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Autore: Moriko_    18/11/2020    1 recensioni
Due compleanni, due persone, un'unica data: 12 Marzo.
Lo straordinario cammino della vita dai primi passi alla maturità, verso più grandi ed importanti traguardi.
[Il titolo, che riassume il tema dell'intera opera, è ispirato a una citazione di Jean Paul, scrittore e pedagogista tedesco: "I compleanni sono piume sulle ampie ali del tempo."]
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Nuovo personaggio, Shingo Aoi
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Fanfiction
Ht3QVT8

Germogli.

{Sei anni | Morisaki's side}

 

 

BGM: Hazy - Cosmos

 

 

 

[12 Marzo. Nankatsu, prefettura di Shizuoka.]

 

La luce del mattino filtrava attraverso le tapparelle della cameretta dove Yuzo riposava. Il piccolo era immerso nelle coperte del suo lettino futon e stava ancora dormendo profondamente.

Una piccola sveglia a forma di luna, posta su un basso comodino al fianco di Yuzo, stava per segnare l’ora in cui il bambino si sarebbe svegliato. Infatti, proprio in quel momento la porta della cameretta si aprì piano e la madre del piccolo entrò furtiva, si avvicinò a passi silenti al lettino e si chinò, dando una dolce carezza sul braccio del figlio.

«Buongiorno...» gli sussurrò. «Buon compleanno.»

Izumi gli diede un bacio sulla guancia, poi si avvicinò alla finestra e lentamente alzò le tapparelle: non era il tipo da svegliare di soprassalto i suoi cari, attraverso urla e forti rumori che di certo avrebbero rovinato l’inizio della loro giornata.

Quei dolci movimenti fecero uscire dalle coperte Yuzo, che si sedette e si strofinò gli occhi ancora assonnati. Sebbene non riuscisse ad aprirli del tutto per il sonno e così a focalizzare ciò che stava accadendo intorno a lui, il piccino sapeva che quella piacevole sveglia era ad opera della sua mamma, che anche in quei semplici gesti dimostrava l’immenso amore che nutriva per lui così come per i suoi fratelli. «Ciao, mamma...» mormorò, sbattendo le palpebre.

Con un tenero sorriso Izumi tornò da lui e si inginocchiò al suo fianco. «La colazione è pronta: ti stiamo aspettando in cucina. I fratelloni sono già impazienti di iniziare la grande sfida: mi chiedo chi la spunterà oggi... e chissà se riuscirai a fare il furbetto come sempre!»

Yuzo trattenne una risata e annuì, restituendole il caloroso sorriso che aveva ricevuto. «Va bene: arrivo subito, mamma!»

Izumi si alzò, sorrise un’ultima volta a Yuzo e uscì dalla stanza.

Solo allora il bambino si alzò dal letto e si affacciò alla finestra. Guardò davanti a sé, nella direzione di un’altra abitazione che si trovava al fianco della sua casa, e fissò l’unica finestra del primo piano che si affacciava proprio di fronte alla sua cameretta. Per uno strano caso del destino, colui che aveva progettato quelle due abitazioni le aveva immaginate come gemelle: Yuzo non poteva sapere ciò, ma le due famiglie - la sua e quella dei vicini - che abitavano in quelle due villette erano molto legate tra loro, e il simbolo della loro profonda amicizia risiedeva proprio nella sua stanza e quella che gli stava dinanzi.

Il piccolo alzò la mano e, con un sorriso che sembrava essere più colmo di tristezza che di felicità, iniziò a muoverla da un lato all’altro, nell’atto di salutare qualcuno che, però, in quel momento non c’era.

E non ci sarebbe mai stato.

Quella era un’abitudine che Yuzo aveva preso da qualche mese e che non aveva mai dimenticato, pur sapendo che da quella finestra non si sarebbe affacciato nessuno: seppur fosse perfettamente consapevole di ciò, il piccolo si era ripromesso di continuare imperterrito in quella forma di saluto che solo all’apparenza sembrava essere a vuoto, ma che in realtà aveva un significato ben più profondo. Lo faceva sempre ogni volta che si svegliava, salutando un suo simile che gli aveva fatto compagnia per quasi un anno e che, proprio come lui, aveva reso quella stanza il suo piccolo regno, nel quale si svegliava con il pensiero verso quel sogno che entrambi condividevano.

Era trascorso solo qualche mese dal giorno in cui quel bambino di cinque anni non si era più affacciato a quella finestra, ma Yuzo continuava a rivolgere il suo saluto in quella direzione, perché sapeva che in realtà colui che era stato il suo più grande amico non aveva mai lasciato la sua cara cameretta. Proprio come il fumo acceso dell’incenso che si elevava sempre più in alto, fino a diventare del tutto invisibile ma che continuava a impregnare l’aria con il suo gradevole profumo, anche quel bambino non era mai andato via dalla vita di Yuzo.

Era solo... scomparso.

Senza smettere di mostrare quel malinconico sorriso, il piccolo diede un sospiro, voltò le spalle e si avvicinò all’armadio scorrevole che si trovava di fronte al futon, continuando ad avere lo sguardo fisso sulla finestra.

«Ciao, Hikaru. Io vado all'asilo... e te lo prometto: oggi mi divertirò anche per te!»

 

 

 

La colazione, la prima parte della giornata per tutte le famiglie, per i Morisaki era uno dei più chiassosi e movimentati. Era uno dei pochi momenti che i tre piccoli di casa riuscivano a condividere tra loro, rallegrando la gioiosa atmosfera che già si respirava nella stanza: al fianco del ripiano bar che costeggiava l’angolo cucina, tutti i membri della famiglia si radunavano intorno al piccolo tavolo di sei posti per iniziare insieme le loro diverse giornate, ed erano proprio i figli di Izumi e Hideki a rendere anche quel luogo un grande regno di gioco... specialmente dal giorno in cui su quel tavolo, imbandito con piatti tradizionali giapponesi, era stato introdotto un cibo del tutto nuovo per i bambini.

«Vi ricordo che nonno Akihiko non ha portato un’intera fabbrica di croissant dal suo ultimo viaggio... proprio perché sapeva che sarebbe finita così tra voi due!»

Ormai piccoli studenti delle elementari, Ken'ichi e Takaji facevano a gara a chi finisse per primo di mangiare, per poi arrivare a fissarsi negli occhi come due cowboy pronti a spararsi nel bel mezzo del far west. Questo tutti i giorni da quando il padre di Izumi, Akihiko, aveva regalato ai suoi nipotini una grande confezione di croissant: insieme a sua moglie Chiharu amava viaggiare da un punto all’altro del mondo, quando i loro rispettivi lavori lo permettevano, e spesso dai luoghi che visitavano egli portava ai suoi cari le cose più tipiche e strane. I primi a ricevere in dono qualcosa da Akihiko erano stati proprio sua figlia Izumi e Hideki: la strana libreria a zig-zag del soggiorno, un tempo oggetto di discussione tra i fratelli Morisaki prima della nascita di Ken'ichi, era un oggetto di cui Akihiko si era follemente innamorato quando aveva visitato New York e, per quante volte sua moglie gli avesse detto «Ma sei davvero sicuro? Potrebbe non piacere a tua figlia...», lui aveva comunque deciso di donare ai novelli sposi proprio quella libreria.

Da quel momento in poi Akihiko non aveva mai perso l’occasione per portare qualsiasi genere di oggetto dai viaggi che faceva; azione che si era intensificata man mano che i suoi nipotini nascevano e crescevano. A loro aveva sempre pensato di regalare del gustoso cibo che i bambini avrebbero potuto gustare, incurante del fatto che sua figlia Izumi gli ricordasse sempre di non viziare i suoi nipotini con dolci introvabili o comunque non minimamente paragonabili alle imitazioni presenti sul territorio giapponese.

Quei croissant, che si trovavano su un piattino posto al centro tavola, erano l’ultima conquista dei bambini di casa Morisaki per la loro colazione: il nonno li aveva spediti direttamente da una pasticceria viennese dopo il suo ultimo viaggio in Austria, e grande era stata la curiosità dei piccoli - poi seguita dall’enorme gioia - quando era arrivato quel pacco carico di soffici dolci dalle mille sfoglie.

Ogni mattina Ken'ichi e Takaji erano i primi a sedersi a quel tavolo, e escogitavano nuovi metodi per rubarsi a vicenda l'ultimo croissant che la mamma aveva riscaldato per loro: seduti l’uno accanto all’altro, in quel momento si stavano scrutando come leoni che avevano avvistato una preda non facile, attenti alla mossa che avrebbe fatto il loro vicino di posto. Ma, puntualmente, ogni mattina sembravano non tenere conto di un terzo incomodo che avrebbe potuto approfittare della loro situazione con astuzia e scaltrezza.

Yuzo, che invece era l’ultimo dei bambini a iniziare la colazione, era seduto proprio di fronte a loro e ogni volta che finiva di mangiare, nel vedere che i suoi fratelli maggiori erano più interessati a guardarsi tra loro piuttosto che il croissant che campeggiava solitario sul piatto bianco, con grande velocità allungava la sua piccola mano per prendere quel cibo tanto desiderato da tutti. E, ogni volta che accadeva ciò, un forte urlo di stupore riempiva la stanza dove tutti si trovavano.

«Fratellino!»

Anche quella mattina Yuzo sorrise di gusto: felice per l’impresa riuscita, addentò il croissant sotto lo sguardo incredulo di Ken'ichi e Takaji che a quel punto non poterono fare a meno di lamentarsi.

«Non è giusto, mamma!» piagnucolarono i due in coro. «Oggi era il mio!»

Izumi sorrise e si mise dietro ai suoi figli, con le mani sulle loro spalle. «Su, bambini... lo sapete che è il compleanno di Yuzo: oggi quel croissant è meritato!»

I due fratelli maggiori si scambiarono un’occhiata incerta, per poi puntarla verso il piccolo. Entrambi non sapevano cosa rispondere: la loro mamma aveva ragione, ma la tentazione di quell’ultimo croissant era talmente grande al punto che stavano iniziando a provare invidia nei confronti del loro fratellino.

Yuzo spezzò in tre parti il gustoso dolce che aveva in mano e, all’improvviso, porse ai suoi fratelli due di quei pezzi. «Ecco!» esclamò con un sorriso. «Così possiamo mangiarlo insieme!»

Ken'ichi e Takaji esitarono prima di afferrare le parti del croissant che il loro fratellino aveva offerto. Quel gesto così gentile li aveva colti di sorpresa: mai si sarebbero aspettati che Yuzo avrebbe condiviso con loro quel piccolo dolce che deliziava il loro palato. «G... grazie...» mormorarono, con un timido sorriso che fece rallegrare l’animo del minore della famiglia.

Intanto, seduto a capotavola, Hideki stava finendo di bere il caffè mentre guardava il notiziario e le previsioni meteo della giornata nella piccola televisione della cucina; invece Izumi approfittò del tempo in cui i suoi tre figli stavano mangiando quell’ultimo croissant per finire di bere il tè che aveva lasciato sul ripiano bar. Dato l’ultimo sorso la donna, ancora con la tazza vicino al suo volto, vide con la coda dell’occhio i suoi due figli maggiori ringraziare per il cibo ricevuto[1], alzarsi da tavola e seguire il loro papà verso il bagno.

«Dai, bambini: a lavare i denti prima di andare a scuola!» disse Hideki, tenendo per mano Ken'ichi e Takaji che salutarono il loro fratellino prima di scomparire tra le scale che li avrebbero portati al piano superiore.

«Ciao, Yuzo: ci vediamo!»

«Grazie ancora per il dolce!»

