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Autore: Juliet8198    16/12/2020    1 recensioni
Choson, 1503
La condizione di principe esiliato aveva portato Yoongi a fidarsi unicamente delle persone che vivano sotto al suo tetto. La cosa, però, in fondo non gli dispiaceva. Erano pochi quelli che tollerava e ancora meno quelli a cui concedeva confidenza. Eppure, per qualche motivo, quando Namjoon si presentò al suo cospetto con quella schiava dalle sembianze tanto inusuali, decise di andare contro i suoi stessi principi.
Il mondo di Diana era cambiato nel giro di istanti. Dall'essere così vicina a scoprire quel meraviglioso impero di cui suo padre le aveva tanto parlato, al ritrovarsi sola e in catene, venduta ad un padrone dall'attitudine fredda e scontrosa. Solo il suo intelletto e la sua conoscenza avrebbero potuto aiutarla nell'impervia strada verso la libertà, costellata di ostacoli, complotti e pericolosi intrecci politici.
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Jung Hoseok/ J-Hope, Min Yoongi/ Suga, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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"Signore... quale grande peccato ho compiuto per meritarmi questo?" 

 

Mentre il suo corpo rimbalzava fastidiosamente sul cavallo, Diana iniziò a sentire i suoi sensi addormentarsi. Aveva la necessità di estraniarsi, di allontanarsi dalle sue fragili membra. Membra che erano state vendute. Per cosa, poi? 

 

"Signore... mi odi?" 

 

Il cuore batteva lentamente, suonava una triste melodia per lei. Si stava spegnendo. Stava perdendo anche quel piccolo briciolo di speranza che le era rimasta. 

 

"È questo il mio destino? È questo che vuoi per me?" 

 

Forse era così. Era destino che diventasse una schiava. Se questo era vero, non aveva alcun senso provare a contrastare ciò che il fato o il Signore volevano per lei. 

 

Il suo corpo sdraiato malamente sul cavallo stava perdendo la presa sulla sua coscienza. Doveva allontanarsi da lì. Dal suo inutile involucro. Da quello che era un essere umano e che stava per diventare una proprietà. 

 

Il sorriso pieno di calore di Chong-eun la trattenne per un momento. Una piccola ancora, che tirava debolmente una grande nave in mezzo alla più violenta delle tempeste. 

 

Lo sapeva? Era stata una sua idea? 

 

Il solo pensiero le dava la nausea. Come poteva una persona così gentile anche solo considerare di venderla? 

 

Che senso avrebbe avuto salvarla, allora? 

 

Perché guarirla, se aveva intenzione di liberarsene? 

 

O forse era stata un'idea di Jimin. I suoi occhi scuri, piccoli ma espressivi, avevano parlato più onestamente di quanto ogni parola potesse fare. Lui. Lui l'aveva tradita. 

 

Perché? 

 

"Perché? Signore..." 

 

La marcia indomita del cavallo si fermò, ponendo fine al fastidioso penzolare del suo corpo, appoggiato di traverso rispetto al dorso dell'animale. Diana si accorse appena delle mani che la afferrarono per la vita, trascinandola violentemente giù dalla sua scomoda posizione e ponendola sulla larga spalla di un uomo. 

 

Non emise un suono. Non un lamento. Non un grido. 

 

A cosa sarebbe servito, se non a farla sentire ancora più patetica? 

 

Nessuno avrebbe risposto. 

 

Non lo avevano fatto le persone che la amavano. 

 

Non lo aveva fatto la persona che l'aveva salvata. 

 

Di certo, nessun altro lo avrebbe fatto in quel momento.

 

Il suo corpo, dopo un breve tragitto, fu finalmente scaraventato a terra. Mentre delle voci discutevano concitatamente, Diana rimase immobile sulla superficie di legno sotto di lei, strofinando appena i polsi. Le corde che li circondavano stuzzicavano fastidiosamente le cicatrici ancora fresche delle piaghe che le avevano precedute. 

 

Quando il sacco fu sollevato dalla sua testa, la prima cosa che i suoi occhi videro fu il volto corrucciato di un giovane. Non doveva avere molti più anni di lei, eppure era seduto fieramente, con il petto dritto e lo sguardo irremovibile. 

 

La giovane abbassò la testa. 

 

Doveva sopravvivere. Anche senza la sua dignità. 

 

La voce calma ma imperiosa dell'uomo sembrò rivolgersi verso di lei. Naturalmente, non capiva che cosa le stesse chiedendo. Abbassò ancora di più la testa, chiudendo febbrilmente le palpebre per placare il bruciore agli occhi. 

