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Autore: Lady I H V E Byron    27/12/2020    1 recensioni
(DescendantsXKingdom Hearts crossover)
Auradon è stata distrutta da creature oscure chiamate Heartless: i sopravvissuti decidono di divenire custodi dell'arma chiamata Keyblade per difendere ciò che è rimasto loro. Ma dovranno superare una prova...
(Un AU in cui gli eventi ed i personaggi di "Descendants" si incrociano con quelli di Kingdom Hearts. Un AU dove i personaggi di Descendants hanno vissuto nei mondi dei loro genitori fino ad essere condotti o abbandonati da essi su Auradon o nell'Isola degli Sperduti. Un AU dove Auradon non è un regno, ma un mondo. Un AU in cui, ad ogni capitolo, verrà raccontata la storia di ognuno dei personaggi principali di Descendants.)
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Organizzazione XIII, Riku, Sora, Terra, Yen Sid
Note: AU, Cross-over, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Note dell'autrice: eeee.... I pirati sono finiti!

 

Gil's Dive Into The Heart

https://www.youtube.com/watch?v=yq_9-uJOCGs
 

Gil aprì gli occhi quasi di scatto.

Stava sprofondando nel buio. Lentamente.

Quel luogo era immenso. Era impossibile vederne l'inizio o la fine.

“Non riesco a muovermi...” pensò, guardando in alto con aria spenta.

Sembrava star sprofondando in acqua. C'era una flebile luce in alto, distorta, come se fosse effettivamente in acqua.

Si guardò le mani: un'altra luce ne stava illuminando i dorsi.

Una forza misteriosa lo fece girare verso il basso.

Una piattaforma di vetro. Il colore dominante era il marrone, il suo preferito.

C'era lui, raffigurato con gli occhi chiusi. Con Uma, Harry, e Ben. Anche LeTont. Ma c'erano anche sua madre, Laurette, le sue zie Claudette e Paulette. Ed i suoi cugini Gaston II ed Egaston.

Esattamente come li ricordava.

Atterrò su quella piattaforma dolcemente.

Poteva di nuovo muoversi.

La prima cosa che fece fu osservare quella piattaforma: gli faceva uno strano effetto vedere immagini di se stesso.

-Però, chiunque sia stato a crearla, ha colto ogni particolare del mio volto.- commentò, toccandosi la mandibola, paragonandola al ragazzo raffigurato sotto di sé, sorridendo lievemente.

Un po' di vanità non guastava mai. Glielo aveva insegnato Harry.

-Quindi... ora che devo fare?-

Gil procedeva, guardando in basso, osservando i volti delle altre persone sulla piattaforma.

-Cos'è che aveva detto Yen Sid...? “Possa il tuo cuore essere la tua chiave guida”? No, quella era l'altra cosa. Che prove aveva detto che avremmo dovuto superare? Ma lo avrà detto?-

Solitamente, erano Harry ed Uma a ricordargli i suoi compiti. Senza di loro, era spaesato.

Non eccelleva in furbizia od intelligenza. Ma era una spalla affidabile.

Erano gli altri a dirgli cosa fare. Da solo non era in grado di prendere decisioni importanti.

E quando era in questo stato, era solito mettersi a sedere.

-Che faccio? Devo rimanere fermo?- disse, per tenersi compagnia; si sentiva a disagio; ma soprattutto solo.

Scattò in piedi, dallo spavento: dal nulla era apparsa una persona.

-Harry?!-

Harry.

Da un certo punto di vista, il suo primo amico.

Uma li aveva salvati entrambi da una morte per annegamento. Entrambi le dovevano la vita.

-Bello, che ci fai qui?- domandò, ancora sorpreso, Gil -Non dovresti fare anche tu il Tuffo nel Cuore? O hai già finito?-

La seconda opzione non lo avrebbe sorpreso: Harry era sempre un passo in avanti a Gil. Ma non ne era mai stato invidioso.

Harry non rispose. Lo fissava, senza sbattere le palpebre.

Poi le sue labbra si mossero.

-Di cosa hai più paura?-

-Eh?-

Pensò per un attimo, cercando la risposta. Erano varie le sue paure.