Da lì, nel bagno situato sul primo piano, ogni giorno iniziava un’altra sfida per Ken'ichi e Takaji dopo quella dei croissant: una corsa, una vera e propria gara di velocità che avrebbe decretato come vincitore il più rapido a lavarsi i denti per bene; tutto questo prima di tornare dal papà e recuperare gli zainetti dalle loro rispettive stanze, per poi tornare al piano terra e augurare buona giornata al resto della famiglia.

La scuola privata dei due bambini, la Shutetsu, non era molto distante dalla loro casa: come i loro coetanei, Ken'ichi e Takaji erano abituati ad andare da soli ma qualche volta - come stava accadendo quel giorno - il loro padre li accompagnava in auto, per poi recarsi al lavoro a Shizuoka.

Hideki era uno stimato professore e ricercatore del Dipartimento di Educazione all’università della vicina città: partiva al mattino presto con l’automobile per poi rincasare la sera, il più delle volte riuscendo a tornare in tempo per la cena. Nonostante Shizuoka e Nankatsu non fossero molto distanti tra loro, il traffico che c’era sulla superstrada che le collegava era intenso proprio nell’ora in cui tutti si recavano al lavoro - compreso lui, che così cercava di partire da casa il prima possibile per essere puntuale sul luogo di lavoro. Ma Hideki era sempre felice di poter dare uno strappo ai propri figli, e lo faceva quando l’orario di lavoro lo consentiva: capitava che alcune volte doveva iniziare più tardi del solito, e approfittava di quel poco lasso di tempo che la sorte gli aveva regalato per trascorrere dei brevi momenti in più con Ken'ichi e Takaji. Poiché rincasava sempre di sera, erano davvero pochi quegli attimi di serenità familiare che condivideva con gli altri membri della famiglia e che riusciva a godersi, dimenticando tutte le difficoltà e la fatica che il suo lavoro di docente universitario comportava.

Hideki si sentiva sempre in paradiso con i suoi figli e sua moglie, ovunque si trovassero.

 

Izumi e Yuzo erano gli ultimi a uscire di casa. Il piccolo era al suo ultimo anno di asilo, e rispetto ai due fratelli aveva un po’ di tempo in più per finire la colazione, ringraziare e lavarsi i denti, sotto la vigile guida di sua madre che lo raggiungeva dopo aver sparecchiato.

La donna, dopo essere tornata in soggiorno e aver dato un’occhiata al baby monitor, si recava poi nella camera matrimoniale per preparare l’ultima arrivata all’uscita quotidiana. Izumi aveva lasciato la piccola Hanako, di soli tre mesi, che dormiva ancora nella sua culla posta al fianco del letto: cercò di cambiarla senza svegliarla e tornò nuovamente nel soggiorno, dove ad attenderla c’era il suo terzogenito con lo zainetto sulle spalle. Siccome Yuzo andava ancora all’asilo, lei stessa si occupava di preparargli l’occorrente la sera prima, in modo tale che fosse già pronto per la sua quotidianità fatta di giochi e apprendimento.

Dopo aver posto la piccola nel passeggino Izumi uscì di casa e, quando oltrepassarono il cancello, prese per mano Yuzo. Non si sorprese del fatto che, per tutto il tragitto, il piccolo fosse rimasto stranamente in silenzio: gli ultimi mesi erano stati forieri di molti cambiamenti nella loro famiglia ed era come se, in virtù di tutti quegli eventi che erano accaduti, Yuzo si fosse calmato; sebbene fosse un bambino pieno di risorse, il suo terzogenito era meno scatenato e vivace rispetto all’anno precedente. Così come già avveniva all’asilo, anche a casa Yuzo era diventato molto educato e più silenzioso del solito: non correva più da un lato all’altro della cucina quando era con lei, e ora era più attento ad ascoltarla e ad aiutarla quando gli chiedeva una piccola mano.

Un’improvvisa dipartita e un lieto evento avevano influenzato il carattere del piccolo. E se da un lato era rimasto il bambino di sempre, che si divertiva nel cortile quando aveva in mano il suo adorato pallone, dall’altro era diventato più responsabile e meno dispettoso.

Anche quel giorno Izumi gli gettò un fugace sguardo mentre spingeva il passeggino, e ancora una volta ebbe lo stesso pensiero. Era vero: proprio come i suoi fratelli Ken'ichi e Takaji, anche Yuzo stava crescendo, anzi... forse anche più di loro.

 

Dopo aver lasciato all’asilo suo figlio, Izumi riprese a camminare nel quartiere con la piccola Hanako che dormiva nel passeggino. La donna amava ogni aspetto della sua passeggiata quotidiana, una salutare abitudine che aveva fin da quando era ragazza: le piaceva soffermarsi su ogni particolare che attirava la sua attenzione, dai dolci profumi degli alberi, come quelli di ciliegio in fiore nel periodo primaverile, ai più piccoli dettagli visivi che capitavano sotto i suoi occhi, come i sottili steli d’erba che facevano capolino dalle risaie che si trovavano ai limiti del quartiere o i piccoli sentieri che si districavano proprio tra quelle coltivazioni. Quella passeggiata la rasserenava, e le donava una grande serenità che avrebbe poi trasmesso ai suoi cari quando sarebbe tornata a casa.

Izumi giunse presso il parco cittadino dove da lontano notò il campo da calcio, immerso tra i piccoli alberi che decoravano quella vasta area verde; alle spalle il monte Fuji si ergeva nella sua imponenza, e da quella posizione sembrava un silenzioso guardiano che stava vegliando non solo sulla vallata della città e le zone circostanti, ma soprattutto sul campetto che in quel momento era vuoto. Era del tutto normale, essendo un giorno lavorativo: solitamente quella zona era piena di bambini e ragazzi che quasi facevano a gara per disputare anche una sola partita di calcio, lo sport più popolare di Nankatsu e del quale l’intera prefettura di Shizuoka andava fiera.

Izumi si avvicinò, si soffermò accanto alla rete che circondava il campo e sorrise quando i suoi occhi puntarono a una delle due porte. Se Yuzo fosse qui, si precipiterebbe verso quei pali con il suo pallone... senza pensarci troppo!

In quel momento il suo cellulare, che si trovava nella borsa del passeggino, diede un breve trillo. La donna aprì la zip e lo estrasse: la notifica che stava lampeggiando sullo schermo la stava avvertendo dell’arrivo di un messaggio da parte di Hideki.

 

[È fatta. Mi hanno appena telefonato, e oggi dopo il lavoro ritirerò gli ultimi documenti... ora possiamo dirlo: missione compiuta. Hanno accettato anche Yuzo! Non che avessimo avuto qualche dubbio... ma sono molto felice!]

 

Izumi sorrise compiaciuta e tornò a guardare il campetto da calcio.

Sia lei che suo marito avrebbero fatto qualunque cosa per coltivare le passioni che i loro figli stavano iniziando ad avere: con Yuzo in particolare si era concretizzato quel pensiero che Hideki aveva avuto mesi addietro, e anche lei aveva provato a scommettere su quella che negli ultimi mesi era diventata più una proposta che una scelta. Entrambi sapevano in partenza che solo il tempo avrebbe dato loro ragione o torto, ma erano certi che quell’idea avrebbe dato buoni frutti per il futuro del loro terzogenito... in qualunque modo sarebbe andata a finire.

 

 

 

Hideki uscì dal lavoro con il sorriso sulle labbra.

La telefonata che aveva ricevuto poco prima, subito dopo la fine dell’ultima lezione che aveva tenuto, era capitata proprio in una splendida giornata: Hideki aveva ultimato i preparativi per l’inizio del nuovo anno accademico con i suoi colleghi e, nel frattempo, tutti i suoi tesisti avevano consegnato gli ultimi appunti per i loro lavori finali; inoltre era riuscito finalmente a mettere in ordine la sua scrivania, solitamente piena zeppa di vari documenti e libri, e anche il caffè del distributore automatico sembrava essere più buono del solito.

Tutti questi piccoli dettagli avevano impreziosito quella che sembrava essere una solita giornata di lavoro: Hideki quel giorno era uscito prima dall’università con un grande buonumore, giusto in tempo per tornare a Nankatsu e recarsi a quell’appuntamento, altro motivo della sua felicità. In più, alla lista di tutte le cose belle che gli erano capitate doveva aggiungere che era il compleanno del suo terzogenito: sicuramente egli sarebbe tornato a casa all’orario di sempre se non col rischio di fare tardi per la cena, proprio per via di quell’appuntamento che era stato fissato nel tardo pomeriggio... ma ne sarebbe stato comunque felice, perché era consapevole del fatto che tutti i sacrifici quotidiani - i suoi e quelli di sua moglie - stavano iniziando a dare frutti, per il bene dei loro figli. Fischiettando un allegro motivetto, Hideki salì in auto e si guardò nello specchietto retrovisore prima di mettere in moto: il sorriso che aveva in quel momento era la perfetta sintesi di quella giornata, e lui era certo che niente e nessuno avrebbe rovinato il suo buonumore.

Hideki accese la radio e partì, alla volta degli uffici della scuola privata Shutetsu della sua città. Quel complesso studentesco era il più rinomato per l’alto livello di insegnamento e la molteplicità delle attività offerte agli studenti, dalle elementari fino alle superiori: era una delle scuole più antiche di Nankatsu, la stessa che aveva frequentato sua moglie Izumi e prima ancora i genitori di lei, una scuola che affondava le sue radici lontano nel tempo, quando nell’epoca Meiji i Wakabayashi avevano gettato le basi del loro fulgido impero economico basato sul commercio, diventando una delle famiglie più ricche della prefettura di Shizuoka. La Shutetsu era anche la scuola dove lavoravano i suoceri di Hideki, Akihiko e Chiharu, rispettivamente come insegnante delle superiori e membro del corpo amministrativo, ed era la stessa scuola che stavano frequentando Ken'ichi e Takaji; un ambiente, dunque, che ormai Hideki conosceva molto bene e che amava nonostante gli enormi costi che ogni anno doveva sostenere per i suoi figli; un ambiente che avrebbe garantito per loro un futuro più certo e sicuro, che avrebbe permesso di accedere con maggiore facilità alle università più prestigiose e di avere una splendida carriera in qualunque lavoro avrebbero scelto.

Certo: molto di quel brillante futuro che Hideki immaginava ogni giorno sarebbe dipeso proprio da loro, dal grande impegno che avrebbero messo e dai piccoli sacrifici che avrebbero dovuto fare, ma egli sapeva meglio di chiunque altro che i suoi figli non si sarebbero mai arresi di fronte a qualunque ostacolo che si sarebbe presentato lungo il loro percorso da studenti. La sua discendenza aveva dimostrato più volte il proprio coraggio ma soprattutto caparbietà, entrambi tratti peculiari che accomunavano tutti i membri della famiglia Morisaki - come anche lui, del resto.

Tenere duro, qualunque cosa accada. Era proprio questo l’insegnamento che Hideki aveva ricevuto dai suoi genitori, e trasmesso di generazione in generazione nella loro famiglia. Un insegnamento che valeva per qualunque cosa, dal lavoro alle piccole faccende quotidiane; in quel momento, mentre si era immesso sulla superstrada che l’avrebbe portato nella sua città natale, Hideki pensò che non ci fosse niente di più vero in quello che era il motto dei Morisaki, perché ciascuno di loro aveva vissuto e stava ancora vivendo per inseguire i propri sogni, per raggiungere i propri obiettivi... per realizzare se stessi.

Hideki lo sapeva già: anni difficili e dall’esito incerto attendevano lui e la sua famiglia... ma era ostinato, e la sua ostinazione si rifletteva anche nel volere il meglio per i suoi bambini. Non sapeva cosa sarebbe accaduto tra qualche anno, quando anche Hanako sarebbe cresciuta e avrebbe iniziato a muovere i primi passi in quel mondo sconfinato, però sapeva molto bene cosa lui e Izumi avrebbero voluto per tutti i figli: una vita felice e spensierata, lontano da quella dai mille labirinti apparentemente senza uscita degli adulti, la stessa che entrambi stavano vivendo.

