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Autore: l y r a _    10/12/2020    1 recensioni
Il secondo anno di liceo di Tooru Oikawa è un gran macello. Lo dice Hajime Iwaizumi, il suo migliore amico da una vita, e precisa che lo sarebbe stato un po’ meno se non avessero incontrato Sakurai e subìto tutte le sue complicazioni patologiche.
Il primo anno di liceo di Megumi Sakurai è un fallimento annunciato e lei è arrogante, ambiziosa e ha scrupoli quanti gli spiccioli nel suo portafogli: nessuno. Lo dice tutta Sendai ed è tutta la verità.
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[Oikawa/OC | UshiShira | Accenni OC/Ushijima | Perpetrato reato di canon/OC ]
Genere: Generale, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri, Kenjiro Shirabu, Nuovo personaggio, Tooru Oikawa, Wakatoshi Ushijima
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 14

Tooru

Al principiare del mese di novembre, il professor Tanji Washijou, dall’alto della sua pluriennale esperienza di babysitter per pallavolisti in erba, in fin troppi casi anche col moccio al naso, si trovava costretto a ricredersi sul giudizio che aveva espresso su Naomi Kato: la sua ex-allieva, senza troppi giri di parole, aveva stoffa da vendere. In appena un paio di mesi, quell’arrogante concentrato di energia aveva rimesso in sesto una squadretta fatiscente, rendendola quasi presentabile. Quasi, perché non era concepibile che le studentesse strillassero per ogni azione conclusasi in bene o in male: se qualcuna falliva il servizio e la palla rotolava tristemente al di sotto della rete, seguiva uno scoppio di ilarità ingestibile; se un attacco finiva entro le righe del campo, il crepitare degli applausi diventava insopportabile. Era evidente, a quel punto, che quelle ragazze – o almeno alcune di loro – non avessero mai fatto sul serio prima di allora.
L’improvviso guasto alla palestra B aveva obbligato i club di pallavolo femminile e maschile alla convivenza forzata per due pomeriggi a settimana finché non fosse terminato il lungo procedimento di riparazione dell’impianto elettrico che richiedeva – Washijou lo precisava sempre sogghignando – giusto un paio di telefonate noiose ed un mucchio di moduli che nessuno voleva firmare. Da allora, dunque, gli allenamenti del martedì e del venerdì si erano trasformati nell’esperienza più disastrosa ed estenuante che avesse vissuto da quando Kato si era diplomata. Non solo il chiasso era intollerabile, ma i suoi ragazzi erano continuamente distratti dalla paradisiaca visione di una quindicina di ragazze in calzoncini attillati e il livello di ormoni era tale che l’allenatore si chiedeva sempre se fosse il caso di asciugare loro la bava dalla bocca. La maggior fonte di problemi era che, ogni volta in cui uno di loro cercava di approcciarsi a una frequentatrice di quel gineceo roseo e seducente, Kato andava a lamentarsi da lui che le sue ragazze fossero svilite dalle continue avances dei suoi studenti e oppresse dal patriarcato in quanto oggettificate e tutte quelle cose seccanti che le donne amavano dichiarare quando faceva loro comodo. Come se non fosse stato poi vero il contrario, ossia che le sue adorate protette sbattessero le ciglia in direzione del club maschile nella speranza di adescare un fidanzato. Era semplice per loro correre a chiedere un cerottino, far rotolare la palla troppo vicino a Wakatoshi e fargli gli occhi dolci per scusarsi e magari complimentarsi per qualcosa a cui avevano assistito. Ciò che più lo dilettava era che quel povero ragazzo non ricambiava minimamente il loro interesse e che di tanto in tanto lo sorprendesse a fissare impunemente una delle poche ragazze della compagnia che si facevano i fatti propri. Sakurai – così si chiamava la ragazza in questione – era una di quelle che più di frequente venivano importunate; aveva appreso origliando conversazioni sommesse che su di lei circolassero voci insistenti che la volevano protagonista dello scandalo di Hattori e per questo motivo qualcuno aveva dedotto che fosse di costumi piuttosto facili. A conti fatti, doveva essere quello il motivo per cui ogni giorno Kato si lagnava con lui che la signorina non venisse mai lasciata in pace.
Il primo giorno era stato confuso, Wakatoshi non le aveva mai rivolto la parola, eppure Washijou era certo che in qualche modo la proteggesse: prendeva da parte chi la infastidiva e la volta successiva il disgraziato non avrebbe più osato nemmeno guardarla di sfuggita; la sorvegliava silenziosamente durante gli esercizi, senza commentare nulla con nessuno. Il secondo giorno li aveva visti lasciare la palestra insieme ed aveva capito che c’era qualcosa di intimamente diverso a legarli: nel modo in cui camminavano fianco a fianco, senza dirsi nulla, vicini al punto di scontrarsi spalla contro spalla, si nascondeva una relazione bizzarra e rara. Le coppiette di adolescenti passavano i tre quarti del loro tempo appiccicati l’uno all’altro, si tenevano per mano, si sorridevano come degli ebeti, e lui sapeva abbastanza di Wakatoshi per concludere che non fosse il tipo da smancerie, ma quello era ancora diverso. Non avevano bisogno di parole, ma solo di sapere che l’altro procedeva di pari passo, o poco più avanti, come suggeriva l’ammirazione reverenziale che Sakurai sembrava nutrire per lui. Se erano amici, erano la coppia di amici più singolare che avesse mai conosciuto; se erano altro, sapevano nasconderlo benissimo.
Al di là del vociare e delle sue disavventure sentimentali, sul campo squisitamente sportivo, Sakurai non era affatto male: Kato ci aveva visto giusto se aveva deciso di puntare su di lei, nonostante talvolta si comportasse come una mina vagante. Il fatto era – e la cosa lo lasciava a bocca aperta – che tirava fortissimo, più forte perfino di un paio di ragazzi navigati della sua squadra, il che non era affatto comune per una studentessa del primo anno. Aveva in repertorio un bel servizio in salto, non ancora perfetto ma piuttosto valido, che sarebbe stato temibile se la sua percentuale di riuscita avesse superato il 50% attuale. Si faceva prendere troppo dall’ansia in certi casi e finiva col combinare disastri, ma gli sembrava una condizione indotta da qualcosa, forse proprio dalla presunta relazione con Hattori o dal pregiudizio che ne era conseguito.
