Tu
Chiamalo Amore
In amore ci
vuole
energia: non è abbastanza forte, se non ti fa bollire il
sangue.
«Dai,
Federico, sei
sempre così riservato! Avanti, di’
qualcosa!»
Sotto la sciarpa che lo
copre fin quasi agli occhi, il respiro che non accenna a calmarsi, il
volto di
Matteo è ancora caldo per la furia che ha provato due ore
prima, durante
l’ennesima discussione con i genitori e tra i sospiri
consueti, i mezzi sorrisi
e l’adulta comprensione — ha
diciott’anni ma è comunque un
ragazzino,
gli passerà in fretta —, la tendenza a
liquidare in poco qualcosa che sta
diventando complesso, confuso.
Fatta eccezione per il
gruppo di universitari che sosta al centro della piazza, a pochi metri
dalla
panchina dove siede lui, il luogo è immerso in un silenzio
irreale: è simile a
un animale immobile, in attesa.
«No, questo non può
essere vero!»
L’ennesima risata scuote
il ragazzino, quindi lo spinge a osservare il quintetto di amici che ha
l’abitudine di accamparsi lì: tanto sereni quanto
lui pensieroso, così legati
l’uno all’altro negli sguardi e nei gesti da
tentare gli artigli dell’invidia.
Specialmente lui, il giovane
pallido e dai lunghi capelli mori che attrae spesso la sua attenzione,
a volte anche
senza un apparente motivo; Federico, il bersaglio preferito dei
compagni, con l’aria
pacifica e le dita che sembrano perennemente intente a suonare un
invisibile
strumento.
Con un unico gesto potrebbe
tentare le sirene stesse, o…
Al
solito: se penso a lui,
le parole cadono.
Il mondo
non può scorgere
l’ombra rassegnata che gli accarezza il volto, è
un suo segreto; e sta per
scattare in piedi, allontanarsi da lì da chi è
per lui inavvicinabile, quando
Federico si gira nella sua direzione e lo guarda dritto in viso,
coprendo la
distanza che li separa… sorridendo.
Il ragazzino
arrossisce
di colpo; Federico questo non lo può vedere, ma lo sa.
Il tramonto si allunga
sui tetti e si snoda per le strade, inonda la piazza e illumina lo
scricciolo
dai timidi occhi chiari, ora abbassati al suolo, in
un’immagine sospesa tra
realtà e onirico; e il moro distoglie lo sguardo a fatica da
quella visione
simile a un dipinto, perché i compagni non sappiano.
Tuttavia, con la coda dell’occhio
registra l’andarsene di Matteo e il balenare del sole sulla
chioma ramata,
un’onda che arriva fino al suo corpo e lo riscalda, pura
musica.
«Io vado, ragazzi miei:
tra un mese c’è Letteratura Romanza da sostenere,
e sappiamo tutti che è un
mattone.»
Le battute si sprecano,
lui ride a ognuna di esse; ma la sera è ormai giunta, si
deve preparare. La
notte passa anche troppo veloce per i suoi gusti, e almeno qualche ora
la dovrà
pur dedicare allo studio…
♦
In amore ci
vuole coraggio:
l’Occasione corre veloce, ride di chi è immobile.
«Ti
chiami Matteo, vero?
Ho saputo che sei uno dei ragazzi migliori del tuo liceo: i tuoi
genitori sono
molto orgogliosi di te.»
Il ragazzino esita un
istante, quindi tenta un timido sorriso. Nel crepuscolo che si
è preso la
piazza, i begli occhi viola di Federico sono ricolmi di sfumature
notturne, e davanti
a quelli Matteo si sente distante da tutto e tutti; non è
una brutta
sensazione, ma quanto è lecita? «I miei non
riescono proprio a tacere…»,
sussurra poi, facendo sorridere il moro. «Essere studiosi non
è qualcosa di cui
vergognarsi», risponde questi, «e poi, parlando con
loro, ho scoperto che ti
piace l’epica medievale.»
Il viso del giovane avvampa
di una luce d’eccitazione, che confluisce nello sguardo e lo
fa brillare. «Sì,
assolutamente! Soprattutto il ciclo bretone e la figura di
Parsifal… ma i libri
in merito non sono facili da reperire, e conosco poco il francese,
e—»
Federico fa una breve
risata divertita, quindi lo ferma. «Visto che sei
così appassionato, posso passarti
i miei appunti di Letteratura Romanza e i libri del corso. Inoltre,
alcune
lezioni vengono tenute al pomeriggio e sono aperte a tutti…
se vuoi venire ad
ascoltare qualcosa, ti do gli orari.»
Il rosso respira forte,
il sorriso ampio e il cuore che batte impazzito, e annuisce.
«Sì, mi piacerebbe!
