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Autore: Sebassssss    24/11/2020    1 recensioni
Un Harry diverso dal canon, un combattente, che durante la battaglia di Hogwarts sconfigge Voldemort, ma ad un prezzo troppo alto. Una guerra senza vincitori, di cui lui è il solo sopravvissuto. Deciso a mettere fine alle sue sofferenze, si ritroverà catapultato in un mondo in cui sono ancora tutti vivi, compreso Voldemort, che è all'apice del suo potere, mentre Harry Potter è morto la sera di Halloween del 1981. Una nuova speranza di riavere indietro i suoi amici e la sua famiglia, una nuova speranza per il mondo magico di mettere fine alla tirannia del Signore Oscuro.
Genere: Avventura, Azione, Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Silente, Famiglia Weasley, I Malandrini, Il trio protagonista | Coppie: Harry/Ginny, James/Lily, Luna/Neville, Ron/Hermione
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Violenza | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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CAPITOLO IX
 
Ci smaterializziamo nell’acquitrino. È buio e freddo intorno a noi. Guardo il cielo. Non c’è la luna. Sotto i miei piedi gli stivali sono sprofondati qualche centimetro nel pantano ghiacciato. Mi giro, Ron è lì con me. Sempre con me, nonostante tutto. Non riesco a vedergli il viso, ma so che è preoccupato e determinato. Lui si volta verso di me. Non dice niente, io non dico niente. Ma è come se ci fossimo detti tutto. Guardo davanti a me. Vedo la sagoma contorta e deforme della Tana. Lo stomaco si contorce, le budella si rigirano in strette spirali. No, non posso farmi soggiogare dalle emozioni. Ricorro all’occlumanzia, tentando di applicare i consigli di Piton. Non sono portato per l’occlumanzia io, troppo emotivo, troppo sentimentale. Debole. Così avrebbe detto il professore. Ma non posso permettermi di essere debole. Non ora, no. Mi sforzo. Sento le emozioni allontanarsi, disgregarsi, come cumoli di sabbia smossi dal vento. Provo ancora qualcosa: paura. Paura fottuta, ma riesco a controllarla. Lo devo fare. Tiro fuori la bacchetta e avanzo cauto tra il canneto. I passi di Ron seguono i miei. Ci avviciniamo cauti. Le luci della cucina e della sala sono accese. Mi guardo intorno. Non vedo nessuno. Faccio un respiro profondo e avanzo ancora. Siamo sulla soglia del canneto. Un altro passo e saremo nel giardino infestato di gnomi dei Weasley. In casa non sembra esserci nessuno. Ti prego no. Faccio segno a Ron di avanzare da ovest, dal retro della casa. Io passerò da est. Procediamo. Tento con tutte le forze di reprimere le emozioni. È dannatamente difficile, è come tentare di trattenere il fumo a mani nude. Tenterà sempre di sfuggire al tuo controllo. Ma devo essere forte. Mi guardo attorno. La flebile luce proveniente dalla finestra della cucina illumina debolmente la porzione di terreno davanti a me. Noto in quel momento tante piccole protuberanze spuntare dall’erba incolta. Le osservo meglio. Sono crateri, più o meno piccoli, circondati da terra scoperchiata. Sono molti, e sono tutti intorno a me. Le tracce sono inconfutabili. Incantesimi esplosivi. Sono a 20 metri dall’abitazione. Avanzo cauto. Attento a ciascun rumore, movimento o sussurro. 5 metri. La porta di ingresso è proprio davanti a me. Ma c’è qualcosa di strano. C’è una massa scura, proprio lì sui gradini della veranda. È buio. Faccio fatica a distinguerne i bordi ma- Oh merda! Cazzo no, ti prego. Mi avvicino. È un cadavere. È steso prono, sui gradini, con il braccio proteso verso la porta. Noto adesso la striscia di sangue lunga qualche metro che si protende dal cadavere verso la mia direzione. Deve aver strisciato fin lì mentre si dissanguava. Chiunque fosse voleva entrare in casa a tutti i costi. Mi avvicino al cadavere. Oh no… Signor Weasley… Arthur… Mi sforzo di contenere le emozioni, i sentimenti, tutto quanto. Ma è fottutamente difficile. Sento… sento rabbia. Guardo quello che è stato a tutti gli effetti una figura paterna per me, il padre che non ho mai avuto, e che probabilmente non meritavo. Morto. Lì sulla soglia di casa sua. Faccio un respiro profondo, con uno sforzo immane mi costringo a scavalcare il corpo del signor Weasley, ed entro in casa. Sono di fronte alla porta, e con gran rammarico noto che è socchiusa. Deglutisco e con una leggera pressione la apro.