Lui aveva piena fiducia in ciascuno di loro. A tempo debito, quelli che ora erano solo dei bambini innocenti li avrebbero ringraziati e ricambiati in qualche modo, quando sarebbero diventati adulti responsabili e consci dei problemi quotidiani che la vita aveva riservato per tutte le famiglie.

 

Hideki alzò lo sguardo verso i cartelloni verdi della superstrada, uno dei quali segnalava l’ingresso nella cittadina di Nankatsu. Si trovava quasi alle porte del centro abitato, segnalato dalla presenza delle piccole industrie che costeggiavano la strada sulla quale stava viaggiando, mentre a pochi metri si iniziavano ad intravedere i primi edifici e abitazioni dei quartieri periferici.

Stava per giungere nei pressi di un incrocio quando, all’improvviso, il suo cellulare iniziò a squillare; nello stesso istante lo schermo del navigatore dell’automobile lampeggiò e subito mostrò un nome di fronte al quale Hideki spalancò gli occhi, incredulo.

 

[Yamamoto Haru]

 

Nel fissare quello schermo come se avesse letto più un messaggio di allarme che il nome di una persona che conosceva, ci mancò poco che Hideki si fermasse di colpo sulle strisce pedonali con il semaforo giallo. L’uomo si affacciò dal finestrino e chiese umilmente scusa ad una povera signora che in quel momento aveva iniziato ad attraversare la strada, e che era sul punto di imprecargli contro - almeno, così si evinceva dal volto corrucciato dell’anziana che lo stava guardando di sbieco.

Dopo essersi scusato Hideki tornò dentro con la testa e riprese ad osservare il navigatore che continuava a segnalare l’arrivo della telefonata, mentre in sottofondo si sentiva il trillo del cellulare che stava squillando dal taschino della borsa da lavoro posta al suo fianco.

Yamamoto... Haru.

Hideki era decisamente sorpreso. Sebbene quel nome gli fosse familiare... era del tutto inusuale in quel periodo. Era da molto che egli non vedeva Haru, né l’aveva più sentito, in parte per il suo lavoro all’università che ogni giorno gli portava via un sacco di tempo per le relazioni sociali; in parte, però, perché il suo amico aveva deciso di chiudersi in se stesso dopo un tragico evento che aveva colpito tutta la sua famiglia mesi prima.

Un tragico evento del quale anche Hideki non riusciva ancora a capacitarsi, ma che aveva deciso di accettare nel rispetto del suo silenzio, senza permettersi di telefonarlo anche solo per un breve saluto. Sebbene abitassero nello stesso quartiere, l’ultima volta che aveva avuto un contatto con Haru era stato in occasione dell’inizio del nuovo anno: gli aveva inviato un semplice messaggio di auguri, sincero e senza troppi giri di parole, di fronte al quale aveva ricevuto un’altrettanta semplice risposta, senza proseguire oltre la conversazione che sarebbe potuta nascere tra loro. Anche in quel caso Hideki non aveva insistito, lasciando che il tempo continuasse a scorrere e che le loro vite proseguissero in silenzio, in attesa che un giorno - che lui sperava essere il meno lontano possibile - il suo amico fosse tornato da lui con la solarità che lo aveva sempre contraddistinto dagli altri.

Tuttavia, Hideki sapeva che non sarebbe stato facile. Quella ferita era ancora troppo fresca per essersi rimarginata del tutto; anzi... ferite del genere non si sarebbero mai risanate del tutto, dopo aver provocato delle spaccature così profonde nell’anima che nessuna medicina al mondo avrebbe potuto guarire. Suo fratello Noboru conosceva molto bene quel genere di dolore, e ogni volta che Hideki lo guardava negli occhi capiva che la sofferenza che provava era ancora molto grande, nonostante fossero trascorsi diversi anni e riusciva a dissimulare dietro ad un sorriso ciò che il suo cuore sentiva ancora; ogni volta si chiedeva come Noboru riuscisse a farlo, chi o cosa gli desse quella grande forza per andare avanti, cercando di adempiere a quella grande volontà che animava lo spirito della loro famiglia.

Nel caso di Haru forse quel dolore era stato centuplicato, e comprendendo la sua situazione Hideki non voleva augurare ad alcuno ciò che il suo amico stesse passando. Gli venivano i brividi solo a pensarci...

Per tale motivo, egli stava esitando a premere sul navigatore il bottone verde della chiamata vocale che gli stava arrivando. Avvicinò l’indice sullo schermo, che si fermò a pochi millimetri di distanza: sarebbe bastato davvero poco per rispondere a quella telefonata, un solo movimento del dito in avanti e il mondo intorno a lui si sarebbe fermato, pronto ad affrontare qualsiasi conseguenza che ne sarebbe derivata. Non sapeva bene cosa dire a Haru: stava rimuginando anche sullo stesso tono di voce che doveva utilizzare perché forse sarebbe potuto risultare offensivo e indelicato per il suo amico, anche se questa volta era proprio lui che lo stava contattando, dopo diversi mesi da quel tragico evento...

Hideki prese fiato prima di premere sullo schermo quel benedetto tasto verde, pensando ad una duplice possibilità. Forse, quella telefonata era un segnale che nella vita di Haru qualcosa stava lentamente cambiando, verso una nuova normalità che anelava ad essere il più possibile simile a quella precedente. O, forse, il suo amico aveva semplicemente sbagliato numero: era capitato a chiunque - anche a lui una volta - di incorrere nell’errore di contattare una persona al posto di un’altra, per la fretta di scorrere velocemente la rubrica e premere il tasto della telefonata senza nemmeno verificare chi si stesse realmente contattando.

Egli deglutì rumorosamente, prima di premere sullo schermo il tasto della risposta alla telefonata. «P... pronto?»

«Ciao, da quanto tempo!»

Hideki aveva sentito forte e chiaro: dall’altra parte il tono di voce del suo interlocutore sembrava essere più allegro rispetto agli ultimi tempi, al punto che egli iniziò ad avere i primi dubbi. No... forse Haru ha sbagliato davvero numero. Lo conosco molto bene: con me non si sarebbe mai sognato di nascondere le sue emozioni dietro ad una voce così felice...

«Haru...» disse, e riappoggiò con titubanza la mano sul volante. «Forse... forse hai sbagliato numero. Guarda che io sono Hi–»

«Macché: cercavo proprio te, Hideki!»

Il semaforo scattò verde, ma l’uomo fece fatica a schiacciare sull’acceleratore. Per come era iniziata, quella telefonata sembrava surreale ma in cuor suo era felice: se Haru aveva deciso di mettersi in contatto proprio con lui, e chiamarlo con un tono di voce che in quel momento lasciava presagire che stesse bene - o, perlomeno, che si stesse riprendendo -, di certo non poteva essere per un’altra tragica notizia.

Hideki sorrise e ripartì. Per sua fortuna dietro di lui non si era formata alcuna coda, così poté tornare a viaggiare senza che vi fosse qualcuno che avrebbe sbraitato contro di lui, col rischio di fare la seconda figuraccia di quella che doveva continuare ad essere una giornata splendida. «Haru... ascolta,» disse, con la serenità riconquistata dopo la sorpresa che gli aveva fatto il suo amico, «a me dispiace molto. Mi dispiace se non mi sono fatto vivo negli ultimi tre mesi, però...»

«Potrei dire lo stesso anche di me! Non preoccuparti, Hideki... ah, a proposito: auguri a tuo figlio Yuzo! Oggi è il suo compleanno, giusto?»

Hai ragione, e sono felice che ti sei ricordato! - pensò Hideki ma, per quanto si sforzasse, la voce fece fatica ad uscire dalle sue labbra. Ancora una volta, non sapeva come rispondergli: come avrebbe potuto, senza che quell’argomento venisse nuovamente a galla tra loro?

«Sì... ti ringrazio...»

«Aaaah, di niente! Fai gli auguri anche da parte mia, mi raccomando: stasera lavoro al ristorante del centro fino a tardi, per cui quando rientrerò a casa sicuramente Yuzo sarà già a letto!»

E, ancora una volta, Hideki si stava chiedendo il perché di quello che sembrava essere uno strano comportamento. Haru sembrava essere così allegro e solare, così come Noboru lo era sempre ogni volta che si incontravano: due uomini accomunati da una tragica perdita, da quell’acuto dolore che era penetrato nei loro corpi fino alle ossa e aveva infranto tutto ciò che incontrava lungo il suo cammino. All’apparenza Haru stava iniziando a comportarsi esattamente come suo fratello... come se non gli fosse successo nulla, come se quel giorno la sua vita e quella di sua moglie Kazue non fosse cambiata in modo drastico. Era come se entrambi avessero dimenticato ciò che avevano vissuto, quella catastrofe che li aveva portati sul bordo di un precipizio senza fine.

Eppure...

Hideki lo sapeva molto bene proprio per l’esperienza di suo fratello. In realtà nemmeno Haru aveva dimenticato ciò che gli era successo: come Noboru, anche lui stava imparando a convivere con quella forte sofferenza, affrontarla faccia a faccia con un grande sorriso, pur essendo perfettamente consapevole del fatto che non sarebbe mai andata via del tutto.

Il tono di voce del suo amico lo rincuorò.

«Tu... tu e Kazue come state?»

... accidenti a me!

Troppo tardi per riparare al danno: Hideki si colpì la fronte con il palmo della mano. Quella domanda gli era uscita senza pensarci: era ovvio che Haru e la sua famiglia non si erano ancora ripresi, perciò come gli avrebbe risposto? Che stesse bene, che la vita fosse tornata a sorridergli senza più alcun pensiero per il passato, soprattutto per un incubo che aveva sconvolto la sua esistenza?

Che idiota che sono: perché non penso mai prima di parlare?

«Perdonami!» si lasciò sfuggire dalle labbra. «Lo so: ti ho fatto una domanda stupida, e–»

«Hideki,» lo interruppe Haru. «Lo sai perché ti ho telefonato, e proprio oggi? È proprio di questo di cui voglio parlarti... sempre se hai qualche minuto, altrimenti ti richiamo più tardi.»

All’improvviso la voce del suo amico divenne più seriosa, al punto da riuscire a sorprendere Hideki - ancora una volta. Quest’ultimo aveva capito che Haru stava per dirgli qualcosa di importante, di così significativo, che forse valeva la pena accostare la macchina e fermarsi ad ascoltarlo.

«Dammi... dammi qualche secondo che controllo...»

Sullo schermo del navigatore l’uomo diede un’occhiata sia all’orario che al percorso che doveva ancora fare: mancava ancora mezz’ora all’appuntamento, e si trovava nelle vicinanze del luogo in cui doveva avvenire.

Ok: posso fermarmi per qualche minuto.

Non appena riuscì a trovare un’area adatta per la sosta, Hideki accostò la macchina e spense il motore. «Dimmi, Haru.»

Dall’altra parte della conversazione Hideki sentì un forte sospiro, accompagnato da frasi che sembravano essere colme di tristezza: il tono era decisamente cambiato, come se Haru stesse lentamente tornando alla persona che era qualche mese prima.

«Hideki. Prima di tutto, ti chiedo scusa se quel giorno ti ho detto che sarebbe stato meglio che non ci vedessimo per un po’...»

«Non devi scusarti per questo,» rispose Hideki, senza più esitazione. «È del tutto comprensibile: tu e Kazue avevate bisogno di restare da soli... è normale, anch’io al tuo posto avrei fatto lo stesso...»

«Però mi sento in dovere di chiederti perdono. Anche se non ci conosciamo da molto... noi siamo amici, giusto? E gli amici restano sempre insieme, nella gioia... ma soprattutto nel dolore...»

