When the time will
come
Run!
Jungkook spostò di lato i capelli resi umidi dal
sudore: la corsa aveva portato ad un beneficio, aveva scaricato tutto ciò che
poteva con fatica, e delle preoccupazioni pesanti davvero era rimasto soltanto
il fiato corto. Inspirava ed espirava controllando l’afflusso d’aria, tenendosi
il fianco con una mano e maledicendosi dell’idea stupida.
Efficace ma stupida.
Era notte inoltrata, aveva raggiunto uno dei parchi che era solito visitare
assieme agli altri nei momenti liberi; altalene, scivoli, la fontana che spruzzava
allegramente getti d’acqua tinti di faretti color arcobaleno… era sparito tutto
quanto, lasciando spazio soltanto al buio. I distributori automatici accanto ai
bagni emanavano l’unica luce sicura presente, e del piacevole ricordo dell’erba
fresca tra le dita non era rimasto nulla, se non un’immotivata soggezione. Si
fermò su un’altalena dal sinistro cigolio metallico: persino quel rumore tanto
familiare sotto i raggi del sole in quel momento era in grado di provocargli
dei brividi.
Meglio così, si disse. Meglio così piuttosto che incontrare Jin
in un tale stato confusionale. Rise teso, si sentiva davvero un idiota e se ne
vergognava pure: la sensazione d’esser scappato via dai propri problemi si
faceva sempre più forte. Lui, che solitamente prendeva la vita di petto
affrontandola a testa alta, non sapeva più come gestire le sensazioni dapprima
flebili che s’erano trasformate in un tumulto trascinante, emotivo, pericoloso.
Aveva timore di sé, di ciò che stava vivendo e di come stava gestendo tutto
quanto: di merda a suo dire. E che gli sarebbe costato parlarne, in fondo?
Tutto.
Ecco perché non l’aveva ancora fatto, ed ecco perché si sentiva
fondamentalmente stupido. Espirò tossendo, l’aria fredda della notte era
penetrata nei polmoni irritandogli la gola durante la corsa, una corsa lontano
da una risposta che negava di voler vedere. Perché lui amava Jin, desiderava averlo accanto, tenerselo stretto tanto
da godere del suo odore, della presenza stessa; voleva poterlo guardare negli
occhi senza vivere nell’imbarazzo di un silenzio volutamente taciuto.
Imposto.
Se ne sarebbe fatto una ragione.
Un brivido lo scosse riportandolo indietro dalla voragine dei suoi stessi
pensieri. L’attenzione venne assorbita dal cellulare che iniziò a vibrare
insistentemente, ed una voce familiare lo incalzò preoccupata.
«Jimin, dimmi, cosa c’è?»
«Devo parlarti. Ora. Dove sei?»
Il ragazzo indicò distrattamente il luogo, si sentiva troppo stanco per poter
tornare subito in dormitorio.
«Jin, hai un momento?»
L’improvvisa quanto insolita apparizione notturna di Taehyung fece sussultare
il giovane, le occhiaie a segnare uno sguardo spento, accigliato. Le labbra
piene strette in una smorfia contrariata palesavano pensieri negativi e
riflessioni inconcludenti. Probabilmente non sarebbe riuscito nemmeno a dormire
quella notte.
«Dimmi, Tae, cosa succede? Se hai fame, beh, mi spiace, non sono in vena di
cucinare nulla a quest’ora.»
«Non è per quello…» esitava, turbato. Aveva promesso di non rivelare nulla, ma
se non l’avesse fatto probabilmente Jin e Jungkook avrebbero raggiunto un punto definitivo di non
ritorno. E lui non voleva questo. Non era questione di equilibrio all’interno
del gruppo, semplicemente non si sentiva di abbandonare quei due testoni a loro
stessi. A parer suo si stavano rovinando da soli. «Non dovrei dirtelo, ma Jimin
ha deciso di spifferargli tutto, ed è appena uscito.»
Jin si gelò sul posto, i pugni stretti sulle
ginocchia. Lo sapeva, sapeva che non avrebbe dovuto fidarsi di lui, era stato
uno stupido sprovveduto. Si alzò di scatto recuperando il cellulare e la giacca
sull’appendiabiti a fianco dell’ingresso, fermandosi soltanto quando l’amico
intervenne un’ultima volta.
«Ho origliato la conversazione al telefono quel poco, ho sentito di un parco
giochi, ma non so niente di più. Mi spiace Jin, mi
spiace per voi.»
L’altro non fece caso al “voi” utilizzato al posto di un più appropriato “tu”.
Era troppo concentrato sul focalizzare il posto da raggiungere, le strade da
seguire per poter arrivare il prima possibile. Doveva scegliere tra due mete in
direzioni opposte e sperare di incontrare Jimin prima del suo arrivo a
destinazione. Uscì sbattendo la porta e cominciò a correre, l’aria a scompigliare
i capelli, la rabbia a muovere i passi illuminati dalla luce dei lampioni.
Doveva fare in fretta, altrimenti l’amico avrebbe rovinato tutto.