So che l’università non è molto
distante da dove abito…»
«Ti ci posso accompagnare
in questi giorni. Tanto non è difficile incontrarsi, mi
pare!»
Il ragazzino socchiude
gli occhi, arrossisce appena. Dentro di sé piange e non sa
il perché, ma si
sente bene — veramente bene; è
come prendere una boccata d’aria nuova,
pura. «Ti ringrazio, sei molto gentile…»
«Figurati! Ho davanti a
me un potenziale filologo, è giusto dargli i mezzi
perché lo diventi.»
Una brezza leggera si
leva a incontrare entrambi; e Matteo darebbe qualsiasi cosa per
rimanere fermo
in quell’istante per l’eternità, con lui.
«Sì… hai ragione.»
Neanche nella migliore
delle sue immaginazioni è mai giunto fino a lì.
«Come
fai a sapere tutte
queste cose, quando ieri eri solo al capitolo tre? A volte la tua testa
mi fa
paura!»
Federico accenna una
smorfia che vorrebbe essere un sorriso, quindi beve un altro sorso
d’alcol e schiocca
la lingua. «Non ho perso tempo, semplice.»
Ha passato più di due ore
insieme a Matteo, ad ascoltarlo parlare di trovatori, cavalieri e
tenzoni,
fonti da cui leggere le loro gesta; ha imparato una buona parte del
programma
d’esame grazie all’infervorato ragazzino e ha
iniziato a conoscerlo, finalmente.
Tenero, dolce Matteo…
ingenuo e pieno d’entusiasmo, bellissimo. Se durante la notte
troverà un po’ di
tempo, sicuramente riprenderà in mano il violino, pensando a
lui.
«Comunque, Fede, stamattina
ti ho sentito rientrare all’alba… dove sei
stato?»
«Ma tu non ti fai mai gli
affari tuoi?»
Tutto sfocia in una
grande risata; ogni volta, Federico diventa più bravo a
fingere e nascondere, e
solamente la silente luna lo sa.
♦
In amore ci
vuole cura, mettersi
al primo posto a vicenda.
«Che
cosa ci facevi nella
tempesta? Stavi cercando qualcosa?»
Il mare è lontano, ma
sembra quasi che abbia abbandonato il suo posto e attraversato il cielo
per
rovesciarsi sui tetti della città; le strade odorano di
salmastro e passi
rapidi, eppure Federico è fradicio come se avesse passato
ore sotto l’acquazzone,
inzuppato fino al midollo.
«Vieni dentro», sussurra
il ragazzino con premura, prendendo per mano l’altro e
facendolo entrare in
casa propria. È una fortuna che lo abbia notato mentre
chiudeva le persiane, almeno
gli ha potuto dare un riparo.
Federico non replica, infreddolito,
e s’illumina quando Matteo lo porta in salotto, dove il
camino abbraccia già
alte fiamme.
Il rosso si gira a
guardarlo con i suoi occhioni azzurri, quindi gli leva la giacca.
«Rimani qui
intanto che vado a cercarti qualcosa da farti indossare. Sei
più alto di me e
ti andrà tutto piccolo, però sarai al
caldo.»
«Ti ringrazio, ma non
c’era bisogno di farmi entrare…»
«Sì, così domattina ti
trovavano annegato. Torno subito, tu rilassati.»
Per quanto salga le scale
velocemente, Matteo sente le proprie gambe pesanti; il cuore gli
risuona nelle
orecchie, lo costringe un attimo a fermarsi sulla porta della propria
camera e
respirare forte.
In quel momento, dal
salotto si leva un canto lieve, caldo: tra le altre cose, Federico sa
cantare
bene e accompagnarsi al ritmo della pioggia, smuovendo
l’anima.
Forse
è il fortunale a
farmi provare tutto questo, pensa il rosso
mentre appoggia la fronte
contro l’uscio, per poi sorridere: tra le mani ha ancora la
giacca del moro e
nel notarlo la stringe a sé, se la porta al volto, o
forse sarebbe accaduto
comunque.
Federico guarda
il fuoco e
la sua bocca si atteggia in un ghigno, perché sa.
Non era certo che quegli
aguzzini dei genitori di Matteo fossero fuori casa, ma spesso li ha
visti
rientrare tardi, quasi alle soglie della notte; non deve dubitare di
sé.
Nessuno
ad ascoltare, né
che può vedere. Ma è troppo presto, non
è il momento.
«Ecco
qua.»
Federico annuisce con un
cenno impercettibile, poi si volta verso il ragazzino con
un’espressione calda
e rassicurante, solo per lui.
Matteo ride nel vederlo, lo
sguardo ancora più dolce del solito.