Sento il cuore mancare di un battito mentre osservo il raccapricciante spettacolo dinanzi a me. Percy, Fred, George, Charlie e Molly sono stesi sul pavimento. Spezzati, immobili. Morti. Rimango lì sulla soglia. Non riesco a distogliere lo sguardo dai loro corpi. L’aria è asfissiante e pregna di sangue. Sento un rumore provenire proprio davanti a me. Un singhiozzo. E vedo il mio amico, il mio migliore amico dall’altra parte del soggiorno, cinereo in volto. Gli occhi spalancati. Sembrava stare in piedi per miracolo, come se uno spiffero di vento lo potesse far crollare a terra. Le braccia lungo i fianchi. Mi dispiace Ron. So cosa sta provando, perché io l’ho già provato. Molte. Troppe volte. Anche in questo momento. Perdere la propria famiglia, perdere le persone che si amano più di sé stessi è un supplizio che nessuno dovrebbe mai provare. Il dolore interiore talmente…vero e genuino da sembrare fisico. Come se qualcuno stesse veramente lacerando i tuoi organi interni con un uncino rovente. E non diminuisce, oh no. Anzi aumenta, aumenta così tanto che finisci per implodere. I Weasley erano stati la mia famiglia. Guardo Molly. Gentile, forte, apprensiva Molly. Immagino che abbia lottato fino allo stremo per difendere i suoi piccoli, con le unghie e i denti. Ma alla fine è caduta anche lei. Il suo corpo, vestito con una camicia da notte rosa a fiori, era proteso davanti a quelli dei gemelli, in ultimo disperato tentativo di proteggerli immagino. Mi guardo intorno e noto che la casa è stata messa a soqquadro. I mobili sono distrutti, la carta da parati è macchiata da schizzi di sangue scuro. L’orologio da parete della signora Weasley è caduto per terra, il vetro del quadrante è rotto e le lancette, con le foto di ciascun membro della famiglia era posizionata su Pericolo Mortale. Mi concentro sulla lancetta più piccola e spalanco gli occhi. Ginny mi stava sorridendo fiera e bellissima dalla sua foto. Ginny! Guardo il soggiorno freneticamente. Lei non c’è… Avanzo al centro del soggiorno, schivando i cadaveri. Chiamo Ron. Non mi sente. Lo chiamo un'altra volta con più forza. Lui gira di scatto gli occhi verso di me, come se si rese conto solo ora della mia presenza, come se fosse ritornato alla realtà dopo tanto tempo di assenza. Il suo sguardo era perso, asettico. “Ron dobbiamo cercare Ginny!” Spalanca gli occhi, per poi guardarsi attorno. Anche lui sembra rendersi conto della sua mancanza. “Andiamo a controllare di sopra” gli dico io determinato. Lui annuisce silenziosamente. Saliamo su per i gradini scricchiolanti della Tana con le bacchette spianate. Ho le mani sudate, e dietro di me sento il respiro affannato di preoccupazione di Ron. Arriviamo davanti alla porta della camera di Ginny. Piccola, luminosa e accogliente. I poster delle Holyhead Harpies appeso sulla parete sopra il letto. Una nostra foto sulle rive del Lago Nero sul comodino. Ma lei non c’è. Guardo Ron. Lui incomincia a negare energicamente con la testa ed esce dalla stanza. Lo sento aprire le altre porte e salire su per le scale velocemente. Io invece rimango lì, nella stanza di Ginny. So che dovrei seguirlo, ma… ma non ci riesco. Prendo la foto sul comodino. Quanto eravamo felici. Quanto eravamo innamorati e spensierati. È una foto di una eternità fa. Una vita fa. Difficile credere sia solo passato un anno da quando Colin ce la scattò. I miei pensieri vengono interrotti dal ritorno di Ron. Mi volto verso di lui e non c’è bisogno di chiedergli nulla. Non l’ha trovata. Stiamo per dirigerci rassegnati giù nel salotto, quando sento diversi rumori provenire dal giardino. Poop, Poop, Poop. Spalanchiamo gli occhi allarmati e ci dirigiamo verso la finestra per osservare. Diverse figure incappucciate si stavano avvicinando. Ne conto venti, anzi no trenta. Quaranta. Merda. Merda. Merda. Sono qui, e siamo circondati. E poi vedo qualcosa di strano, c’erano due persone con loro. Erano legate e venivano fatte levitare in aria. Ron si irrigidisce di colpo quando riconosciamo quelle persone. Erano Ginny e Bill”
 
 
“Jake. Jake! Svegliati!” Lo chiamò una voce familiare mentre due forti braccia lo scuotevano. Harry spalancò gli occhi in un istante, afferrò i polsi di chiunque lo stesse assalendo e facendo leva con il ginocchio lo spedì violentemente giù dal letto. Alzò la mano stretta a pugno su di lui, ma prima di scagliare il colpo si bloccò, riconoscendo la chiama rosso fuoco del ragazzo impaurito che lo fissava sotto di lui. Era Ron. Disorientato, Harry notò gli altri ragazzi della stanza guardarlo altrettanto impauriti. Neville più di tutti. Tutti tranne Dean che sembrava più incazzato che impaurito. Realizzò di trovarsi nel suo dormitorio e che quello di prima non era stato che un maledetto incubo. Si mise in piedi lentamente porgendo la mano a Ron per aiutarlo ad alzarsi. Il ragazzo ancora spaventato strinse la mano di Harry. “Scusa Ron, non volevo.”
“N-Non fa niente” gli rispose Ronald ancora scombussolato. “Devi avere avuto un brutto incubo, ti dimenavi e… urlavi. Noi abbiamo provato a svegliarti ma non rispondevi.”
Harry gli sorrise debolmente imbarazzato: “Capisco… mi dispiace di avervi svegliato ragazzi.”
“Tanto fra poco meno di dieci minuti sarebbe suonata la sveglia di Seamus, e sarebbe stato comunque un brusco risveglio.” disse Ron tentando di alleggerire l’animo suscitando timide risate generali.
 