 

-Riesci a capirmi? 

 

Il suo volto scattò verso l'alto, illuminandosi di una flebile, ingenua speranza. I suoi occhi incontrarono quelli adombrati del giovane, che la fissava con un'espressione dubbiosa. 

 

-Sì. Parlo la lingua dell'impero.

 

Quando il suo interlocutore annuì soprappensiero, le sfuggì un sospiro dalle labbra. Qualcuno che poteva capirla. Qualcuno con cui poter comunicare. 

 

Nel momento stesso in cui quei pensieri entrarono nella sua mente, Diana serrò gli occhi.

 

"Stupida. L'unica persona che ti può capire è la persona che ti possiede." 

 

-Qual'è il tuo nome? 

 

La ragazza tornò a guardare il giovane uomo, incontrando brevemente i suoi occhi tempestosi, dal taglio affilato, per poi scendere sui lunghi capelli scuri che gli raggiungevano il petto abbronzato. 

 

-Diana. 

 

Per un momento, le sue mani si protesero in avanti, prima di bloccarsi. 

 

"Sopravvivi." 

 

"A qualsiasi costo."

 

Serrò la mandibola, ingoiando ogni pensiero che le urlava di non piegare la testa. Infine, fece scivolare le mani in avanti, abbassandosi fino a raggiungere il legno del pavimento e congiungendo le punte delle dita davanti  alla sua fronte. 

 

La forma più profonda di inchino che conosceva. 

 

-Alza il capo. 

 

Esitante, Diana obbedì, riportando la testa dritta e gli occhi incerti sul giovane. 

 

-Non sarò io il tuo padrone. Inoltre, dovrai imparare ad inchinarti alla nostra maniera. Come avrai notato, non siamo nell'impero.

 

Dopo aver terminato la frase, si voltò verso due dei tre uomini che l'avevano portata via, impartendo brevi ordini con tono grave e sguardo pesante. Quando lasciarono la stanza, sospirò, riportando gli occhi su di lei. 

 

-Non tratto schiavi. Non sono parte del mio mercato. Il mio assistente, però, è stato... un po' troppo zelante. 

 

Diana lo guardava con ansiosa aspettazione, impaziente che continuasse a parlare.

 

Che cosa voleva dire questo per lei? 

 

Si sarebbero semplicemente liberati della sua inutile presenza? 

 

Non l'avrebbero venduta? 

 

Il giovane emise un altro sospiro, strofinandosi gli occhi con gesti lenti e stanchi. 

 

-Pensava che vendendoti al re avremmo ricavato una somma cospicua, date le tue... sembianze singolari. 

 

La mandibola dell'uomo si contrasse brevemente, rendendo gli angoli del suo viso più spigolosi, benché non eccessivamente aspri. Le sue labbra si incurvarono verso il basso. 

 

-Ma non ho intenzione di seguire il suo suggerimento. Domani verrai condotta al cospetto di una persona molto importante, perciò dovrai mantenere un atteggiamento rispettoso e dignitoso e pregare che ti prenda. È la tua migliore occasione, al momento. 

 

Diana, senza replicare, annuì scuotendo semplicemente il capo. Non sapeva se quelle parole volevano dire che il giovane stava cercando in un qualche modo di aiutarla, ma sapeva di non avere alternative. 

 

-Ti farai un bagno e verrai vestita in maniera consona. Dopo di ciò, ti insegnerò la base dell'etichetta che dovrai tenere davanti alla persona che domani incontrerai. Che cosa sei in grado di fare? 

 

La giovane aveva seguito con attenzione ogni parola, mantenendo lo sguardo sul petto dell'uomo, avvolto in un abito molto simile a quello indossato dai nobili dell'impero cinese. Non era di una fattura tanto sopraffina da lasciare intendere un rango alto nel suo possessore, ma era abbastanza raffinato da suggerire uno stato di benessere. 

 

-So leggere e scrivere nella lingua dell'impero, oltre che fare di conto. So suonare il guzheng e conosco le basi per suonare la pipa. So anche preparare il tè.

 

Il giovane piegò il capo di lato. 

 

-Non certo doti da serva...- mormorò a fior di labbra.

 

-Dopo cena allora mi preparerai del tè. Mi servirà a giudicare quanto chiedere quando ti presenterò domani. 

 

Diana annuì brevemente, chinando il capo e appoggiando lo sguardo sul pavimento. 

