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Autore: Gahan    24/08/2009    0 recensioni
Un capo dell'esercito, un comandante, questo era Leis, o almeno lo era prima che il suo esercito fosse stato distrutto. Cercare vendetta è il suo scopo, è disposto a tutto. E tutto darà...
Genere: Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era un pomeriggio con un cielo rosso, quello di quel giorno. Un fuoco si alzava non lontano da quella collina dove si trovavano ora Leis e il suo esercito. Una città bruciava a non molto distante da loro. E lui, noto come il capo dell’esercito più coraggioso e deciso, non poteva farci nulla.
Un soldato gli si avvicinò. – Signore, non andiamo ad aiutarli nella battaglia? –
Quelle parole lo fecero trasalire. – No. Ora torna al tuo posto soldato, altrimenti ti ci mando da solo lì in mezzo. –
L’altro soldato fece tre passi indietro. Quei tre passi che separavano l’esercito, dal suo comandante.
Era dall’alba che quella battaglia era cominciata. Ed era dall’alba che Leis assisteva alla scena della disfatta della sua amata patria per mano di un uomo che si illudeva di poter raggiungere un potere tale da superare chiunque altro.
Una lacrima scese dai suoi occhi, una sola. In memoria ai giorni passati in quella città che lui amava tanto. Ricordava benissimo le parole che l’uomo con l’armatura nera gli aveva detto il giorno precedente.
- Buongiorno, signor Leis. –
- Chi è che mi ha fatto chiamare a quest’ora della mattina? Ti rendi conto che è da poco passata l’alba?! –
- Sì, e mi scuso per questo, ma dovevo riferirle una cosa molto importante. –
- Di cosa si tratta? –
- Ciò che le basta sapere, signore, è che ho un esercito abbastanza potente che credo, solo il suo potrebbe battere. –
- Sono contento per te, ma cosa intendi fartene? Non vorrai usarlo, spero. –
- Invece è proprio quello che voglio fare, mio signore. – Poi gli si avvicinò, e toccò il petto di Leis con l’indice sinistro. Il capo dell’esercito svenne all’istante.
Si svegliò qualche minuto dopo. Accanto a lui trovò i cadaveri di cinque guardie. E l’altro uomo seduto su un tavolo, con un piede su una sedia, che guardava di fuori. – Bastardo! – Leis si alzò e gli corse contro con la spada sguainata.
Lui non si girò nemmeno. E il corpo di Leis si bloccò. – Quello che le ho fatto prima è un sigillo, caro il mio capo dell’esercito. Uno temporaneo, per l’esattezza. Tra un paio di giorni sarà sparito. A me ne basterebbe uno solo, ma, due giorni è il tempo minimo. Se le può interessare, il tempo massimo è di un anno. Reggere un sigillo attivato per più tempo sarebbe come condannarsi a morte certa. –
- Ma di cosa stai parlando? –
- Oh, giusto. Lei si limita alla rudezza di una guerra tra spade e archi. Non conosce nemmeno cosa sia, la sottile arte della magia. Poter spostare un oggetto solo guardandolo. Poter accendere un fuoco con alcune semplici parole. Perfino… staccare i fili che collegano l’anima di un uomo, al suo corpo. Uccidendolo, con un solo gesto, di un dito. –
- Che razza di demonio sei tu? –
- Demonio? Non mi definirei così. Preferisco essere paragonato a un dio. Siamo in pochi rimasti della mia stirpe. Molto pochi. Ma bastiamo a uccidere un intero esercito formato da migliaia di persone. –
- Un dio? Gli dei non esistono. E se anche esistessero non avrebbero bisogno di un esercito. –
- Gli dei non esistono? Ah! Questa è la più grande idiozia che abbia mai sentito nella mia vita. Gli dei esistono. Il fatto che non sono potenti, buoni, e altruisti come li descriviate voi umani, è un’altra storia. –
- Dai, se dici che esistono, dimostramelo. Dimostrami che gli dei esistono! –
Lui si avvicinò alla faccia chiara di Leis, con gli occhi castani e i capelli, che ormai non c’erano più, un tempo erano neri. Il mento molto marcato. Il resto del corpo era segnato dei muscoli.