Mentre si stavano preparando per andare a fare colazione, ad Harry non sfuggirono le diverse occhiate che si scambiavano di nascosto i ragazzi. Decise di non farci caso fino a quando Seamus non si avvicinò e con un sorriso malandrino gli chiese: “Senti Jake, noi ci chiedevamo… ecco il perché tu avessi sognato Ginny Weasley.” Harry inarcò le sopracciglia sorpreso. “Come scusa?”
“Ginny Weasley… non facevi che ripetere “Ginny, Ginny” mentre dormivi.”
L’imbarazzo si fece strada dentro Harry. “Che figura di merda, Potter” si disse tra sé.
Volse il suo sguardo verso Ron, che lo guardava con un misto di imbarazzo e gelosia.
“Oh, davvero?” disse Harry fingendo di essere appena caduto dalle nuvole.
“Davvero” gli rispose Dean a braccia conserte. “E questo spiega perché prima sembrasse incazzato.”
Potter fece un respiro profondo, doveva ideare una soluzione per uscire da quella situazione di merda. Di certo non avrebbe rivelato dell’incubo, ma così pareva in un certo senso che lui avesse sognato Ginny per altri motivi. Non trovando scuse credibili congedò il tutto con un “mi dispiace, non ricordo di aver sognato la Weasley” e detto questo prese le sue cose e uscì dal dormitorio.
 
Quella mattina Harry non se la sentì di fare colazione e decise di girovagare per il castello. Incontrò diversi auror posti di guardia, alcuni dei loro visi gli erano noti. Avevano combattuto al suo fianco in diverse battaglie, perdendo la vita uno dopo l’altro.
Erano uomini valorosi e capaci, ed era grato del fatto che fossero stati scelti loro per questo incarico. Stava camminando per i corridoi del terzo piano quando si imbatté nell’Auror posto a guardia di quella sezione di castello: Ninfadora Tonks.
Harry si perse nello studiare i capelli rosa confetto della giovane auror, niente a che vedere con il grigio cenere della Tonks del suo mondo. Era semplicemente… lei, forse un po' più matura chissà.
 
“Qualche problema?” Gli chiese lei notando la strana espressione con la quale il ragazzo la stava osservando. 
 
“Benissimo.” Le rispose Harry sorridendole gentilmente.
Tonks lo analizzò con attenzione. Le ricordava terribilmente il suo collega James, stessi capelli, stessi tratti. Poi si ricordò dello strano ragazzo di cui le parlò una sera a cena Remus, e della sua somiglianza con il suo amico. Come aveva detto che si chiamava? Jake qualcosa.
“Non ti ho mai visto a scuola, qual è il tuo nome ragazzino?” Chiese curiosa.
“Mi chiamo Jake Sullivan, in effetti sono un nuovo studente di Hogwarts da poco più di una settimana.”
“Sullivan…” La ragazza socchiuse gli occhi pensierosi. La voglia di svelare quel mistero spinse Tonks a porgli la domanda che Remus si era trattenuto dal fare.
“Una curiosità Sullivan, sei per caso imparentato in qualche modo con i Potter?”
Harry fu spiazzato da quella domanda improvvisa. Nonostante la sua somiglianza con il padre gli fosse stata ricordata ogni singola volta nel corso della sua vita precedente, questa osservazione da parte di Tonks gli provocò un inspiegabile inquietudine interiore. Finché erano gli alleati ad accorgersi di questa somiglianza poteva andare anche bene, ma quando lo avrebbero scoperto i nemici… avrebbe reso la sua missione decisamente più complicata di quanto già non fosse.
“I Potter? Non credo. Anzi non credo di aver nemmeno mai sentito nominare di questi Potter. Sa non sono di questi parti.” Rispose con aria indifferente.
Tonks si accigliò un secondo, per poi scoccare le labbra. “Non fa niente, era solo una curiosità.” Gli rispose sorridendo. “Ora credo che tu abbia lezione. Jake”
“Ha ragione, con permesso.” Si congedò il ragazzo, allontanandosi da una Tonks ancora pensierosa.
 