Se fosse stato un ragazzo più sveglio ed intelligente, si sarebbe posto delle domande su quella domanda, specie se era una persona amica ad avergliela pronunciata.

-Beh, sentirmi inadeguato in ogni cosa che faccio.- rispose, infatti.

La risposta era sincera; Harry, infatti, svanì.

-Ehi! Torna qui!-

Era rimasto di nuovo solo.

La piattaforma tremò un attimo dopo.

-Che succede?!-

Il bordo cominciò a frammentarsi. E stava raggiungendo il ragazzo.

-Oh-oh.-

Cadde di nuovo nel vuoto.

Non urlò. Era paralizzato.

Guardò in basso: c'era un'altra piattaforma raffigurante se stesso.

Era identica alla prima.

Atterrò nel medesimo modo in cui era atterrato nel precedente.

-Wow! Che volo!- esultò, con la tipica scarica di adrenalina da scampato pericolo -Voglio fare un altro giro!-

L'euforia cessò dopo un attimo. Doveva tornare alla prova.

Notò un'altra persona, al centro della piattaforma. Un uomo molto basso, dai denti sporgenti e dal naso enorme.

-Z-zio LeTont?!-

Forse l'unica persona del suo mondo d'origine cui sentiva la mancanza. L'unico a non averlo mai preso in giro solo perché non assomigliava al padre Gaston. A differenza dei cugini, della madre e degli altri clienti della taverna, che invece lo discriminavano ed allontanavano, per tale motivo.

Amava come raccontava le storie sul padre, l'enfasi, l'ammirazione che vi metteva, per animarle.

-Cos'è più importante, per te?- domandò.

-Ehm...- di nuovo rifletté, senza domandarsi il motivo di quelle domande; lui procedeva e basta -Beh, mi basta che Uma ed Harry non mi abbiano mai abbandonato, nonostante i miei momenti di goffaggine. Oh, e naturalmente divenire amico in tutto e per tutto con Ben.-

I padri di entrambi amavano la madre di uno di loro. Avevano iniziato una lotta per amore, divenendo rivali.

Ma i figli non dovevano per forza seguire le loro orme e divenire nemici a loro volta.

Ben si stava aprendo con Gil, pian piano rendendolo il suo confidente. Si confidava e sentiva che era più libero di parlare con Gil più dei suoi amici Audrey e Chad. Persino più di Mal.

E Gil amava la compagnia di Ben, forse più di Uma ed Harry, perché non si aspettava nulla da lui, nemmeno gli dava degli ordini. Lo trattava da pari.

Stavano diventando amici. E Gil avrebbe davvero apprezzato poter coltivare quell'amicizia.

Anche LeTont svanì, come aveva fatto Harry.

-Ehi, perché le persone svaniscono? Non è educato!-

Non ottenne alcuna risposta. La piattaforma tremò di nuovo, si frammentò, e lui cadde.

Sotto di lui lo stava attendendo un'altra piattaforma. Ed un'altra persona.

Stavolta una ragazza dai capelli acquamarina.

-Uma?!-

Era ferma, con lo sguardo fisso su di lui, come era successo con Harry e LeTont.

Provava per lei un sentimento che andava oltre l'amicizia. Era in debito con lei. Gli aveva salvato la vita. Da allora non aveva fatto altro che seguirla ed esserle fedele. E supportarla in ogni battaglia che combatteva.

Quello che provava per lei era ammirazione.

Ma non si aspettava di trovarla lì di fronte.

-Anche tu qui?- domandò, quasi ridacchiando, confuso -Tu ed Harry avete già finito la vostra prova? Aspetta, non è che anche tu mi fai una domanda e poi sparisci?-

Quella vera, innanzitutto, avrebbe detto “Esatto, così mi chiamo.”, non appena il ragazzo aveva pronunciato il suo nome.

Ma la ragazza di fronte a lui era rimasta in silenzio.

-Cosa ti aspetti dalla vita?-

Proprio come Gil temeva.

-Ancora domande? Ma basta!- protestò, infatti, quasi sbuffando; ma poi rispose -Poter dimostrare che posso essere meglio dei miei cugini! E anche di mio padre!-

Lo aveva detto con tono determinato, e con il pugno stretto.

L'invidia che provava per i due cugini Gaston II e Ginette era ancora tanta.

