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Autore: _Bri_    05/01/2021    12 recensioni
[STORIA INTERATTIVA - Iscrizioni chiuse]
2197
Dalla caduta di lord Voldemort sono passati molti anni e la pace tanto agognata, purtroppo, ha avuto vita breve. Una guerra terribile ha coinvolto maghi e babbani, portando le parti coinvolte a decimarsi vicendevolmente. Ma nel momento di massimo buio, dalle macerie fumanti, si è sollevata una voce di donna, che ha promesso la pace per chiunque l’avesse seguita. Ma a quale prezzo?
Dopo 60 anni di regime in cui la magia è stata soppressa, non tutti hanno messo a tacere il loro pensiero e piccoli ma battaglieri gruppi di dissidenti, sono pronti a dare battaglia contro il regime di Nadia e della sua Corte.
Genere: Avventura, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Altro contesto
Capitoli:
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CAPITOLO III
“Farti sentire in svantaggio, è un vantaggio che intendo mantenere”
 
Marzo 2197
La Corte
 
Il profumo di muffin caldi aleggiava per l’intera casa di Artemisia; casa che la giovane strega adorava e che condivideva con il suo amatissimo cane Atlas. Proprio quest’ultimo non faceva che girarle intorno da quando aveva sfornato i dolci, deciso a farle quanta più pietà possibile cercando invano di elemosinarne almeno uno.
 
- Prima di tutto per te il cioccolato è veleno, te l’ho detto centinaia di volte, quindi smettila di fare finta di non saperlo… secondo poi sai quanto sia difficile reperire del cacao, quindi mi spiace tesoro, ma dovrai accontentarti di questo. -
 
Figuriamoci se Artemisia si sarebbe risparmiata dal preparare al proprio animale un pasto tutto per lui; difatti la strega, dopo essersi preoccupata dei muffin, aveva preparato un bellissimo sformato salato, che avrebbe lasciato ad Atlas non prima di uscire di casa, sapendo benissimo che quel giorno non avrebbe potuto portarlo con sé.
Sistemati i capelli in una treccia, Artemisia indossò una semplice mise total black, calzò i mocassini che amava e teneva con cura e infine a coprire la sua giacca preferita, dalla quale difficilmente si separava, calò una mantella rossa munita di ampio cappuccio, acquistata giusto qualche mese prima nella bottega di Melvine, la sarta più capace (e più longeva, si sospettava avesse infatti superato i novant’anni) della Corte.
 
- Ci vediamo questa sera, comportati bene. – La ragazza carezzò la testa di Atlas, il quale era troppo preso dal divorare il suo sformato per dedicarle attenzioni, così afferrò l’enorme cesto di vimini con dentro una quantità industriale di dolci e si chiuse la porta alle spalle, per poi incamminarsi lungo il vialetto di casa sua.
 
- Guarda un po’… cappuccetto rosso sta andando a trovare la nonna nel suo giorno libero? -
 
Se non fosse sicura di conoscere la persona dietro a quella voce profonda, Artemisia avrebbe creduto di avere un nuovo vicino di casa. Con gli occhi strabuzzanti, roteò il corpo alla sua sinistra, scontrando lo sguardo con la figura di Jude. L’uomo, illuminato dalla tiepida luce del giovane mattino, era vestito con un completo nero e stava fumando una sigaretta sul viale, mentre ricambiava l’occhiata di Artemisia con un’espressione piuttosto piatta.
 
- Sbaglio o Jude Millan ha appena fatto una battuta? – La strega strinse il cestino con entrambe le mani e accennò un sorriso, mentre si piegava lievemente in avanti in una posa appositamente plastica e fiabesca.
 
- Credo sia colpa della vicinanza con Lir.– Jude alzò appena le spalle.
 
- Beh, è proprio da lui che sto andando. – Artemisia alzò appena il cesto contenete i dolci: - Approfitto del mio giorno libero per accompagnarlo allo Strong. -
 
Jude gettò a terra la sigaretta che schiacciò poi con la punta delle sue scarpe di manifattura costosa, così si avvicinò a lei con passo lento: - Capisco, non sia mai che tu non spenda il tuo tempo libero compiendo qualche buona azione. – Poi estrasse le chiavi dalla tasca e premendo il pulsante, aprì la sua berlina: - Ti do un passaggio. –
 
Cosa stava succedendo? Non solo Jude Millan si era dato all’ironia, ma le aveva davvero appena proposto di darle un passaggio? Presa totalmente alla sprovvista, Artemisia cominciò a balbettare qualcosa: - Ma… ma no ecco… Lir mi, si, mi ha detto che passa lui e… -
 
Nel mentre Jude entrò in macchina, per poi farle segno di salire; sul volto la solita espressione torva. – Eppure lo conosci da sempre. Finirai per congelarti ad aspettarlo qui. Sali. –
 
Non seppe dire se lo stesse facendo per non risultare sgarbata, o perché non voleva rischiare di rovinare il più che inusuale buon umore di Jude, fatto sta che Artemisia salì in auto senza fiatare una sola altra rimostranza. Appena ebbe allacciato la cintura di sicurezza, Jude premette il piede sull’acceleratore e la ragazza poté giurare di intravedere un lieve sorriso solcargli il viso. Che fosse il ghigno del lupo, pronto per divorarla in un sol boccone?
 
Quartier Generale
Maneggio
 
- Passami la cassetta degli attrezzi. -
 
Dire che a Vulkan non piacesse passare il tempo in compagnia, era un eufemismo. Ciò nonostante sapeva anche di dover fare delle cose fondamentali per far si che il Quartier Generale non implodesse e collassasse su se stesso: fra queste cose, rientrava occuparsi di controllare i cavalli, ferrarli e curarli quando ce ne fosse stato bisogno.
 
- Agli ordini capo, la tua schiava è qui per compiacerti! -
 
Nel sentire il tono canzonatorio e provocatorio di Oleander, Vulkan roteò gli occhi al cielo mentre tratteneva una mano tesa e con l’altra carezzava il dorso di Orson, il frisone di Sonne che necessitava, a una prima occhiata, di una nuova ferratura.
 
- Purtroppo ci vorrà più tempo del previsto, credo dovrò rimandare a domani. – Vulkan parlò fra sé e sé, mentre Oleander gli passava la cassetta richiesta.
 
- Già, anche perché non abbiamo tutta la giornata a disposizione. – La strega estrasse la bacchetta assegnatale, con cui faticava ancora ad avere totale confidenza, così cominciò a lanciare nuovi incantesimi di protezione intorno all’area del maneggio che i ladri avevano organizzato al di sopra del Quartier Generale. Vulkan le lanciò un’occhiata, innegabilmente soddisfatto dalla produzione degli incantesimi, per poi tornare a occuparsi di Orson.
 
- Repello inimicum… fianto duri… Beh, non sei curioso di sapere come mai non abbiamo tutta la giornata a disposizione? -
 
- Direi proprio di no, tanto so che me lo dirai tu. -
 
- Protego maximaPro-te-go- maxima! Ma che… umpf. Ho detto PROTEGO MAXIMA! Vulkan, credo di aver rotto la bacchetta! -
 
Un altro roteare di occhi, prima di concentrare nuovamente l’attenzione sulla strega minuta: - Non credo che le bacchette si possano rompere pronunciando male un incantesimo, e comunque come ben sai, non sono la persona adatta con cui parlare di questo. –
 
Vulkan carezzò un’ultima volta la groppa del frisone, per poi alzarsi e avvicinarsi a Oleander.
 
- Allora, dimmi pure cosa ci aspetta questa sera; Sonne ha fatto tabula rasa e tutte le missioni sono state momentaneamente annullate, quindi suppongo ci sia qualcosa di importante sotto. -
 
Lanciato finalmente l’ultimo incantesimo, la strega ripose il legno nella casacca e poi guardò il compagno con aria furbetta: - Riunione di emergenza, una cosa molto molto importante a quanto ho capito, anche se Sonne non ha voluto dirmi niente. Tu ne sai qualcosa, per caso? –
 
L’uomo infilò le mani nelle tasche dei pantaloni e alzò il sopracciglio: - Perché alla fine dei conti dovrei essere io a sapere qualcosa? –
 
- Beh, caro mio… forse perché ho sentito dire da Ame che due giorni fa è andata al suo solito appuntamento con la tua amica e, casualità, al suo ritorno Sonne ha deciso di indire una riunione urgente. Sospetto che le due cose siano collegate e che tu conosca l’oggetto della questione. -
 
- Non facciamo finta che sia io quello a sapere sempre tutto di tutti. – Vulkan si incamminò verso la stalla per nutrire i cavalli, seguito a ruota da un’agilissima Oleander – Comunque credo che questa sera avremo tutte le risposte di cui necessitiamo. Bisogna solo pazientare. -
 
- Sia mai che ti sbottonassi una volta. – Fra lo sbuffare di lei e la distaccata placidità di lui, la coppia si occupò dell’esiguo numero di cavalli, lasciando per ultimo un piccolo puledro nato da qualche giorno. Oleander alzò la mano destra, sovrappensiero, per accarezzare il suo manto fulvo; quando il movimento di questa risultò scattoso e innaturale, a Vulkan venne spontaneo trattenere un commento. I due si guardarono per qualche istante e l’uomo colse il lieve imbarazzo che vestiva il volto della strega dai grandi occhi chiari.
 