***
 
La mattina trascorse abbastanza velocemente con le ore due ore di Trasfigurazione.
Rispetto alla prima lezione, ora Harry tentava di darsi un contegno e non attirare troppo l’attenzione della classe con la sua bravura, ma nonostante questo continuava a risultare il migliore della classe assieme ad Hermione. Quel giorno però i suoi due amici erano strani. Hermione sembrava più interessata a lui rispetto gli altri giorni, e lanciava sguardi indagatori dalla spalla di Harry. Ron invece lo osservava di nascosto, parlottando ogni tanto con la sua ragazza. Harry pensò che fosse tutto dovuto agli ultimi avvenimenti: lui che si presentava in sala comune con le vesti sporche di sangue, lui che svegliava tutti in preda ai suoi incubi, e ultimo ma non ultimo il fatto che avesse pronunciato il nome della sorellina di Ron nel sonno.
Dopo che Harry ebbe fatto evanescere alcuni oggetti di diverse dimensioni e averne evocati altri, la lezione si concluse con l’assegnazione di 10 punti per i grifoni.
 
Durante il pranzo Harry decise di mangiare in disparte. Un po' per il velo di imbarazzo che si era formato tra lui e Ron sia per ragionare sul suo piano.
Erano rimasti la coppa, il diario, l’anello e l’animale domestico di Tom. Volendo procrastinare il più possibile questa situazione di anonimato nei confronti del nemico, la cosa più ragionevole era occuparsi della coppa, essendo gli altri tre nelle immediate vicinanze di insediamenti nemici e da Voldemort stesso. Ovviamente ciò non significava che trovare la coppa e distruggerla fosse una passeggiata, no di certo. In teoria si trovava nella camera blindata dei Lestrange alla Gringott, la banca dei maghi, a Diagon Alley. Uno dei posti più protetti del mondo magico, almeno così recitava la brochure. Nonostante questo Harry non era così preoccupato, perché sapeva come intrufolarsi al suo interno eludendo i controlli. Quello che lo preoccupava era quello che non sapeva, ovvero se esisteva ancora una maledettissima banca. Diagon Alley in questo mondo era stata completamente distrutta da un attacco dei mangiamorte tempo addietro. E Harry non sapeva delle condizioni attuali in cui versava la cittadina. Questa era l’incognita che doveva risolvere.
 
“Un penny per i tuoi pensieri.” Harry si ridestò dalle sue riflessioni per guardare Hermione che prendeva posto vicino a lui.
Harry le sorrise gentilmente facendole posto.
“Ciao Hermione.”
“Ciao. Allora, cosa ti affligge?”
“Nulla tranquilla.”
“Sai Jake, non ti farebbe male confidarti con qualche amico ogni tanto. Tenersi tutto dentro non è mai l’ideale.”
“Mh-mh. Peccato che non ci sia nulla che mi affligge, tranquilla.”
“Oh andiamo. Se non ci fosse veramente nulla, allora perché te ne staresti in disparte ora. Perché stamattina ti sei svegliato in preda agli incubi. Perché diamine torni insanguinato alla sera inventando balle sul platano picchiatore?”
“Hermione cosa vuoi da me?”
“Voglio essere tua amica Jake! E gli amici si supportano a vicenda.”
“Amica? Ma se ci conosciamo da meno di due settimane.”
“Lo so, ma io, Ron, anche Ginny, sentiamo che con te c’è una sorta di… legame. Un’intesa particolare, come se ci conoscessimo da anni.”
Harry a quelle parole fissò Hermione negli occhi, che contraccambio con determinazione.
“Lo so che è strano…” continuò lei.
“No, non lo è infondo.” Rifletté a voce alta Harry.
“Come?”Rrispose lei inarcando le sopracciglia.
“Niente. Come ho detto prima: non c’è nulla. E anche se ci fosse, non potrei dirtelo Hermione mi dispiace.”
 
Lei chino la testa rassegnata.
“Va bene Jake, non ti posso certo costringere a rivelarmi cosa ti passa per la testa, come hai detto tu: ci conosciamo da neanche due settimane. Non sono affari miei, scusa.” Disse affranta.
Harry la fissò. Gli dispiaceva trattare Hermione in quel modo, ma lo faceva per proteggerla, per proteggere tutti loro. Meno sapevano, meglio era. Ma questo non placava il senso di colpa che provava nei suoi confronti. Perciò prese con delicatezza la mano di lei, che a quel gesto ebbe un sussulto.
“Hermione…” disse dolcemente “ti ringrazio di preoccuparti così per me. Credimi, mi riempie di gioia, però ti chiedo di fidarti di me se ti dico che non posso dirti nulla per adesso sui miei casini.”
Lei sollevo lo sguardo e gli sorrise.
“Va bene, Jake. Mi fido, se c’è però qualsiasi cosa che io, o gli altri possiamo fare… non ti basta che chiedere, d’accordo.”
“D’accordo” rispose lui contraccambiando il sorriso. “In realtà, forse potresti aiutarmi” continuò lui pensieroso procurandosi l’attenzione dell’amica. “Cosa mi sai dire della Gringott?”
 