L’altro uomo a lui sembrò essere una specie di mostro. Ma, stranamente bello. Il suo corpo era viola scuro. Ricoperto di scaglie, tranne sul volto. Gli occhi con l’iride sempre viola, ma più chiaro. Quello che Leis credeva un elmo, erano delle specie di corna, senza punta, che, se venivano guardate di lato, sembravano le ali di un gabbiano. Il volto sembrava quello di un ragazzo. Ora che Leis ci faceva caso, il corpo era magro. Decisamente non adatto a un soldato.
- Ce l’hai davanti un dio. –
Gli occhi di Leis si sbarrarono. – N…non è possibile… –
- Eppure è realtà. E intendo prendere possesso del vostro lurido mondo. –
Leis pareva non sentirlo. – Quanti siete? –
- Una ventina… forse di più. Ma a chi importa? Basterei solo io per uccidervi tutti. –
- E perché vorresti conquistare il mondo? –
- Perché vederlo in mano a dei pezzenti che non riescono a viverci insieme, mi sembra uno spreco. –
- E cosa intendi fare, allora? –
- Prendere il potere, e costringerci a fare ciò che voglio. –
- Non mi sembra un granché di piano per la parte del mondo. –
- Quello che io farei è a stretto contatto con il mondo. Perché è così che deve essere. Comunque, con questo mi hai fatto perdere il discorso principale. Il sigillo che ti ho imposto, ti impedirà di venirmi ad attaccare, domani. –
- Perché solo domani? Perché non per un anno, cosicché abbiate tutto il tempo per conquistare il mondo. –
- No, mi indebolirei e basta. Con te farò i conti dopo. Non sei il problema principale. Ma domani attaccherò la tua città natale. E sarebbe una gran scocciatura averti fra i piedi. Quindi quel sigillo te lo impedirà. Oppure morirai. Starà a te decidere. In entrambi i casi il tuo esercito darà perduto, quindi non mi preoccupo più molto. –
- Ho giurato che avrei difeso la libertà anche a costo della mia vita, quando entrai nell’esercito. Non sarà uno stupido sigillo ad impedirmi di far marciare il mio esercito contro di te domani. –
- Sì, certo, certo. Chi non direbbe una frase del genere in una situazione del genere? Ma il punto è, quando arriverà il momento, sarai capace di adempiere al tuo giuramento? O la paura della morte, del salto nel buio eterno senza mai ritorno, avrà la meglio e tu scapperai con la coda tra le gambe? –
Poi sparì, lasciando solo una lieve nebbiolina come traccia del suo passaggio.
Leis cadde, deciso sul da farsi. Avrebbe mobilitato le truppe quella sera stessa.
Ed era così che era finito lì, a guardare la sua città che periva sotto la mano di uno che affermava essere un dio.
La lacrima toccò terra. Lui si toccò il petto e sentì il suo cuore stranamente calmo per come si sentiva. Quello che provava era un misto di tristezza, rabbia, e odio.