- Beh, io vado ad allenarmi. Fammi chiamare quando il principe si degnerà di indire questa benedetta riunione. -
 
Vulkan si allontanò con le mani nelle tasche. Accennò un sorriso, nel sentire Oleander urlargli dietro che l’aveva presa troppo sul serio prima, quando aveva dichiarato di essere la sua schiava personale.
 
La Corte
Casa Lee
 
Appollaiata sulla finestra della sua camera, Izzie era calata nell’intraprendere uno dei suoi hobbies preferiti: osservare la vita al di fuori di essa attraverso gli occhi del suo amato binocolo.
La casa della famiglia Lee affacciava sulla piazza centrale della Corte e fin da quando non era che una bambina, Izzie adorava vedere il via vai di persone che davano vita a quel luogo che ospitava negozi e mercati.
 
- Ancora con quell’attrezzo? Non devi lavorare oggi? -
 
August, suo padre, si era affacciato alla porta della sua camera e la guardava con le braccia conserte. Izzie abbassò il binocolo e scosse il capo: - Oggi ho il giorno libero, ma sto aspettando due colleghi per andare a fare visita all’orfanotrofio Strong. –
 
August aggrottò le sopracciglia: - Lo Strong? Ti è stato per caso ordinato? –
 
- No, macché! – Izzie scivolò via dalla finestra e recuperò la giacca da aviatore che era solita indossare – Penso solo che se voglio dare il massimo, è giunto il momento che io conosca un po’ cosa c’è lì fuori… invece di limitarmi a usare quello. – Con un sorriso limpido, Izzie indicò il binocolo abbandonato sul davanzale, poi infilò la giacca mentre il padre continuava a osservarla con cipiglio. La ragazza lo guardò con perplessità: - Papà, qualcosa non va? -
 
August scosse la testa: - Niente di importante, solo, ecco… stai attenta; non mi entusiasma l’idea che tu visiti luoghi del genere. –
 
- Ma è un orfanotrofio! Cosa vuoi che mi accada! E poi sono una Sentinella, è mio dovere ampliare le mie conoscenze del mondo per compiere il mio dovere con dignità, non credi? Ora sarà meglio che vada, non voglio far aspettare nessuno. -
 
August osservò la figlia salutarlo e chiudersi l’uscio di casa alle spalle, così si spostò davanti la finestra del modesto salotto di famiglia: seguì sua figlia con lo sguardo sgattaiolare fra la miriade di persone, mentre agitava la mano in segno di saluto. Ad August piaceva l’idea che sua figlia fosse diventata parte attiva delle Sentinelle, un ruolo rispettabile e fondamentale all’interno della Corte. La sua era sempre stata una famiglia modesta e lui, al massimo, aveva ottenuto di essere l’autista personale di Jude Millan. Ma se da una parte era fiero di Izzie, dall’altra temeva che sua figlia, una persona buona e dal candore spiccato, potesse risentire dei colpi inferti dal mondo all’infuori della Corte.
Scomparsa alla sua vista, August, si scostò dalla finestra e proseguì a passi lenti verso la cucina; l’unica altra presenza era l’odore del caffè che ancora solleticava le narici, in quanto sua moglie era in pieno orario lavorativo. Con il pensiero di Izzie in testa, l’uomo si preparò dell’altro caffè, sperando che sua figlia non combinasse nessun guaio.
 
Quartier Generale
Infermeria
 
Era assolutamente necessario che Jabal inserisse nei propri progetti di ristrutturazione anche l’infermeria. Dimma, con le mani sui fianchi e la fronte aggrottata, si guardava intorno con nervosismo. Al suo fianco Yuki non riservava un’espressione meno perplessa e infastidita. Effettivamente gli ultimi mesi erano stati particolarmente frenetici e non c’era stato molto tempo da dedicare alla sistemazione dell’intero Quartier Generale, ma lo stato di caos in cui verteva l’infermeria aveva raggiunto dei livelli che avevano portato le due donne a inorridire, davanti a tale macello: ammassate in ogni angolo della stanza c’erano confezioni di bende, siringhe, bottiglie di alcol denaturato, stetoscopi da riparare, insomma tutto ciò che i Ladri, durante le loro missioni, avevano recuperato e ammassato lì. Le lettighe dovevano essere ripulite, i due tavoli operatori da sterilizzare e risistemare.
 
- Mi fa schifo. – Commentò, laconica, Yuki. Capire da dove iniziare a sistemare era davvero complicato; per altro era necessario anche darsi una mossa, perché Francine avrebbe partorito il suo secondogenito da lì a qualche giorno e di certo quello non era luogo per ospitare un parto, proprio no.
 
- Fortunatamente abbiamo tutto l’aiuto che ci occorre. – Dimma congiunse le mani dietro la schiena e roteò su se stessa con scarsa agilità, visto che la gamba aveva ancora bisogno di qualche giorno per sistemarsi a dovere. I suoi occhi chiari, sottili come fessure nel legno, scrutarono la fila di ragazzini alle loro spalle, che spiavano la stanza pronunciando una serie di “oooh!” ricchi di stupore. Ai più piccoli non era mai permesso mettere piede lì dentro se non per stato di necessità, va da sé quindi che la meraviglia nei loro occhi fosse diretta conseguenza del grande onore che veniva fatto loro.
 
- Ragazzi, ora statemi a sentire: dobbiamo fare in modo che questo posto venga tirato a lucido. -
 
Yuki tirò fuori dalla tasca un foglio ripiegato, che spiegò davanti al viso, cominciando poi a elencare i compiti: - Vi divideremo in tre gruppi: Zenia, Narciso e Ruphus si occuperanno di svuotare gli armadi dei medicinali. Avete a disposizione quei sacchi dove mettere tutto ciò che troverete lì dentro. Appena avrete finito, io valuterò con voi come catalogare  ciò che vi è dentro. Invece Jack, Julian e Salomon toglieranno le lenzuola e ne metteranno di pulite. Infine Becca, Karl, Dominique e Eva divideranno quella roba. – Yuki indicò il materiale ammassato negli angoli. – Dimma vi aiuterà. –
 
- Perché io devo stare nel gruppo delle femmine?! – Karl, un ragazzino decisamente alto per i suoi undici anni, allargò le braccia e spalancò la bocca, mentre gli amici avevano cominciato a canzonarlo.
 
- Preferisci tornare a scrostare le pentole di Skog? – Dimma incrociò le braccia e accennò un sorriso divertito, che si allargò quando le rimostranze di Karl cedettero, lasciando spazio a un basso borbottio contrariato.
 
- Bene: al lavoro! -
 
Al Quartier Generale vigevano poche regole non scritte; una di esse era che, superati i sei anni, i bambini dovevano essere responsabilizzati, così da essere in grado di riuscire a coprire ogni mansione di cui ci fosse bisogno. I Ladri non erano in molti e la vita al di fuori della bolla da loro costituita era difficile e crudele; se volevano che i loro figli crescessero con questa consapevolezza, non potevano proteggerli dal mondo in cui vivevano. Per questo durante la settimana coloro che fossero in età scolare studiavano tutto ciò che era possibile studiare e ogni Ladro adulto offriva ai giovanissimi le proprie conoscenze; inoltre venivano impiegati, come in quel caso, in lavori di cooperazione all’interno del Quartier Generale e quando si ritenevano abbastanza grandi allora venivano indirizzati, a seconda della loro indole, ad apprendere nuove competenze.
 
- Salomon, stendi bene quel lenzuolo. Eva, togli subito quel dito dal naso! -
 
- Quanta solerzia! La vecchia sarebbe fiera di voi! -
 
La voce di Sonne, appena entrato nella stanza, richiamò l’attenzione di tutti. Yuki si premurò di ammonire i ragazzini, i quali non dovevano perdere tempo, altrimenti non avrebbero mai finito per la fine della giornata e sarebbero stati costretti a tornare nell’infermeria dopo aver consumato la cena. Quella minaccia riportò il silenzio nella stanza.
 