 

 

 

Non appena la conversazione con il giovane uomo fu terminata, una donna dalla schiena curva e i capelli interamente tinti dall'argento della vecchiaia entrò nella stanza, facendole segno di seguirla. Mentre la piccola figura la conduceva lungo uno stretto corridoio, poté constatare come la casa in cui si trovasse fosse notevolmente grande rispetto al piccolo ambiente in cui la famiglia di contadini viveva. Nel breve tragitto che compì, poté notare almeno quattro porte scorrevoli, chiuse su ambienti di cui poteva solo immaginare l'ampiezza. 

 

Quando la donna la fece entrare dentro all'ultima stanza del corridoio, la giovane incontrò una grande vasca scavata nel legno del terreno. L'anziana le prese i polsi, sciogliendo con lenta accuratezza le corde che li tenevano costretti, e la spinse dietro a un paravento, muovendo le mani e incitandola, probabilmente, a spogliarsi. 

 

L'acqua nella vasca conservava un piacevole tepore che le sciolse le membra dalla loro rigidità, causata dal freddo che vi si era infiltrato nel corso dei giorni passati a lavorare. Gli aromi disciolti all'interno le abbracciarono la mente, cullandola in un confortevole bozzolo che allontanò, per qualche istante, l'angoscia incastrata nel suo cuore. Mentre la donna aveva preso a strofinarle energicamente i capelli con le dita rattrappite, chiuse gli occhi. L'aria intorno a lei profumava di fiori e di legno di acero, un aroma che sapeva bene essere fra i più pregiati in tutto l'Oriente. 

 

Era stanca. 

 

Stanca, però, non era una parola che poteva catturare completamente il sentimento di smarrimento, unito all'angoscia e l'impotenza che avevano preso le redini della sua coscienza. Perciò, sotto alle mani sapienti dell'anziana donna, lasciò scivolare via i suoi pensieri come gocce di rugiada che cadono dalle foglie. 

 

Anche solo per poco, aveva bisogno di essere libera. 

 

Aveva bisogno di avere la mente limpida. Chiara come l'alba.

 

Quando fu strappata dal conforto dell'acqua calda e delle mani gentili che le percorrevano il corpo, Diana fu aiutata a indossare una bizzarra combinazione di abiti. Le fu infilata una lunga gonna di seta rigida, che si gonfiava intorno al suo corpo come una campana. Poi, le venne chiusa sul petto una camiciola corta, che arrivava appena a coprirle la vita. Infine, i suoi lunghi capelli furono attentamente acconciati in una crocchia stretta, fermata da un'ornamento in oro incastonato di perle che voleva imitare un ramoscello di fiori di pesco. 

 

Fu condotta in una stanza diversa, dove era steso un basso materasso su un piano di legno rialzato dal terreno, e fu lasciata lì dalla donna. Diana non poté fare a meno di pensare a come quell'unico ambiente fosse grande quanto l'intera abitazione della famiglia di Chong-eun. Quel solo pensiero fu in grado di intorpidire nuovamente le acque della sua mente. Come una scura goccia di inchiostro che veniva lasciata cadere dentro un bicchiere d'acqua, quel singolo, semplice pensiero iniziò a macchiare di oscurità tutto ciò che la circondava. 

 

Chong-eun.

 

La persona che l'aveva curata con tanta gentilezza. 

 

E prima di lei Mei Lin, che l'aveva aiutata a scappare. 

 

E prima di quello... la libertà. 

 

L'oscurità fu brevemente interrotta nel suo cammino quando le fu portata la cena. Benché il suo fisico fosse in migliori condizioni rispetto a quando si trovava nel carro con le altre donne, il corpo di Diana non riuscì a mangiare tutto il cibo che le era stato portato. Le cinque portate erano troppo per lei che, da settimane ormai, mangiava porzioni scarne e condivise con altri affamati.

 

Nel momento in cui ebbe terminato la cena, la donna anziana le fece nuovamente segno di seguirla e, in poco tempo, la fece arrivare in quella che doveva essere la cucina. Ponendole davanti una teiera bassa e composta di ceramica scura, le indicò una serie di giare contenenti foglie essiccate. 

 

Se n'era dimenticata. Doveva preparare il tè per il giovane signore della casa. 

 

Si avvicinò alle giare e iniziò a prendere una manciata di foglie da ognuna, annusandone attentamente l'aroma. C'erano molte tipologie diverse, alcune mescolate anche a fiori essiccati. Scrutando ogni contenitore, meditò per qualche istante. 

 

Il tè era un'arte. La più sublime, secondo il maestro Jian. E pure la più difficile da affinare. 