Sputò a terra. Poi fece girare il suo cavallo verso l’esercito e sguainò la spada. – Gente! Lo so, di solito un condottiero non si rivolge a un esercito con questo nome. Ma in fondo che siete voi? Delle semplicissime persone che magari pensavano di fare un atto di coraggio arruolandosi nell’esercito. O che cercano di sfuggire alla legge facendo questo lavoro. O che fugge da una moglie troppo possessiva. Le ragioni per cui siete qui non mi interessano. – Seguirono delle risatine soppresse. – Alcuni di voi sono qui sin da quando io ero ancora un soldato semplice. Ci sono molti amici tra questi tremila uomini che compongono questo ammasso di assassini che le persone che non hanno provato questa vita definisce “eroi”. Chi non è della mia stessa opinione significa che è troppo poco tempo che è qui, o che è una sottospecie di bestia che combatte per puro piacere di vedere un altro uomo cadere trafitto dalla propria spada. E credetemi quando vi dico che quelli saranno i primi a morire. Oggi dimostriamo al mondo che niente e nessuno potrà fermarci. Che per quanti di noi possano cadere, ce ne saranno sempre altri a prendere il loro posto in battaglia, e a vendicarli. Io vo chiedo di continuare a combattere, oggi. Perché chiunque siano quei bastardi che hanno fatto cadere il fuoco dal cielo su quella città, meritano solo la morte. Vi chiedo di combattere qualsiasi cosa succeda, anche se io dovessi morire. Anche se dovesse rimanere uno solo di voi. Che nessuno scappi. Che nessuno si nasconda. Il destino ci ha portati qui. Molto probabilmente molti non reggeranno la giornata. Vi chiedo di combattere come mai avete combattuto in vita vostra. Perché questa non è una zuffa tra ragazzi. Non è una rissa in una taverna. È guerra. E spero che ve ne siate resi conto. E spero che oggi combatterete come gli assassini che siete. Non fatevi venire i rimorsi di coscienza proprio oggi. E se ci saranno sopravvissuti, spero che continuino questa vita perché, dannazione, è la migliore vita che un assassino come noi possa aspettarsi. Ora andiamo. Facciamo vedere a quei bastardi con chi hanno a che fare! –
Dall’esercito si levò un grido, il suono delle lame sguainate che venne subito dopo, fu assordante.
Cavalcarono dritti. Verso il fuoco. Appena arrivati alle porte della città, a Leis prese una fitta al cuore. Qualche secondo dopo era a terra. Il cavallo che nitriva spaventato e triste per la morte improvvisa del padrone. I soldati erano spaventati anche loro. Per un attimo si fermarono. Poi, ricordando le parole del loro capo, il più alto in grado maledisse tutti, e fece un gesto con la spada per mettere di nuovo l’esercito alla carica.
No! Non posso morire! Non adesso, i miei uomini hanno bisogno di me. Non posso morire! Non posso… io, io devo continuare, a vivere. Vi prego dei, se esistete, concedetemi un’altra possibilità. Concedetemela… vi… I pensieri di Leis si fermarono. Il flusso di vita che lo pervadeva fino a un secondo prima si bloccò.
Non poteva credere che la sua vita sarebbe finita così. Da un momento all’altro senza conoscere nemmeno il nome del tizio che l’aveva ucciso.
Come se si fosse addormentato, tutto intorno a lui diventò nero. La sua anima cercava di andarsene dal suo corpo. Lui cercava di trattenerla a sé il più a lungo possibile con le poche forze che gli erano rimaste. C’era lui, e c’era il nulla. E lui non voleva entrare a far parte di quel nulla. Sarebbe stato pronto a tutto pur di tornare a vedere il volto dolce della moglie, e quello allegro e vivace della figlia.
Poi sentì la sua anima arrendersi, un altro colpo al cuore. E in quel nulla nero si dipinsero come per magia delle ombre. Che diventavano sempre più distinte. Davanti a lui c’era un trono. Tutto interamente fatto d’oro. Sopra c’era una donna. Era bionda, con i suoi capelli lisci che scendevano lungo il corpo fino a metà schiena. Il corpo magro e il viso meraviglioso, con gli occhi verdi che lo puntavano. Portava un lungo vestito verde anch’esso.
- Dove sono? – Provò a chiedere Leis.