- Non possiamo più arrivare a una condizione simile. – Dimma si avvicinò al ragazzo mentre ripuliva le mani con uno strofinaccio – Fortunatamente stiamo aumentando di numero, ma questo comporta anche un sovraffollamento dell’infermeria. -
 
Il mago allungò una mano per pizzicare la spalla di Dimma, seguitando poi ad esporre un sorrisetto malizioso: - Sei sempre così tesa, secondo me avresti bisogno di un po’ di sano relax. Facciamo un salto di là? Si è liberata da poco una stanza. –
 
A quell’allusione, a cui era abituata, Dimma reagì mollando un pugno sulla spalla di Sonne; al ragazzo sfuggì un lamento e un’imprecazione.
 
- Caro il mio Sonne, non ho affatto bisogno di rilassarmi, poi con te non di certo. Se sei venuto solo per dire le tue stronzate puoi anche tornare di là, altrimenti infilati un paio di guanti e datti da fare. -
 
- Dio mio, diventi sempre più acida, a riprova di quanto ho detto poco fa. Se dovessi ripensarci, la mia offerta rimane valid… - Questa volta Sonne ebbe la prontezza di tirarsi indietro, riuscendo a sfuggire a un secondo colpo della strega, così alzò le mani in segno di resa: - Ok, calmiamoci ora! Sono venuto solo per avvisarvi che alle ventuno sarete precettate. Ci vediamo nella sala riunioni grande. -
 
- Una riunione dopo una giornata del genere? Che gioia! – Trillò Yuki, tirando su la testa precedentemente immersa in uno scatolone.
 
- Immagino che non si possa sapere il motivo. – Aggiunse Dimma.
 
- Mi spiace, è top secret. – Ciò detto Sonne strizzò l’occhio all’amica: - Buon lavoro, io torno da Rose Madder. -
 
Yuki prese a gridare che anche lei avrebbe preferito mettersi a leggere, piuttosto che stare lì a sgobbare, ma Sonne le ricordò che era suo dovere, prima di dileguarsi ben conscio che se fosse rimasto un solo altro minuto, le donne non avrebbero esitato a scagliargli contro qualsiasi tipo di oggetto fosse capitato loro sottomano, magari anche un paio di ragazzini particolarmente vivaci.
 
Orfanotrofio Strong
 
 
Oramai Lir doveva essersi abituato alle visite all’orfanotrofio Strong, visto e considerato il suo ruolo di Reclutatore. Nonostante questo, ogni volta che si trovava davanti l’edificio mastodontico, dall’intonaco a brandelli e la grande targa di marmo a sormontare il portone d’ingresso, mangiata dall’edera incolta, sentiva lo stomaco chiudersi in una morsa. Non era semplice per lui, non lo era mai stato. Quel luogo aveva la capacità di scaraventarlo nel suo passato con una violenza assolutamente non gradita; un passato da perdente, ingrigito dalla continua lotta alla sopravvivenza per avere un piatto di minestra in più, in cui le risse con i compagni erano all’ordine del giorno. Ma ora era tutto diverso: Lir aveva avuto il proprio riscatto sociale ed era la prova vivente che con la caparbietà, se si possedevano qualità uniche, si poteva arrivare molto in alto. Era questo lo spirito con il quale ogni volta che saliva la breve scalinata per accedere allo Strong, il ragazzo affrontava le visite.
Oltretutto, quel giorno, ad accompagnarlo c’era Artemisia, con la quale era cresciuto e aveva condiviso il medesimo fardello; eppure guardando oltre la ragazza che stringeva una cesta piena di dolci con aria soddisfatta, qualcosa si incrinò.
Perché sarebbe stato naturale in quella sede vedere una matassa di lisci capelli biondi, due enormi occhi azzurri sempre accesi da una scintilla di vita invidiabile e un paio di orecchie a sventola che Lir adorava prendere in giro. Liv era stata per molto tempo il loro anello di congiunzione, ma non era lei a tallonare Artemisia, in quel momento.
Al posto di quell’uragano fatto persona c’era invece Izzie, che aveva passato tutto il tragitto fino allo Strong a trattenere l’agitazione.
 
- Io mi dovrò occupare di parlare con il capo ispettore. Ci pensi tu a lei? – Chiese ad Artemisia, indicando con un cenno del viso Izzie, la quale si premurò all’istante di dire che non avrebbe dato fastidio e si sarebbe limitata a guardarsi intorno.
 
- Certo, e poi io ho una consegna da fare. – Artemisia alzò la cesta e sorrise; fu automatico, per Lir, tentare di accaparrarsi uno dei muffn, ma l’amica tirò a sé il cestino regalandogli uno sguardo severo: - Non sono per te! Non pensi ai bambini? -
 
- Tzk… bambini, bambini… e allora mi spieghi come mai quando Jude ti ha lasciata davanti casa mia se ne è preso uno? Fai favoritismi con il capo, per caso? -
 
Artemisia arrossì vistosamente, rendendo la sua pelle solitamente candida dello stesso colore della mantella che indossava: - Mi ha accompagnata! Era il minimo che potessi fare. E poi sei l’ultimo che può parlare, visto che non faccio altro che portarti da mangiare, ingrato. –
 
- Lir! È un piacere vederti! E oggi è con noi anche la bella Artemisia… e lei chi sarebbe? -
 
Un uomo deficitario in altezza, ma con un ventre abbastanza pronunciato e una calvizie incipiente, con indosso un completo molto antiquato, si avvicinò ai tre con passo allegro.
 
- Buongiorno Mauritius, spero non ti dispiaccia la mia presenza. Io e la mia collega Izzie abbiamo approfittato del nostro giorno libero per accompagnare Lir. -
 
- Siete i benvenuti, prego venite con me, i ragazzi si stanno godendo la loro ora di creatività in cortile. -
 
- Siamo fortunati allora, andiamo tutti nello stesso posto. – Lir infilò le mani nelle tasche del suo improbabile completo tutti i colori+1 e lanciò un’occhiata a Izzie: - Preparati principessina. -
 
Nel sentirsi chiamata in causa Izzie si irrigidì, ma Artemisia le poggiò una mano sulla spalla e le sorrise incoraggiante, mentre seguirono Mauritius affiancato da Lir lungo un corridoio particolarmente buio: - Quello che vuole dire Lir è che… beh, questo posto non è esattamente quello a cui sei abituata, al contrario nostro. Comunque stai tranquilla e rimani vicino a me. –
 
Quartier Generale
Armeria
 
Se era costretto a scegliere un compagno per lavorare sulle armi, Chion andava sul sicuro facendo il nome di Leaf. Il motivo era alquanto scontato in realtà: Leaf era una di quelle personalità che tendeva a farsi gli affari propri, quando si trovava all’interno del Quartier Generale. Non amava spendersi in chiacchiere inutili, caratteristica particolarmente apprezzata dal mago che di certo non poteva definirsi dalla parlantina fluida. Insofferente come un animale in gabbia, quando Leaf si trovava costretto a passare il proprio tempo al Quartier Generale, o lo si trovava in compagnia della sua ragazza, o al fianco di Sonne e di qualche suo amico fidato, oppure con la testa china a completare una delle sue mappe delle Terre di nessuno. Insomma, a Chion Leaf era sempre stato simpatico, perché in lui notava una certa forza d’animo, una voglia irrefrenabile di valicare sempre il confine prestabilito e una determinazione, seppur talvolta fonte di una freddezza spaventevole, che Chion non aveva mai sentito di possedere.
 
- Puoi passarmi quello? -
 
Leaf aveva sfilato momentaneamente gli occhiali da sole e osservava l’interno del mirino del suo strambo fucile. Il suo indicare fece capire a Chion che volesse gli si passasse un piccolo cacciavite a stella, così lui fece.
 
- Questo non va bene, si è crepata una delle lenti, maledizione. -
 
- Passalo a me. – Si limitò a dire Chion, dopo aver messo da parte una carabina sulla quale stava lavorando da settimane; era talmente malconcia che riteneva fosse un miracolo che non gli si fosse ancora sgretolata fra le mani.
Leaf scostò l’occhio dal mirino e puntò lo sguardo in quello dell’altro; era talmente raro vedere il ragazzo senza occhiali da sole, a contatto con la luce artificiale del Quartier Generale, che Chion trattenne un fremito: cerchi scuri circondavano gli occhi di Leaf e le spesse occhiaie risaltavano ancor più il colore brillante, quasi innaturale, delle sue iridi.
 
