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Autore: _Pulse_    23/08/2009    5 recensioni
A quarant’anni appena compiuti dovrei avere una vita normale, dico io. Se non normale almeno una vita, ma non ho nemmeno quella. Nessuno di noi ha una vita, qui, se proprio devo essere sincero. Ma perché dovrei? Siamo in guerra, no? E tutto è lecito in guerra. Fa un freddo cane, ma non mi lamento visto che siamo ancora vivi e, soprattutto, insieme. «Auguri ragazzi», disse flebilmente Gustav, stretto come noi nel suo cappotto sgualcito, il cappellino calato pesantemente sul viso. «Già, benvenuti negli anta», ridacchiò Georg per poi concedere spazio a qualche colpo di tosse. «Auguri Bill», sussurrai. «Auguri Tom.»
Genere: Guerra, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Tom Kaulitz
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Nota: Eccomi qui con una nuova ff che spero vi piacerà. È molto… strana, direi. Perché l’ispirazione è nata ascoltando una canzone dei Green Day che parla della guerra. E con questo ho detto tutto. Spero che a qualche pazzo piacerà XD Grazie mille in anticipo, seguitela in tanti e ogni tanto recensite, mi raccomando!
Ringrazio tutti quelli che, assiduamente, seguono le mie ff e mi riempiono il cuore di gioia. Un bacio, _Pulse_
I Tokio Hotel non sono di mia proprietà e questo mio scritto è senza alcuno scopo di lucro.

PS: La canzone che ho usato come intro è Fade away, di Celine Dion, ed è un po’ la colonna sonora di questa storia. Veramente magnifica!

 

***

 

 I know that one day I'll find it
Feel it again
But until I do, I'll do it
Fine by myself

Once touched by pain
You're not the same
But time can heal your heart again
So let the clouds that bring you down
You know that

A quarant’anni appena compiuti dovrei avere una vita normale, dico io. Se non normale almeno una vita, ma non ho nemmeno quella. Nessuno di noi ha una vita, qui, se proprio devo essere sincero. Ma perché dovrei? Siamo in guerra, no? E tutto è lecito in guerra.

Fa un freddo cane, ma non mi lamento visto che siamo ancora vivi e, soprattutto, insieme.

«Auguri ragazzi», disse flebilmente Gustav, stretto come noi nel suo cappotto sgualcito, il cappellino calato pesantemente sul viso.

«Già, benvenuti negli anta», ridacchiò Georg per poi concedere spazio a qualche colpo di tosse.

«Auguri Bill», sussurrai.

«Auguri Tom.»

Questa è la nostra vita ora, una vita di stenti, di nascondigli e di illegalità.

Oh certo, tutto questo non sarebbe successo se non fosse salito al potere Rua, imponendo la dittatura su quasi mezzo mondo. Siamo in piena guerra, e fa freddo.

Sono passati vent’anni, è il 2029, io ho appena compiuto quarant’anni con il mio fratello gemello Bill e da artisti famosi in quello stesso mezzo mondo siamo diventati dei fuggiaschi.

Una volta vedevamo i nostri poster appesi dappertutto, e ne eravamo felici ed orgogliosi. Ora vediamo le nostre foto appese ai muri grigi di questa città in rovina con sotto scritto “Wanted”, “Ricercati”, proprio come per i banditi del Far West. Pazzesco.

Quel pazzo di Rua ha messo una taglia su di noi, diecimila euro, vivi o morti. A me sembra un po’ poco per quattro ragazzi del nostro calibro, ma non importa.

Il perché è molto semplice: perché suoniamo, perché siamo una band, perché eravamo e siamo tutt’ora i Tokio Hotel.

Ricordo ancora i nostri momenti memorabili, quelli di vent’anni fa, quando ancora non c’era tutto questo casino, quando non c’era questa inutile guerra, quando non c’era quel demonio al potere.

Eravamo felici, avevamo la nostra vita, una carriera splendente di fronte a noi, e invece…

«Ricercati, puah», sbuffai sfregandomi le mani.

«Chi se lo sarebbe mai immaginato, eh?», disse Bill, anche lui il volto coperto dalla visiera del cappellino e dalla sciarpa nera che teneva sul collo e la bocca, sdraiato su un vecchio divano logoro.

«Io ho votato contro Rua», disse Georg.

«Amico, è vent’anni che lo dici, e sono vent’anni che ti diciamo che quando c’era da votare noi non l’abbiamo fatto», disse Gustav.

«Non sarebbe cambiato nulla comunque, anche se avessimo votato contro», dissi. «Rua ha riempito tutti di belle parole e poi ha fatto tutto il contrario: voleva unificare il paese, lui! Sì, nelle sue mani.»

«E il bello è che non ci hai mai capito nulla di politica», rise Bill, seppure pianissimo.

Ormai eravamo abituati a sussurrare e a ridere sono quando non ce la facevamo più a trattenerci per non farci scoprire e dover fuggire in cerca di un nuovo nascondiglio, ma quella sera dovevamo festeggiare il nostro compleanno, quindi ci era concesso un po’ di svago.

«E il bello è che hai ragione», sorrisi.

Eravamo chiusi lì dentro da un po’, l’atmosfera si faceva sempre più tesa, i nostri nervi erano sempre tesi in quel periodo. Non potevamo fidarci di nessuno, e la cosa era abbastanza semplice visto che nessuno si fidava di noi e tutti tentavano di catturarci per consegnarci al dittatore per ricevere diecimila insulsi euro.