Kato non la viziava: era attenta ad intervenire ogni volta che la pressione si faceva troppo gravosa ed era indulgente quando sbagliava, ma in compenso la caricava così tanto di lavoro ed esercizi che era sorpreso che la ragazza non protestasse. Tutti gli indizi puntavano nella direzione indicata dai pettegolezzi e lui detestava ammetterlo, perché si professava sempre impassibile alle chiacchiere di corridoio, ma era curioso di accertarsene, segretamente motivato da quella connessione silenziosa con Wakatoshi. Così il secondo martedì di novembre aveva lasciato che Saito supervisionasse da solo gli allenamenti del club maschile e si era seduto sulla panchina dell'altra metà del campo, proprio accanto a Kato. L'allieva le aveva rivolto uno sguardo sorpreso ma l'aveva lasciato fare.
«C’è qualcosa che vuole, professore. Mi riesce difficile immaginare che avesse solo voglia di tenermi compagnia. Mikoto, per quella porcheria un arbitro qualsiasi ti avrebbe fischiato una doppia!»
La ragazza rimproverata rivolse loro uno sguardo innocente che non avrebbe mai convinto nessuno e sollevò le mani per dichiarare la propria innocenza.
«L’ho toccata una sola volta, giuro!»
«Certo, come no? Non cercare di prendermi in giro!»
Mikoto arricciò il naso e ripeté con voce stridula «Non cercare di prendermi in giro!» ripeté in una imitazione piuttosto scadente della sua allenatrice, poi riprese a concentrarsi sull’esercizio.
«Spero non sia la palleggiatrice.» osservò Washijou.
«È una centrale.»
«Una piccola te? Per questo si esercita col palleggio? Lasciati dire che l’attitudine c’è.»
Naomi rise.
«Io e Mikoto non potremmo essere più diverse, ma sì: sta cercando di fare qualcosa che io facevo molto bene. Il che non ci distoglie dall’argomento principale: professore, perché è qui?»
«Perché la palestra B è fuori uso.»
«Mi dica qualcosa che non so.»
«La mia è curiosità, sei libera di non rispondermi.»
«Allora devo preoccuparmi, oggi è troppo gentile.»
Washijou finse di non aver sentito.
«Megumi Sakurai» iniziò e la sua collega s’irrigidì all’istante sulla panchina, una risposta che arrivava prima ancora della domanda «ho sentito dire che è la ragazza di Hattori.»
Naomi fece schioccare la lingua. «Non è la ragazza di Hattori, non è proprietà proprio di nessuno. Al massimo è una mia ragazza.»
«Lascia perdere le ambiguità di linguaggio, è o non è la ragazza dello scandalo?»
Naomi sospirò, scosse il capo vinta. «Sì, è lei.» ammise «Ma lo tenga per sé, l’ultima cosa di cui quella poveretta ha bisogno è che le voci siano confermate.»
In realtà – avrebbe voluto obiettare – lo mormorava già l’intera scuola: che differenza poteva esserci nel confermare o nello smentire? Guardò Sakurai mettere a terra una bella palla, sul palleggio della stessa Mikoto che prima aveva fallito così clamorosamente: no, non era niente male, ma si tratteneva.
«Sai cosa sbaglia Sakurai?» domandò a Naomi indicandogliela col capo.
«Pensa troppo.»
Washijou scosse il capo. «Innanzitutto pensa male, e poi pensa troppo. Non c’è niente di male a ragionare durante il gioco, anzi, rincorrere la palla forsennatamente e colpirla senza troppi complimenti è peggio ancora che impantanarsi in un fiume di autocommiserazione. Sakurai si concentra troppo su obiettivi inutili: se faccio punto sarò utile, se ne segno un sacco e le faccio vincere mi rivaluteranno, la mia reputazione negativa sarà ripulita quando dimostrerò di essere davvero in gamba. Questo tipo di motivazioni, non ti portano mai da nessuna parte: a tutti piacerebbe essere universalmente riconosciuti, rispettati, amati ma non è così che funziona. Anche i migliori hanno almeno un detrattore, il giusto sta nello sbattersene. Se la meta a cui punta è irraggiungibile perché utopica, non c’è da stupirsi se si perde per strada.»
Naomi si mise in piedi, si chinò per riprendere un pallone sfuggito dal bagher maldestro di una ragazza e lo lanciò nuovamente in campo.
«Non era così prima.» spiegò voltandosi di nuovo verso di lui «Ho parlato con chi l’ha conosciuta prima della faccenda: era una di quelle che, come dice lei, se ne sbatteva. Forse anche troppo, non sono nemmeno sicura che fosse una brava persona.»
«Quella non è una persona che se ne sbatteva. Se dici che lo faceva anche troppo, è probabile che fingesse. La riflessione di fondo non cambia: se sono valida, sarò rispettata, altrimenti sarò solo una di tanti. Quella ragazza vuole la cosa sbagliata e, soprattutto, non sa cosa sia realmente disposta a soffrire per ottenerla. Perciò ha scelto la strada breve ed ha fallito.»
«E questo dove ci porta? In terapia ci va già.»
«Se non vuole uscirne lei, tutta la terapia del mondo sarà inutile.»
«Lei la fa semplice... Non basta mica schioccare le dita e dirle di non pensarci, che tutto andrà bene! Due settimane fa mi è svenuta in mezzo al campo, riesce a immaginare come mi sia sentita? Non mi era mai capitato nulla del genere!»
«Infatti non c’è niente che debba fare tu, o meglio niente che ti resti ancora da fare.»
Naomi gridò ad una ragazza di smettere di chiacchierare, poi portò la conversazione sulla strada che aveva desiderato che prendesse sin dal principio. «Quando sono stata assunta, Megumi aveva lasciato la squadra e non intendeva riprendere gli allenamenti, sono stata io a convincerla e l’ho fatto non perché le mie ragazze mi avessero raccontato di lei, ma perché lo aveva fatto uno dei tuoi.»
«Ushijima?»
«Già, curioso davvero. Per la cronaca, non mi ha detto di essere il suo fidanzato, quindi puoi stare tranquillo che non salterà gli allenamenti per uscire con una ragazza dalla reputazione cattiva.»
«Non mi sarebbe interessato affatto, anche se fosse stato il contrario.»
«Sul serio? Allora perché è venuto a chiedermi di lei?»
«Te l’ho detto, no? Ero curioso, né più, né meno.»
Naomi stette in silenzio per qualche minuto; per quanto bene la conosceva, Washijou sapeva che stava riflettendo su qualche spunto che le aveva dato. Sorrise fra sé e sé: era quel che voleva.
«Pensa male e troppo, quindi? È questo che vuole che io le dica?»
«Credevo non ci saresti arrivata.»
«E io credevo che lei non vedesse niente di speciale nei membri del club femminile.»
«Adesso» precisò «non vedo niente di speciale. Domani, chissà.»
La loro conversazione fu interrotta dall’intervento di Saito, che richiese l’intervento del professore per la firma di alcuni documenti necessari ai manager del club. Naomi ritornò a tormentare Mikoto sul palleggio, ottenendo – questa volta – più attenzione.
 