«Stai tranquillo. Sappi una cosa: per me non è cambiato niente in tutti questi mesi... sei stato un buon amico, e continuerai ad esserlo. È lo stesso anche per mia moglie... e anche per i nostri figli: non c’è un solo giorno che non pensiamo a voi...»

In quel momento Hideki sentì un sussulto. Si portò una mano sul petto che iniziò a fargli male, mentre gli tornarono alla mente tutti i dettagli di quel giorno maledetto che, sebbene fosse già lontano, a lui sembrava fosse accaduto da poco. Haru si trovava nel tempio con sua moglie e, poco distante, vi era lui con la sua famiglia: nessuno di loro era lì per un lieto evento o per una visita di ringraziamento alle divinità, ma per un funerale.

Hideki si ricordò di aver seguito tutta la cerimonia tenendo stretto a sé suo figlio Yuzo che continuava a singhiozzare, senza mai lasciarlo. Nell’osservare il suo amico Haru che cercava di trattenere le lacrime e, nel contempo, di essere forte per consolare sua moglie, per un attimo si era rivisto in lui.

E se... e se fosse capitato a noi? - si ripeteva in pensiero continuando ad abbracciare il suo bambino, e ogni volta che lo faceva gli veniva da piangere, perché non riusciva ancora a credere a ciò che era accaduto alla famiglia di Haru.
I Morisaki avevano conosciuto gli Yamamoto solo qualche mese addietro, quando si erano trasferiti nella casa accanto alla loro: una coppia splendida, di quelle amichevoli e disponibili nei momenti di difficoltà, con un unico figlio che amavano follemente. Né Hideki e né sua moglie avevano faticato a stringere subito amicizia con loro, così come Ken'ichi, Takaji e Yuzo; tra i tre fratelli il loro terzogenito era quello che si era più legato a Hikaru, l’unico figlio della coppia, con il quale condivideva la stessa passione per il calcio e la stessa età.

Nel giro di poco tempo i membri delle due famiglie erano diventati molto amici. Hideki e Haru, sebbene rispetto alle loro mogli non riuscissero ad incontrarsi tutti i giorni, si telefonavano o si scambiavano messaggi sulla tarda sera, con consigli e racconti di ciò che era accaduto ad entrambi nel corso della giornata appena trascorsa; invece Izumi e Kazue erano coloro che riuscivano a vedersi spesso nell’arco della giornata, portando i loro figli coetanei all’asilo o iniziando a fare il giro delle scuole per decidere in quale i due bambini avrebbero iniziato il percorso delle elementari.

Sembrava tutto procedere per il meglio, ma un evento inaspettato aveva stravolto quella nuova quotidianità che si era instaurata in entrambe le famiglie: la vita del piccolo Hikaru era stata spezzata da un’improvvisa malattia, che nel giro di pochi giorni aveva privato gli Yamamoto di ciò che amavano di più al mondo. Una tragedia inspiegabile e assurda che aveva finito per influenzare anche Hideki e la sua famiglia che, proprio in virtù del profondo legame di amicizia che li legava agli Yamamoto, si erano ritrovati presso il tempio della cittadina per dare l’ultimo saluto a quel bambino al quale anche loro erano molto affezionati.

Al termine della cerimonia Hideki aveva iniziato ad allontanarsi con la sua famiglia per lasciare che gli Yamamoto terminassero la cerimonia con le ultime prassi; ad attenderli sulla soglia del tempio vi era Haru che stava ringraziando ad uno ad uno tutti i partecipanti. Tenendo per mano suo figlio, Hideki era stato l’ultimo ad avvicinarsi a lui: entrambi si erano scambiati un inchino senza dirsi nulla, tranne il consueto «Grazie» uscito dalla bocca del suo amico; stava per proseguire il suo cammino quando, d’un tratto, alle sue spalle aveva udito una voce che lo aveva richiamato.

«Aspetta... per favore, Hideki.»

Nel voltarsi, aveva visto Haru di fronte a lui: le lacrime stavano ancora rigando il suo volto, ma cercava in tutti i modi di trovare la forza per parlare. Quando lo aveva guardato negli occhi, subito Hideki aveva compreso che l’altro stava cercando di dirgli qualcosa per lui molto importante; per questo aveva fatto cenno alla sua famiglia di proseguire il loro cammino, dopo aver affidato Yuzo a Izumi con la raccomandazione che li avrebbe presto raggiunti.

Hideki aveva capito che in quel momento lui e Haru dovevano restare da soli, lontani dalle loro rispettive famiglie. Non era più successo dal giorno in cui Haru era corso alla volta dell’ospedale con sua moglie e suo figlio: si erano incontrati di buon mattino di fronte al cancello della dimora degli Yamamoto, mentre lui stava andando a lavoro e il suo amico, dopo aver indicato l’automobile parcheggiata poco distante e dove Kazue stava sistemando Hikaru, gli aveva spiegato tutta la situazione con un sorriso raggiante.

 

«È solo per un controllo. Vedrai, cureranno mio figlio e presto torneremo tutti a casa... però mi raccomando: per ora non dire niente a nessuno, ok? Vi chiameremo stasera, quando tutto sarà sistemato!»

 

Da quel giorno, però, i due non avevano più avuto occasione di parlarsi faccia a faccia, come stavano per fare in quel momento, né al telefono né nel corso della veglia che si era succeduta a distanza di una settimana. Quella dopo la cerimonia funebre sarebbe stata per entrambi la prima volta nella quale riuscivano a scambiarsi qualche breve parola, prima che Haru tornasse al fianco di sua moglie e Hideki dalla sua famiglia.

Con la voce spezzata dal pianto, Haru aveva ripreso a parlare. «Ho pensato che... che forse è meglio se non ci vedessimo per un po’.»

Hideki aveva spalancato gli occhi, ma non se la sentiva di replicare al suo amico. Se fossero stati in un’altra situazione, nella loro vita quotidiana, avrebbe avuto il coraggio di chiedergli il perché, o di insistere per fargli cambiare idea; tuttavia, in quel momento drammatico... la sua risposta era stata un totale silenzio. Aveva compreso le ragioni di Haru, il motivo per il quale aveva detto quelle parole, ma in cuor suo sperava che forse, un giorno vicino o lontano, il suo amico sarebbe tornato ad essere quello di sempre.

Hideki gli aveva preso le mani e, con un altro silenzioso inchino, lo aveva salutato: a quel punto non era riuscito più a trattenere le lacrime, che erano iniziate a cadere dagli occhi e finire al suolo.

«Grazie di tutto,» aveva risposto Haru, stringendogli forte le mani in un atto di conforto mentre il suo pianto non cessò di esistere. «Spero che Yuzo continui ad essere appassionato al calcio... ma, qualunque cosa accada... mi auguro che non dimentichi il nostro Hikaru. Qualunque cosa decida di fare nella vita... deve andare avanti... anche per lui...»

Hideki aveva alzato la testa e annuito, asciugandosi gli occhi colmi di lacrime.

Non preoccuparti, Haru: non lo dimenticherà mai... hai la mia parola.

 

 

«Hideki... ehi, Hideki: ci sei?»

L’interpellato sobbalzò. Si era perso in quella nuvola di ricordi che gli erano venuti in mente, sovrapponendosi alla conversazione che stava avendo con Haru e lasciandosi coinvolgere da essa. In un primo momento aveva pensato di inventarsi una scusa, però aveva subito capito che non sarebbe stata un’ottima idea mentirgli. «Scusami, Haru... è che le tue parole mi hanno fatto ricordare alcune cose...»

L’altro si lasciò sfuggire dalle labbra un dolce riso. «Lo so, Hideki. Anch’io, prima di telefonarti, ci ho pensato molto... ma non potevo non dirtelo...»

«Dirmi cosa?»

«Vedi... la vita è imprevedibile. Io e Kazue abbiamo capito che l’amore è più forte di qualsiasi cosa, anche nei momenti di dolore e disperazione... Tu e Izumi avete avuto una splendida bambina... e il vostro grande amore ci ha fatto capire che, nonostante tutto, Hikaru sarà sempre presente con noi...»

Quelle ultime parole portarono Hideki sul punto di commuoversi. I suoi occhi si inumidirono di lacrime, ma riuscì a proseguire: «Certo, sarà proprio così... a proposito di Hikaru, ecco... dovrei dirti una cosa, ma...»

«Non farti problemi: se c’è qualcosa che vuoi dirmi... fallo e basta. Sei mio amico: non pensarci troppo!»

Hideki appoggiò le braccia sul volante, e alzò gli occhi per guardare fisso davanti a sé. Da lontano si vedeva il principale edificio di una delle cinque scuole cittadine, e pensò che forse quella vista l’avrebbe aiutato a dire ciò che avrebbe voluto confessare al suo amico. Quello che aveva di fronte, infatti, era proprio l’ingresso della Shutetsu, dove a breve Yuzo avrebbe iniziato le elementari.

«Solo se mi prometti che resti tra noi, ok?»

«Va bene.»

Hideki sospirò, prima di proseguire. «Quel giorno, quando siamo tornati a casa... è successa una cosa che non mi aspettavo... non in quel momento, intendo. Mio figlio... Yuzo mi ha detto che si sarebbe impegnato per diventare bravo a calcio... anche per Hikaru. Davvero non vedeva l’ora di tornare a giocare con lui, e continuare a mantenere quella promessa che si erano scambiati...»

Dall’altra parte della conversazione, Haru cercò di trattenere i singhiozzi. Le parole che aveva appena udito furono motivo di tristezza ma anche di un piccola consolazione per la sua grande perdita: a parte lui e sua moglie, ci sarebbe stato qualcun altro che avrebbe portato suo figlio nel proprio cuore. Respirò a fondo, e sussurrò: «Grazie... grazie. Avevo bisogno di sentire queste parole!»

Hideki rimise in moto l’auto e tornò a guidare verso la sua destinazione. «Sai,» disse con un commosso sorriso, asciugandosi le lacrime che nel frattempo erano scese anche a lui. «Sono felice che oggi ci siamo sentiti... e sarebbe bello se tornassimo a farlo... e incontrarci qualche volta... già, sarebbe davvero bello!»

«Come dicono... ah! “Il tempo non cancella le ferite, ma aiuta ad alleviarle”. Hideki, adesso ne sono certo: nessuno di noi si dimenticherà di Hikaru... ma da oggi abbiamo un motivo in più per non farlo.»

«Davvero?»

«C’è ancora una cosa che non ti ho ancora detto. Io... io e Kazue...»

Haru non disse più nulla, mentre Hideki era riuscito ad entrare nel parcheggio della scuola, doveva aveva sistemato la sua automobile e spento nuovamente il motore. Proprio in quel momento il suo amico tornò a parlare di nuovo, iniziando a ridere tra i sommessi singhiozzi che Hideki riuscì a percepire.

La notizia che Haru gli aveva appena dato lo riempì di grande gioia.

 

 

 

Nello stesso istante in cui Hideki era arrivato alla Shutetsu, Izumi era tornata all’asilo per prendere Yuzo che era appena uscito e che, non appena l’aveva vista con il passeggino, si era avvicinato.

«Ciao, sorellina! Andiamo a casa?»

Il bambino si affacciò sulla capottina, curioso di sapere cosa Hanako stesse facendo: la piccola era sveglia e si osservava intorno, stiracchiandosi le braccia e le gambe; non appena udì la voce del fratello che l’aveva salutata, si voltò verso di lui e lo guardò fisso, donandogli uno spontaneo sorriso accompagnato da un lungo versetto. «Mamma, guarda: mi ha salutato!» esclamò Yuzo, colmo di felicità.

Il terzogenito dei Morisaki amava sempre quando la piccola Hanako iniziava ad interagire con lui, e questo fin dalla sua nascita. Nonostante anche lui fosse ancora un bambino, tra quei pochi ricordi che aveva ben in mente vi era quello del giorno in cui sua mamma aveva radunato lui e i suoi fratelli sul divano del soggiorno per l'annuncio di quel lieto evento.