«Non mi fissare come se
fossi un cagnolino abbandonato, ti si legge in faccia che lo stai
pensando»,
mormora il moro mentre finge un’aria truce e gli si avvicina.
«Ma lo sembri», replica
gioiosamente l’altro, porgendogli gli abiti che ha scelto.
Il ragazzo fa uno scatto in
avanti, come se volesse mordere, strappando un grido di sorpresa al
rosso; a
questo punto, le risate diventano incontenibili e investono entrambi,
piegandoli in due.
Decisamente, passare il
tempo in quella casa è molto meglio che osservarla da
fuori.
♦
In amore ci
vuole
delicatezza, per colmare i vuoti dolcemente.
Il seminario
sulla Chanson
de Roland è durato un’ora più
del previsto, ma Matteo non si è lamentato
neppure una volta; e anche se si ritrova privo di energie, avendole
tutte spese
per imprimere le parole del professore su pagine e pagine, è
felice.
Vedendolo esausto,
Federico ha deciso di fare una sosta al proprio appartamento e farlo
riposare;
e da un tè caldo si è presto passati a una
soffice coperta, e ora il sonno
preme sugli occhi del rosso, sussurrando con voce soave.
Il moro lo fa stendere
meglio sul divano e gli sistema i cuscini dietro la testa, lentamente
gli passa
una mano tra i capelli e lo accompagna nell’incoscienza; e
Matteo obbedisce a
quel tocco, lo accoglie come accetta tutto ciò che viene dal
ragazzo che ama.
Si sente libero e
protetto: tanto basta a renderlo completo.
Federico si
siede sul
pavimento, accanto al divano dove Matteo sta dormendo da minuti, e
mentre ne
ascolta il respiro regolare serra le mani a pugno. Le unghie affondano
nel
palmo e il dolore permette alla mente di calmarsi, evita che la voce
esploda in
una risata stridula; ne avrebbe il diritto, comunque.
Il ragazzo esita un istante,
quindi apre una mano e l’alza per accarezzare una guancia del
rosso, poi la
stacca e gliela posa sul cuore. Al battito risponde il calore dei
polpastrelli,
i quali scivolano fino alle dita intrecciate dello scricciolo e le
sfiorano.
Senza interrompere il
sonno, Matteo le separa e di nuovo le riallaccia, questa volta
trattenendo quelle
di Federico; e una lacrima si libera dal controllo della coscienza.
«Non voglio
tornare a casa… non a casa.»
Allora, il moro comprende
di essere entrato nella sua anima come il rosso gli ha riempito la
propria: il
tempo è giunto.
Fuori da lì, il cielo inizia
a versare un pianto candido: sarà una splendida nevicata.
♦
In amore ci
vuole follia,
per compiere ogni cosa.
La neve ha
ripreso a
cadere, imbiancando la realtà per il terzo giorno
consecutivo; il mondo si
agita sotto di essa, oppure vi si nasconde pacificamente.
Matteo fa qualche passo
sul vialetto che collega la casa alle sue spalle al sentiero di
campagna
innanzi a sé; quindi si lascia cadere, abbandonandosi a un
gelido abbraccio.
A mano a mano che i
giorni passano e diventano settimane, i servizi al telegiornale si
fanno più brevi
e il cellulare squilla sempre meno; i messaggi scompaiono come stelle
nell’alba,
rassegnati all’assenza.
Tutto rimane sotto la
superficie, coperto, segreto — e non può negarlo,
gli piace.
Ha ottenuto quello che ha
chiesto, in fondo.
«Ricordati di spogliarti
prima di entrare, ho appena finito di pulire.»
Il rosso alza il capo e
guarda Federico fermarsi vicino a lui, l’espressione che si
divide tra severità
e affettuosa comprensione, quindi annuisce e tende le braccia.
Il moro accoglie la
silenziosa richiesta e lo solleva per stringerlo a sé,
l’altro si rannicchia
contro di lui: come durante i tanti pomeriggi passati ad ammirarlo e
sognarlo da
lontano, credendolo irraggiungibile — e,
direbbero in molti, sarebbe
stato meglio così —, chiude gli occhi e
respira piano. L’inquietudine dei
primi tempi si sta sciogliendo nel calore di giorni e notti passati
fianco a
fianco, nel prendersi cura a vicenda in mezzo al buio e alla colpa
che rinasce
a ogni bacio; e non ha più lacci a tenerlo avvinto, se non
quelli che condivide
con il ragazzo.
«Puoi stare fuori quanto
vuoi, non c’è nessuno che ti possa vedere. Sei al
sicuro.»
Con
me sarai protetto:
lontano da due irresponsabili che non ti hanno mai ascoltato
né compreso per
quello che sei, che ti opprimevano per donarti solo silenzio.