Fin da bambino veniva paragonato a loro. Tutto perché non assomigliava al padre.

Loro potevano permettersi di fare tutti gli errori che volevano, ma venivano sempre perdonati, a causa proprio della loro notevole somiglianza con il padre Gaston.

Se era Gil a commettere degli errori, tipo pulire male il pavimento, far cadere un piatto o un boccale, veniva punito con il bastone, spesso dalla madre, e tutti i clienti della taverna gli ridevano dietro.

Pensava che con il suo “esilio” nell'Isola degli Sperduti, quel rancore sarebbe svanito. Ma si era solo affievolito.

Era rimasta solo una scintilla di quei sentimenti negativi.

Ma ancora accesa.

Era immerso nei suoi pensieri.

Poteva cadere di nuovo e non accorgersene. Non si era nemmeno accorto che persino Uma era svanita nell'etere.

Ma era comparso qualcos'altro, di fronte a lui.

Due guanti di ferro, lunghi dall'avambraccio fino a metà falange. Di cui uno provvisto di lame che ricordavano un paio di corna d'alce.

Alzò lo sguardo, finalmente notandole.

Sorrise, allungando una mano.

-Che belli... cosa sono?-

Una voce lo immobilizzò.

Sei a metà del tuo viaggio, Gil. Il viaggio per superare la tua invidia e la tua inadeguatezza verso i tuoi cugini.”

Gil rimase immobile dalla sorpresa per qualche secondo. Mise un dito dentro l'orecchio, come se volesse liberarlo da un eccesso di cerume.

-Ok, sono rimasto qui troppo a lungo. Sto impazzendo.- mormorò, continuando a grattare -Dopo le persone che svaniscono, ora sento persino le voci...-

Non è una tua impressione.” continuò la voce; una voce dolce, rassicurante “L'accettazione di se stessi è una sfida ardua. Ma non temere. Tu non sarai da solo, in questo viaggio. Hai conosciuto delle persone, in questi anni, che ti hanno accettato per quello che sei, non per quello che vorrebbero tu fossi.”

Uma. Harry. E Benjamin.

I primi due, sì, non erano rare le loro imprecazioni per le sue goffaggini, ma almeno non lo avevano allontanato ed abbandonato. Anzi, non lo avrebbero mai ammesso, ma trovavano i suoi modi goffi ed impacciati divertenti e gradevoli. E tenere il morale alto in un gruppo era un compito importante tanto quanto lo era guidarlo e mantenere l'ordine.

E con Benjamin stava instaurando un legame genuino di amicizia, proprio perché lo apprezzava per quello che era.

Queste amicizie erano genuine, non fasulle come quelle tra i cugini ed i clienti della taverna, basate sulla mera somiglianza tra loro ed il padre Gaston.

Grazie ai suoi amici, infatti, Gil aveva iniziato ad avere più fiducia nelle sue capacità.

Sentiva di doversi tenere strette quelle sensazioni.

Si mise la mano sul cuore.

-Come faccio ad andare avanti?- domandò -Mica devo cadere di nuovo?-

Apparve una porta, accanto a lui.

Prosegui. Oltre questa porta ti attende la tua vera prova.”

Una porta. A due ante.

Sembrava una porta come tante altre. Ma senza muri su cui poggiare.

Gil guardò persino dietro.

Era come appariva di fronte.

Ma inarcò comunque gli angoli della bocca verso il basso.

-Beh, entriamo.-

Spinse su una delle ante.

-Ah! Troppa luce! Mi ha accecato!-

Uno spiraglio di luce, infatti, gli aveva colpito un occhio marrone, spingendolo a coprirsi gli occhi con un avambraccio.

Ma la luce sembrava filtrare persino dal suo braccio, da quanto era brillante.

-Ok... al tre mi fiondo dentro. Uno... due... due e mezzo... due e tre quarti...- inspirò e poi espirò, senza rimuovere il braccio dagli occhi -E... TRE!-

Saltò dentro la luce.

Il salto durò un attimo.

La luce tornò normale.

Gil annusò qualcosa nell'aria. Un odore familiare.

E quell'aria fredda e pungente che quasi gli tagliava la pelle...

Aprì gli occhi.