***
 
Erano quasi scoccate le due di notte, Harry era seduto su una delle tante poltroncine imbottite della sala comune intento ad elaborare il piano per impossessarsi della coppa di Tassorosso. Dopo le rivelazioni di Hermione, era riuscito almeno in parte ad ottenere informazioni cruciali. La Gringott esisteva ancora grazie ad un patto stretto tra i folletti e Voldemort, in cui uno prometteva di non profanare i tesori custoditi nella banca e gli altri di finanziare l’esercito di mangiamorte. Diagon Alley era naturalmente in mano alle forze di Voldemort e i pochi abitanti rimasti erano costretti a collaborare con loro per aver salva la vita e non incappare in ritorsioni.
Gli estranei che giungevano in città dovevano farsi riconoscere e provare la loro fedeltà a Voldemort e alla sua causa, e senza nemmeno dirlo provare di non essere sangue-sporco.
“La situazione non è proprio delle più favorevoli, ma mi sono trovato in casini peggiori”
Erano ore che elaborava fantasiose strategie per giungere in città e accedere ai livelli inferiori della banca – dove erano collocate le camere blindate – senza farsi beccare o rivelare della caccia agli Horcrux in corso a Tom.
La lancetta dei minuti compì un giro completo all’interno del quadrante dell’orologio appeso sul camino, quando Harry decise che era giunto il momento di una pausa. Appoggiò gli occhiali sulla pergamena che aveva utilizzato per scarabocchiare schemi e appunti, poi si adagiò allo schienale chiudendo gli occhi e pizzicandosi la radice del naso con le dita.
 
L’ultima volta che aveva ideato una rapina alla Gringott era stato a Grimmauld Place. Ricordava quei giorni bui come se fossero marchiati a fuoco nella sua mente. Ricordava lui, intento a elaborare quel piano assurdo stando fisso su mappe e schemi proprio come adesso. Ricordava Ron, mentre gli faceva compagnia quelle rare volte che non stava nella camera di Hermione, con gli occhi spenti e il viso pallido come la cera. Non interveniva mai, non parlava o mangiava ma se ne stava lì, seduto al fianco di Harry. Non era più stato lo stesso da quando avevano liberato Hermione da villa Malfoy. Bellatrix l’aveva torturata per giorni per ottenere informazioni sulla loro missione, ma Hermione non cedette mai. Caparbia e coraggiosa Hermione. Quando la trovarono, in un angolo freddo e umido all’interno di una cella angusta della loro Hermione non era rimasto molto. Era priva di sensi, con il corpo profondamente deturpato.
Harry ricordò il senso di impotenza e la rabbia a quella visione.
 
Decisero di riportarla indietro, dovevano portarla al sicuro, a casa. Ron la prese in braccio con una delicatezza assurda, come se fosse stata fatta di cristallo finissimo. Riuscirono a scappare dalla villa per un soffio con i mangiamorte alle calcagna. La portarono a Grimmauld Place e si presero cura di lei. Ma lei… lei non si svegliò mai. Lui e Ron le stettero sempre accanto, giorno dopo giorno.
Harry fu il primo a rendersi conto che probabilmente erano arrivati troppo tardi, che non l’avevano mai realmente salvata e che della loro Hermione ormai non esisteva che un involucro vuoto.
Ma Harry sapeva che a suo malgrado doveva continuare con la missione, la sua Hermione avrebbe voluto così. E si mise al lavoro, pianificò quel folle, irrealizzabile piano. Passò giorni a tenersi occupato su quelle carte per non pensare alla sua migliore amica e a quel demone interiore che esigeva vendetta. Ron invece non si arrese mai e sperò fino all’ultimo secondo che Hermione potesse svegliarsi da quel coma profondo in cui era caduta. Anche quando il suo cuore smise di funzionare. Anche quando la seppellirono in giardino e l’ultimo mucchio di terra fu gettato sulla bara.
 
Harry aprì gli occhi, tornando al presente. Si asciugò una lacrima solitaria che era riuscita a sfuggire sulla guancia ringraziando che nessuno potesse vederlo in quel momento, scosse la testa infilandosi gli occhiali e si rimise a lavoro con più convinzione di prima, la sua Hermione avrebbe voluto così.
 
Quando arrivò l’alba Harry stava limando gli ultimi dettagli. Per il suo piano era necessario assumere le sembianze di qualcuno che in questo mondo possedesse una camera blindata alla Gringott, possibilmente in profondità, tra le più protette. Bellatrix Lestrange sarebbe stata perfetta ovviamente, ma avvicinarla avrebbe comportato tempo e fatica inutile, quindi la scartò immediatamente. La sua ricerca era circoscritta ai mangiamorte, così avrebbe evitato controlli eccessivi e non avrebbe sollevato sospetti. Ma chi tra i mangiamorte era così ricco da permettersi una delle camere blindate ai livelli inferiori della banca? Lucius Malfoy era tra i più papabili, e Harry doveva ammettere che far visita al buon vecchio Lucius era un’idea che lo allettava non poco, ma poi ebbe l’illuminazione. C’era un mangiamorte, discendente di un’antica e nobile casata, con una bella camera blindata posta ad un solo livello di distanza da quella dei Lestrange. E soprattutto, che Harry aveva già avuto l’onore di incontrare. Regulus Black. A questo punto, trovato il mangiamorte giusto era necessaria la pozione polisucco. Ora, realizzare la pozione non rappresentava un problema di per sé, il problema erano i tempi di preparazione. Un mese per l’esattezza, e Harry sapeva di non poter perdere tutto quel tempo, perciò prese le sue cose e mentre gli altri studenti scendevano per dirigersi in Sala Grande, lui uscì in direzione dell’ufficio di Lumacorno, situato nei sotterranei. Tra le sue scorte, Harry era sicuro che avrebbe trovato la pozione in questione, pronta all’utilizzo.
 