 

«No, non è l’intuizione del secolo.»
Eita Semi, di anni sedici, si dondolava pigramente sull’altalena del cortile antistante la palestra. Da dieci minuti, precisamente da quando erano usciti dagli spogliatoi dopo gli allenamenti, ascoltava Tendou illustrargli i suoi piani per l’imminente festival scolastico. Pregava che gli altri uscissero prima che gli prendesse una crisi di nervi, perché da solo non riusciva ad arginare l’ondata creativa che aveva travolto in compagno di squadra. Non aveva idea di come potesse apparirgli una buona trovata, anziché un enorme spreco di energie, quello di organizzare un torneo tutti contro tutti.
«Certo che lo è!» insisté ancora «Squadre miste, almeno tre femmine e tre maschi, più una settima persona indifferente.»
«No, voglio dire… ma le hai viste? E poi siamo troppo pochi, sia loro che noi.»
«Allora lo estenderemo a tutta la scuola. Chi vuole, può venire qui e iscriversi. Anzi, estendiamolo anche ai visitatori!»
«Certo, estendiamolo anche a mia nonna!» lo canzonò scocciato.
«Dai SemiSemi, è solo un modo per divertirsi e far conoscere un po’ i club! Non deve mica somigliare ad un campionato della league
«Allora organizza un campionato di ping-pong o di bocce, riceveresti più iscrizioni.»
«L’altro giorno, quando abbiamo fatto quell’amichevole con le ragazze, ci siamo divertiti.»
«Forse non ricordi, ma hai bisticciato con Ikeda e lei ha carbonizzato l’impianto elettrico della nostra palestra ed adesso siamo costretti a dividere la loro!»
Tendou piantò i talloni nella ghiaia e smise di dondolare. Assunse un’aria fin troppo pensosa.
«Dici che Ikeda può bruciare un impianto elettrico col pensiero?»
Eita fece spallucce. «Tutti dicono che può» disse.
«Se sapesse farlo davvero, sarebbe fighissimo.»
Lo conosceva da poco più di un anno, ma non smetteva mai di trovarlo sempre più strampalato. La maggior parte delle persone, all’idea che una studentessa del primo anno potesse far saltare la corrente a suo piacimento, sarebbe stata scossa dai brividi, Satori Tendou lo trovava fighissimo.
«Non vuoi davvero proporlo a Ushijima, lo sai che ti risponderà di no.»
Tendou gli rivolse un sorriso sornione.
«Quanto vuoi scommettere?» domandò, piuttosto sicuro di sé stesso.
Il portone della palestra si aprì. Eita s’illuse che fosse l’occasione giusta, ma invece dall’interno sciamò un gruppetto di ragazze chiacchierine. Ikeda era una di loro, impegnata a punzecchiare Sakurai su qualcosa di segreto, mentre Hiromi e Nonaka se la ridevano di gusto. Sperò che Tendou se ne stesse zitto e fermo come un bravo bambino, ma evidentemente quel giorno ogni sua previsione era destinata a fallire: il tempo di sbattere le palpebre e l’amico aveva già interrotto le loro chiacchiere ed era in piedi in mezzo a loro.
Ikeda avrebbe fatto saltare in aria l’intera scuola, ne era sicuro.
«Che vuoi, Tendou?» lo accolse diffidente la ragazza.
«Voi che fate per il festival?»
Così, diretto e senza spiegazioni. Eita si chiese come facesse a dare così tante cose per scontate.
«Intendi come club?» intervenne più pacata Nonaka «Penso quello che fate voi: assolutamente niente.»
«Io ho una proposta.» annunciò Tendou tutto tronfio «Torneo con squadre miste, aperto a tutta la scuola e ai visitatori, lo organizziamo noi. Che dite?»
Inaspettata, Megumi Sakurai saltò sul vagone in corsa di Tendou senza che nemmeno finisse di parlare.
«Facciamolo!»
«Vero, Megumi-chan? Tu ci staresti?»
«Tutto purché non mi ficchino nel maid-cafè della mia classe. Kenjiro ha negoziato la mia libertà, ma continuano a farmi un sacco di pressioni. Fra un grembiulino striminzito e giocare, preferisco giocare tutta la vita.»
«Potresti giocare col grembiulino, Megumi.» suggerì Hiromi visibilmente divertita dall’idea.
«Solo se lo fai anche tu, Risu.»
«Per te lo farei, lo sai.» replicò l’altra, poi mimò un bacio volante in sua direzione.
«Potresti fare un esperimento sociale, Megumi-chan. Magari Wakatoshi ti guarda le gambe.»
Al limite del paradossale, Sakurai parve valutare veramente per qualche attimo, prima di decidere che non ne valesse la pena e respingere il consiglio di Tendou.
«E voi ci state? Torneo misto?» ripeté Tendou, ansioso di conoscere anche il parere delle altre.
«Se non tirate forte come l’altro pomeriggio, sì.» rispose Nonaka massaggiandosi i polsi «Per poco Ushijima non faceva secca Arisu-chan
«Io ci sto solo se tirate forte come l’altro pomeriggio!» annunciò invece Hiromi entusiasta «La scorsa volta mi sono fatta male, ma ho imparato un paio di cose nuove.»
Tendou era sempre più soddisfatto. «Strega?» incalzò Ikeda.
«Io e te nella stessa squadra, e sono dentro.» concesse con un sorriso sornione.
«Posso dire di no ad una kohai così adorabile?»
«Aspettate, si possono esprimere preferenze?» intervenne Sakurai sorpresa.
«Megumi-chan» osservò Tendou con pazienza «Non sarebbe giusto che tu e Wakatoshi giochiate nella stessa squadra, nemmeno se cambi ruolo. Sareste troppo sbilanciati…»
«Ma io non voglio stare in squadra con Waka-nii.» obiettò seria «Io voglio Kenjiro come palleggiatore, senza offesa Kaori-chan
A quel punto Eita avvertì la necessità di prendere parte attiva alla conversazione. Abbandonò dunque la sua posizione di ascoltatore sull’altalena e si avvicinò al capannello di ragazzi, curioso di sapere perché Sakurai avesse per Shirabu una preferenza maggiore rispetto a quella che per Ushijima.
«Abbiamo giocato insieme durante l’ora di educazione fisica.» gli spiegò Sakurai «Ci siamo divertiti tantissimo e ci piacerebbe farlo di nuovo. Perciò, sì, chiedete il permesso alla signorina Kato e a Yoshida, sono sicura che non vi diranno no.»
«Washijou non accetterà mai.» borbottò Eita segretamente soddisfatto dell’ostacolo irremovibile che si parava davanti il progetto di Tendou, grande e pesante come una pietra tombale.
«Accetterà se glielo chiede Wakatoshi, in qualità di capitano e di studente prediletto.»
«Ma prima dovresti convincere Wakatoshi. Sicuro di avere un’influenza tale su di lui?» lo canzonò.
«Premesso che tu sottovaluti il mio potere, posso contare su un’alleata infallibile.» spiegò, facendo cenno a Sakurai che, pur presa alla sprovvista, fu pronta ad appoggiarlo.
«Se proprio serve, posso chiederglielo io.»
Ikeda dovette ricordarsi di qualcosa all’improvviso, perché prese il braccio di Megumi e le sussurrò una domanda che la fece arrossire nell’orecchio. L’amica replicò altrettanto silenziosamente e le diede una piccola gomitata, ma la strega continuò a ridacchiare sotto i baffi.
«È ancora in convalescenza per via del ginocchio, se anche volesse giocare glielo impedirei io. Deve star fermo fino a dicembre.»
«Di chi parlate?» trillò Tendou, tutto preso dal mistero.
«Un amico di Megumi, uno speciale.» spiegò Ikeda esibendosi in un occhiolino tutt’altro che smaliziato.
«Eh? Megumi-chan, credevo che ti piacesse Wakatoshi!»
«Infatti mi piace Wakatoshi.» protestò Sakurai irritata «Ma Mikoto s’è legata al dito un torto immaginario e per questo ora le va di scherzare.»
«Sei soltanto sparita per tre ore con il tizio con il quale dicevi di non voler rimanere da sola nemmeno un secondo e per il quale mi hai chiesto di sprecare la sera di Halloween a farmi insultare dai suoi amichetti cafoni. Non vedo perché dovrei essermi legata al dito un torto immaginario, se il torto esiste. Almeno ammetti che ti piace e saprò di non essermi sacrificata inutilmente!»
«Chi ha insultato la mia kohai preferita?»
«Lascia perdere, Tendou» intervenne Nonaka «Mikoto la fa grossa solo per attirare l’attenzione.»
L’altro agitò gli indici di entrambe le mani davanti a sé, nella grottesca imitazione di un cartone animato, e decretò: «No, no! Ormai avete tutta la mia curiosità!»
Ikeda ormai gongolava soddisfatta di ritrovarsi esattamente dove voleva essere: sotto i riflettori.
«Te lo dirò, senpai, quando capiterà l’occasione di mostrartelo.» annunciò «Megumi, perché non li inviti tutti quanti?»
Sakurai divenne di una violenta sfumatura rossa.
«Non inviterò proprio nessuno, anzi spero che se ne dimentichi! Lo ha invitato Waka-nii
«Il capitano ha invitato qualcuno al festival?» domandò Semi perplesso.
«Tooru Oikawa, Aoba Johsai… lo hai presente?» gli rispose Ikeda.
«Il palleggiatore?» commentò Tendou piacevolmente sconvolto «Megumi-chan, esci col palleggiatore della Seijoh? Questo sì che è un bel modo per far ingelosire Wakatoshi, altro che giocare col grembiulino!»
«Aspetta, tu pensi che possa essere geloso?» domandò Sakurai interessata.
«Forse l’unico ragazzo al mondo con cui potresti farlo ingelosire, dubito che se uscissi con qualcun altro funzionerebbe.»
«Non mi sembra affatto geloso, visto che l’ha invitato qui personalmente.»
«L’ha sfidato per la tua mano. Quest’anno il festival diventerà il campo di battaglia di un duello all’ultimo sangue! Forse dovrei scartare l’idea del torneo e montare una bancarella che vende popcorn.»
«Tendou, tu leggi troppi manga» obiettò Kaori seriosa «Ushijima non è affatto il tipo che architetta piani del genere, né mi è mai sembrato geloso di Megumi.»
«D’accordo, allora perché l’ha invitato?»
«Magari gli andava di farlo e basta. Sembrava volesse mostrargli l’Accademia.» osservò Megumi.
«Sbattergli in faccia ciò a cui ha rinunciato? Questo sì che è da Wakatoshi.»
«O magari» considerò Hiromi dubbiosa «approva.»