- Questo non ti deve interessare. Sai chi sono io? E chi sono tutti gli altri qui dentro? –
- No. –
- Siamo i dei. Coloro che tu hai rinnegato per tutta la tua vita. –
- Ma questo non è possibile. Pensavo… –
- Che gli dei fossero quelli che stanno attaccando il tuo mondo? No. Ci vanno vicino. Molto più vicino di quanto dovrebbe essere. Ma non sono dei. –
- E cosa sono? –
- Una via di mezzo. Uomini che non sono uomini. Dei che non sono dei. Sono una strana razza. –
- Razza? –
- Sì, in quello che voi chiamate mondo, non esistono solo gli uomini. Esistono tantissime razze differenti. Una per ogni coppia di dei che vedi qui dentro. E qui dentro siamo molti. –
- Ma perché non si fanno vedere? –
- Un tempo sì, vivevate tutti insieme. Poi voi, gli uomini, vi staccaste dagli altri. Desiderosi di potere. –
- E dove si trovano ora gli altri? –
- Io non lo so. Io e il mio compagno siamo i vostri dei. Quelli degli uomini. E gli altri non sono disposti a parlarti. –
- Ma perché sono qui? –
- Perché tu sei il primo ed unico uomo che è mai riuscito a battere la stessa morte. –
- Battere… la morte? –
- Sì, hai impedito alla tua anima di lasciarti. Rendendola definitivamente schiava del tuo corpo. Ci vuole molto forza per farlo. –
- Ed ora rimarrò qui? Insieme a voi? –
- Non scherziamo. Dopotutto sei ancora un mortale. E quando arriverà la morte, non riuscirai a salvarti una seconda volta. Sei qui perché hai diritto a un solo desiderio. Ah, sì. Se vuoi posso farti vedere cosa sta succedendo nel campo di battaglia che hai abbandonato per venire qui. O meglio. Cosa è successo. –
- Sì, ti prego, mostramelo. –
La testa di Leis si riempì di cadaveri. Le immagini di quella guerra erano orribili. La città era stata totalmente distrutta. A terra c’erano migliaia di cadaveri.  Non voleva pensare che non fosse rimasto neanche un sopravvissuto del suo esercito.
Le immagini scomparvero quando Leis cominciò a piangere. Aveva condotto migliaia di uomini alla morte. Il peso sul suo cuore era troppo per poterci vivere insieme. Così decise che, o li avrebbe vendicati, o sarebbe morto come i suoi compagni.
- Fammi diventare come loro. Rendimi un mostro come loro. –
- Ne sei sicuro? Non potrai più tornare indietro dopo. Rimarrai così fino alla tua morte. –
- Non mi interessa. Voglio vendicare i miei compagni, non m’importa se poi dovrò vivere per anni con le persone dietro di me che mi scherniscono o fuggono. –
- D’accordo. Questo vuoi, e questo avrai. –
La dea schioccò le dita. E Leis cominciò a sentire il suo corpo cambiare. La sua pelle si colorava di un rosso sangue come quello dei nemici che abbatteva in guerra. Sul suo petto, era comparso un disegno, come un tatuaggio, che rappresentava due catene che si incrociavano sul punto dove si trovava il suo cuore, per poi passare dietro le spalle, e rincontrarsi di nuovo sulla schiena, e continuando il loro tragitto, passando sotto le ascelle, a poi ricongiungendosi con il loro inizio. La donna gli spiegò che era un altro sigillo. E che serviva a ucciderlo, in caso, lui avesse tentato di uccidere qualcuno. Ma gli disse anche che, con una forza di volontà come la sua nel rimanere in vita, gli ci sarebbero voluti molto probabilmente dei giorni ad ucciderlo. Le scaglie che gli comparirono, erano leggermente più scure della pelle. A diversità del mostro che aveva incontrato, non aveva corna, solo dei piccolissimi artigli sulle nocche. Lunghi pressappoco come un ago, e con la stessa forma delle spine delle rose.
- Ti porgo in dono un’armatura. Un’armatura d’acciaio, rifinita in oro con il disegno di una rosa appassita. Quest’armatura era stata creata per una Guardia dal corpo rosso. E così è stato. –
- Una Guardia? –
Leis guardò la dea con un tono di domanda. Come se si chiedesse se ora dovesse essere lo schiavo di qualcuno.