Giunse nella stanza dove Lumacorno era solito tenere le sue scorte. La porta era ovviamente sigillata con un paio di incantesimi protettivi che Harry disabilitò senza grandi difficoltà. Una volta entrato e chiusosi la porta alle spalle, osservò le diverse scansie con miriadi di ampolle, provette e boccette dalle forme più disparate, come i loro contenuti. Il vecchio Harry si sarebbe messo ad ispezionare ogni singola pozione in quella stanza perdendo tempo prezioso e maledicendo i fondatori d’ogni tanto.
 
Ora invece gli bastò puntare la bacchetta ed appellare la polisucco senza tante cerimonie: se c’era, sarebbe giunta nella sua mano in men che non si dica, se non c’era, non avrebbe sprecato inutilmente tempo nella sua ricerca. Per fortuna dopo aver scagliato l’incantesimo, un’ampolla con un’anonima etichetta bianca prese a scendere da uno degli scaffali superiori e levitò verso il ragazzo. Harry la afferrò e leggendo l’etichetta:
Pozione Polisucco
Realizzata in data 07/09/97
Da: Professor Horace Lumacorno.
VIETATO L’USO AGLI STUDENTI
 
Harry ripose l’ampolla in tasca compiaciuto. “E questa è fatta.” Si disse prima di uscire dalla stanza.
Percorse qualche metro quando un uomo paffuto con i baffi da tricheco e con un abito verde scuro a quadri non sbucò nel corridoio andandogli quasi ad impattare addosso.
“Oh Sullivan, mio caro.” Disse il professor Lumacorno sorridente.
“Professore…” Rispose Harry con un sorriso cordiale.
“Non dovresti essere a fare colazione con gli altri?”
“Oh sì, ma vede…” tentennò Harry in cerca di una scusa credibile.
“Mi sono perso!” esclamò. Dopotutto era plausibile che Jake Sullivan si potesse smarrire in quell’enorme castello dopo solo qualche settimana.
Il professore sembrò credergli senza indugio.
“Certamente, è perfettamente plausibile caro mio.” Disse ridendo sotto i suoi baffi brizzolati, mentre Harry si limitò solo a sorridere.
Poi lo sguardo del professore si fece pensieroso.
“Sig. Sullivan vorrei approfittare di questa occasione per riferirle che mi è solito ogni anno creare una sorta di gruppo di ragazzi speciali, i più talentuosi per così dire. Il Lumaclub mi piace chiamarlo.” Disse ridendo e battendosi orgogliosamente le mani sulla pancia più che abbondante. “Quindi, visto il suo talento nella mia materia, sarei onorato se facesse parte dei nostri.” Concluse attendendo sorridente la risposta del ragazzo.
 
Harry aveva intuito che prima o poi sarebbe successo. Gli sembrava di essere tornato al suo sesto anno, con la differenza che all’epoca era stato merito del libro di Piton se era così bravo in pozioni, mentre ora si affidava alle sue conoscenze acquisite in quegli anni di guerra. Ma Harry era certo di una cosa: quel club era di una noia mortale e aveva già abbastanza casini a cui pensare. Perciò con aria fintamente dispiaciuta, declinò l’offerta del professore lasciandolo interdetto.
“Non nascondo che mi dispiaccia di questa sua decisione, sig. Sullivan. Se mai cambierà idea non si faccia problemi a venire!” disse infine. Poi i due si salutarono e tornarono ognuno sulla propria strada.
 
***
 
Il giorno seguente Jake Sullivan, senza dire niente a nessuno, scomparve. Non si presentò a lezione, né ai pasti in Sala Grande. Non si trovava né in Sala Comune né in nessuna altra parte. Così, come era apparso misteriosamente settimane addietro sulle sponde del lago nero, era misteriosamente scomparso.
 
A miglia di distanza, nel centro di Londra a Grimmauld Place, Harry si materializzò nella zona verde al centro della piazza, in un punto riparato tra gli alberi innevati. Erano all’incirca le sette di mattina, e la temperatura doveva essere di qualche grado sotto lo zero. Come l’ultima volta, si era trasfigurato i connotati del viso per non farsi riconoscere, risultando anche più vecchio di una ventina d’anni.
In giro per le strade, le poche persone che giravano a piedi, sembravano intimorite e spaventate e camminavano a passo spedito guardandosi furtivamente attorno.
“Non deve essere una situazione piacevole neanche per loro.” Pensò Harry.
 