- Mmm… e va bene, ma fai attenzione. -
 
Il biondo passò il suo fucile a Chion il quale, senza scomporsi, cominciò a maneggiarlo con cura e attitudine. Inforcati nuovamente gli occhiali da sole, Leaf osservò affascinato il lavoro certosino dell’altro, che smontò il mirino con una facilità e una lestezza che nessun’altro fra i ladri possedeva.
 
- Effettivamente è crepato, ma credo di avere il pezzo di ricambio, possiamo adattarlo. Cortesemente: nella vetrina c’è una valigia di pelle, lì dovrebbero esserci gli specchietti. -
 
Leaf portò al maggiore la borsa richiesta e dopo qualche minuto e un’attenta analisi del contenuto, Chion alzò vittorioso un piccolo specchietto esagonale. Si alzò senza dire una sola parola e attivò la macchina molatrice; Leaf osservò Chion molare quel piccolo pezzo di vetro, allontanarlo dalla pietra smerigliatrice, tornare a limarlo e infine riprendere il proprio posto davanti al mirino del fucile dell’altro.
 
- Ecco qui. – Chion aveva inserito il nuovo specchio nel mirino e in men che non si dica lo aveva rimontato. Dal canto suo Leaf lo guardava meravigliato: - Ma come hai fatto? Non è possibile che tu ci sia riuscito a occhio, senza doverlo rifinire un’altra volta. Sicuramente non funzionerà. -
 
Chion accennò un sorriso, sistemò le cuffie antirumore e allungò il fucile al compagno: - Provare per credere. –
 
Il biondo afferrò il fucile non nascondendo una certa aria sospettosa e tornò a ripetere il gesto iniziale: sfilò gli occhiali e guardò all’interno del mirino, passando poi a fissare Chion con sincera ammirazione.
 
- Sei stato grande. -
 
Chion alzò appena le spalle e accennò un sorriso: - Mi piace quel che faccio, tutto qui. –
 
Un forte bussare alla porta dell’armeria e una voce acuta fece sobbalzare i due, che scossero poi la testa nel riconoscere Ame e i suoi modi sempre decisamente poco graziosi. La ragazza entrò spalancando la porta e rivolgendosi a loro in spagnolo e con un pessimo accento.
 
- Tu presencia ed requerida ¡Vamos vamos! -
 
- E ora che sarà mai questa novità? – borbottò Leaf verso Chion.
 
- Ah non chiedermelo, sarà un’altra delle sue fisse passeggere. – Rispose l’altro, ormai rassegnato alla bizzarria dell’amica.
 
La Corte
 
Ryurik si era ambientato nel suo nuovo appartamento. Avevano scelto per lui una casa distante dal caos della piazza centrale, munita di ogni genere di confort possibile e il ragazzo non aveva nemmeno provato a fare il falso modesto e informare Nadia che tutte quelle attenzioni fossero eccessive: Ryurik amava le comodità, perché avrebbe dovuto mentire?
Ma c’era un’unica cosa al mondo che amava fare di più che starsene sdraiato con malavoglia su qualche superfice soffice e fu immensamente contento quando si rese conto di poter sublimare quella sua passione anche alla Corte. Era in questo giardino d’inverno attaccato al piccolo villino di legno, che si trovava in quel momento; con le mani sporche di gesso, gli occhi del più tenue verde marino scivolavano lungo il calco a cui stava dando vita. Guardò con soddisfazione la concavità striata, immaginando cosa sarebbe uscito fuori da essa; nell’osservare il suo lavoro, il mago percepì uno strano senso di felicità cavalcargli nel petto. Lui, che i sentimenti li rifuggiva come fossero fuoco ardente, non riusciva a fare a meno di riempirsi con tutte le sensazioni che scolpire provocava in lui.
Purtroppo quella piacevole sensazione si frantumò in mille pezzi quando sentì un lieve bussare alla porta di vetro del suo studio. Sospirò profondamente, ripulì le mani con uno strofinaccio candido e aprì la porta ad Ajax. La Sentinella piegò un braccio dietro la schiena e portò il pugno destro al cuore, poi si piegò appena. Ryurik inarcò un sopracciglio e chiuse i lunghi capelli in un alto cipollotto improvvisato.
 
- Voi fate tutta questa cosa formale ogni volta che vi vedete? -
 
Ajax si sentì punto nel vivo; avrebbe voluto rispondere a tono a quel ragazzo così fastidiosamente schietto, dall’aria perennemente svogliata di chi pensa “oggi non mi va”. Non lo aveva digerito fin dal primo momento, ma sapeva che c’erano dei motivi se Nadia aveva accettato la sua presenza all’interno della Corte, concedendogli per altro il ruolo di Sentinella senza metterlo alla prova nemmeno una volta. Che fosse per le sue capacità (ai suoi occhi molto nascoste), o perché aveva i contatti giusti, fatto sta che Ajax si trattenne dal rimbeccarlo. Tese la bocca in una linea rigida, prima di parlare: - Sono stato mandato a prenderti; Jude richiede la tua presenza. –
 
- Jude può aspettare, io sto facendo la mia arte nella mia mattina di libertà. Se non hai altro da fare puoi rimanere se vuoi, magari ti uso come modella. -
 
Il viso di Ajax avvampò: - Emh, modello, semmai… -
 
Ryurik agitò una mano con noia: - Quello che è. Comunque sono in bolla ora. –
 
Ajax sospirò con profondità e seguì Ryurik all’interno dello studio. Passò rapidamente in rassegna ciò che esso conteneva, concentrandosi sul calco di gesso sul quale, suppose, il mago stesse lavorando in quel momento così, trovando la forza necessaria a mantenere la calma, tornò a rivolgersi a lui: - Mi spiace, ma non mi è concesso andarmene fin quando non ti avrò portato da Jude. Sai, quello che dice il nostro capo è come se lo dicesse Nadia in persona, se capisci cosa intendo. –
 
- Quindi mi dici che mi costringi a venire con te, dico il vero? -
 
Ryurik roteò gli occhi al cielo e prese a borbottare qualcosa in russo, lingua assolutamente incomprensibile a Ajax, sebbene il ragazzo dedusse che non stesse dicendo nulla di buono, visto il tono infastidito.
 
- E va bene, vengo. Tu però non stare lì come palo e aiutami a rimettere cose a loro posto: non sopporto che nel mio studio ci sta tutto questo caos. -
 
Ajax tentò di replicare ma non fece nemmeno in tempo a farlo, in quando il bel mago gli smollò fra le braccia i suoi strumenti del mestiere, ordinandogli di sistemarli in quell’armadio laggiù.
 
Orfanotrofio Strong
 
Izzie aveva provato a visualizzare la più vasta rosa di scenari possibili, ma le risultò comunque alquanto complicato non mostrarsi destabilizzata, davanti a ciò che stava guardando in quel momento. Quello che aveva immaginato essere un bel giardino rigoglioso, attrezzato con giochi e ricamato da vivide piante –come quelli a cui era abituata alla Corte- non era che un miraggio. Al suo posto trovò una distesa di cemento colato, spaccato in più punti e privo di  qualsiasi colore. Qualche ragazzo giocava con la palla, ma principalmente i gruppetti di ragazzini smagriti e tristi se ne stavano chiusi in piccoli circoli, a farsi gli affari loro, senza alcuna voglia di giocare. Izzie si chiese come fosse possibile che quella fosse la loro ora di creatività, come l’aveva definita quel Mauritius.
Quando quest’ultimo aveva cacciato un urlo, annunciando il loro arrivo, Izzie provò una voglia matta di nascondersi il più velocemente possibile, divorata dai sensi di colpa nel comprendere, prima di quanto fosse umano, quanto la sua fosse stata la vita di una bambina privilegiata, circondata dall’amore della sua famiglia e inserita all’interno di un contesto idilliaco, quale quello della Corte. Tutti quanti, dai bambini più piccoli, ai ragazzi vicini alla sua età, si erano voltati per osservarli, mentre Lir si era già incamminato verso un gruppetto di adolescenti.
Izzie rimase per qualche momento ad osservare la Sentinella che aveva mutato totalmente il suo atteggiamento : Lir si era vestito di un’aura di alterigia, come se brillasse di luce propria e aveva cominciato ad analizzare alcuni ragazzi che evidentemente conosceva già. Artemisia, intanto, aveva richiamato altri dei piccoli ospiti dell’orfanotrofio, che erano corsi da lei con occhi sgranati e sorriso sulla faccia. Anche in questo caso era cosa ovvia che lei li conoscesse tutti.
Mentre Artemisia distribuiva dolci che ragazzini e ragazzine divoravano con voracità, Izzie tentò di farsi da parte, limitandosi ad osservare in silenzio il lavoro di reclutamento di Lir.
 