 

«Ushiwaka che approva che lui faccia il farfallone con l’amichetta del cuore!» ripeté Hanamaki senza riuscire a frenare la ridarella convulsiva che la fantascientifica ipotesi di Matsukawa aveva generato.
Si erano riuniti nel laboratorio di belle arti nel tardo pomeriggio, subito dopo la conclusione degli allenamenti, per ripassare gli argomenti del compito di storia, che Tooru aveva già svolto quella mattina. Lo sapevano tutti che il professore riciclava le stesse tracce per tutte le classi, e gli amici non avevano saputo proprio resistere alla tentazione di farsi anticipare le domande. D’altro canto, non riusciva a biasimarli: gli argomenti in programma erano immensi.
Com’era prevedibile, avevano fatto ben poco per quanto riguardava lo studio vero e proprio: dopo aver ricopiato scrupolosamente le tracce che Tooru aveva annotato sul quaderno, erano scivolati di discorso in discorso fino ad approdare al loro preferito.
«Dai, perché ridete? Non lo conosciamo così bene da poter trarre delle conclusioni così rigide! Magari fuori dal campo è uno zuccherino amichevole!» contestò Matsukawa con serietà fuori luogo.
«Chiedo scusa, Mattsun, ma forse hai dimenticato che vi ha offesi e che era convinto che non sareste mai arrivati in finale senza di me.» replicò Tooru.
«Ora non vorrei fare l’antipatico, ma il tempo gli ha dato ragione.»
«Ma che t’importa? È stata comunque una cosa cattiva da dire! E poi avete perso perché avete perso, non c’entra niente che ci fossi io o meno.»
«Il che ci riporta all’argomento principale» riprese Hanamaki asciugandosi una lacrima e riprendendo fiato «Ci andrai o no?»
Tooru fece ruotare distrattamente la penna blu sul dorso nella mano.
«Gumi se n’è dimenticata, fa come se Ushijima quel giorno non mi avesse detto nulla.»
«Evidentemente Sakurai, che pure è una stronza, ci tiene che tu non prenda altre botte a causa sua.» osservò Iwaizumi, riprendendosi la penna prima che l’amico la facesse schizzare giù dal banco.
«Iwa-chan, perché non m’insegni a fare a pugni?»
«Mi spieghi perché ti vengono in mente cose del genere? Fai schifo a fare a pugni e la questione si chiude qui.»
«Vuoi avermi sulla coscienza?»
«Non sei mia responsabilità, qualsiasi cosa ne pensi tu. Al massimo, se Ushiwaka ti fa la festa, la responsabilità è di quella schizzata di Sakurai. Chiedi a lei d’insegnarti a fare a pugni, se non ricordo male sa il fatto suo.»
«Sei cattivo, Iwa-chan
«Allora non andarci e basta, okay? Gioca al suo stesso gioco: sembra che non se ne sia ricordata, che stia fingendo o no non importa. Fingi anche tu di non aver ricevuto nessun invito.»
«Ma sarebbe come darla vinta a Ushiwaka. Non mi va di perdere contro di lui.»
«Senti che roba! Non sarebbe nemmeno la prima volta e no – continuò quando vide la fronte di Tooru aggrottarsi – non m’interessa che io stia toccando un nervo scoperto. Questa faida con Ushiwaka va avanti da troppo tempo e, per quanto mi riguarda, va bene che continui sul campo ma non accetto che si trasferisca anche nel quotidiano soltanto perché tu hai deciso di puntare l’unica ragazza al mondo con cui lui ha qualche legame. Sakurai non ti ha invitato al festival? Perfetto: non sei stato invitato, dimentica che lo abbia fatto lui. Se vuoi vederla ti basta chiederle di uscire, mi pare che abbiate superato quella fase, ormai.»
«Non mi va giù.» ribadì indignato «Ci andrò e lo affronterò.»
«D’accordo, scelta tua, ma poi non venire a piangere da me.»
«Quando mai l’ho fatto?»
«Fammici pensare… sempre?»
Matsukawa, che da qualche minuto giocherellava con un pezzo di argilla rimasto su un tavolo da lavoro dopo l’ultima lezione di arte, schioccò la lingua seccato.
«Piantatela, state tirando su una tragedia per nulla.» ripeté scettico «Ushiwaka non si filerà Oikulo nemmeno per sbaglio e lui potrà starsene con Sakurai tutto il tempo che gli pare. L’unico pericolo reale, se volete la mia umilissima opinione, sono le sue amiche: qualcuna potrebbe sbranare vivo il nostro maialino, per colpa di una persona qui presente.»
Appallottolò l’argilla come avrebbe fatto con una polpetta e la lanciò dritta nella mano destra di Hanamaki, che gli sorrise sornione.
«Ebbene qualcuno doveva mettere in riga quella vipera. Sei un tamarro assurdo a me! Non so, chi si aspettava di preciso? Il principe William? Era dall’ingresso che mi guardava male.»
«Potevi risparmiartelo: ho parlato con Guda e pare che Mikoto Ikeda abbia una certa fama fra le ragazze del club femminile. In breve, pare che ai suoi nemici capitino incidenti spiacevoli. La sorella di Guda racconta di influenze improvvise, infortuni, imprevisti vari... Magari voi a queste cose non ci credete, ma io sì.»
«La ragazza di buona famiglia? Dai, Issei, sono solo coincidenze. Queste cose non esistono.»
«Pensa quel che vuoi, ma secondo me abbiamo già addosso la maledizione.»
«Ma quale maledizione? Le cose mi vanno alla grande, dopo Halloween. Nel caso tu te ne sia dimenticato, questo tamarro sta attualmente uscendo con una ragazza...»
«... bellissima e dolcissima!» continuarono in coro gli altri tre.
«Lo sappiamo, Makki. Non è necessario che tu lo ripeta un’altra volta. La tua timida Natsuko è carina e anche affettuosa, la ragazza che tutti vorrebbero avere.» cantilenò Tooru, stanco di sentirglielo ribadire di continuo.
Natsuko Maeda era una studentessa del loro stesso anno, piuttosto anonima in realtà: Tooru la conosceva soltanto perchè era uscito con una sua compagna di classe. Si trattava di una ragazza minuta e mediamente carina, ma al di là di questo non avrebbe saputo dire granché su di lei, dal momento che era tanto schiva da risultare quasi inesistente in una conversazione. Da quanto raccontava Hanamaki, tuttavia, con lui si era rivelata piuttosto loquace e aveva perfino trovato il coraggio necessario a chiedergli di frequentarsi. Per quel che riguardava Tooru, quella era la prova schiacciante che Takahiro Hanamaki potesse far parlare anche i sassi.
Dunque, in quel momento, Hanamaki era l’unico ad avere una fidanzata. L’assurdo delle circostanze gli faceva venire il nervoso: il solo fatto che l’amico fosse seduto lì con loro era una concessione assai rara: la dolce Natsuko sembrava aver acquisito l’esclusiva assoluta su di lui e la quasi totalità del suo tempo libero era ormai dedicata a lei. Forse era così che si sentiva Iwaizumi ogni volta che Tooru gli tirava un bidone e tornava a casa con la nuova conquista anziché con lui. Si sentì una cacchina seccata sul marciapiede.
«A proposito, Makki, ma come mai oggi ci grazi della tua presenza?» domandò Iwaizumi.
«Natsuko aveva delle cose importanti da fare... Vi dispiace se condivido le tracce del compito di storia anche con lei? Non potrei mai dirle di no.»
«Poi prendevi in giro me per Sakurai.» ridacchiò Tooru «Potrebbe chiederti di lanciarti dal cornicione del terrazzo e tu lo faresti.»
«È così carina!» ripetè assorto Hanamaki «Ah, sono così fortunato! Mikoto Ikeda non può assolutamente nulla contro la mia felicità!»
«Se lo dici tu...» commento Matsukawa facendo spallucce «Io continuo a guardarmi le spalle, se non ti dispiace.»
«Fai pure, ma se ti fai influenzare dalle superstizioni delle ragazze del club femminile, non fai altro che complicarti la vita ingiustamente. Pensa, non avevo nemmeno capito che anche Ikeda giocasse con Sakurai. C’era quella volta che siamo rimasti bloccati al Gymnasium?»
«Credo proprio di sì, Makki. Se ci penso me la ricordo vagamente.» rispose Tooru.
«Ma quindi hai guardato anche altro, oltre il culo di Sakurai? Mi sconvolgi!» lo stuzzicò Hajime.
«Non sono mica così superficiale! Okay, ho guardato molto spesso Gumi, ma non tutto il tempo. So che Ikeda è una centrale e mi ricordo una centrale con i capelli neri e la coda di cavallo perfettamente piastrata.»
«Be’, corrisponde alla descrizione» approvò Takahiro «Sembra il tipo di ragazza che non esce di casa senza essersi sistemata di tutto punto. Natsuko non è così, invece, lei è genuina e spontanea.»
«Ma porca miseria, potresti smettere di ficcarla in ogni discorso?»
«Non arrabbiarti, Issei! Sono sicuro che riuscirai a trovare anche tu una ragazza come Natsuko.»
«Non mi serve una tipa noiosa come lei.»
«Non è noiosa, è solo timida!»
Issei sbuffò e finse di non aver sentito. Tooru controllò i messaggi sul telefono: Megumi era piuttosto preoccupata per un discorso che le aveva fatto la nuova allenatrice. Le aveva detto che pensava troppo e male e lui credeva che non ci fosse un modo migliore per raccontare quello che Megumi faceva nella vita in generale. Per quanto riguardava lo sport, non la vedeva giocare da troppo tempo per giudicare.
«Perché non andiamo a vedere una loro partita, uno di questi giorni?» propose.
«Una partita di Sakurai e delle sue amiche?» domandò Hajime «E perchè dovremmo, scusa?»
«Lo abbiamo fatto solo a giugno e, per giunta, nemmeno dall’inizio. Sarebbe un’occasione per rimediare alla figuraccia della scorsa volta.»
«Sakurai è un problema tuo, non nostro.»
«Se voglio far parte della sua vita, devo andare d’accordo con i suoi amici e lo stesso vale per lei con voi. Mi piacerebbe far funzionare le cose come si deve: ammettete che, al di là di Ikeda, le altre due sono ragazze tranquille.»
«L’unica normale è Nonaka: la ragazza coi capelli rosa morde ed ha una cotta per la tua Gumi-chan
«Per tua informazione, è stata lei a suggerirmi dove trovare Gumi quando era sparita improvvisamente dal club: mi ha dato una mano!»
«Solo perché era angosciata per lei e cercava di aiutarla!»
«Oikulo, apprezzo che tu abbia imparato a memoria il testo di If you wanna be my lover, ma se dovessi applicare a pieno la regola delle Spice Girls dovresti farti amico perfino Ushiwaka.» intervenne Takahiro sghignazzando «E non vale che tu faccia due pesi e due misure, quindi fai del tuo meglio al festival scolastico della Shiratorizawa.»
«Ushiwaka è l’eccezione: ogni sforzo di andarci d’accordo è sempre fallimentare. Andrò lì e fingerò che lui non esista.»
Una volta presa la decisione di andare al festival con la massima dignità possibile, il successivo problema da affrontare era come capire se Megumi fosse d’accordo o meno. Dal momento che non osava accennare alla questione, era d’obbligo che fosse lui a fare la prima mossa.
Lo schermo del cellulare non gli era mai sembrato così impietoso: non sapeva come introdurre l’argomento senza risultare opprimente. Si chiese se sarebbe stato più semplice parlargliene dal vivo, forse sarebbe stato in grado di stuzzicarla con qualche battuta piazzata strategicamente, magari dopo una bella serata al cinema. Mentre Hajime rimbeccava Takahiro perché con l’argilla aveva plasmato una forma fallica di dubbio pregio artistico e lui si sforzava di ricordare cosa fosse in programmazione per quella settimana, il telefono gli trillò fra le dita e la spia dei messaggi prese a lampeggiare.