Il cielo era coperto da nuvole grigie.

Notò un castello, tra la nebbia, costruito su un promontorio.

Si voltò indietro: alle sue spalle c'era solo una foresta. Una fitta distesa di alberi.

L'unica cosa che univa la foresta ed il castello era un ponte. Ed uno strapiombo che dava sul fiume.

Gil sentì il suo cuore sobbalzare.

-Ma questo è...!- esclamò, impallidendo -Il mio mondo!- osservò il castello -Quello è il castello di Ben! E qui è dove...-

Si sporse sullo strapiombo.

-Sono caduto... quattro anni fa...-

Un ricordo balenò nella sua mente: lui che precipitava verso il fiume.

La sensazione di vuoto che gli comprimeva lo stomaco. Rabbrividì a quel ricordo.

In cui era così vicino alla morte.

Se Uma non fosse accorsa in suo aiuto, salvandolo dall'annegamento.

Non era ancora giunta la sua ora.

-Ah... se solo fossi stato meno sbadato e curioso...-

Non è stata colpa tua.”

Gil sobbalzò di nuovo. La voce di prima era tornata.

Per poco non cadde di nuovo nel precipizio. Per fortuna, si era tenuto a debita distanza dal bordo, anche quando si era sporto. In quei quattro anni era cresciuto di statura. Non aveva più bisogno di avvicinarsi al bordo per vedere il fiume.

-C-cosa?- disse, incredulo, guardando in alto, cercando il punto da cui la voce potesse essere provenuta -Che vuoi dire?-

Il tuo cuore sa come sono andate veramente le cose, quel giorno. Ascoltalo ed osserva la verità.”

-Ascoltare il mio cuore? Ma come?-

Prima di iniziare la prova, Yen Sid aveva pronunciato una frase ai profughi di Auradon.

-Possa il vostro cuore essere la vostra chiave guida.-

Gil ancora ignorava il suo significato.

E cosa intendeva la voce con “Il tuo cuore sa la verità”?

Lui era scivolato ed era caduto nel precipizio. Cosa c'era da scoprire?

C'era forse altro dietro?

Notò qualcuno avvicinarsi. I suoi passi erano sempre più forti.

Un ragazzino di dodici anni. Lui quattro anni prima.

Gil aprì la bocca dallo stupore. Si aspettò che se stesso lo notasse e si spaventasse.

Ma gli passò attraverso.

Gil guardò in basso, sgomento, toccandosi il torace.

“Sono diventato un fantasma?!” pensò, voltandosi verso se stesso. Era chino in avanti, osservando il fiume sottostante: era il giorno in cui era caduto. Quello stesso giorno, i suoi cugini gli avevano proposto la prova di coraggio, scendere per quello strapiombo per ritrovare il loro padre.

Lui avrebbe fatto di tutto per ottenere il rispetto che avevano Gaston II e Ginette.

Voleva dimostrare al villaggio di essere anche lui il degno figlio di Gaston.

In realtà, aveva paura. Ma voleva comunque provarci.

Gil provò un lieve imbarazzo a rivivere quel ricordo.

Tuttavia, udì altri passi.

Due persone.

La luce rivelò i loro volti: Gaston II e Ginette!

Gil impallidì. Poi si voltò di nuovo di scatto verso se stesso.

I due cugini erano sempre più vicini. E lui non si era accorto di nulla, immerso come era nei suoi pensieri!

Un pensiero balenò nella sua mente. Un'epifania. Intuì cosa sarebbe accaduto.

-No...! No!!!-

A Gaston II era bastato un dito per spingere il piccolo Gil verso il vuoto.

Il Gil reale corse verso il baratro, osservando se stesso cadere.

Poi osservò di nuovo i due cugini, che ridevano, dandosi il cinque, soddisfatti.

-Ci siamo finalmente liberati di lui...- sibilò, infatti, Ginette.

Gil sentì le gambe cedere, il cuore battere forte, ed il respiro mozzarsi.

Non era scivolato. Era stato spinto!

Dai suoi cugini!

Sapeva di non essere amato da loro, che non lo avrebbero mai trattato come loro pari, ma questo... non se lo sarebbe mai aspettato.