- Io posso riuscirci, sto migliorando tantissimo! -
 
Lir squadrava una vecchia conoscenza; Roman era un ragazzo che lui aveva visto crescere, dal costato sporgente, una spolverata di corti capelli rossi e una determinazione che poche volte aveva scorto in qualcuno. Gli stava mostrando come riuscisse a manipolare i liquidi; una qualità notevole, che Lir pensò sarebbe stata molto utile per Nadia e la sua Comune.
Al suo fianco c’era un ragazzo più basso e ancora più magro, che si lamentava apertamente dell’arrivo di Lir.
 
- Stavamo finendo una discussione, cazzo. Ci mancavi solo tu. – Sputò senza remore nei confronti del reclutatore. Quest’ultimo sghignazzò, prima di rivolgersi a lui: - E secondo te io sono contento di passare il mio tempo qui dentro? Ma se sono qui è per capire se fra di voi c’è qualcuno di abbastanza capace, in grado di avere la possibilità di lasciarsi alle spalle questo posto schifoso, come al tempo ho fatto io. -
 
- Tzk, a me non frega un cazzo di venire a vivere in quella fogna infiocchettata. Te la puoi anche tenere. – il ragazzo alzò il dito medio, poi informò l’amico che lo avrebbe aspettato dentro e dando loro le spalle, se ne andò.
 
- Scusalo Lir… lui non sa quello che dice, è un po’ toccato, eh. Però gli si vuole bene. -
 
Lir fissò il più piccolo rientrare nell’edificio e fu istintivo portare una mano al collo, attorno al quale era allacciato un piccolo ciondolo di ferro, rappresentante una volpe.
 
- Conoscevo una persona come lui. Anche lei viveva qui e anche a lei non importava di spostarsi alla Corte. – Gli occhi chiari di Lir, persi fino a qualche istante prima nel punto in cui aveva visto sparire l’orfano, tornarono a fissare Roman: - Non so dirti se fosse stupida, matta o fottutamente geniale; però posso dirti questo… - Lir affondò le mani nelle tasche dei pantaloni e diventò incredibilmente serio: - Non so nemmeno se sia ancora viva, o se sia stata divorata dalle Terre di nessuno. Se avesse puntato alla Corte, sono certo che ora sarebbe qui a chiacchierare con noi. Pensaci bene. -
 
Roman  scrollò la testa con energia e strinse i pugni con vigore: - Scherzi?! Farò di tutto per meritarmi un posto alla Corte! Se lui non vuole, che si fottesse, peggio per lui! –
 
Lir allungò una mano a stringere la spalla di Roman; dovette farsi forza per non fare una smorfia, quando percepì quando esposte fossero le sue ossa e per un attimo tornò anche lui a essere il ragazzino mal nutrito, pronto a tutto pur di emanciparsi dalla pessima condizione di orfano dello Strong.
 
- Non vorrei interrompervi, ma volevo portarti questo, prima che ci pensino i tuoi amici a farlo sparire. -
 
Lir e Roman si voltarono alla loro destra e trovarono Artemisia, con un sorriso gentile e una mano tesa con sopra un grande muffin. L’orfano sgranò gli occhi e afferrò il dolce, mormorando parole ricche di gratitudine nei confronti della strega che, proprio come lui, era stata un’ospite dello Strong. Mentre Roman divorava il muffin, le Sentinelle si scambiarono uno sguardo d’intesa, perfettamente consapevoli di cosa stesse pensando l’altro in quel momento. La fame, come la rabbia e la solitudine che l’orfanotrofio aveva elargito loro, non avrebbero potuto dimenticarle mai. In fondo solo chi era cresciuto lì poteva davvero rendersi conto di cosa volesse dire. Per questo all’unisono cercarono Izzie con lo sguardo, che era circondata da un mucchio di ragazzini che cercavano di strapparle di dosso l’ingombrante e usurata giacca da aviatore che indossava.
 
- Sarà meglio che vada a salvarla. Tu continua pure a fare il tuo giro. Speriamo che il prossimo mese qualcuno di loro possa raggiungerci alla Corte, perché questo posto non se lo merita nessuno al mondo. – Disse Artemisia, prima di correre verso Izzie.
 
Quartier Generale
Sala riunioni
 
- C’è un mare di lavoro da fare qui. Come è possibile che ci siamo ridotti in questa maniera? -
 
Mentre Jabal tentava di ordinare il caos che infestava l’enorme tavolo circolare della sala grande delle riunioni, trattenendosi dall’impazzire, Mångata teneva le mani sulle orecchie e lo osservava con occhi sottili. Resosi conto che stesse parlando da solo, l’uomo abbandonò un grande plico sul tavolo e guardò la giovane con una certa perplessità:
 
- Tutto bene? – Chiese poi, sinceramente preoccupato per lo strano atteggiamento di lei.
 
- Tutto bene. – Ripeté Mångata, continuando a fissare la bocca di Jabal, fin quando questo non  mosse dei passi per raggiungerla; a quel punto la ragazza staccò una mano dall’orecchio e la spianò davanti a sé: - Fermo! Devi rimanere a distanza, altrimenti è tutto lavoro inutile! -
 
- Ma di cosa stai parlando? -
 
- Ma riposa sai andando… ma riposa sai andando? No, non ha affatto senso. – Sospirando, Mångata abbassò le mani, decisa infine di dare spiegazioni all’uomo. – Sto tentando di imparare il labiale, ma lo trovo decisamente più difficile di quanto sospettassi. -
 
Jabal portò una mano sul cuore e sospirò con enfasi: - Per fortuna, credevo stessi impazzendo e non avevo intenzione di portarti in infermeria prima della sistemazione di Dimma; credo mi avrebbe sparato un paio di colpi, sai? E io ho ancora bisogno delle mie gambe. – Poi sorrise, intanto che tornò a sistemare alcuni documenti: - E come mai stai cercando di imparare il labiale? È un hobby curioso, sai? –
 
- In realtà ho pensato che sarebbe stato utile in missione; può capitare di dover stare in silenzio con qualche compagno, oppure di spiare delle Sentinelle troppo distanti per capirne bene le parole. – Mångata alzò le spalle –Credo ci sia bisogno di ampliare quanto più possibile le nostre abilità. -
 
- E brava ragazza, effettivamente non hai tutti i torti, sai? -
 
- Vediamo, per ora ci sto prendendo confidenza. – Rinunciato al suo allenamento giornaliero, Mångata si decise ad aiutare Jabal nel suo riordinare, anche se pochi minuti dopo dall’aver iniziato, si distrasse con un volume di artiglieria e tattica militare che era stato inglobato dalle carte che ricoprivano il tavolo. Inutile fu il tentativo di Jabal di attirare di nuovo la sua attenzione: Mångata si era ritirata in un angolo della stanza e si era messa a leggere con avidità. Tornò alla realtà solo quando sentì la porta della sala aprirsi: il primo a mettere piede lì dentro fu Sonne, affiancato da Ame che lo stava rimbambendo con una parlantina spagnola piuttosto grossolana, seguiti da Chion e Leaf. A quel punto Mångata chiuse il volume e si avvicinò al gruppo con entusiasmo.
 
- Finalmente questa benedetta riunione! Non ne potevo più di aspettare! -
 
Sonne si guardò intorno con cipiglio evidente, infine puntò lo sguardo in quello di Jabal: - Amico, abbiamo una concezione molto diversa di ordine. –
 
- Ah, parlane con la piccoletta lì, che ha pensato bene di passare tutto il tempo a leggere, invece di darmi una mano. -
 
- Spione! – soffiò Mångata, per poi regalare un delizioso sorriso a Sonne, intanto che giocava con i suoi lunghissimi capelli sciolti: - Che ci posso fare, quel libro era lì e mi stava richiamando, non potevo non sfogliarlo almeno un po’. -
 
- Ci conosciamo da quanto… nove anni? Hanno mai funzionato le moine, con me? -
 
Sonne portò le mani dietro la schiena e la osservò mettere il broncio: - Ma io… - Poi, decisa a cambiare strategia, incrociò le braccia e inarcò un sopracciglio: - E allora vogliamo parlare di te? Guarda che ti ho visto startene spaparanzato a leggere non più di un’ora fa. -
 
- Vipera. – Sussurrò Sonne, ma non risparmiandole un sorriso così, deciso a cambiare argomento, batté un paio di volte le mani e si rivolse agli altri quattro: - Insieme ci metteremo poco a sistemare, l’importante è che ognuno di noi faccia qualcosa… Liv! Metti subito giù l’accendino! -
 
- Umpf! Era solo per eliminare il superfluo! -
 
La Corte
Magione di contenimento
 
Vista da fuori, la magione di contenimento incuteva timore: un edificio di grandi dimensioni che cozzava con l’armonia del resto della comune; visto dall’alto la sua forma era quella di un esagono grigio, capace di inghiottire i colori dei prati che lo circondavano. Il perimetro era recintato da una barriera di rete metallica e filo spinato e a nessuno veniva permesso di entrarvi, se non chi era autorizzato dal capo delle Sentinelle. L’edificio era tenuto sotto stretta sorveglianza e fuggire da lì era praticamente impossibile. Più si avvicinavano, maggiore era la curiosità di Ajax; il ragazzo allungava occhiate a Ryurik, sicuro di vedere un qualche tipo di reazione spuntargli sul viso. Ma contro ogni previsione, il mago non disse nulla. Non un solo sussurrò uscì dalla sua bocca e le sue sopracciglia rimasero dritte, a sovrastare gli occhi cuciti in pallida noia.
 