 
Hai da fare domani pomeriggio? Ci sarebbero da guadagnare alcuni soldini, faccio volentieri a metà con te.

 
Di primo acchito temette che Megumi Sakurai, la stessa che fino a pochi mesi prima aveva stretto un patto con un maniaco, si fosse fatta coinvolgere in qualche affare losco e pericoloso.
 

Scherzo! Anzai mi ha chiesto di dare una mano col referto della partita di domani. Giocano quelli del Galaxy maschile… so che non è granché ma è pur sempre la terza divisione della lega e non è facile trovare i biglietti proprio il giorno prima.

 
Lo schermo non gli pareva più tanto crudele.
 

Ma segni i punti, sicura che ci sia spazio anche per me?

 

Quattro occhi vedono meglio di due, e poi Anzai ti conosce. Dai, non lasciarmi tutta sola, chi te lo trova di nuovo un posto d’onore come questo?

 

Sai, devo pensarci, non mi piace molto la pallavolo...

 
Presa alla sprovvista, Megumi scrisse qualcosa e la cancellò prima di inviarla. Tooru sorrise: per una volta l’aveva sorpresa lui, anche se era chiaro come il sole che stesse scherzando. Ma la ragazza non doveva avere troppa voglia di lasciargli l’ultima parola, così decise di mettere a dura prova il suo cuore.
 

Chi se ne frega della pallavolo? Pensavo di piacerti io ;)

 
«Perché sorridi come uno scemo, Oikulo? Sakurai ti ha chiesto di andare al cinema?» cantilenò Issei senza nemmeno cercare di interrompere il battibecco fra gli altri due.
«Vi ricordate quando mi prendevate in giro perché aspettavo la ragazza che si emozionasse per una partita della lega quanto le altre avrebbero fatto per un film romantico?» voltò il cellulare verso di loro perché leggessero «Eccola qui.»
Hajime gli strappò il telefono dalle mani e cominciò a scorrere gli ultimi messaggi, mentre gli altri due si sporgevano sulle sue spalle per leggere meglio. Tooru si godette lo stupore farsi strada sui loro volti e incrociò le braccia soddisfatto.
«D’accordo, cento punti per Sakurai.» sentenziò Hajime ancora incredulo «Porca miseria, ti ha invitato a stare praticamente a bordo campo, ti rendi conto? Se non fosse lei, chiederei se ci fosse posto anche per me. Sei il solito bastardo fortunato!»
«Possiamo parlare dell’ultimo messaggio? Mi ha fatto l’occhiolino, capisci?»
«Sembra che Sakurai voglia giocare un po’ con te.» commentò Issei.
«Ragazzi, io non credo di essere pronto. No, invece lo sono, eccome, solo che mi…»
«Ti ha proprio preso in contropiede.» concluse Takahiro «E chi se l’aspettava? Adesso sta a te: devi dirle che andrai al festival della loro scuola del cazzo e che vuoi stare con lei.»