Il civico numero 12 fece la sua comparsa una volta che Harry focalizzò l’indirizzo nella sua mente. Attraversò la strada con passo deciso e salì i tre gradini che separavano il portone d’ingresso dal piano stradale. Aprì la porta con un incantesimo e la spinse con cautela cercando di non fare rumore.
 
Il corridoio interno era di gran lunga più illuminato rispetto alla sua ultima visita, con i raggi del sole che si riflettevano sui numerosi quadri appesi alle pareti e sui vasi di finissimo cristallo posti su scafali in mogano.
Harry vide in fondo al corridoio il ritratto della madre di Sirius che dormiva beata sulla sua poltrona. Nel resto della casa regnava il silenzio.
“Bene, vediamo se c’è qualcuno in casa. Homenum Revelio”
L’incantesimo scansionò l’intera abitazione e rivelò una presenza umana all’ultimo piano dell’abitazione, proprio dove si trovavano le camere di Regulus e Sirius.
“Forse è il mio giorno fortunato.” Pensò il ragazzo.
Conscio del rischio di aver rivelato la sua presenza con l’incantesimo, si rese invisibile e prese a salire su per le scale.
 
Giunse all’ultimo piano senza difficoltà, trovandosi la porta della camera di fronte a sé con le lettere R.A.B. incise sul battente. Harry pose la mano sul pomello, tenendo la bacchetta spianata con l’altra, e aprì.
 
Non ci fu tempo di pensare, ebbe appena il tempo di vedere il lampo rosso venirgli incontro, che si buttò di riflesso di lato. L’incantesimo lo schivò di un soffio e andò ad abbattersi contro parete alle sue spalle. Ringraziando ancora una volta i riflessi da cercatore ereditati da suo padre, si alzò in piedi andandosi a proteggere dietro la parete.
 
“Chi sei? Cosa ci fai in casa mia?” Gli urlò una voce da dentro la stanza.
“Regulus! Non è così che si accolgono gli ospiti, non ti hanno insegnato le buone maniere?” Lo provocò Harry.
“Chi diavolo sei?” tuonò Regulus di risposta.
“Non ha importanza chi sono Regulus, almeno per te.” Disse Harry scagliando un incantesimo sulla parete che gli permetteva di vedere tutto quello che c’era dall’altra parte.
“Non sai contro chi ti sei messo!” Lo minacciò Black.
Harry finalmente lo avvistò. Era inginocchiato dietro al letto, con la bacchetta puntata contro la porta, visibilmente alterato.
“Oh lo so benissimo invece. Regulus Arcturus Black. Mangiamorte. Serpeverde. Purosangue. Sei praticamente uno stereotipo vivente caro mio.” Lo stuzzicò mentre prendeva la mira.
“Ora basta! Rivelati codardo. Esci allo scoperto. Voglio vederti negli occhi prima di ucciderti!” Gli urlò contro l’altro.
Harry rise alla sua minaccia. “Uccidermi? Lo sai quanti dei tuoi amici hanno tentato di uccidermi? È sempre la stessa storia, siete monotoni. Ora ascoltami bene Regulus, mi sono divertito, ma non ho intenzione di perdere altro tempo con te. Butta la bacchetta a terra ed esci dalla stanza con le mani in vista e non ti accadrà nulla di male.” Disse calmo ma glaciale.
“Tu sei pazzo!” Gli rispose il mangiamorte.
“Solo un po'.” Sussurrò Harry prima di scagliare un incantesimo perforante che trapasso con facilità la parete e colpì la mano armata di Regulus spezzandogliela in due. La bacchetta venne scagliata via assieme ad una considerevole quantità di sangue, mentre l’uomo sbraitava dal dolore tenendosi quel che gli rimaneva della mano.
 