- Ebbene? Non hai nulla da dire? -
 
Ajax manteneva sempre il controllo, ma da quando aveva iniziato ad avere a che fare con quel mago dalle origini gelide, capitava sempre più spesso che sentisse moti di rabbia muoversi nel ventre. Alla sua domanda Ryurik inclinò leggermente il capo a destra, smuovendo i lunghi capelli scuri, poi schiuse le labbra: - Umh, no, non devo dire niente. –
 
- Questo posto è stato costruito per volontà di Nadia ben prima di tirare su le abitazioni dei futuri abitanti della Corte; è una prigione munita di ogni precauzione affinché ai galeotti non sia permesso scappare. -
 
- Capisco. Ci sta una così anche nella comune di mia madre, a lei piace chiuderci dentro chi… come si dice… disubbentra? -
 
- Disubbidisce. – Lo corresse con pazienza Ajax.
 
- Esatto. Non mi pare che è speciale questa qui, solo un posto di morte come tutti gli altri. – Con quella sentenza, Ryurik anticipò il passo e giunse davanti la Sentinella a guardia della cancellata. Ajax lo seguì stringendo le labbra. Decisamente no, non sopportava la saccenteria di Ryurik, come non mandava giù il fatto che ogni volta sembrasse sminuire l’incredibile lavoro della Governatrice.
Nemmeno quando scivolarono nel seminterrato della magione, dove la luce era fioca e il freddo si faceva più pungente, Ryurik mostrò alcun tipo di emozione. Solo quando incontrarono Jude, il ragazzo finalmente sorrise e agitò la mano in segno di saluto.
 
- Spero che questo richiamo è importante. Questa è la mia mattina libera e voglio tornare a fare le mie cose. -
 
Ajax era pronto a scommettere che Jude si sarebbe imbestialito davanti alla schiettezza di Ryurik, ma il capo delle Sentinelle non parve minimamente scosso; al contrario, con sua enorme sorpresa, Jude si scusò con Ryurik per averlo disturbato.
 
- Questa è una cosa molto importante. Ti ho già parlato di Stafford Rowley e sai quanto sia particolare il nostro prigioniero. -
 
Ryurik annuì: - Arriva al punto: cosa vuoi che faccio? –
 
Jude fece strada ai due lungo il corridoio: - Sappiamo che Safford non reagisce ai nostri poteri. Ciò nonostante il tuo è davvero molto particolare e lui non ha mai avuto a che fare con nulla di simile, non che io sappia, almeno. Ragion per cui… - Jude arrestò il passo e da sotto la giacca estrasse la sua bacchetta, che agitò in direzione del collare di Ryurik, che si slacciò all’istante. Con un altro movimento di bacchetta l’oggetto fluttuò nelle sue mani. Il mago si tastò il collo, così aggrottò le sopracciglia: - Vedo che tu puoi usare quella tua bacchetta. –
 
Jude non rispose, mentre Ajax tentò di mascherare un sorriso soddisfatto, dinanzi l’evidente fastidio provato da Ryurik.
 
- Ci vorrà poco. – Il capo delle Sentinelle mosse qualche altro passo fino a giungere davanti all’ultima porta di ferro del corridoio. Una volta aperta, Ajax e Ryurik si trovarono davanti l’immagine di un uomo di bell’aspetto, ma coperto da ecchimosi  e piccoli tagli ormai rimarginati; fra di essi era ben visibile una cicatrice che divideva il labbro superiore. L’uomo, seduto sulla branda, con i polsi allacciati da un paio di manette, alzò lo sguardo torvo nella loro direzione, facendolo saltare dall’uno all’altro per poi soffermarsi proprio su Ryurik. Quest’ultimo non sentì nulla, nemmeno quando si concentrò solo sulle emozioni del prigioniero, escludendo dalla sua mente sia Ajax che Jude.
 
- Niente. – Disse laconico Ryurik.
 
- Prova ancora. -
 
Ryurik stava tentando di nuovo, quando sentì il prigioniero trattenere a stento un gemito di dolore e poi il suo sguardo venne catalizzato da una piccola chiazza che si spandeva sulla manica destra.
 
- Si ferisce ogni volta che qualcuno prova a usare un potere su di lui. È un maledetto scudo… non è vero Staffy? -
 
- Spiacente Jude… puoi sempre ritentare la prossima volta… - Un lieve ghigno sporcò il viso di Stafford e bastò quello a far scattare qualcosa in Jude. Il Capo delle Sentinelle si avventò su Stafford, afferrandolo per il collo e schiantandolo contro la parete della cella.
 
- Sei un idiota, ecco quello che sei! Finirai per morire qui dentro, lo capisci o no?! -
 
- Capo! Non farlo! – Ajax si lanciò contro Jude e lo trattenne con forza, per evitare di fargli compiere un gesto avventato; Ryurik, però non riuscì a fare nulla: in quel momento era pietrificato, affogato dall’emozione dell’ira scaricata da Jude. I suoi occhi si spalancarono e il corpo cominciò a tremare. Poi accadde qualcosa che Ryurik non provava da molto tempo. Percepì come se l’ira prendesse forma, acquisendo solidità dentro il suo corpo. Il mago si strinse lo stomaco con le braccia e cadde in ginocchio, cominciando ad annaspare e poi a tossire, nel tentativo di liberarsi di quell’odiosa e pericolosa sensazione tangibile.
E Jude, contemporaneamente, sentì con distinzione la rabbia accecante affievolirsi, fino a farsi piccina piccina e rintanarsi nel suo più intimo angolo della mente. Sbalordito, accolse la calma come fosse una madre premurosa nel cullare il suo piccolo; anche Ajax dovette accorgersi che Jude si fosse calmato, perché allentò la presa fino a lasciarlo totalmente libero. Stafford accennò una risata roca, sputò sangue e si rivolse a Jude: - Controlla il tuo amichetto, non credo stia bene. –
 
In quel momento Jude si allontanò da Stafford per calare su Ryurik; lo afferrò per le spalle e lo scosse appena: -Ryurik, stai bene? Ryurik… dannazione. Ajax, portiamolo via e che nessuno ci veda! –
 
Stafford, definitivamente ignorato da Jude, lo osservò portare via quel ragazzo dai capelli lunghi, aiutato dall’altra Sentinella. Quando la porta della sua cella si chiuse con violenza, Stafford si concesse di sorridere nonostante la ferita che pulsava sul braccio destro.
 
Quartier Generale
Sala riunioni
 
Quella era il genere di situazione che faceva andare fuori di testa Chion e dal quale il ragazzo si sarebbe volentieri tirato fuori. La Sala riunioni, difatti, sovrabbondava di Ladri in vena di alzare la voce. Fortunatamente almeno i piccoli del Quartier Generale erano troppo stanchi per tentare di entrare – come sempre accadeva quando gli adulti si assembravano per fare le cose da grandi-, così Skog e un nutrito gruppo di volenterosi genitori si stava occupando di intrattenerli lontano dalla sala riunioni. Ora bisognava occuparsi dei grandi. Sonne, seduto scompostamente su una delle sedie, osservava Mångata battibeccare con Yuki e Atlas, affiancato dalla sua ragazza pronta a dargli manforte nella discussione. Vulkan se ne stava a braccia conserte al fianco di Chion e Mawja, una dei Ladri più anziani, che da qualche tempo si limitava ad aiutare con l’organizzazione delle missioni assieme a suo marito Dam, anche lui troppo anziano per affrontare le Terre di nessuno. Jabal, Dimma e Oleander discutevano sui progetti dell’uomo, che a detta delle due streghe procedevano troppo a rilento, mentre Ame si massaggiava l’incipit del naso.
 