Non era facile come presupponeva Makki uscirsene all’improvviso annunciando a Megumi: ehi sai, verrò al festival della vostra scuola del cazzo come mi ha chiesto il tuo amico del cazzo. Era troppo preso dal fatto che la ragazza fosse seduta proprio accanto a lui, così vicini che le loro gambe e le loro spalle si toccavano. Indossava una tuta nuova di zecca, forse acquistata proprio per l’occasione, e aveva parzialmente raccolto i capelli in un cipollotto disordinato, il resto le ricadeva mollemente sulle spalle. Non riusciva a smettere di pensare alla sera del parco divertimenti e al fatto che avesse dormito sulle sue ginocchia. Sapeva che anche lei era imbarazzata: esaminava da diversi minuti il modulo del referto, senza guardarlo davvero, era solo una scusa per giustificare il silenzio impacciato.
«Facciamo una scommessa, ti va?» propose allora, per rompere il ghiaccio.
Megumi lasciò perdere il foglio.
«Se stasera il Galaxy vince – circostanza assai improbabile data l’identità degli ospiti – io e te non torniamo subito a casa dopo la partita: ce ne andiamo in giro, solo noi due.»
La ragazza aggrottò le sopracciglia.
«Capisco, non vuoi uscire con me.» osservò seria «Perciò scegli la condizione irrealizzabile.»
Tooru le assicurò che non voleva intendere quello. Si complimentò con sé stesso per essere il più grande fallimento comunicativo del mondo, poi comprese che Megumi lo stava prendendo in giro e mise su il broncio.
«Dai, stupido! Lo so che vuoi uscire con me, altrimenti non saresti qui!» chiarì sorridendogli.
«Non è divertente, Gumi-chan! Mi hai fatto prendere un colpo!»
«Mi dispiace, davvero! Allora dimmi, che cosa facciamo se invece – come è probabile che accada – il Galaxy perde?»
«Se il Galaxy perde, verrò al vostro festival, come mi ha chiesto Ushiwaka.»
Megumi si rabbuiò e boccheggiò alcune volte prima di trovare le parole.
«Quello… speravo te ne fossi dimenticato.»
«Cosa? E perché?»
«Non credo che ti sentiresti a tuo agio, insomma, a scuola. Io ci sono venuta nella tua, ricordi? Mi hanno fissata tutti con disprezzo e non è una sensazione che tu meriti di provare. Oltretutto, con i ragazzi del club maschile abbiamo organizzato un torneo aperto, sarò impegnata lì per la maggior parte del tempo e non voglio che tu resti solo in mezzo agli studenti dell’accademia.»
Megumi non aveva rinnovato l’invito di Ushiwaka per delle ragioni così nobili che sentì le mani tremargli per l’emozione: anche se negli ultimi tempi era stata scostante e si era comportata in maniera aggressiva, in realtà lo aveva a cuore e ci teneva che fosse a suo agio.
«Non m’interessa dei tuoi compagni di scuola: sono solo dei cretini, a me interessa di te.» precisò «Un torneo aperto, dici? Ti serve per caso un palleggiatore?»
«Ne ho già uno e tu faresti bene a ricordarti che devi tenere a riposo il ginocchio.»
«Vorrà dire che resterò lì a tifare per te tutto il tempo.»
«Dalla padella alla brace! Ti ho appena detto che con noi c’è l’intero club di pallavolo maschile. Wakatoshi compreso, s’intende.»
«Mi ha invitato lui, non vedo dove stia il problema.»
«Sai dov’è il problema, Oikawa! Lo detesti e finiresti per rovinarti la giornata. Perché insisti? Ti ho appena spiegato che non potremo stare insieme come vorremmo, che cosa ci trovi di eccitante?»
Insieme come vorremmo, gli mancò il fiato per qualche secondo: qualche tempo prima, Megumi avrebbe detto come vorresti.
«È una specie di sfida silenziosa con Wakatoshi, non è così? Entri nella tana del lupo per fargli vedere chi ce l’ha più grosso.»
Tooru non riuscì a trattenersi dal ridere, nonostante l’atmosfera stesse diventando piuttosto seria: Megumi diventava giorno per giorno meno formale con lui ed era piacevole sentirla esprimersi senza contare o pesare le parole come faceva in precedenza. Anche il modo in cui, osservando la sua improbabile reazione, fingeva scherzosamente di esserne offesa era adorabile e sentiva che non avrebbe mai più potuto farne a meno. Aveva l’intima certezza che fosse proprio quella Megumi Sakurai e non la ragazza indisponente e bellicosa che aveva incontrato a giugno. Si sentiva fortunato e felice di poter sbirciare oltre la facciata dietro la quale si nascondeva ostinatamente. Se si fosse disfatta di quel guscio rigido e obsoleto, avrebbe goduto di molta più popolarità e lui si sarebbe ritrovato con molti più rivali che il solo Ushijima. Eppure, sarebbe stato disposto a sopportarlo e perfino a trovarlo divertente.
«Guarda che dicevo sul serio, vieni al festival per Wakatoshi, non per me.» sussurrò poco dopo il fischio d’inizio della partita.
«Sicura che non sia questo il vero problema?» le bisbigliò nell’orecchio «Guarda che mi piacciono le ragazze e, nel caso tu tenda a dimenticarlo come al solito, mi piaci tu. Voglio soltanto dare un’occhiata al posto in cui trascorri la maggior parte del tempo, conoscere le persone che frequenti, studiarti nel tuo habitat naturale.»
«O studiare i tuoi avversari nel loro habitat naturale.» replicò pianissimo.
L’arbitro scoccò loro uno sguardo di rimprovero, perché facessero silenzio. Privato della voce, Tooru fu costretto a trovare una soluzione più convincente per rassicurare Megumi che non ci fossero doppi fini dietro la sua insistenza. Certo, Ushijima gli aveva gettato il guanto di sfida e lui l’aveva raccolto, ma se non ci fosse stata lei di mezzo non gli sarebbe mai passato per la testa di varcare i cancelli della Shiratorizawa, avrebbe lasciato perdere e basta.
Megumi riempiva con scrupolo i campi del referto con qualsiasi avvenimento si verificasse in campo, ma teneva la mano sinistra sul ginocchio, a pochissimi centimetri dalla sua mano destra. Appuntava le note con le labbra strette e amarezza sul viso. Poteva essere una mossa suicida, ma lui era uno stratega oculato e sapeva che senza rischiare non si vinceva mai.
Così intrecciò il suo mignolo destro al sinistro di Megumi, lei trasalì e smise di scrivere ma non oppose resistenza. Allora intrecciò anche il suo anulare, e il medio, e l’indice finché la sua mano non fu stretta alla sua e le sue guance non si tinsero della tonalità del rosso che tanto amava.
«Mi farai sbagliare tutti i punti.» mormorò imbarazzata, ma non si sottrasse alla sua presa «Sei uno stupido.»
Tooru scoprì che era difficile concentrarsi su quel che accadeva in campo se l’istinto lo spingeva a spiare di tanto in tanto Megumi con la coda dell’occhio e, a quanto pare, nemmeno lei, che avrebbe dovuto prestare molta più attenzione, riusciva a resistere alla tentazione di guardarlo quando credeva di essere al sicuro. Finiva sempre che doveva affrettarsi ad annotare quello che si era persa perché aveva indugiato troppo su di lui. Eppure non lasciò mai andare la sua mano, fino alla fine dell’incontro. Chissà se le sarebbe andato bene che il Galaxy vincesse e avrebbe acconsentito a rimanere fuori con lui fino a tardi: se lo chiese quando, al quarto set, fu palese che la squadra in casa avrebbe perso e che lui sarebbe andato a quel benedetto festival. Megumi gli strinse la mano più forte al match point della squadra avversaria, come se sperasse ancora che la situazione potesse ribaltarsi e lui salvarsi.