«Tra qualche mese arriverà un altro fratellino o sorellina. Mi raccomando, bambini: sarà ancora molto piccolo per cui non potrà giocare subito con voi... però questo non significa che non possiate volergli bene!»

Se Ken'ichi e Takaji fossero già pronti in un certo senso, avendo alle spalle la nascita del loro terzo fratello, per quest’ultimo la situazione era decisamente diversa. Yuzo non aveva mai interagito con bambini più piccoli, nemmeno all’asilo che frequentava: solo al parco della città aveva visto pargoletti più minuti rispetto a lui, nei passeggini o mano nella mano ai loro genitori mentre muovevano i primi passi; anche Hikaru, che si era trasferito da poco nel quartiere, era della sua stessa età, mentre di cugini nemmeno l'ombra dato che sia lo zio Noboru che lo zio Hotaka non avevano ancora dei figli.

Rispetto ai suoi fratelli maggiori, l’interagire con un piccolo frugoletto sarebbe stata una grande novità per Yuzo. Era molto curioso di vedere presto quel bambino, iniziando già a fantasticare sul suo aspetto fisico e anche sul suo carattere, se fosse stato tranquillo come i suoi genitori o più scatenato come Ken'ichi e Takaji; non appena aveva saputo che quel piccino si trovava nella pancia della sua mamma, in un primo momento aveva iniziato a farle un sacco di domande, a cominciare da quelle più ovvie: «Perché si trova nella tua pancia? E quando si decide a uscire?»

Ogni volta a Izumi sfuggiva una dolce risata per il modo spontaneo in cui il suo terzogenito le chiedeva di quel bambino e spesso erano gli altri due figli, Ken'ichi e Takaji, a rispondere al suo posto con supposizioni tipiche dei bambini come loro.

«Perché è così piccolino che ha paura dei mostri!»

«Non preoccuparti: uscirà quando sarà meno timido e non avrà più paura di giocare con noi!»

Tutti i giorni, i momenti di assenza degli altri suoi figli diventavano un’occasione per Izumi e il suo terzogenito per restare da soli e parlare del futuro che li attendeva, quando non si trovavano a casa dei vicini per trascorrere del tempo insieme a loro. Proprio perché Yuzo era solito trascorrere i pomeriggi con Hikaru, i momenti che madre e figlio condividevano erano pochi ma preziosi, quieti momenti nei quali si ritrovavano sul divano del soggiorno a sonnecchiare, con la testa di Yuzo appoggiata sulle gambe di Izumi, mentre quest’ultima vegliava con dolcezza su di lui. Insieme agli altri membri della famiglia, entrambi non vedevano l’ora che arrivasse l’attimo in cui avrebbero mostrato al mondo quel piccolo frugoletto che già avevano imparato ad amare.

Quei momenti di serenità, però, si erano bruscamente interrotti quando a casa Morisaki era arrivata quella tragica notizia. Quella mattina di inizio novembre era gelida non solo per le basse temperature ma anche per ciò che era appena accaduto: come sempre, Izumi e Yuzo si stavano preparando per andare all’asilo e, mentre il piccolo si trovava al bagno del primo piano, la donna aveva ricevuto un’improvvisa telefonata; l’aveva presa con gioia, perché in cuor suo sperava che si trattasse di una buona notizia, di un grande miracolo che era accaduto, tuttavia quelle piccole speranze che anche lei aveva iniziato a nutrire si erano infrante come uno specchio scaraventato a terra, non appena aveva udito nel suo orecchio una voce che ben conosceva spezzata dal pianto.

La voce di Kazue, della sua amata vicina.

 

«I... Izumi… mio... mio figlio...»

 

Quando aveva chiuso quella breve telefonata, Izumi si stava reggendo a fatica al lavello dell’angolo cucina: si sentiva mancare le ginocchia e le lacrime avevano iniziato a scendere dai suoi occhi; tuttavia, dopo qualche minuto aveva rizzato la schiena e aveva asciugato le guance, cercando di riprendere fiato. Aveva deciso di mostrarsi forte e mantenere il controllo il più possibile: doveva farlo per la sua amica che aveva appena subito un grave lutto, e soprattutto per la sua famiglia. Con dolcezza aveva sfiorato il ventre, ricacciando le lacrime che continuavano ad uscire dagli occhi lucidi e iniziando a pensare al come doveva comunicare quella notizia a suo figlio Yuzo. Sapeva che non l’avrebbe presa bene, ma non l’avrebbe mai lasciato: gli sarebbe stata vicino, tenendolo stretto a sé... in quel momento più che mai.

Da quel giorno madre e figlio erano stati sempre più uniti, arrivando a rinforzare anche il rapporto che si stava creando tra Yuzo e il bambino che Izumi portava in grembo. Spesso Izumi si affacciava dalla finestra della cucina, osservando suo figlio mentre giocava da solo. In quel piccolo cortile si sentiva solo il rimbalzo del pallone: nessuno scambio di parole, né forti o sommesse urla colme di allegria; la tristezza che le stava procurando quella vista era ogni volta insopportabile, tale da farla uscire di casa e sedersi sulle scale d’ingresso, invitando Yuzo a passarle il pallone per giocare con lui. Se prima Izumi e Yuzo non avevano molti momenti da condividere, ora erano arrivati a trascorrere intere ore insieme, cercando di colmare l’uno tra le braccia dell’altra un vuoto assurdo provocato da quella tragedia.
Verso la fine della gravidanza, Izumi aveva chiamato suo figlio nel corso di quello che sembrava essere uno dei soliti pomeriggi di gioco da parte del piccolo: lo fece sedere al suo fianco e gli prese la mano, portandola sul suo ventre ormai grande. «Tra qualche giorno arriverà la sorellina. Lo sai? Da come scalcia ogni volta che sei qui, secondo me non vede l’ora di conoscerti!»

Ciò che Izumi gli aveva detto si era poi avverato: il rapporto che Yuzo aveva con Hanako fin dal primo giorno in cui l’aveva vista per la prima volta tra le sue braccia era davvero speciale. Senza nulla togliere a Ken'ichi e Takaji che amavano quella piccolina tanto quanto il loro fratellino, ogni giorno Yuzo voleva restarle al suo fianco: forse anche complice il fatto che i fratelli maggiori andassero già a scuola e non tornassero a casa prima del pomeriggio, il tempo condiviso tra i due più piccoli di casa era pregno di divertimento e serenità. Yuzo era sempre ben disposto ad aiutare la mamma con Hanako, e le sue orecchie erano ben attente ad ascoltare ciò che diceva; d'altro canto Izumi era la prima ad essersi accorta che suo figlio stesse imparando il significato della parola responsabilità, anche se era ancora molto piccolo per rendersi pienamente conto del suo peso.

Yuzo voleva bene a sua sorella, e da fratello maggiore stava sviluppando verso di lei un senso di protezione - come prima di lui avevano fatto i suoi fratelli: per questo motivo era sempre molto felice di rivederla quando usciva dall’asilo, e non vedeva l’ora di tornare a giocare con lei.

Così anche quel giorno Izumi stava sorridendo, nel vedere i suoi due figli minori interagire tra loro. Sebbene fosse ancora molto piccola, Hanako sembrava aver già preso una forte simpatia per quel suo fratello maggiore che amava il calcio, al punto che ogni volta che lo vedeva sorrideva o rideva di gioia.

«Bambini...» disse la donna con tenerezza, e si chinò verso i due figli. «Ora torniamo a casa; tra un po’ arrivano anche Ken'ichi e Takaji, e oggi non hanno le chiavi di casa...»

«Sì!»

I tre uscirono dall’asilo e insieme fecero il tragitto di ritorno verso la loro abitazione. Con la mano appoggiata su uno dei lati del passeggino Yuzo restò sempre in silenzio, mentre di tanto in tanto Hanako cercava di dire qualcosa attraverso dei brevi versi sonori; a differenza del mattino, però, il piccolo lanciava qualche occhiata di buonumore verso sua sorella, che ogni tanto rivolgeva lo sguardo anche nella sua direzione.

Di fronte a quella scena, l'animo di Izumi si rallegrò: nel vedere i due figli così vicini a lei venne da immaginarli da ragazzi, con le mani intrecciate tra loro, mentre camminavano fianco a fianco senza mai allontanarsi l’uno dall’altra. Ne era certa: qualunque cosa fosse successa, tutti i suoi figli sarebbero rimasti uniti più che mai.

 

Una volta tornati a casa, Izumi raccomandò Yuzo di tenere d'occhio la sorellina nel soggiorno, mentre lei ripose i giubbotti al loro posto; non appena tornò, si spostò insieme ai suoi figli nella cucina per preparare le ultime cose per la cena, e anche per la piccola festa di compleanno del suo terzogenito che sarebbe succeduta.

La giovane madre aveva posto Hanako nell'ovetto[2], con Yuzo al suo fianco che avrebbe avuto il compito di vegliare sulla piccola quando lei non poteva dare loro retta. Si fidava molto di suo figlio: quella di certo non era la prima volta che lasciava da soli i due bambini, e fino a quel momento non era successo nulla di grave; sembrava che Yuzo non provasse alcuna forma di gelosia nei confronti di Hanako, né volesse giocare con lei allo stesso modo in cui lo faceva con Ken'ichi e Takaji. Nonostante la sua forza e vivacità, Yuzo riusciva sempre a trattare la sorellina in modo delicato e dolce, come lei gli aveva insegnato.

Ogni tanto Izumi lanciava una fugace occhiata ai due bambini, che aveva lasciato nell'angolo della stanza. Yuzo aveva afferrato le gambette della sorella e le stava alzando lentamente - come la loro madre gli aveva insegnato; Hanako era scoppiata a ridere e si stava divertendo di fronte al fratello, che stava giocando con lei in modo così semplice.

«Mamma, mamma! La sorellina ride!»

Izumi sorrise a sua volta e, dopo aver infornato la torta, tornò da loro. Arruffò i capelli di Yuzo, che sorrise timidamente, e gli disse: «Sei davvero bravo! E anche Hanako: ti vuole troppo bene... non è vero, piccolina?»

La donna sfiorò la punta del naso della bambina che, come se avesse voluto rispondere alla domanda di sua madre, socchiuse gli occhi e tornò a ridere dopo un attimo di silenzio. «Pensa che ti chiama anche quando non ci sei... le manchi molto!»

«Davvero, mamma?»

Izumi cinse le spalle di suo figlio con un braccio e lo tirò a sé, guardandolo negli occhi con un sentimento di fierezza. «Proprio così. Sei un bravissimo fratello maggiore... e non hai ancora visto niente! Scommetto che quando inizierà a muovere i primi passi correrà subito da te!»

Di fronte a quella notizia, gli occhi di Yuzo brillarono di gioia: il bambino sorrise e si strinse alla madre. «Sono felice che la sorellina mi vuole così bene, perché gliene voglio tanto anch’io!» disse, nascondendo timidamente il volto dentro le pieghe del grembiule che lei indossava.

Ad un tratto si spalancò la porta di casa: seguito da Ken'ichi e Takaji, Hideki entrò nel soggiorno. Tutti e tre corsero a salutare Izumi e Yuzo: Hideki con un affettuoso bacio sulla guancia e i due fratelli con un grande abbraccio prima alla loro mamma, poi al fratellino e infine con un piccolo bacio sulla guancia della sorellina che li stava guardando con aria sempre più felice.

«Ma come, oggi sei passato a prenderli?» chiese Izumi, non appena riuscì a liberarsi dalla stretta dei due figli maggiori.