Figli di uno stesso padre. Questo doveva renderli fratelli. Ma di madri diverse, tra loro sorelle, e questo li rendeva anche cugini.

Ma per Gaston II e Ginette, Gil non era nessuno dei due. E quel sentimento era ricambiato.

Era caduto sulle sue gambe, con il cuore colmo di tristezza, delusione, rabbia. Era stato pugnalato alle spalle dalla sua famiglia.

Aveva definitivamente capito di essere solo.

Doveva piangere, per sfogare quei sentimenti, ma non ci riusciva.

Strinse solo una mano per terra, raccogliendo un mucchietto di terriccio.

Era palese la rabbia nei suoi occhi. Si poteva persino scorgere un alone giallo, nelle sue iridi marroni.

Ma era subito svanito, come una nuvola di fumo al vento.

-Mi odiavano così tanto...- mormorò, mordendosi il labbro inferiore -Da farmi questo?!-

La terra scivolò dalla sua mano, non appena la sollevò.

Per sfogare la rabbia, batté quella mano per terra.

Poi alzò di nuovo lo sguardo. Non era più nei pressi del ponte del castello.

Era tornato al villaggio.

-Non capisco...- mormorò, alzandosi in piedi, basito -Come ho fatto dalla foresta a finire qui? Senza fare un passo, tra l'altro?!-

Si accorse di essere proprio nella taverna dove lavoravano sua madre e le sue zie.

Un luogo per lui colmo di brutti ricordi. Insulti, umiliazioni, violenze.

Mentre i suoi cugini venivano adulati e riveriti. Perché loro assomigliavano a Gaston. Lui no.

Era stranamente buio. Nessun cliente. Nessuno al banco. Né sua madre Laurette. Tantomeno le sue zie Claudette e Paulette.

E tutta la taverna era stata messa a soqquadro: tavoli rovesciati, sedie spezzate, boccali ovunque.

L'unica fonte di luce proveniva dal camino.

Il lato dedicato a Gaston ed ai suoi trofei di caccia. Un punto che Gil un tempo venerava.

LeTont amava indicare uno degli animali affissi al muro e raccontare la storia di come Gaston lo avesse catturato.

E quel quadro... ancora in buono stato, nonostante la rovina in cui era caduta la taverna. Suo padre, con la spingarda in mano, posa fiera e testa alta, con i lunghi capelli corvini al vento.

Era sempre stato un'ispirazione, per Gil, da quando era bambino. Desiderava essere come il padre, avere il suo fascino, la sua sicurezza. E tanti ammiratori che lo invidiavano per le sue qualità.

E lo desiderava ancora.

-Non farti illusioni.-

-Non sarai mai come lui.-

Due voci. Molto familiari.

Gil impallidì.

Dall'ombra della taverna, infatti, spuntarono due figure, uno praticamente la copia dell'uomo nel ritratto, l'altra una ragazza molto bella, ma dallo sguardo velenoso.

Gaston II e Ginette.

I suoi fratelli. I suoi cugini.

I rei della sua caduta nel vuoto quattro anni prima.

-Voi...- sibilò Gil, serrando le labbra e stringendo i pugni -Voi... volevate uccidermi!-

Entrambi si mostrarono indifferenti alle sue parole. Si permisero persino di fare spallucce.

-E quindi?- fece Gaston II -Il debole deve soccombere. È la legge della natura.-

-Niente di personale, caro Gil...- aggiunse Ginette -Ma i parassiti devono essere eliminati. Tu eri semplicemente di troppo nella nostra sfera.-

Insolenti e prepotenti. Proprio come li ricordava.

-E questo giustifica quello che mi avete fatto?! Solo perché non mi ritenevate utile?!-

-Gil, nessuno ti amava, chiaro?- le parole di Gaston II confermarono quello che Gil sapeva da sempre -Fidati, nessuno ti ha pianto, quando ti abbiamo spinto. Ovviamente, lo abbiamo fatto sembrare un incidente.-

Ginette si mise in una posa drammatica.

-“Oh, il nostro caro Gil è scivolato ed è caduto proprio nello stesso punto dove è morto nostro padre! Non siamo riusciti a salvarlo in tempo! Oh!”-

Essendo una donna, le riusciva sempre bene fare la drammatica. Poi sorrise in modo malefico.