«Ma guarda chi c’è qui con Megumi?» esordì il presidente Anzai tutto sorridente, quando la partita fu finita e fu libero di avvicinarsi alla loro postazione. Tooru lo salutò con un inchino educato e l’anziano signore gli diede una pacca sulla spalla.
«Così voi due adesso state insieme?» domandò facendoli arrossire entrambi, solo allora Megumi strappò in fretta la sua mano da quella del ragazzo, pur consapevole che Anzai non avrebbe mai potuto vedere attraverso la superficie del tavolo.
«Una domanda di riserva, signore?» cercò di salvarla lui. Anzai rise piano.
«Ah, questi giovani di oggi... Sono contento di vedere che vi frequentiate ancora, anche se avete smesso di giocare con noi. A proposito, come va il tuo ginocchio?»
«Decisamente meglio, fra qualche settimana riprenderò gli allenamenti col club.»
«E tu, Megumi? Come va con il tuo club? Ho saputo di Naomi Kato… molto più preparata e adatta di Isao Hattori. Da quell’uomo mi sarei aspettato qualsiasi tipo di nefandezza, ma mai avrei potuto immaginare che fosse un maniaco. Mi dispiace molto per la tua compagna che è stata presa di mira, come sta adesso?»
Tooru avvertì nuovamente la mano di Megumi afferrare con forza la sua, questa volta gelida. Era una richiesta d’aiuto, lui la strinse anche con l’altra mano.
«Sta… bene.» balbettò con voce malferma, ma senza guardare Anzai negli occhi «O almeno ci prova.»
Il presidente era vecchio, ma non sprovveduto.
«Capisco.» disse amareggiato «Spero che possa rimettersi in piedi al più presto, perché deve essere molto in gamba.»
«Lo è.» garantì Tooru, incapace di tenere a freno la lingua. Si pentì subito di averlo fatto, perché Megumi lo guardò atterrita, ma ormai il danno era fatto. «Una forza della natura.»
Anzai sorrise a entrambi e tirò fuori dalla tasca della giacca due biglietti colorati.
«Bene, forze della natura!» annunciò allegro «Ho per voi un premio per essere venuti a dare una mano oggi. Come certamente saprete il 24 dicembre ospiteremo un’amichevole molto speciale…»
«I Tachibana Red Falcons!» strillò eccitato Tooru. Erano la sua squadra del cuore da quando era bambino ed ammirava moltissimo il loro attuale coach.
«Proprio loro, contro gli Hornets. Ho due posti per voi, nel primo anello.»
«Sta scherzando, signore? Ho provato ad acquistare quei biglietti mesi fa ma era già tutto sold-out!»
«Sono il capo per una ragione, ragazzi!» spiegò Anzai porgendo loro i due biglietti.
Megumi era dispiaciuta, Tooru non riusciva a capire perché. Forse avvertiva ancora i postumi dei riferimenti a quel verme di Hattori, invece – esortata dal presidente – chiarì la vera natura del problema.
«Durante le vacanze invernali l’accademia chiude anche i dormitori. Quella sera sarò a Minamisaka e non esistono mezzi che possano riaccompagnarmi a casa a quell’ora. Se dovesse nevicare come tutti gli anni, poi, i miei genitori non se la sentirebbero nemmeno di venirmi a prendere.»
«Non hai amici a Sendai che possano ospitarti per la notte?»
«L’unica che avrebbe potuto è Mikoto, ma andrà in vacanza quella settimana.»
«Gumi-chan, guarda che anche io ho una casa.» suggerì offeso di non essere stato considerato.
«Ma sei un ragazzo!»
«E che t’importa? Sono un gentiluomo, lo sai. A casa mia c’è spazio a sufficienza e i miei genitori non dicono nulla se ospito qualcuno. Iwa-chan ci viene sempre.»
Megumi non era convinta, ma accettò il biglietto di Anzai e assicurò che avrebbe cercato una soluzione per non perdere quell’occasione.
Alla fermata dell’autobus, stretti nei loro cappotti pesanti contro il freddo della notte novembrina, bisticciarono come di consueto. Tooru non riusciva a comprendere perché Megumi fosse così restia all’idea di dormire in casa sua.
«Ci sono i miei genitori e mia sorella, ma non allungherei un dito su di te nemmeno se fossimo soli, lo sai benissimo!» protestò indignato.
«Alla luce degli ultimi eventi, non direi!» replicò lei.
«Ci siamo solo tenuti per mano, non ti ho mica infilato la lingua in bocca! E poi mi sembrava che tu fossi d’accordo, altrimenti non avrei insistito tanto. Ma d’accordo, non lo farò mai più! Credevo che ti piacesse, ma se non è così…»
«No!» lo interruppe «A me… a me piace.»
Si mise le mani nei capelli: quella ragazza lo avrebbe condotto alla perdita totale della sua sanità mentale. Se gradiva che la prendesse per mano, per quale motivo si lamentava che lo facesse?
«Ho paura.» ammise, abbassando la testa.
«Hai paura di me? Gumi-chan, io non ti farei mai del male.»
«Lo so, non è di questo che ho paura. Tu sei diverso e sto bene con te.»
«Questo è un complimento, non un motivo per cui avere paura.»
«Tu… tu mi confondi, non capisco perché sto così. Con Waka-nii non è lo stesso, so sempre cosa voglio o non voglio… con te è tutto ingarbugliato! E se stiamo insieme per così tanto tempo, potrei uscirne ancora più confusa. Ho paura di restarci male.»
C’era una piccola luce in fondo al tunnel: era calda e appagante, minuscola ma abbagliante. Una speranza che fino a pochi mesi prima, non avrebbe mai sperato di riuscire a nutrire: quella di essere ricambiato. La vedeva per la prima volta ed era bellissima quanto il primo germoglio di marzo che si faceva spazio nella neve di un inverno di ristrettezze, ma adesso lui non aveva i mezzi per impedire che il freddo lo bruciasse. Si sentiva come quando, qualche ora prima, gli era stato impedito di comunicare a parole: allora la sua audacia lo aveva premiato, ma adesso gli sarebbe stata utile?
Gli occhi di Megumi lo supplicavano di darle una risposta e non sarebbe riuscito a reggere quello sguardo triste nemmeno un secondo di più. Azzardò un passo in avanti, lei non si mosse, così ne fece un altro. Lentamente, perché avesse tutto il tempo di fermarlo, le avvolse le braccia attorno alle spalle e la strinse a sé con cautela. Il suo cuore era sul punto di scoppiare di gioia, quando a sua volta lei lo abbracciò. Affondò il viso nei suoi capelli, che profumavano di shampoo per bambini e gli venne da ridere. Grande e grossa, alta pochi centimetri meno di lui, lavava i capelli con lo shampoo per bambini. Restarono così in silenzio per qualche minuto, finché i fari dell’autobus di Megumi non comparvero alla fine della strada e furono costretti loro malgrado a separarsi, i cuori che battevano all’impazzata.
«Ti voglio bene, Gumi-chan, non devi avere paura.» le sussurrò nell’orecchio. Poi, carico di tutta l’adrenalina che aveva in circolo, prima di lasciarla andare, la strinse più forte e le stampò un bacio sulla guancia. Pregò tutti gli dei del cielo di non aver osato troppo, quando lei si sfiorò sorpresa il punto in cui l’aveva baciata.
«Signorina, sale?» la incalzò il conducente spazientito.
«Sì» balbettò lei «Solo un attimo!» e l’uomo si appoggiò coi gomiti sul volante roteando gli occhi al cielo.
Il ragazzo la fissava in attesa di chissà quale responso; tutt’a un tratto, Megumi era imperscrutabile con le sue guance rosse e i suoi occhi luccicanti. Infine gli prese entrambe le mani e gli sorrise.
«Anche io ti voglio bene, Tooru.»
Scomparve dietro le porte dell’autobus, lasciandolo solo a lottare con la felicità che esplodeva in ogni parte del suo petto e con la consapevolezza di essere diventato, a pieno titolo, solo Tooru.


