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Autore: bimbarossa    15/11/2020    4 recensioni
Un test di gravidanza positivo e quattro possibili padri.
Tra sospetti, paure e timori di nuove responsabilità, chi di loro avrà la vita sconvolta?
Genere: Commedia, Fluff, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: inu taisho, Inuyasha, Jakotsu, Miroku, Sesshoumaru | Coppie: Inuyasha/Kagome, Miroku/Sango, Rin/Sesshoumaru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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La sensazione che Sesshōmaru sentiva dentro di sé in quel momento era simile a ciò che aveva provato il giorno della nascita di Bakusaiga.

Lo stesso sollievo pieno di tormento per aver finalmente preso atto dei propri limiti ed essere riuscito ad andare oltre, anche dopo essere stato privato di qualcosa di fondamentale come il braccio che aveva prima, il braccio con cui era nato, e che era stato recuperato insieme ad una spada sua, interamente sua, forgiata dal suo stesso corpo. Eppure non credeva minimamente che stavolta avrebbe riavuto indietro ciò che stava perdendo.

“Che cosa sono queste pillole? Voglio una spiegazione.”

Se fosse potuto sarebbe uscito ghiaccio dalla sua bocca.

“Non lo vedi? Mi pare che tu abbia capito tutto, no?” il fatto che lo sfidasse con quel tono amareggiato, come se fosse lei la vittima, gli fece rimpiangere di non poterla fare a pezzi alla stregua di un nemico.

Inoltre, con orrore, si rese conto che lei stava dando per scontato che avesse capito la natura di quei misteriosi farmaci, e il fatto che in realtà lui non ne avesse idea, rendendolo in una posizione di svantaggio, alimentava la sua stizza.

“Adesso vorrai lasciarmi.”

Non le rispose, perché la sola prospettiva di non vederla più era assurda, da non averla messa in conto nemmeno se lei lo aveva effettivamente tradito in quel modo miserevole.

“Non volevo che succedesse,” continuo, ”ma le cose stanno così e non si possono cambiare.”

“Non hai pensato alle conseguenze?” Come poteva stare lì in piedi, spettrale nel buio luminoso di Tōkyō, e parlagli in quel modo?

“Alle conseguenze? Certo che ci ho pensato. Ci penso tutti i giorni. Pensi che sia facile affrontare una tale situazione? Credi che non abbia paura?”

Sesshōmaru la guardò, la guardò davvero per la prima volta da quando tutta quella faccenda era iniziata, e si accorse di quanto sembrasse stravolta, pallida, terrorizzata.

Qualcosa gli si sgelò dentro. Magari era stato un incidente, l'anticoncezionale non aveva funzionato, poteva capitare.

“Non volevo nascondertelo, solo...solo non sapevo come dirtelo, volevo aspettare e fare degli esami per esserne certa. Io capirò se preferisci non continuare, ti conosco, però almeno dammi il tempo di trovare un'altra sistemazione.”

Pareva sperduta eppure forte come non mai. Sicuramente molto più forte di lui in quel momento, quasi come se non le importasse di ciò che li legava. Poi ricordò qual era la posta in gioco.

“Non dire sciocchezze. Se credi che permetterò che tu vada via con mio...”

“Davvero, Sesshōmaru? Staresti con me anche sapendo che sono malata?”

 

Miroku ringraziò il Buddha e promise che l'indomani si sarebbe recato al tempio e fatto delle solerti e sentite offerte.

L'appartamento era vuoto, la cena non toccata, e il biglietto ancora nello stesso scomodo posto.

Sango evidentemente aveva fatto tardi. Magari era dovuta andare in qualche zona fuori città.

Ebbe appena il tempo di bruciare il foglio nella stufa che sentì la porta aprirsi e la ragazza entrare con una faccia quasi verde, livida.

“Sei sorpresa di vedermi? Stavolta sono rientrato prima io, e ho anche cucinato la cena. Visto come sono stato bravo?”

Forse perché aveva assunto un tono troppo sdolcinato e colpevole, ma Sango pareva sulle sue, inspiegabilmente diffidente.

“S-si, non ti aspettavo a casa. Così presto intendo.”

La invitò con un cenno al kotatsu, dove mangiarono in un silenzio pesante come un macigno.

Non è che ci volesse molto per capire che qualcosa non andava. Sango piluccava il cibo e lo guardava in maniera strana, che gli metteva i brividi; forse era il senso di colpa a fargli vedere cose che non erano, perché Sango non avrebbe mai potuto sospettare quanto codardo lui fosse stato, no?

O forse...o forse stava per dirgli che...

“Perché non guardiamo la televisione? Sparecchio io, tu mettiti comoda, e magari posso farti anche un bel massaggio ai piedi. Non ti sembra un bel programmino?”

Non pareva molto convinta, anzi contrariata era dire poco.

“Se lo dici tu.” Gli lanciò un'occhiata strana prima di prendere il cellulare e sdraiarsi, fluida ed elegante -e pericolosa- come un felino sul tatami.

“Io invece ho un'altra idea.” Diede dei tocchetti sulla stuoia di un pallido ciclamino per invitarlo a sedersi accanto a lei, tuttavia la spina dorsale del povero Miroku diede un tremito di avvertimento. “Voglio farti vedere le foto che ho fatto oggi durante questa lunga giornata. Che ne dici di questa qui? Io dico che è la più bella di tutte.”

Gli allungò lo smartphone, e con grigio terrore apparve lo screenshot di un ben noto biglietto. Un biglietto che sperava di non rivedere più.

“Sono rientrata, prima, e l'ho letto.” I suoi occhi era lucidi di lacrime e di rabbia. “Scusami, non posso fare il padre. Un bambino non merita una tale malasorte. Cerca di non odiarmi troppo.”