Una vita non si paga, ma la dittatura è pesante da sopportare, noi lo sappiamo bene, e anche l’impossibile diventa possibile se c’è un pazzo come sovrano.

Sentii un rumore che mi distrasse dalle mie riflessioni, la luce del garage impolverato in cui ci eravamo intrufolati senza chiedere il permesso al proprietario, ovviamente, si accese accecandoci e la serranda quasi arrugginita si alzò pian piano.

Eravamo pronti a scattare e a scappare via, Bill che si definiva il più agile però inciampò e cadde a terra, io la raggiunsi e lo tirai su per un braccio.

Appena la serranda si aprì fino a metà busto uscimmo di sorpresa e colpimmo alle spalle l’uomo di cui era il garage.

«Non si ricorderà niente», ci assicurò Georg, ma dovevamo subito trovare un altro nascondiglio. E avevamo anche lasciato tutte le poche provviste che avevamo all’interno del garage per la fretta di non essere scoperti.

«Fermo, non ti muovere, non c’è tempo», dissi a Bill che già stava andando a recuperarle.

«Ma Tom, come faremo?!»

«Ci arrangeremo, come abbiamo sempre fatto. Non ti preoccupare.»

«Andiamo, dobbiamo sbrigarci.»

Era buio pesto, e questo sicuramente ci aiutava a renderci invisibili in quella notte in cui, ancora una volta, eravamo costretti a lasciare tutto per salvarci la pelle.

Da quando era salito Rua al potere c’erano stati molti cambiamenti, tutti l’uno peggio dell’altro. Mi stupiva di come la popolazione poteva aver creduto ad un uomo crudele come quello, e soprattutto di come non si fosse ancora ribellata.

Ci muovevamo silenziosi, non c’era anima viva in giro, tutti erano rinchiusi nelle proprie case perché dalle sei del pomeriggio alle sei di mattina c’era il coprifuoco, ma anche le guardie dell’esercito quella notte sembravano essere sparite.

Era tutto fin troppo tranquillo per essere al sicuro, sentivo uno strano presentimento.

Pochi istanti dopo, una volta entrati in un vicolo buio e stretto per riprendere fiato, Bill cadde di nuovo a terra finendo fra la spazzatura.

«Che compleanno di merda!», sussurrò adirato, cercando di alzarsi in piedi.

Eravamo tutti cambiati in quei vent’anni, ma non avevamo mai smesso di credere nei nostri sogni, e sapevamo che un giorno saremmo ritornati in pista a suonare e a far divertire la gente, nonostante i nostri strumenti fossero stati bruciati di fronte ai nostri occhi per violazione del Decreto n. 1189: Vietato ogni tipo di svago pubblico o riservato ad un pubblico.

Per questo più di ogni altra cosa noi lottavamo, perché bruciare i nostri strumenti era stato come bruciare i nostri sogni. E non l’avremmo mai permesso.

Gustav era dimagrito molto, Georg aveva una lunga barba incolta, come la mia, Bill non si truccava, non si laccava né tingeva i capelli, diventati ormai biondo scuro naturale, e non si metteva lo smalto da ormai vent’anni, e aveva un aspetto più maturo. Ma dentro eravamo sempre i soliti ragazzi, anche se invecchiati di vent’anni, con una grande voglia di riscattarci e di dimostrarci ancora una volta padroni del nostro destino e della nostra vita.  

Scivolammo sulle pareti e ci strinsimo tutti le gambe al petto, per ridurre anche un minimo quel freddo che ci entrava fin dentro le ossa.

«Ragazzi, è tutto troppo tranquillo per i miei gusti stanotte», sussurrai, gli altri non fecero nemmeno in tempo ad annuire che si sentì uno sparo, poi un altro.

«Lo sapevo io!»

Ci alzammo e iniziammo a correre lungo il vicolo, seguiti da quattro guardie dai vestiti neri e pistole in mano.

Un proiettile mi sfiorò la spalla, facendomi sanguinare, ma non feci niente, non dissi niente, continuai solo a correre, perché se avessi fatto il contrario avrei fatto rallentare tutti, soprattutto Bill, e non volevo che finisse in mezzo a causa mia.

Il bruciore era forte, forse non mi aveva sfiorato e basta, ma stringendo i denti riuscii a stare al passo degli altri e seminammo le guardie, nascondendoci in una vecchia casa che da fuori sembrava disabitata.

Non avevamo nemmeno pensato che dentro ci potesse essere qualcuno pronto a catturarci e a consegnarci a Rua, dovevamo salvarci e quello era l’unico rifugio sicuro che avevamo trovato.

«Tom, ma che hai fatto alla spalla?», chiese Bill preoccupato con il fiatone, al buio, stando in quella che sembrava una piccola cucina con al centro un tavolo di legno.

Stranamente però non c’era odore di polvere, di vecchio, di disabitato, c’era odore di… lavanda, possibile? Forse stavo solo delirando a causa dell’eccessiva perdita di sangue. Era più grave di quanto credessi.

Una porta cigolò e restammo tutti in silenzio, immobili, spaventati.

Quella notte non era proprio delle migliori per noi, e menomale che era il nostro compleanno.

   
 
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