A quel punto Harry entrò nella stanza sciogliendo l’incantesimo di disillusione, ma mantenendo i suoi tratti trasfigurati.
Alla sua vista, Regulus si mise freneticamente alla ricerca della propria bacchetta, che tentò di afferrare una volta trovata, ma questa guizzò via dritta nella mano di Harry.
“Questa non credo che ti serva più, Regulus.” Disse con calma rivolto all’uomo che ora stava inginocchiato vicino al letto.
“C-C-Che cosa vuoi da ME?” Urlò disperato l’altro.
Harry gli sorrise, accomodandosi ai piedi del letto.
“Voglio principalmente due cose. Un tuo capello e informazioni.”
Regulus lo guardò confuso, non capendo cosa intendesse.
“Che cosa?” Chiese affannato. Il dolore alla mano doveva essere insopportabile.
“Un tuo capello e informazioni.” Ripeté con una tranquillità disarmante.
“Io non capisco…”
Harry sospirò volgendo gli occhi al cielo. “Eh va bene, facciamo così.” Disse prima di alzarsi dal letto e andare, con un movimento secco, a strappare una ciocca dalla lunga chioma del sig. Black che si lasciò sfuggire un altro grido di dolore.
“E sta buono, sono solo capelli.” Lo schernì Harry per poi tornare a sedersi mentre inseriva la ciocca in un piccolo contenitore di vetro che aveva estratto dalla tasca.
“Perfetto. Ora passiamo alle informazioni…” disse posando di nuovo lo sguardo sul fratello di Sirius.
“Che informazioni?” Chiese l’altro preoccupato.
“Prima di tutto, il numero della tua camera blindata.” Chiese sorridendo.
Regulus sgranò gli occhi. “Ah è di questo che si tratta? Vuoi derubarmi, non è così?” soffiò astioso.
Harry scoppiò a ridere. “Oh cielo no! Non mi interessa dei tuoi soldi tranquillo.”
“Se non ti interessano i soldi allora perché…”
“Dammi quel numero, Black.” Disse imperativo Harry tornando improvvisamente serio.
“No, mai!” Rispose convinto il mangiamorte.
Improvvisamente un dolore atroce, quasi mortale pervase il corpo di Regulus, come se qualcuno stesse conficcando centinaia, anzi no, migliaia di coltelli roventi nella sua carne. Un dolore che la mente umana non riuscirebbe minimamente a concepire e che nessun uomo dovrebbe mai subire. Il tutto durò alcuni secondi, anche se gli parvero decenni.
Black non era nuovo a quel dolore, lo conosceva bene, come l’incantesimo che lo provocava, uno dei più usati dal Signore Oscuro per punire chi lo deludeva o disubbidiva.
Aprì gli occhi, con il corpo percosso da tremiti, e la gola in fiamme, come se avesse urlato a squarciagola.
 
Harry lo guardò inespressivo, tranquillo, come se non niente fosse successo.
“Come ho detto prima, non ho molto tempo da perdere con te. Rispondi alle mie domande velocemente e soprattutto sinceramente, o sarò costretto a infliggerti dolore.
Quindi te lo ripeto, dammi il numero della tua camera blindata?”
 
Regulus lo fissava con un misto di odio e timore, mentre una voce dentro di sé gli diceva di rispondere senza fare troppe storie.
“Sette-uno-uno.” Disse a denti stretti guardando il pavimento.
“Bene. Visto? Non ci voleva molto. Quanti mangiamorte ha posto Voldemort a guardia della Gringott?”
 
A sentire quel nome, Regulus scattò in piedi scioccato.
“Tu come OSI PRONUNCIARE IL SUO NOME?” Gli urlò addosso.
Harry rimase seduto, per nulla allarmato o intimorito dalla sua reazione. Si limitò solamente a puntargli addosso la bacchetta. “Torna giù, Regulus.”
 
Il mangiamorte lo fissò ancora sconvolto e ansimante, con gli occhi spiritati.
Non gli era mai successo di sentire pronunciare il nome del Signore Oscuro con così tanta disinvoltura e poco rispetto.
Tentennò un paio di secondi, ma decise di tornare in ginocchio.
“Ora rispondi.” Insistette Harry freddamente.
Regulus fece un profondo respiro. “Tre mangiamorte a protezione delle scalinate d’accesso, con i Ghermidori che pattugliano le strade.” Rivelò riluttante.
“E all’interno?”
“All’interno la sicurezza è affidata completamente ai folletti e alle guardie da loro assoldate.”
“Parlami di queste guardie.”
“Ce ne sono due poste ai lati del portale di ingresso. E quattro o cinque che sorvegliano il salone principale.”
“I sotterranei?”
“Non ce ne sono, non ce n’è bisogno.”
“Quali sono le misure di sicurezza adottate dai folletti per i sotterranei?”
“Non lo so, i soliti. Incantesimi di anti-smaterializzazione, anti-passaporta. La cascata del ladro che è una cascata dov-“
“Lo so cos’è. Continua.”
“Ci sono draghi, sfingi e anche dissennatori ai livelli più inferiori.”
“Nient’altro?”
Regulus sembrò pensarci su ma scosse la testa. “No, mi sembra tutto.”
Harry lo fissò per capire se gli stesse mentendo, era diventato bravo a capire quando una persona gli mentiva, dopo che per la sua intera adolescenza non avevano fatto altro che usarlo e mentirgli. Regulus diceva la verità.
 
I suoi pensieri furono interrotti da un “crack” provenire fuori dalla porta.
 
Si voltò allarmato, e vide Kreacher, l’elfo domestico, appena comparso sul pianerottolo fuori la stanza.
“Kreacher! Aiutami, fa qualcosa!” Gli ordinò disperato Regulus alle sue spalle.
Vide l’elfo dubbioso poco prima di schioccare le dita. “Oh merda!” Furono le ultime parole di Harry prima di venire catapultato al di là della stanza, contro il camino in marmo, sbattendo la testa e crollando sul pavimento.
   
 
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