NOTE FINALI

Ovviamente sono in ritardo, ma credo che questo capitolo sia più lungo dei soliti e spero scritto meglio. Rileggo i primi capitoli e mi accorgo che adesso li scriverei con alcune differenze, prima o poi, quando questa storia sarà conclusa, le darò una ripulita. Vi ringrazio per aver letto fin qui e mi trovo nella condizione di farvi alcune domande e premesse per quanto riguarda i capitoli successivi. In questo momento, Wild Card si trova nel novembre del 2011, con i prossimi due capitoli entreremo nel 2012. Finora vi ho raccontato dell'anno precedente a quello in cui la serie originale è ambientata, ma quando saremo arrivati ad aprile del 2012 e Megumi inizierà il suo secondo anno di liceo, ci ritroveremo nella stessa timeline di Haikyuu. Ciò significa che farò riferimento a fatti già accaduti nella serie ma non modificherò mai nulla di quello che è dato per canonico, mi muoverò solo nel non detto. Detto questo, come siete messi con gli spoiler? Seguite solo l'anime? Il manga italiano? O avete terminato come me me di leggere il manga di pari passo con le uscite giapponesi? Più in avanti potrebbero spuntare degli spoiler o dei camei di personaggi che appaiono a manga avanzato, se sarò brava, non vi accorgerete nemmeno che non sono frutto della mia fantasia, ma vorrei avvisarvi per tempo.
Alla prossima!
Lyra

   
 
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