-E tutti hanno alzato i boccali!-

Non mancava a nessuno, nel suo mondo. Non lo sorprese così tanto.

Sperava, almeno, di mancare a LeTont. Ma non lo avevano citato.

Ma abbassò comunque lo sguardo, perché sapeva che tra le persone che avevano festeggiato alla sua dipartita ci sarebbe stata anche la madre Laurette. La sua stessa madre. Che per prima lo disprezzava.

Si rivolse verso il camino, per non dover vedere i volti sorridenti dei due cugini. Ma udiva comunque le loro risate di derisione.

-Andiamo, non te la prendere. In fondo, non assomigli a nostro padre.-

-Era logico che non saresti stato niente. Non è tutta colpa tua.-

Il loro stesso padre. Gaston.

Gil alzò di nuovo lo sguardo, verso il ritratto.

Lo sguardo e la posa fiera.

E Gaston II e Ginette avevano i suoi tratti.

Mentre lui veniva considerato e trattato come una nullità, perché non gli somigliava.

Non era niente.

O così aveva sempre pensato.

Prima della caduta.

Prima di Uma ed Harry. Prima di Benjamin.

-E voi, invece?-

La sua voce era tremante.

I due cugini smisero di ridere. Ma non di sorridere con prepotenza.

-Scusa, Gil, hai detto qualcosa?- domandò Gaston II.

In passato, Gil non avrebbe detto nulla, intimidito da quel tono.

Ma non era più il ragazzo che era un tempo. Era cambiato. Era cresciuto.

Si voltò, osservando i cugini con le labbra serrate.

-E voi, invece?- ripeté, a voce più alta -Davvero credete di essere qualcuno? Di valere qualcosa? Solo perché siete uguali a nostro padre?!- si voltò di nuovo verso il quadro -Da quando ero bambino, non facevo alto che desiderare di divenire come lui, forte, fiero, bellissimo. Ma voi mi avete fatto capire che non sarebbe mai stato possibile! Ma io non avevo mai perso la speranza! Questo quadro... era la mia ragione di vita...- era abbastanza alto da afferrare la cornice; cominciò a tirare -Ma è stata anche la mia rovina!-

Gaston II e Ginette apparvero preoccupati, allarmati.

-Fermo!-

-Che stai facendo?!-

Gil stava staccando il dipinto dal muro. Era pesante, ma riuscì a sostenerlo.

-Ogni giorno speravo di poter assomigliare ad uno stupido dipinto!- proseguì il ragazzo, osservando i due cugini, ancora con il dipinto in mano -Anche io odiavo me stesso, perché non sarei mai stato così! Ma sapete cosa? Non mi importa! Adesso non mi importa più voler essere la copia di qualcun altro!-

Senza indugio, aveva gettato quel dipinto nel fuoco.

Gaston II e Ginette non avevano fatto in tempo a fermarlo.

-NO!-

-Cosa hai fatto?!-

-Quello che avrei dovuto fare tempo fa!- si voltò di nuovo, verso tutti i trofei di caccia; salì sopra il camino, staccandone uno per uno dal muro -Tutti quei giorni in cui venivo paragonato a voi, a nostro padre...! Che mi dicevano che non avrei combinato niente...! Non mi serve essere come nostro padre, per essere qualcuno! Quando mi avete spinto, è iniziata una nuova vita, per me! Ho avuto degli amici, amici che non mi hanno mai abbandonato! Ogni giorno ne combinavo una delle mie, ma non mi hanno mai abbandonato! E, soprattutto, mi apprezzano per quello che sono, non per quello che vorrebbero che fossi!-

Si ricordò delle parole di Yen Sid e la voce.

Il suo cuore gli aveva mostrato la via da seguire. E la voce gli aveva fatto comprendere quanto avere dei veri amici potesse essere più gratificante di essere apprezzati per essere la copia di qualcun altro.

-Fermati, Gil!-

-Sei impazzito?!-

Gil aveva finito i trofei di caccia del padre. Tornò per terra, osservando i due cugini con aria da sfida.

-E non potrei essere più felice di essere me stesso!-

Era esattamente quello che gli stava comunicando il suo cuore. Con quelle parole, Gil si era liberato dei fantasmi del suo passato.