Suo marito si portò una mano dietro la nuca, con una risata d’imbarazzo. «Ecco... in realtà volevo farlo, già che c’ero... ma questi piccoli furbetti erano già andati via. Li ho trovati qui, davanti casa, mentre si divertivano a osservare gli uccellini che volavano da un ramo all’altro del nostro albero di magnolia!»

«Uno stava anche cadendo a terra!» aggiunse Takaji, e scoppiò a ridere al ricordo di quel povero uccello che non era riuscito a reggersi in equilibrio su uno dei rami più sottili, ma era riuscito a spiccare il volo prima di toccare il suolo.

«Poveretto, lo avevi visto?» replicò Hideki. «Era piccino, forse qualche figlio che aveva appena imparato a volare...»

«Forse è ancora là, papà!»

Ken'ichi e Takaji corsero verso la finestra della cucina e da lì fecero capolino per dare un’occhiata curiosa all’albero di magnolia che si trovava nel giardino ed era poco distante dalla loro visuale. Izumi sorrise verso i due bambini, dopodiché si rivolse a suo marito che li stava osservando anche lui divertito, mentre Yuzo era tornato al fianco di Hanako per giocare con lei: caso strano, in quel momento sembrava essere più interessato alla sorella che alla storia del povero uccello al quale aveva appena fatto accenno suo fratello Takaji.

«Fatto tutto?» chiese la donna, appoggiando delicatamente l'indice sul petto di Hideki.

«Sì, tutto a posto!» rispose lui, avvicinandosi poi a Yuzo e Hanako. «E gli altri miei due figlioletti come stanno?»

«Bene!» disse Yuzo. Il bambino, che nel frattempo stava rivolgendo alla sorellina delle facce buffe, indicò l'ovetto. «Guarda, papà: anche Hanako sta bene! Sta ridendo!»

«Lo vedo, lo vedo...» aggiunse Hideki, prendendo in braccio la piccola; poi alzò lo sguardo verso Ken'ichi e Takaji e disse: «Bambini, andate a posare gli zainetti e poi a cambiarvi: oggi è un giorno speciale, e la cena di oggi è altrettanto speciale!»

«Va bene!»

Senza farselo ripetere due volte, Ken'ichi e Takaji lasciarono subito la finestra e seguirono ciò che il loro papà aveva appena detto a loro; poi tornarono nella cucina e invitarono Yuzo a giocare con loro, che subito li seguì dopo aver dato alla sorellina un piccolo bacio sulla manina, come gli aveva insegnato suo padre.

«Scommetto tutto il mondo che questa è opera tua,» sussurrò Izumi, lanciando un sorriso divertito verso suo marito.

Hideki scese dalle nuvole. «Opera mia? A cosa ti riferisci?»

«Di certo io non ho ancora insegnato il baciamano a Yuzo. Che bravo papà che sei: stai educando i tuoi figli ad essere dei piccoli lord! Se continua così, da grande Yuzo farà felice qualsiasi donna... proprio come il suo papà!»

Lo sguardo eloquente di Izumi fece arrossire Hideki, che si voltò verso la porta d'ingresso della cucina senza dire una parola. A Izumi sfuggì una tenue risata, e la donna tornò verso il piano cottura per verificare lo stato della torta nel forno. «Va bene, mio Romeo: torno all’opera...»

Intanto Hideki osservò i suoi tre figli dalla porta d'ingresso della cucina, continuando a tenere in braccio Hanako che si era incantata a guardare nella direzione dei tre fratelli, attirata dal suono delle loro voci; subito dopo la piccola appoggiò la testolina sulla spalla del suo papà e iniziò con un lungo «aaah» che terminò con un sommesso piagnucolio, socchiudendo gli occhi.

Hideki la cullò, e con un sorriso si rivolse a sua moglie: «Altro che “piccoli lord”: i nostri figli stanno crescendo in fretta! Sembrava ieri che Ken'ichi era piccolo come Hanako... e ora guardalo! Così come tutti gli altri... mi sa che non mi abituerò mai all’idea di vederli grandicelli!»

Dopo aver sfornato la torta, Izumi si avvicinò di nuovo a suo marito e prese Hanako in braccio. «Anche questa piccoletta crescerà... tra qualche mese inizierà a saltare e a correre, proprio come i suoi fratelli!»

Suo marito annuì e tornò a guardare i suoi figli nel soggiorno con un sorriso. Si sbottonò la giacca che aveva ancora addosso e sussurrò: «Sai che siamo proprio fortunati?»

«Fortunati?»

«Com’è che ha detto Haru... già: “L’amore è più forte di qualsiasi cosa”, e noi siamo fortunati ad avere quattro meravigliosi bambini come loro!»

«Haru? Intendi...»

Ma Hideki non aggiunse altro: corse dai suoi figli ridendo, pronto a divertirsi con loro. «È proprio una splendida giornata!» esclamò entusiasta, lanciando la giacca sul divano del soggiorno e sollevando in aria Takaji che, colto di sorpresa, iniziò a urlare per lo stupore.

Izumi guardò suo marito con sorpresa e, con Hanako in braccio, si recò nella camera matrimoniale per allattare la piccola e farla addormentare; prima di sedersi sul divanetto, spostò leggermente le tende del balcone per dare uno sguardo al cortile che correva intorno alla sua abitazione.

«Haru... eh?» sussurrò felice. Era dall'inizio dell'anno che Hideki non nominava il suo amico nelle conversazioni che la coppia aveva quando era a letto... e lei pensò che, per essere così contento, forse era successo qualcosa di bello anche con il suo amico. Ci sperava, anche per Kazue: lei e Haru meritavano tutta la felicità del mondo, dopo tutto ciò che avevano passato.

 

 

 

La festa di compleanno di Yuzo si era svolta come sempre. Così come era accaduto negli ultimi due anni, anche quella volta lo zio Noboru non era riuscito ad essere presente a causa del suo lavoro, tuttavia aveva telefonato a suo fratello e, grazie alla videochiamata, era riuscito a vedere tutta la famiglia. Nonostante la sua assenza Noboru non si era dimenticato di comprare il regalo al piccolo festeggiato, una mini porta da calcio da montare nel cortile, e così nei giorni precedenti si era incontrato con Hideki a Shizuoka in un momento di pausa per entrambi: quel regalo era stato talmente apprezzato da Yuzo al punto che, come era successo tre anni prima con il pallone, se fosse stato per lui avrebbe montato quella porta già pochi secondi dopo averla vista per giocarci fin da subito.

«Domani, Yuzo: domani papà te la monta quando torna da lavoro...» lo aveva rassicurato Hideki, prima di convincerlo a passare al successivo regalo.

Terminata la festa di compleanno i tre bambini, seguiti dal loro papà, si recarono prima al bagno per lavarsi i denti e, poi, ognuno nelle loro stanze per mettersi il pigiama e dormire.

Nel frattempo Izumi approfittò dell'assenza di tutti per riordinare il soggiorno e la cucina; subito dopo tornò nella camera matrimoniale e anche lei si preparò per la notte. Mentre si stava infilando il pigiama, la porta della stanza si aprì lentamente: da lì fece capolino Yuzo che, non appena vide Hanako nella culletta, si avvicinò alla piccola per darle un’occhiata. Il bambino restò in silenzio per qualche minuto, con la consapevolezza che quello non era l’orario per iniziare a giocare di nuovo con lei; poi, nel notare che la sorellina si era scoperta a metà, prese la copertina e lentamente la spostò all'altezza del petto.

«Fatto!» esclamò contento il piccolo. «Così non hai più freddo!»

Nel vedere la scena Izumi sorrise e subito si avvicinò a loro. «Sei stato bravo,» sussurrò, arruffando i capelli di Yuzo.

Yuzo annuì soddisfatto. «Così la sorellina è molto, molto felice e non piange più!»

In quel momento anche Hideki entrò nella stanza: l'uomo aveva il viso assonnato, e stava sbadigliando in continuazione. «Certo che Ken'ichi e Takaji proprio non vogliono andare a dormire, stasera...» disse, avvicinandosi a sua moglie e portandola vicino all’ingresso. «Izumi, vuoi provare a convincerli tu a uscire dal bagno? Si sono chiusi e...» continuò sottovoce all’orecchio di sua moglie per non farsi sentire da Yuzo che, nel frattempo, era tornato a guardare la sorella. «Hanno riempito la vasca e stanno giocando con le paperelle, e il bagno è mezzo allagato perché Takaji ha avuto la geniale idea di schizzare suo fratello con il soffione della doccia...»

«Cosa stanno facendo?!» domandò con incredulità la donna, ma cercando di non alzare la voce. «Hideki, insomma... ma anche tu...»

Prima che Izumi finì di replicare, suo marito le sorrise e le fece l’occhiolino.

«Ah... capisco,» sussurrò Izumi con un lieve sorriso: solo allora lei aveva capito cosa stesse cercando di dire Hideki con quella piccola bugia. «Hai detto che sono in bagno, vero? D’accordo: vado a dare un’occhiata...» proseguì, congedandosi da lui e uscendo dalla stanza.

Nello stesso tempo Hideki si sedette sul letto e con un tono dolce chiamò Yuzo. «Vieni qui, piccoletto!»

Il bambino si avvicinò al padre e, con un balzo sul letto, si sedette di fianco a lui. «Dimmi, papà!»

«Sai... tra qualche settimana inizierai ad andare a scuola... e volevo darti qualche consiglio. Non ci metterò molto, promesso, ma devi stare molto attento a ciò che ti dirò...»

Anche Yuzo iniziò a sbadigliare per il sonno, ma annuì contento. Suo padre riprese: «Prima di tutto, devi sapere che non cambia nulla rispetto all’asilo. A scuola conoscerai nuovi bambini, e funziona allo stesso modo: dovrai continuare a fare il bravo e ascoltare tutto ciò che ti diranno i maestri... come hai sempre fatto!»

«Sì, papà!»

«Inoltre da quest’anno dovrai iniziare ad andare a scuola da solo. Ogni tanto ci saranno delle eccezioni, come oggi... però dovrai fare come Ken'ichi e Takaji. Per fortuna non sarai da solo: ci saranno loro con te.»

Yuzo si rattristò e abbassò la testa. «Ma io volevo stare anche con la mamma... e la sorellina. Non possiamo fare tutti la stessa strada insieme?»

Hideki scosse la testa, anche lui con tristezza. «No, Yuzo. Devi fare come i tuoi fratelli... e anche Hanako dovrà fare lo stesso quando sarà più grande. Anch’io e la mamma, quando eravamo piccoli come voi, siamo andati a scuola da soli: all’inizio ti sembrerà strano, ma vedrai che sarà anche divertente! Comunque non ti lasciamo andare da solo anche il primo giorno di scuola, e in più non ti perderai mai perché al tuo fianco ci saranno sempre Ken'ichi e Takaji. Stai tranquillo, andrà tutto bene!»

Yuzo alzò la testa e tornò a guardare il padre. Le parole del genitore lo avevano rassicurato un po’ e, in fondo, l’idea che sarebbe andato a scuola con i suoi fratelli non gli dispiaceva. «Va bene, papà!»

«Poi... vediamo un po’...»

Hideki si portò l'indice sotto il mento. «Ah, giusto! Sai che la nostra città ha ben cinque scuole?»

«Cinque?!»

Yuzo spalancò gli occhi per lo stupore: nella sua immaginazione da bambino, il cinque sembrava essere un numero che indicava qualcosa di molto grande.

«Proprio così,» rispose suo padre, «e ognuna di esse ha una squadra di calcio!»

«Wow... tutte tutte?»

«Tutte! Ricordi quando siamo andati al Festival scolastico, per vedere la gara di nuoto di Ken'ichi? Anche lì c’era un grande campetto, dove si stava giocando una partita di calcio!»