- Allora? Vogliamo iniziare questa cazzo di riunione? -
 
- Già. – Alle parole di Ame, che miracolosamente portarono l’affievolirsi delle voci dei presenti, Oleander inclinò il capo e puntò lo sguardo in quello di Sonne: - Già. Ci vuoi dire finalmente perché siamo qui e per quale motivo tutte le missioni sono state annullate? -
 
- Concordo. Pretendo di sapere perché diamine siamo costretti a stare chiusi qui! – Intervenne Atlas, indicando il pavimento con l’indice con un gesto eloquente. In quel momento tutte le attenzioni erano su Sonne; quest’ultimo prese a oscillare sulla sedia, facendo leva con gli anfibi puntati contro il bordo del tavolo.
 
- Umh… in realtà… no. -
 
- No… cosa? – Chiese Yuki, invero molto perplessa.
 
- Ho pensato che è meglio non vi dica come mai vi sto per chiedere di fare quello che faremo. -
 
- Perfetto, questa mattina si è svegliato criptico. – Il tono masticato di Vulkan non sfuggì alle orecchie di Sonne, ma il ragazzo fece finta di niente e continuando a ondeggiare sulla sedia, avvicinò i polpastrelli delle mani e cominciò a tamburellarli fra di loro, mentre gli occhi passavano in rassegna i presenti.
 
- Vi ho chiesto di rimanere qui perché ho bisogno di quante più persone possibili per una missione importante, molto… importante. – Sottolineò.
 
- Ma quindi tutto questo non c’entra nulla con… - Ame venne zittita da un gesto secco di Sonne, che la guardò poi con intensità. – Ti avevo chiesto una cosa, ricordi? -
 
- Ops… scusa, dicevi? – Tergiversò lei, così che Sonne tornò a parlare: - Vediamo un po’… mmm… ci sono. Ollie, Ame, Dimma, Leaf… voi quattro farete squadra. -
 
- Potresti essere un tantino più specifico? – Chiese Dimma, con le braccia incrociate e un sopracciglio inarcato.
 
- Più specifico? E va bene… allora diciamo che fra tre giorni voi quattro andrete alla Corte. Dimma sceglierà l’entrata che preferisce. Quello che vorrei che faceste è far esplodere il silo più grande, ma anche qualcos’altro andrà bene. L’importante è che facciate più casino possibile.
 
- Incendio! Yeah! – Esultò Ame, mentre Oleander e Leaf chiesero in coro il motivo di un’azione simile.
 
- Fidatevi di me, l’importante è che facciate esplodere qualcosa di molto grande. – Sonne chiuse le dita e poi le stirò: - Boom. -
 
- Sonne… cosa diavolo stai dicendo? – Yuki assunse la sua espressione più preoccupata.
 
- Quel che ho detto vi deve bastare. L’importante è che vi organizziate fra di voi la mattina stessa dell’incursione. Solo prima di partire Ame verrà da me e mi dirà ciò che avete deciso. -
 
- E noi altri? – La voce di Vulkan vibrò nella stanza, così Sonne espose il sorriso, mettendo in mostra il diastema fra gli incisivi: - Voi verrete con me. -
 
- Perché? – Chiese Mångata.
 
- Non posso dirvelo. – Rispose Sonne.
 
- Quando? – Domandò cauto Chion.
 
- Non posso dirvi nemmeno questo perché… beh, non so nemmeno io quando. Ma fidatevi di me, so quel che faccio. -
 
- Non voglio mettere in discussione la tua parola, ma è evidente che non sia vero, amico mio. – Leaf assottigliò gli occhi coperti dagli occhiali da sole e accennò un sorriso in direzione di Sonne, che scoppiò a ridere d’improvviso, raggelando tutti tranne Ame, che continuava a starsene tranquilla al suo fianco e a sognare ad occhi aperti di incendi spaventevoli.
 
- Effettivamente mi rendo conto che da fuori possa sembrare che non sia così, però è davvero molto importante, in questo momento, affidarci quanto più possibile al caso. C’è una cosa davvero vitale che dobbiamo fare lì dentro e non possiamo permettere che lei riesca a prevenire le nostre mosse. E con questo ho detto tutto. Se non avete altre domande e per inciso, parlo di domande a cui pensate che io possa dare una risposta, direi che questo è quanto. – Sonne lasciò scivolare i piedi a terra e si alzò – Durante questi tre giorni è assolutamente vietato confrontarvi fra di voi; qualsiasi tipo di organizzazione è proibita. -
 
- Quindi cosa diavolo dovremmo fare per tre giorni?! – Oleander spalancò le braccia e sgranò gli occhi, mentre seguiva Sonne che raggiungeva pigramente la porta della sala riunioni. Il mago si fermò poco prima di spingere la maniglia e alzò le spalle: - Non ne ho idea, fate quello che vi piace fare: mangiate, divertitevi, ballate; chi può faccia sesso. Lo farei anche io ma continuo a ricevere due di picche. -
 
Dimma alzò un dito medio nei suoi confronti e Sonne concluse: - Insomma, l’importante è che non pensiate per nessun motivo a quello che ci siamo appena detti. E ora scusatemi, vado a farmi una birra. –
 
- Vengo con te. – Jabal seguì Sonne lungo il corridoio, borbottando che aveva proprio bisogno di bere qualcosa. Gli altri rimasero a guardarsi per un po’ e infine tutti lasciarono la stanza, tranne Ame e Vulkan che si lanciarono uno sguardo d’intesa. Entrambi sapevano di sapere, ma era bene tacere e fare come aveva detto Micah, se desideravano avere anche solo una piccola possibilità che il piano funzionasse.
 
La Corte
Residenza di Nadia
 
- Tesoro, dai un’occhiata a questa per piacere. -
 
Nadia si avvicinò a Etienne, trattenendo una lettera fra le mani; il marito era seduto alla scrivania del loro ampio e luminoso salone, occupandosi di rispondere a una delle Corti del sud. Alida, nel frattempo, esaminava ogni risposta ricevuta da Nadia: aprile era alle porte il che voleva dire che giugno fosse sempre più vicino, ragion per cui avevano bisogno di stringere la morsa sull’organizzazione della festa del raccolto, se non volevano incappare in qualche imprevisto.
 
- Mmm… l’Africana del sud… - Etienne esaminò la minuta scrittura francese: - Chiedono un aiuto per affrontare il viaggio, cherie. -
 
- Stessa cosa per l’Oceanica. Come siamo messi a risorse umane? -
 
Etienne sistemò gli occhiali sul viso, così incrociò le braccia e continuò a guardare la lettera abbandonata sulla scrivania: - Ci sono centinaia di Sentinelle destinate a controllare le vie terrestri della Corte, ma temo sarà necessario organizzare anche delle flotte per le ispezioni marine. Non dobbiamo dimenticarci di quanto è successo quattro anni fa. –
 
- I sovversivi del Giappone. – Nadia si massaggiò la fronte: - Ci hanno fatto uno scherzo bello e buono. No, non possiamo assolutamente permettere che succeda di nuovo; dobbiamo immediatamente scrivere alle Grandi Comuni e chiedere maggiore collaborazione da parte loro, altrimenti potrebbe finire molto male questa volta. -
 
Le parole dei coniugi arrivavano nitide alle sue orecchie, nonostante ciò l’attenzione di Alida non era certo concentrata su di loro; più esaminava le missive, maggiore era la sensazione di straniamento che percepiva intorpidirle i sensi. Per un attimo la testa prese a girare e Alida strinse in automatico i pugni, afflitta dalla stanchezza dovuta al lavoro certosino commissionatole da Nadia. Aveva bisogno di riposarsi, ma non aveva il coraggio di chiederlo. Tastò alle sue spalle ricercando la sedia che tirò a sé e sedette con cautela, stando bene attenta a non attirare l’attenzione; avrebbe riposato solo un pochino, giusto il tempo di riprendere le energie necessarie per potersi concentrare a dovere.
 
- Che orrore… quell’esplosione ha causato centinaia di vittime e affondato tutto il raccolto che stavano trasportando. -
 
Esplosione.
 
Quella parola fu come uno spietato detonatore, per Alida. Un attimo prima stava riprendendo forza mentre sudori freddi le imperlavano la fronte, mentre un attimo dopo Alida non era più lì: I suoi occhi furono illuminati da luce torrida e mortale e un boato ovattò le orecchie e fece tremare la terra sotto i suoi piedi. Poi le fiamme divamparono intorno all’edificio che non riuscì a distinguere con precisione e il calore di esse divenne insopportabile.
 