 

Non era questione di infondere il tè nella maniera corretta. Bisognava creare un'opera che potesse compiacere completamente il palato dell'assaggiatore, anche senza conoscere quali fossero i suoi gusti. 

 

Non era una battaglia di strategie. Non si poteva insegnare. Era una sensazione sulla punta della coscienza che suggeriva solo ai migliori quale fosse l'aroma che parlasse della persona che lo avrebbe assaggiato. 

 

Diana contemplò le sue possibilità, prima di far cadere l'occhio su un vaso di terracotta, contenente del riso ingiallito. 

 

Ne prese qualche chicco e se lo mise in bocca, assaporandone il lieve retrogusto salato. Incurvando le labbra, ne afferrò una manciata e la lasciò cadere nella teiera. 

 

 

 

Nel momento in cui fece il suo ingresso con il vassoio carico di teiera e tazza, lo sguardo affilato del giovane la scrutò con insolita intensità. Diana tenne gli occhi bassi mentre si avvicinava cautamente al corpo seduto e poggiava il vassoio al pavimento, con lenti movimenti misurati in modo da non causare rumore. 

 

-Toglitelo. 

 

Il tono aspro tinto da una punta di ira fecero sollevare di scatto gli occhi della giovane. 

 

-Cosa? 

 

Le sue sopracciglia si incurvarono, aggrottandosi a causa della confusione che regnava nella sua mente. Cosa aveva fatto di sbagliato? 

 

-Togliti quell'ornamento che hai nei capelli. Non so perché ti sia stato dato, ma non puoi indossarlo- ringhiò con tono basso il giovane. 

 

Rapidamente, la ragazza estrasse il ramoscello dorato dalla crocchia sulla sua nuca e lo pose nelle mani del signore. Questo afferrò l'oggetto come un rapace che artiglia la preda, infilandolo freneticamente all'interno della sua veste e fuggendo dallo sguardo confuso della ragazza. 

 

Questa, esitante, afferrò il manico della teiera e, reggendo il coperchio con la punta delle dita, versò il contenuto nella tazza di ceramica chiara. Con le sopracciglia corrugate, il giovane prese l'oggetto e ne osservò il contenuto. 

 

-Ti è per caso cascato del riso nel mio tè? 

 

Diana abbassò gli occhi, con le labbra che tremavano. 

 

-No, mio signore. Vi prego di provarlo, ho pensato all'aroma che potesse meglio rappresentare la vostra persona. Si tratta di un tè nero che ho arricchito con del riso tostato. 

 

Lo scetticismo era evidente nel viso dell'uomo mentre continuava a rigirare il liquido nella tazza ma, dopo qualche istante, vi bagnò le labbra. 

 

La ragazza attese. Voleva mantenere lo sguardo pudicamente basso, ma non poté trattenersi. Alzò gli occhi per osservare ansiosamente l'espressione del giovane. Lo vide assaporare il tè attentamente, passandolo da una parte all'altra della bocca prima di ingoiare e prendere un'altra sorsata. 

 

Una volta che la tazza fu vuota, si portò una mano davanti alla bocca. Nonostante il gesto, Diana pensò di poter intravedere il principio di una smorfia soddisfatta agli angoli delle sue labbra.

 

-Molto bene. Potrò strappare una bella cifra a quel bonzo recluso.

 

 

ANGOLO AUTRICE

 

Dunque, di solito aspetto l’ultimo capitolo per fare i ringraziamenti individuali, ma mi sento di iniziare già adesso perché il numero di persone che salvano la storia continua ad aumentare e io *.*

 

Perciò molto brevemente ringrazio chi ha messo la storia nelle preferite 

 

Alohomorra_

CalamityClaire (che ringrazio anche per la recensione)

Cloeferry

Emi94

Jungkook004

 

E chi l’ha messa nelle preferite 

 

Aperonzina (sempre nel mio cuore)

JCMA

LadyTsuky

mairaderosa000

_purcit_

 

Grazie piccole personcine adorabili <3 

 

Ok, aggiungiamo anche le note su due aspetti citati in questo capitolo. 

 

La pipa è un liuto cinese, molto semplicemente. 

 

Per quanto riguarda la scena della vasca da bagno, perdonatemi ma sono andata ad istinto perché purtroppo non sono riuscita a trovare la struttura di una casa tradizionale coreana perciò ho pensato di ispirarmi al modello giapponese dell'ofuro. Se qualcuno di voi è più informato di me in materia, sentitevi liberi di dirmelo e mi correggerò subito. 

 

Infine... siete pronti? Al prossimo capitolo il tanto atteso ritorno del nostro caro male lead! Allacciate le cinture!

   
 
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