Di fronte allo stupore sempre più crescente di Yuzo, Hideki rise con leggerezza. Si alzò e, avvicinandosi al divanetto dove ora si trovava la sua valigetta, la aprì e prese un piccolo dépliant mentre era immerso nei suoi pensieri: constatò che non sarebbe stato difficile dire a suo figlio che sarebbe andato nella stessa scuola di Ken'ichi e Takaji ma, dopo gli avvenimenti degli ultimi mesi, forse non sarebbe stato altrettanto facile rivelargli il vero motivo per il quale lo avrebbe mandato alla Shutetsu senza versare una lacrima di commozione.

Non era solo una questione di ottimi voti e di costruire una buona reputazione che avrebbe garantito a Yuzo un promettente futuro: Hideki lo stava facendo perché quella scuola aveva la squadra più forte della città, e solo lì suo figlio avrebbe coltivato la sua grande passione per questo sport confrontandosi con i suoi coetanei. Forse non sarebbe stato facile: Hideki non era un calciatore professionista e anche lo zio Noboru, nonostante nella loro famiglia fosse quello più ferrato sull’argomento e più adatto a dare qualche dritta a suo figlio, a causa del suo lavoro non era mai riuscito a spendere molto tempo con lui. Immaginava che non sarebbe stato facile per Yuzo perché la scuola era frequentata anche da piccoli campioni che avevano iniziato a seguire le orme dei loro genitori, calciatori già affermati e conosciuti nella zona o, nei casi più eclatanti, a livello nazionale. Nell’incontro che aveva avuto qualche ora prima, Hideki ne aveva approfittato per chiedere maggiori informazioni sulla struttura del rinomato club di calcio: l’uomo aveva capito che la Shutetsu dava a tutti la possibilità di imparare le basi di questo sport, ma al contempo solo la squadra più forte avrebbe partecipato ai campionati regionali e nazionali; solo nella Shutetsu vi erano ben cinque squadre ma, anche se di anno in anno tutte si sarebbero affrontate tra loro nei due gruppi nei quali erano inserite, il Team A sarebbe stata la squadra che avrebbe fatto più esperienza rispetto a tutte le altre, l’unica che si sarebbe scontrata con le squadre delle altre scuole della città e della prefettura, nonché di tutto il Giappone.

Da professore in ambito educativo, Hideki lo sapeva meglio di chiunque altro: per la formazione di un bambino in qualsiasi ambiente non contava solo la teoria, ma soprattutto la pratica e l’esperienza. Lo stesso valeva anche per il calcio: anche nel caso in cui suo figlio non sarebbe entrato nel Team A, la Shutetsu sarebbe stata l’unica scuola in grado di fornirgli quelle ottime basi di cui aveva bisogno per diventare un grande calciatore, se anche da ragazzo avesse deciso di continuare su questa strada.

«Ecco qui,» riprese Hideki, e subito porse il dépliant a Yuzo.

«Che cos’è?» chiese il bambino incuriosito, iniziando a sfogliarlo.

«È la tua nuova scuola: ti piacerà anche solo a vedere quelle belle immagini!»

«Papà?»

«Dimmi tutto, piccolo mio.»

«La nuova scuola... è piena di dolci?»

D-dolci?!

D’un tratto, quello che doveva essere un discorso serio si era trasformato in qualcosa ai limiti del comico: per sbaglio Hideki aveva preso dalla sua cartellina un dépliant dello stesso colore di quello della scuola, che riguardava l'inaugurazione di una succursale di una famosa pasticceria nella prefettura di Shizuoka; gli era stato dato da una ragazza vestita da cameriera all’uscita da lavoro, e lo aveva accuratamente conservato nella cartellina per fare una sorpresa a sua moglie, in un giorno non molto lontano.

Con grande allarme Hideki tolse il dépliant dalle mani del figlio, che lo guardò piuttosto sorpreso. «Ma certo che no!» esclamò con una risata di imbarazzo, e subito tornò accanto alla sua cartellina per nascondere l'oggetto che aveva appena recuperato. «Eheheh, l’hai scoperto! Volevo farvi una sorpresa... ma acqua in bocca, Yuzo! Non dire niente a nessuno: un giorno andremo tutti in quel bellissimo posto, e mangeremo quei gustosi dolci che hai visto. Hai visto che belli?»

«E quando? Quando andiamo?»

«Presto... sarà la sorpresa di compleanno della mamma! Per questo deve restare un segreto tra me e te, d’accordo?»

Il piccolo annuì contento, mentre suo padre estrasse un altro dépliant dalla cartellina: questa volta lo controllò, era quello giusto. Hideki tornò da suo figlio e si sedette accanto a lui, mostrandogli ciò che aveva in mano. «Questa scuola si chiama “Shutetsu”... e ha il più bel campo da calcio della città...»

«È la stessa scuola di Ken'ichi e Takaji?»

«Sì. E, vedi: questo campetto...»

«Evviva! Andremo tutti insieme a scuola!»

«Certo: è proprio per questo che prima ti ho detto che farai la stessa strada dei fratelloni! Ma tornando al campetto, devi sapere che nella Shutetsu ci sono ben–»

Con le sue urla di gioia Yuzo interruppe il discorso del padre; a nulla servirono i richiami del genitore che, più volte, lo invitò al silenzio per non disturbare il sonno della piccola Hanako. All’improvviso il bambino strappò il dépliant dalle mani del padre, e per un attimo restò in silenzio ad ammirare le immagini che c'erano su quel foglio piegato in tre: i suoi occhi iniziarono a brillare quando si soffermarono sulla fotografia che mostrava il prestigioso campo di calcio della scuola, un campo molto grande e ben curato.

Di fronte a quell’immagine, Yuzo sorrise di grande felicità. «Che bello: giocherò a calcio con una vera squadra! Grazie, grazie, papà!» Il piccolo salì sul letto e diede un bacio sulla guancia del padre; dopodiché, in un lampo, uscì dalla camera dei suoi genitori.

Hideki non ci pensò due volte a seguirlo, perché in un primo momento credeva che suo figlio avrebbe scatenato la sua felicità con un bel calcio al suo amato pallone nel cortile, ma si ricredette non appena lo vide entrare nella sua cameretta piuttosto che prendere le scale che lo avrebbero portato al piano terra; quando anche lui fu vicino alla porta, che era rimasta spalancata, rimase in silenzio sulla soglia d’ingresso in attesa di ciò che avrebbe fatto suo figlio.

Yuzo era vicino alla finestra, con i gomiti sul davanzale, e sembrava che il suo entusiasmo si fosse placato; sebbene il piccolo gli stesse dando le spalle, in quel momento Hideki capì cosa avesse intenzione di fare. Lo aveva già visto altre volte vicino a quella finestra da quando era successa quella tragedia, anzi: lo vedeva tutte le sere in quel punto, mentre parlava al suo amico scomparso di qualsiasi cosa gli fosse capitata nella sua giornata.

Hideki aveva avuto ragione, in quel lontano giorno del funerale: Yuzo non avrebbe mai dimenticato Hikaru, nonostante tutto. Il loro legame di amicizia non era stato reciso del tutto ma, anzi, era diventato ancora più forte: agli occhi di chiunque quello poteva sembrare un paradosso, ma ai suoi non lo era affatto. Una vera amicizia, come quella che suo figlio e quello del suo vicino avevano avuto, sarebbe durata per sempre.

«Hai visto, Hikaru?» sussurrò Yuzo, mentre continuava a guardare dalla finestra agitando il dépliant che aveva ancora in mano. «Giocherò ancora a calcio, come promesso... anche a scuola!»

Ancora una volta Hideki si commosse e, sorridendo, si asciugò gli occhi lucidi. Tra tutte le belle notizie che aveva ricevuto e la grande felicità di suo figlio, quel giorno era davvero da ricordare.

 

 

 

Izumi era tornata nel soggiorno per recuperare il cellulare che lì aveva lasciato ma, prima di farlo, aveva dato un rapido sguardo nelle camerette di Ken'ichi e Takaji per vedere se i loro figli stessero già dormendo oppure no. Una volta nel soggiorno la donna si lasciò cadere sul divano: in quel momento di quiete le tornarono alla mente le parole che suo marito aveva detto qualche ora prima, quando entrambi erano nella cucina.

Haru...

Era da tempo che non vedeva il marito di Kazue, a differenza di quest’ultima con la quale si salutavano tutti i giorni. Anche se, dopo la tragedia che aveva colpito quella famiglia, Hideki non le aveva mai detto del perché non fosse più in contatto con il suo amico Haru come prima, Izumi ne aveva subito compreso le ragioni; da parte sua, tuttavia, con Kazue non riuscì ad evitare di farle sentire la sua vicinanza.

A differenza di ciò che era accaduto con i rispettivi mariti, le due vicine continuavano a sentirsi per telefono e a vedersi dalle finestre o dai balconi delle loro case, scambiandosi qualche parola. Nonostante ciò che le era successo, Kazue si era recata a casa di Izumi per complimentarsi con lei per la nascita di Hanako e portarle un regalo: quella donna aveva dimostrato di avere una grande forza d’animo, nascondendo la sua grande sofferenza dietro a lacrime di commozione e un sincero sorriso.

Quella era stata l’unica volta, dopo quella tragedia, che Izumi e Kazue si erano ritrovate faccia a faccia. Da allora erano trascorsi tre mesi... e, all’improvviso, quel giorno Hideki aveva fatto accenno proprio del marito di Kazue, con una grande felicità che non era riuscito a celare.

Chissà cosa è accaduto tra loro... si chiese Izumi, mentre si alzò dal divano con animo sereno. Era davvero felice che tra suo marito e quello di Kazue i rapporti fossero stati ripresi: l’ultima cosa che avrebbe voluto era il vederli separati per sempre, perché sapeva che il legame d’amicizia che avevano intessuto tra loro non era una cosa da poco, proprio come era accaduto ai loro figli.

Nel momento in cui stava pensando a tutto ciò, il cellulare di Izumi squillò: il nome della vicina lampeggiava sullo schermo, e nel vederlo lei decise di risponderle. «Pronto?»

Nel frattempo Izumi si spostò nella cucina per riscaldare la tisana che aveva preparato prima di andare a dormire. Mentre il bollitore con la bevanda era ancora sul fornello, stava per afferrare la sua tazza in bambù quando, all'improvviso, le sfuggì di mano: dalle parole di Kazue capì perché, qualche ora prima, suo marito le aveva detto quella frase sull’amore, della quale fino a quel momento non riusciva a comprendere il significato se non che fosse strettamente collegato al rapporto che entrambi condividevano con i loro vicini.

Ma, proprio in quel momento, lo aveva capito. Ciò che Kazue le aveva appena confidato era un motivo in più per essere felici, e per augurare un futuro migliore per i loro vicini.

 

«Izumi, io e Haru... stiamo aspettando un altro bambino!»

 

 

Note dell'autore:

[1] In Giappone, oltre al classico "itadakimasu" che apre qualsiasi pasto, in conclusione si dice "gochisōsama deshita"; il primo viene tradotto con “Buon appetito” anche se il suo significato è più ampio, il secondo è un ringraziamento diretto alle persone che hanno preparato il cibo e che l'hanno servito.