Qui,
in questa casa che
ho preparato per noi, dove ho speso infinite notti a pulire,
ridipingere,
sistemare, basteremo l’uno all’altro.
Per
troppo tempo ti ho
vegliato da lontano e ora è giunto il tempo di esserci
sempre, perché nessuno
ti starà accanto, rispetterà e amerà
come lo faccio io.
Presto, vedrai, la voce
della gente che chiami amica si arrenderà e ci
lascerà vivere in pace, e saremo
felici.
«Va
bene… rimani qui, insieme
a me?»
Federico sorride mentre
socchiude gli occhi d’ametista, quindi gli bacia tutto il
viso e alla fine si
avventa sulle sue labbra come per strappargli l’anima; non
appena il rosso
ricambia, un’altra parte di sé smette di temere
che se ne andrà, che mai capirà.
Nonostante gli ultimi
residui della paura, Matteo sta iniziando a comprendere quanto sia
stato salvato
e perché lui abbia deciso di prendersi tutto quello che lo
forma, dalla
dolcezza fino all’insicurezza e l’innocenza, e
tenerlo per sé; presto
realizzerà appieno quanto lo abbia desiderato e chiamato,
come si senta
accettato solamente in sua presenza e libero da una realtà
estraniante,
soffocante.
Un rumore improvviso,
rombante e fastidioso, spezza tali pensieri, immobilizzando entrambi e
spingendoli a volgere lo sguardo allo stretto sentiero: una macchina si
dirige
verso la casa, sicura come se stesse dando loro la caccia.
Se non si nasconderanno
in fretta verranno notati, e…
«Matteo, corri», fa per
dire Federico; tuttavia, il ragazzino gli dà uno strattone e
si libera dal suo
abbraccio, per poi gettarglisi addosso e rotolare con lui nella bianca
coltre:
in breve, divengono irriconoscibili.
Non un grido lascia la
gola di Matteo.
L’auto s’arresta all’imboccatura
del vialetto e inizia la retromarcia; sosta per un attimo e sembra
osservare i ragazzi
battagliare a colpi di palle di neve, quindi si gira completamente e se
ne va, dimentica
di loro. Quando è abbastanza lontana, Federico si ferma, poi
rivolge
l’attenzione a Matteo, che ha ancorato al suolo con tutto il
peso. «Perché?», sibila,
gli occhi ridotti a una fessura e che esigono, implorano
una risposta,
«perché? Avresti potuto fuggire, chiedere aiuto.
Non lo hai fatto…»
Il rosso tace e, mentre
guarda una parte della maschera di Federico andare in frantumi e
rivelarne il
volto reale, intravede sé stesso e di nuovo comprende,
accetta.
Ho
scelto ogni cosa fin
dall’inizio: mi hai rapito, ma io te l’ho permesso.
Essere
umani è difficile…
pensiamo in un modo, ma agiamo secondo diversa natura e, alla fine, ne
siamo
contenti: ci ritroviamo in quelle ombre che prima abbiamo evitato.
La paura ha avuto motivo
di esistere fino a quando non mi sono conosciuto, ma ora?
Sei l’unico posto dove io
possa stare.
«Tu chiamalo amore», sussurra
allora, «come faccio io.»
ANGOLO
DI MANTO
Non
so bene cosa dire di questa storia, ma ci provo.
Inizialmente,
questa doveva essere una sorta di “palestra” per
una relazione che dovrò descrivere
in una long; poi, le cose sono cambiate e i personaggi hanno deciso da
sé dove
andare e cosa fare.
Ovviamente,
faccio a meno di dire che definire amore questo rapporto (e quindi
tutte le
introduzioni alle varie parti) è disturbante: non
può essere considerato sano,
visto che si fanno rimandi a stalking, controllo, abuso, rapimento, e
diventa
ancora peggiore quando la “vittima” dice di essere
felice di tutto questo, che
se lo è scelto, e di rivelarsi carnefice di sé
stesso — tanto che,
quando si prospetta una via di
salvezza, la rifiuta e protegge il proprio rapitore: ne è
davvero convinta, o è
stata manipolata ancora? Si accenna alla presenza di genitori
soffocanti e
disattenti nei confronti del figlio, di solitudine… ma tutto
ciò è abbastanza
per arrivare a un simile punto e accettarlo?
Probabilmente,
la storia non è ancora iniziata: questo è solo un
trampolino di lancio per
qualcosa di più, con l’esito che ognuno preferisce.
I
nomi dei due personaggi hanno significato se messi in relazione
all’altro:
Matteo, infatti, significa “Dono di Dio”, mentre
Federico “Potente
nell’assicurare la pace”, così che come
il primo è considerato un dono dal
secondo, Federico regala la quiete a Matteo.
Vi
lascio con un abbraccio virtuale,
Manto