Etienne e Nadia furono interrotti da un urlo agghiacciante; in un attimo furono accanto a Alida, la quale si era alzata di scatto dalla sedia e si era addossata alla parete, mentre le mani sfregavano le braccia e le lacrime inondavano gli occhi, diventati bianche sfere opache.
 
- Brucia! Tutto brucia! – Gridò la Sentinella, il volto sfigurato dal grido disumano. Etienne e Nadia si guardarono con preoccupazione, così la Governatrice la afferrò per le spalle e puntò gli occhi in quelli assenti della giovane.
 
- Alida, sono qui! Cosa succede? -
 
Alida si addossò ancor più alla parete e scivolò lentamente verso il basso, continuando a sfregarsi le braccia e gridare. Nella sua mente l’immagine del fuoco era vivida, eppure con lentezza quello parve farsi meno intenso, meno reale, intanto che sentiva dapprima come un ronzio, poi più concreta, la voce di Nadia richiamarla alla realtà. Un ansito feroce, poi flebile parole uscirono dalla bocca morbida di Alida; Nadia vide i suoi occhi mutare, dividendosi nuovamente nei cerchi di pupille e iridi.
 
- Cosa hai visto?! Etienne, porta dell’acqua, fa presto. -
 
Alida afferrò il bicchiere portato da Etienne con mani tremanti, faticando ancora ad assopire il tremore che la pervadeva. Era terrore puro, quello che riconobbe Nadia; ma la Governatrice non parve particolarmente sconvolta e non si risparmiò di insistere, tornando a stringere le spalle della giovane strega dopo essersi chinata alla sua altezza. Dopo aver trangugiato un primo bicchiere d’acqua Alida ne chiese un secondo, che Etienne le versò. Nadia, invece, si mostrava impaziente nel capire cosa avesse visto.
 
- Fuoco… un, un’esplosione… - pigolò tremula, poi incastonò di nuovo lo sguardo spaurito in quello rigido della Governatrice: - Un attacco… verranno alla Corte. Credo… credo che faranno esplodere il silo dei cereali… tre giorni. – Queste le poche parole che riuscì a pronunciare con stanchezza Alida, prima che tutto diventasse buio.
 


 
Buon anno a tutti cari lettori! Immagino che le vostre vacanze, come le mie, siano state insolitamente tranquille. Di mio posso dirvi che ho amato il capodanno, festa che odio con tutte le mie forze e che finalmente non sono stata costretta a passare festeggiando e facendo finta di essere allegra e felice.
Bene, so che questo terzo capitolo è stato l’ennesimo capitolo di presentazione, ma come avrete intuito dal prossimo capitolo inizierà ad esserci parecchia azione, ragion per cui godetevi la tranquillità finché potete.
 
Ho una bella domanda per voi: come è mia usanza, anche questa volta si parte con l’indagare i personaggi protagonisti di questa storia, ragion per cui vi chiedo di votare (IN PRIVATO) due OC che vorreste approfondisca nel prossimo capitolo. Di seguito vi lascio la lista da cui pescare. Vi chiedo inoltre di non votare il vostro OC.
 
Ajax
Ame
Leaf
Lir
Mångata
Yuki
 
 
Poi.
Per chi mi segue su instagram questa non sarà una novità: su IG ho già pubblicato due piccolissimi estratti della vita di alcuni personaggi e credo che questa cosa accadrà anche in futuro. Per ora li condivido qui sotto; se ne volete ancora, basterà chiedere! Comunque per vedere collage, leggere estratti e fare due chiacchiere, vi ricordo che potete seguirmi, mi trovate con il nick bri_efp
 
Per ora è quanto, aspetto i vostri voti.
 
Bri
 
 
 
Il Mercato
 
 
Non c'era luogo, in quel mondo spezzato su cui camminava, che Ame amasse di più dei mercati illegali. Nelle Terre di nessuno essi sbucavano come piccole e tenere piantine nelle aree desertificate, a seguito di un'improvvisa pioggia torrenziale. Il paese dei balocchi, questo rappresentava per lei. Perdersi in quel paradiso di bugigattoli improvvisati negli scheletri di qualche casa diroccata, affondare il naso in oggetti dal sapore consumato, analizzare i ninnoli nel tentativo di capire cosa avrebbe potuto farci, come sarebbero potuti diventare, faceva vibrare il suo corpo di salubre eccitazione.
 
- Piantala. - la rimbeccò Sonne, tirandola via per la collottola mentre Ame, con occhi sgranati e sorriso inebetito, stava rigirando fra le mani la cornetta di un telefono babbano.
 
- Prima di tutto hai già comprato troppe cose inutili, secondo poi...- Sonne la fece roteare su se stessa, picchiettandole poi la fronte con l'indice - ... Non hai oro, né nulla con cui scambiare questa robaccia. Come pensi di pagarla?-
 
Ame, sullo sfondo il tripudio di colori formato da tessuti e mobiletti sbilenchi, strinse al petto il vecchio telefono. Sfoderò l'intera fila di denti, prima di rispondere che fosse stato necessario, avrebbe pagato in natura.
 
 
Storiella di Natale
 
 
“Carta, forbici, sasso!” Dissero in coro i due ragazzini, prima di mostrare all’altro il segno scelto. Micah guardò la mano del cugino con un’espressione di delusione sul volto e iniziò a sbuffare con una certa regolarità.
 
“Hai vinto ancora una volta, non ti batterò mai!” 
 
“Ma si che ci riuscirai! Dai, ne facciamo un’altra?” 
 
Ma Jude si rese conto che Micah non avesse più voglia di giocare; i suoi occhi chiari erano persi oltre la linea colorata delimitata dal prato in fiore che li accoglieva.
 
“Ehi, che ti succede?” 
 
“Mmm... “ il più piccolo tornò a guardare Jude di sottecchi.
 
“ Se te lo dico, giuri di non prendermi in giro?” 
 
Jude aggrottò le sopracciglia e lo guardò torvo, come a voler sottolineare con lo sguardo che non si sarebbe mai e poi mai fatto beffa di lui. Poi soffiò un “lo giuro”, così Micah, dopo aver annodato le mani con agitazione, prese coraggio e puntò di nuovo le pupille abbracciate da cerchi azzurri, nelle punte di spillo dell’altro. 
 
“ Ho sentito Staffy parlare di una festa... una festa che noi non conosciamo e che si svolgeva in quasi tutto il mondo, prima che la nonna, beh... insomma: la festa del Natale! Ne sai niente?”
 
Il biondino si grattò la nuca in un atto di forte riflessione, poi annuì: “La festa del Natale... si. Si festeggiava la nascita di qualcuno di importante, una sorta di messia, credo... e un signore ciccione portava i regali a noi bambini.” Jude parve pensarci sù, poi sorrise soddisfatto “ cioè a voi bambini, io sono grande ormai, ho dieci anni!”
 
Micah ignorò l’ultima affermazione dell’altro: “ E a quanto ho capito si prendeva un albero, piccolo però, e ci si mettevano sopra luci e palle colorate e lì sotto quel signore di cui parlavi ti lasciava i regali!” Il bambino si afflosciò sconsolato “Sarebbe stato bello se il Natale si poteva ancora festeggiare.”
 
“Potesse.” Lo corresse orgoglioso, Jude. Micah proseguì “E poi chissà che fine ha fatto quel signore che portava i regali.” Così sgranò gli occhi, terrorizzato “Forse è morto!”
 
 Jude, che era abbastanza convinto che quel grasso signore non fosse mai esistito, si mostrò comunque molto premuroso nei confronti del cugino, così tornò a parlare con estrema serietà “Comunque questa festa era a dicembre, mentre ora siamo ad Agosto. È presto per pensarci! Non vogliamo fare un altro gioco?”
 
Micah allacciò le ginocchia con le braccine secche e annuì piano e con poca convinzione. E no, Jude non lo poteva vedere in quello stato. Allora capì che c’era solo una cosa da fare: si avvicinò a Micah, gli strinse le spalle con un braccio e gli sorrise di cuore: “Facciamo così... quando sarà dicembre, ti prometto che faremo un albero come vuoi tu e che troverò quel signore ciccione per farti portare un regalo. Pensa a cosa vorresti però!” 
 
Il visino pulito di Micah si illuminò e il sorriso si allargò, scoprendo una bella finestra creata dall’assenza di uno degli incisivi, poi abbracciò Jude con tutto il vigore che gli era concesso.
 
“Grazie Jude! Sei il migliore!” 
 
Il più grande ricambiò l’abbraccio, poi sfregò la nuca del cugino e si raccomandò di non fare parola né con i genitori né con i nonni, riguardo a ciò che si erano detti. 
 
“ Ora basta quel muso triste però. Torniamo a giocare: carta, forbici sasso!”
   
 
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