[2] Come forse molti di voi sanno, l’ovetto è il seggiolino auto studiato per il trasporto in macchina dei neonati. È un po' strano vederlo all'interno di una casa... cioè, della casa dei Morisaki, perché si usa spesso quando le mamme sono fuori casa e non tanto quando sono nella loro casa; mi giustifico dicendo che mi serviva un espediente per fare in modo che Yuzo giocasse con la sorella a una altezza per lui comoda e vederla del tutto (curiosità: esistono passeggini con l'ovetto incorporato - i "passeggini duo", e Izumi sta usando proprio uno di questi con la sua Hanako :3)

 

 


 

[Angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]

... facciamo che prima che metà di voi mi tiri dietro qualche padella per un certo motivo che già sanno - o anche due, considerata anche la faccenda della scuola di Yuzo - passiamo subito alla quinta appendice dei nuovi personaggi comparsi o citati qui, vi va? (Per tutte le spiegazioni con tanto di scuse, ci vediamo dopo ^^")

 

- Akihiko 「明彦」 è il padre di Izumi. Viene da una famiglia di insegnanti, ed egli stesso è molto legato alle tradizioni: infatti spera che almeno uno dei suoi nipoti diventi un insegnante come sua madre, come lui (che insegna alle scuole superiori Shutetsu), i nonni, i bisnonni e così via; inoltre è il rappresentante del corpo insegnanti nelle riunioni della direzione della scuola. Ama le cose più strane e curiose, nonché viaggiare in tutto il mondo. Il suo nome significa "principe luminoso".

- Chiharu 「千春」 è la madre di Izumi. Sempre sorridente e allegra, lavora negli uffici della direzione della Shutetsu; in passato anche lei era un'insegnante, prima di entrare nel corpo amministrativo della scuola. Anche lei adora viaggiare, un po' meno la rigidità e i gusti stravaganti di suo marito. Il suo nome significa "mille primavere".

- Hanako 「花子」 è l'ultima arrivata di casa Morisaki. Qui è ancora un frugoletto ma, come nel caso degli altri fratelli, nel corso della storia si ritaglierà il suo piccolo spazio e la conoscerete di più, per cui mi fermo qui. Il suo nome significa "la bambina dei fiori".

- Yamamoto 「山本」 è un cognome molto diffuso in Giappone. Ho scelto questo per la famiglia dei vicini perché significa letteralmente "la base della montagna" - in assonanza con quello della famiglia Morisaki che invece ha a che fare con la foresta. Tutti i nomi della famiglia Yamamoto richiamano l'idea della luce e dell'armonia, come nel caso di Hikaru che alcuni di voi già conoscono.

- Haru 「陽」 è il marito di Kazue e il padre di Hikaru. Qui non è ben specificato, ma gestisce un ristorante nel centro di Nankatsu per cui, lavorando fino al tardo pomeriggio/sera, tende a rincasare sul tardi. Il suo nome significa "sole/luce del sole".

- Kazue 「一恵」 è la madre di Hikaru. (E basta, perché non ho pensato a un background più approfondito su di lei, chiedo scusa...) Il suo nome significa "prima benedizione/armoniosa".

- Hikaru 「光」, per chi non lo conosce, è l'unico figlio degli Yamamoto. Ha la stessa età di Yuzo e come lui è appassionato di calcio; insieme alla sua famiglia si trasferiscono dal centro di Nankatsu al quartiere periferico dove risiedono i Morisaki, e sul resto lo sapete già. Il suo nome significa "luce", uno dei nomi molto comuni in Giappone.

 

Proprio a proposito di Hikaru, chi sta seguendo queste storie dopo aver letto Everyday life e Brand new dawns... sì, questo Hikaru è sempre quel micro vicino di casa di Yuzo. E, sì: questa storia riprende (anche se solo in una piccola parte perché ci sono delle differenze) ciò che ho accennato in Everyday life per cui scusate per averlo fatto uscire di scena ancora una volta, qui ancor prima che si vedesse da qualche parte. Dispiace prima a me, anche se così sembra che stia godendo nel voler recargli sofferenza per poi far del male a Yuzo, date le sfighe che lo perseguitano...

Ad ogni modo, la storia di Hikaru non è stata messa a caso. Quando ho ripreso a seguire Captain Tsubasa con un occhio più attento rispetto a quando ero solo una bambina (con spezzoni di puntate che non ricordavo più e una mancata lettura dell'opera originale), nell'appassionarmi al personaggio di Yuzo è nato questo mio piccolo headcanon: ho sempre immaginato che Yuzo avesse avuto un compagno di giochi quando era ancora un bambino, che lo ha fatto avvicinare ancora di più al mondo del calcio e che allo stesso tempo diventasse il motivo per il quale non mollare nemmeno quando la situazione sembrava andare contro tutte le sue certezze e i suoi sogni, in virtù di quella promessa di diventare campioni che si erano scambiati vicendevolmente. È da questo punto che, circa nove mesi fa, si è formata l'idea del personaggio di Hikaru, di questo coetaneo di Yuzo che diventerà il suo più grande amico: un bambino solare e scatenato, un po' l'opposto di Yuzo che nella serie vediamo sempre dolce e tranquillo...

... appunto. Vi ricordate che, giusto un capitolo fa, vi avevo descritto uno Yuzo scatenato e molto vivace, forse un po' OOC rispetto al suo standard? Esatto: ciò che è successo a Hikaru ha cambiato un po' il suo carattere, avvicinandolo al personaggio che siamo abituati a vedere in azione. Si tratta di un evento non indifferente, che ha influenzato anche solo in una minima parte il suo modo di vedere il mondo che lo circonda: in generale immaginate per un bambino cosa significhi perdere all'improvviso un compagno di giochi al quale si è molto affezionato; già per noi è tragica, figuriamoci per un piccino di soli cinque anni... che dire, mi dispiace aver spezzato il vostro cuore - e anche quello del piccolo protagonista - anche a questo giro. ;____; (Ad ogni modo, non vi anticipo nulla ma questo argomento tornerà inevitabilmente più in là nella storia, perciò non è finita qui. Sì. ^^")

Chiusa questa parentesi un po' triste, passiamo alle altre precisazioni su argomenti presenti in questo capitolo:

 

- Per la cucina dei Morisaki ho immaginato qualcosa del genere, simile alla soluzione della seconda foto. In realtà non sono riuscita a trovare qualcosa che rispecchiasse il modo in cui l'ho immaginata; per ora potete dare un'occhiata al link giusto per avere un'idea di base...

- Riguardo la colazione, invece, a differenza della storia di Shingo non ho specificato molto altrimenti più o meno rischiavo di ripetermi; tuttavia mi faceva piacere mantenere quel tratto occidentale simboleggiato dal croissant che nonno Akihiko ha inviato ai piccoli di casa. Qualsiasi bambino nel mondo non resisterebbe alla tentazione di mangiare un gustoso dolcetto del genere... :P

- In questa parte abbiamo un approfondimento sul lavoro di Hideki. Ebbene sì: è un docente e ricercatore del dipartimento di Educazione presso l'università di Shizuoka. Ai fini della storia non ho approfondito molto la sua vita all'università, però posso dirvi che in Giappone l'università, così come la scuola, inizia nel mese di aprile e termina a marzo dell'anno successivo, ragion per cui in questa parte Hideki è impegnato con le ultime consegne della tesi dei suoi studenti, organizza gli ultimi dettagli dell’apertura del nuovo anno accademico e allo stesso tempo termina la documentazione per l'iscrizione di Yuzo alle elementari. Un uomo molto impegnato, insomma XD

- E, ricollegandomi al discorso del lavoro di Hideki, avete visto come quest'ultimo sia entusiasta dell'ammissione di Yuzo nella Shutetsu. Come ben sapete la Shutetsu è una scuola privata, e ciò comporta un costo maggiore in tutti gli anni di frequenza rispetto ad una scuola pubblica (così come nel resto del mondo, ma in Giappone ancora di più). Se siete curiosi di conoscere a grandi linee le differenze di prezzo tra una scuola privata e una pubblica, qui trovate una tabella esemplificativa.

Detto questo, proprio perché i prezzi sono così alti - e Hideki deve sostenere le spese per ben tre figli (per ora) alla Shutetsu - da parte sua è normale che inizi a riflettere sul peso che ciò comporta sulla sua famiglia, e sul futuro incerto che attende lui e i suoi cari. In questo discorso è importante sottolineare come in Giappone le scuole private siano le più ambite rispetto a quelle pubbliche perché garantiscono una migliore qualità dell'istruzione e sono un ottimo biglietto di presentazione per il futuro accesso alle università prestigiose (a tal proposito ci sono un sacco di link in giro per il web, per cui in questa sede non allego nulla), per cui è altrettanto normale che Hideki ci tenga a mandare tutti i suoi figli alla Shutetsu; se a questo poi si aggiunge che Yuzo ama il calcio... beh: dato che ormai è canonico il fatto che Yuzo facesse parte della Shutetsu prima di incontrare Tsubasa, allora quale migliore scuola che potrebbe formarlo se non proprio la Shutetsu, dove esiste una squadra di veri e propri prodigi del calcio? (Sappiamo tutti che in seguito le cose cambieranno, ma in questa parte siamo ancora in un momento B.T. - "before Tsubasa", si intende ;D) A dire il vero, in realtà è sottinteso che nel corso degli anni i coniugi Morisaki abbiano messo da parte i risparmi dei loro lavori, proprio per cercare di garantire un ambiente il più possibile proficuo per i loro figli, però il peso economico inizia a farsi sentire... ad ogni modo, per ora la coppia ha ancora tutto sotto controllo per cui non andranno sul lastrico. ;)

- Più volte nel corso di questa storia ho fatto accenno al termine superstrada. In questo caso si tratta dell'equivalente della nostra autostrada, cioè una strada ad alta velocità senza incroci né fermate intermedie; in Giappone si chiamano Kōsoku Jidōsha Kokudō (o comunemente Kōsoku Dōro), che si può tradurre letteralmente come "strada ad alta velocità". Ho immaginato che Shizuoka e Nankatsu possano essere collegate da una superstrada del genere anche se non sono troppo distanti tra loro, un po' come nel Piemonte abbiamo la A55 (conosciuta come "Tangenziale di Torino") o la A90 (Grande Raccordo Anulare) nel Lazio.

- Ispirata da questa scena tratta dalla prima puntata dell'anime del 2018 di CT, ho subito immaginato questa cosa: Izumi che passa da quelle parti, poste ai confini del suo quartiere, e che nel passeggiare a un certo punto si trova di fronte uno spettacolo del genere. Ringrazio la prima foto degli splendidi campi di riso di Senmaida che rendono meglio l'idea. **

- Nel primo Memories della storia di Genzo (che potete consultare a questo link con la traduzione in inglese) viene raccontato che i suoi antenati iniziarono a costruire il loro impero economico nell’epoca Meiji (di cui qui potete trovare alcune informazioni generali su ciò che accade in quel periodo). Chi ha già letto la sezione dei Memories sa già che la storia della famiglia di Genzo si intreccia con le vicende della Shutetsu, dato che viene rivelato che il preside della scuola è nientepopodimeno che suo padre - per cui la citazione non è stata casuale. ;3

- Qui e qui potete trovare un po' di informazioni in giapponese sul come sono strutturati i vari corpi di amministrazioni di una scuola. Per farvela breve: esistono la Direzione, il corpo amministrativo (del quale fa parte Chiharu, per il lavoro d'ufficio) e tecnico (i bidelli), e il corpo insegnanti (del quale fa parte Akihiko).

- Così come in "Everyday life", anche qui ho un po' indagato come funziona un classico funerale in Giappone. A proposito del tempio, non ho specificato se fosse il tempio dei Morisaki o un altro tempio presente nella zona. È vero che la religione shintoista e quella buddista convivono al punto che molte cerimonie sono in comune e si svolgono in qualsiasi tempio, ma nel caso dei funerali in quasi tutti i casi sono svolti con rito buddista. Dato che il tempio dei Morisaki è invece shintoista... in questa sede ho preferito non scendere troppo nei dettagli perché non avevo a disposizioni maggiori informazioni sull'argomento. Indagherò ^^"

 

Detto questo, ci vediamo al prossimo aggiornamento con la sezione dei sei anni dedicata a Shingo: posso garantirvi che non sarà tragica quanto questa parte, per cui potete già tirare un sospiro di sollievo. ;)

A presto!

--- Moriko

 

 

   
 
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