze
d’oceano
gelarono all’istante il mio sarcasmo.
“Sì.”
Ci fissammo.
Poi lei
sospirò e tornò a sbirciare tra le spine.
“Dovremo
tentare di
arrivare giù il più in fretta possibile, oppure
rischiamo di essere visti.”
“Beh,
perché non
dovremmo essere visti? Non devi andargli in dono? Deve
vederti!”
“Si
ma… Non lo so. Magari
arriviamo là, diamo un occhiata da quella finestra e vediamo
com’è. Se è il
caso di bussare e presentarci o se magari…”
“Magari
cosa? Dobbiamo
entrare!”
Si
girò verso Wyvern
e gli fece un grattino tra le orecchie.
“Smrt,
Liron! Con
calma! Prima vediamo. Magari sta dormendo…Magari lo
disturbiamo…”
Esibii la
migliore
delle mie occhiate scettiche.
“Oh
stupid guy! Non
fare quella faccia! Ho paura, va bene? HO PAURA!”
Restammo un
po’ in
silenzio, e il mio cervello cercava qualcosa di furbo da dire, ma come
al
solito in questi casi non mi veniva in mente niente. Fu lei a
sussurrare.
“Guardami.”
Alzai il viso e
immediatamente il suo sguardo si incatenò al mio e le
pagliuzze più chiare dei
suoi occhi iniziarono a vorticare intorno alla mia pelle fredda e
bagnata, perché
erano un branco di sardine ed io ero in mezzo a loro e nuotavo e gioivo
tra le
correnti rincorrendo i pesci più piccoli mentre ero quegli
stessi pesci più
piccoli e le mie onde si infrangevano su una scogliera trasportando
nella
risacca migliaia di miliardi di particelle di plancton in tutto il
pianeta,
mentre nel cielo il sole splendeva e faceva brillare le alghe sulle
squame di
una sirena morta sul pelo dell’acqua e altre venivano
rovesciate da una vasca a
bordo d’un vascello e una lacrima salata d’un
marinaio troppo tenero cadeva con
loro fondendosi nell’immensità di lacrime che era
il mare e una medusa…
“Si
è mosso qualcosa
nella capanna.”
La mia visione
si
interruppe istantaneamente come Zabluda volse lo sguardo. Meglio
così. Ma la
pace durò poco.
“Cosa
hai visto?”
Un
po’ balbettando e
un po’ borbottando, a testa china le raccontai tutto.
Restò impassibile.
Immobile. Più rigida e morta delle sue simili. Capivo il suo
stato d’animo solo
da un ringhio sommesso che proveniva dalla gola di Wyvern.
“Andiamo
dal vecchio.”
E
andammo…
Torno dopo un po'. Ho deciso che devo assolutamente finire questa storia. Ci saranno ancora uno o due capitoli più un epilogo, se ho voglia. Forse. Se qualcuno legge. (Si, ho la sindrome da lagna vivente) baibai