Sentire quelle parole sulle labbra di Sango lo uccise quasi.

“Io avevo il so-sospetto che tu fossi...tu fossi...”

“Incinta dici? Ed è così che mi avresti trattata? Questa sarebbe stata la tua matura reazione se lo fossi stata?”

I tanti nodi che gli comprimevano il cuore cominciarono a sciogliersi. E faceva malissimo.

“Quindi non lo sei?”

La smorfia sulla faccia non se la sarebbe dimenticata mai più. “No. Non lo sono. Fortunatamente aggiungo. Non sai nemmeno quanto tu mi abbia deluso.”

 

“Mi dispiace tanto, te lo giuro. È successo per sbaglio, devi credermi.”

La vocetta di Ayame quasi lo infastidì. O meglio, avrebbe dovuto infastidirlo, ciò che aveva fatto era gravissimo, eppure la rabbia che provava in quel momento non riusciva a dirigerla verso di lei, con urla, rimproveri o qualsiasi altra cosa che gli sarebbe servita solamente a sfogarsi.

Scegliere il silenzio fu più l'ultima reazione rimastagli, così come evitare il suo sguardo dandole le spalle.

Lei però dovette interpretarlo male, perché la sentì sospirare più affranta che mai. Quasi poteva vederla, i graziosi codini che le nascondevano il volto e le spalle bianchissime afflosciate.

“Ho tentato di rimediare. Sono andata fino ad Okinawa per cercarne un'altra copia, ma è un'edizione rarissima, nelle biblioteche i custodi ti alitano sul collo anche se solo devi visionarla.”

Il Generale continuò a non rivolgerle la parola, mentre diresse lo sguardo al libro macchiato sul tavolino basso della camera da letto.

“Ho dato la colpa a Kagome perché sapevo che con lei non te la saresti presa, devo scusarmi anche per questo. Ma mi sentivo in colpa, non sapevo che fare, mi è venuta anche la fame nervosa per la preoccupazione ogni volta che chiedevi dove fosse quel dannato volume. Speravo nel frattempo di trovare una soluzione...”

“Taci, non una parola.” Alzò la mano per dare enfasi alla richiesta. “Mi spieghi perché mai lo hai preso? Senza permesso, così, sapendo quanto ci tenessi, cosa rappresentasse per me. E dopo l'incidente nemmeno dirmelo, mentendo e dando colpe tue agli altri.”

“Non te l'ho detto proprio perché sapevo che ne eri affezionato e che ti avrei dato un dolore.”

Lo stupì che Ayame non temesse la sua rabbia, come faceva buona parte del resto del mondo, ma aveva avuto così paura che lui stesse male da soffrirci fisicamente lei stessa. Non che gli facesse piacere la sua fame nervosa, ma era bello, dopo tanto tempo, che qualcuno tenesse in quel modo a lui.

“Posso sapere almeno il perché lo hai preso con tali sotterfugi?”

Quella ragazzina sembrava che lo avesse in pugno, stava già cedendo.

Inu no Taishō si trovava ancora voltato di spalle, appoggiato alla porta della camera per mantenere una parvenza di -fintissimo- sdegno e distacco, ma l'amarezza delle sue parole gli arrivò lo stesso.

“Non te ne sei ancora accorto? Io volevo assomigliarle, almeno un po', ecco perché ho preso quel libro, e mi vergognavo di dirtelo.”

 

“A cosa ti stai riferendo?”

Kagome sembrava sorpresa, innocentemente sorpresa.

Che stesse davvero prendendo una gigantesca cantonata?

Forse stava davvero rischiando troppo, però...però a lui le mezze misure non piacevano, voleva assolutamente risolvere quella questione spinosa.

“A quello che è successo a casa di Sango. Miroku mi ha detto tutto.”

Neppure nominando il suo amico bonzo, Kagome perse quella specie di calma fredda, strana, di chi ha acquisito nuove consapevolezze.

“Ah si? Ti ha detto cosa, di preciso?”

InuYasha sentì scattare tutti gli allarmi che possedeva, sia connaturati che quelli acquisiti in secoli di esperienza, rendendosi conto che pur di scoprire la verità si stava giocando molte cose.

Se lui avesse avuto ragione voleva dire che Kagome non aveva avuto fiducia in lui da parlarne insieme. Se invece il problema non ci fosse stato, lei avrebbe potuto benissimo accusarlo di non aver avuto fiducia nel loro rapporto.

Non era mai stato bravo a muoversi con cautela, non era mai stato bravo ad essere diplomatico, e non era mai stato bravo a fidarsi degli altri.

Ma di Kagome si fidava. Si sarebbe sempre fidato di lei in ogni caso, anche se lei non si fosse fidata altrettanto di lui e gli avesse tenuto nascosti tutti i segreti del mondo. La fiducia era un concetto molto ampio, fatto di sfumature, ricordi, promesse rotte e promesse mantenute.

“Mi ha detto che una di voi ra-ragazze aspetta un ba-bambino.”

Non era mai stato tanto imbarazzato in vita sua, le parole gli uscivano balbettando senza lo volesse, le orecchie gli fumavano e il cuore gli batteva come un tamburo contro le costole.

“Lo sapevamo che ci aveva spiate. Jakotsu ne era sicuro.”

InuYasha stava per esplodere. Perché lo teneva sulle spine con quell'imperturbabilità da statua di Jizō?

“Allora? Dannazione Kagome, sei tu o non sei tu quella che...quella che...si insomma, quella che ha fatto quel cazzo di test?”

Si fissarono, e prima che lei parlasse, InuYasha sapeva già la risposta.

“Si, sono io che aspetto un bambino.”

  
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