Il dipinto stava ancora bruciando, dentro il camino. Ma stava brillando.

Divenne una luce sferica, che fluttuò nell'aria, posandosi sulla mano del ragazzo.

Quella luce assunse una forma: un Keyblade.

La lama era a forma di corno d'alce.

Gil restò a bocca aperta dallo stupore. Ma poi sorrise, orgoglioso.

I due cugini erano, invece, sgomenti. Ma non per via del Keyblade.

-Sei un mostro!-

-Cosa hai fatto a nostro padre?!-

Corsero, passando oltre lui. Lo stavano ignorando, come avevano sempre fatto in passato.

Erano diretti ai trofei di caccia. Li presero, piangendo, e cercando di rimetterli al loro posto.

-No, papà!-

-Rimetteremo tutto a posto!-

Ma poi osservarono il camino, impallidendo.

Pensarono che il dipinto fosse perduto per sempre.

Toccarono le braci a mani nude, alla ricerca del ritratto.

-Stai tranquillo, papà! Sistemeremo tutto!-

-Sì, conta su di noi!-

Ma il fuoco era ancora acceso: i loro guanti presero fuoco.

Le urla di dolore che emanarono, fecero arretrare Gil.

Il fuoco li stava circondando e le loro urla non facevano che aumentare.

-GUARDA COSA HAI FATTO, SFIGATO!-

-STIAMO BRUCIANDO! STIAMO BRUCIANDO! AIUTO!-

Stavano correndo per la taverna, bruciando come torce. Le assi del pavimento erano di legno.

Il fuoco divampava al loro passaggio.

La taverna stava prendendo fuoco.

Gil ignorò i due cugini, lasciandoli al loro destino.

Comprese, finalmente, che non era nel suo mondo. Era ancora nel Tuffo Nel Cuore.

I veri Gaston II e Ginette stavano ancora festeggiando la sua dipartita e proseguendo la loro vita da cloni del proprio padre. Questo stava pensando.

Uscì, per poi voltarsi. La taverna prese completamente fuoco.

Aveva affrontato il suo passato: quello spettacolo gli diede la conferma.

Osservò il suo Keyblade, ancora con orgoglio. Sorrise, addirittura.

-Ce l'ho fatta. Da solo.-

Si guardò di nuovo intorno.

-Ma ora devo tornare indietro. Come faccio?-

Decise di puntare il Keyblade in avanti.

-Tu che indichi le vie, cosa pensi?-

Qualcosa vibrò nel suo cuore. Sentiva di dover tornare verso il castello.

Non vi fu un salto, come prima. Dovette attraversare l'intera foresta, per tornare al ponte.

Dove la sua prova era iniziata. Dove la sua nuova vita era iniziata.

Guardò di nuovo in basso, verso il fiume.

Cosa sarebbe accaduto, se quel giorno fosse rimasto alla taverna? Avrebbe continuato la sua vita da garzone, umiliato, deriso.

Sorrise, quasi ridacchiando.

Trovò ironico, dover quasi ringraziare Gaston II e Ginette, per averlo spinto.

Quello che loro pensavano fosse la sua fine, si era rivelato, invece, un nuovo inizio.

Una nuova vita. Decisamente migliore di quella che aveva nel suo mondo d'origine.

Non voleva più tornarci. Voleva passare la sua vita con Uma, Harry. E Benjamin. E tutti gli altri.

La sua vera famiglia. Perché lo apprezzavano per quello che era.

-Sarà un azzardo, ma devo provarci.-

Doveva tornare da loro, nello stesso modo in cui aveva acceduto alla sua nuova vita.

Fece qualche passo indietro, per prendere la rincorsa.

-Ok... Tre... due... uno...- non si era fermato ai mezzi -E VIA!-

Corse, saltando dal bordo, aprendo le braccia, e cadendo di nuovo nel vuoto.

Aveva superato la prova.

Aveva superato la sua inadeguatezza ed affrontato la prepotenza dei suoi cugini. Grazie ai suoi amici, perché lo apprezzavano per quello che era.

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"Believing in second chances
And we're all starting today
Marching on in a new land
Our world's a better, a better place"

   
 
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