- Sì, quelli che tu chiami mostri, in realtà sono le Guardie degli dei. Si sono rivoltate. Se ne sono andate dal nostro mondo, e sono cadute nel vostro. –
- E io dovrò essere come loro? – Chiese, mentre si stava mettendo i braccioli dell’armatura.
- In teoria sì, ma se ho ben capito, tu vuoi ucciderli, e così il sigillo ucciderà anche te, quindi non ci serviresti a molto. Io sono la tua dea, e sono io a decidere se trasformarti in una nostra Guardia. E decido di no. –
- Grazie. –
Ora va, ti ridono la vita. Che i tuoi occhi marroni tornino a brillare nel mondo dei vivi. –
Leis si sentì come trascinare via da un vento fortissimo. Buttato fuori dal mondo degli dei. Intorno a lui il campo di battaglia tornò ad essere il suo mondo.
Si risvegliò con il fiatone. Come se avesse percorso correndo un’intera foresta. Intorno a lui c’erano solo cadaveri. Quella era l’unica battaglia che avevano perso. E molto probabilmente, l’ultima a cui Leis avrebbe partecipato.
Quando si alzò, cercò se tra i morti ci fosse qualcuno di quei mostri. Ce n’erano tre. Uno bianco, uno verde, e uno azzurro. Uno era morto con una freccia in piena fronte, il secondo aveva una spada conficcata sul lato del collo, e il destro un’ascia nel cuore.
Fu felice nel vedere che i suoi uomini erano riusciti ad uccidere qualcuno di quegli esseri che tanto si avvicinavano agli dei. Ma vedere tutti quei morti gli aveva comunque provocato tantissima rabbia. Leis diede un pugno a uno dei pochi residui di muri ancora in piedi. I suoi artigli, prima si conficcarono nel muro, e, mentre quello stava volando via per la forza che Leis aveva acquistato nel cambiamento di corpo, esplose.
Lui si chiese perché, così fece un buco in una roccia, e poi cercò di infilarci gli artigli. Ma si dovette fermare appena dopo essere entrato in quella che prima che lui la rompesse, era la parete della roccia. Perché gli artigli crearono una piccola palla di fuoco, che si ruppe, trasformandosi in tanti vermicelli, che entrarono nel macigno, e facendolo esplodere pochi secondi dopo.
Solo dopo capì che se non toglieva gli artigli dalla roccia, la piccola palla di fuoco rimaneva tale, senza scoppiare o trasformarsi. Capì anche di poter creare altre palle di fuoco, di grandezza differente, anche grandi come tutto il campo di battaglia dove si trovava, senza conficcare gli artigli da qualche parte. Ma quando erano così grandi gli risultava impossibile poterle tenere per più di un paio di secondi prima che sparissero. Utilizzò i tre cadaveri delle Guardie per provare se anche un corpo, per quanto umano potesse essere, potesse subire gli effetti di quelle palle di fuoco. Notò che se si concentrava su una parte del suo corpo poteva emanava calore da lì, anche fino a bruciare un albero. Finì con l’intendere che lui poteva controllare il fuoco.
Se ne andò da quel posto perché rischiava di essere visto sa un soldato e riconosciuto come nemico. Si incamminò verso le montagne. In cerca di un posto dove poter passare qualche giorno cacciando e pescando.
Trovò una piccola grotta, abbastanza alta per farci entrare un uomo adulto in piedi, e abbastanza profonda per essere nascosto da sguardi indiscreti. La prima preda che fece fu un cervo. Grazie agli anni passati in esercito, aveva imparato a pulirlo e cucinarlo.
Gettò i resti nella foresta, sapendo che qualche animale li avrebbe mangiati.
Dosò bene il calore del proprio corpo in modo tale da non sentire il freddo eccessivo dell’altitudine a cui si trovava.
Dopo tre giorni che si trovava lì e si allenava a controllare il fuoco, una mattina, vide qualcuno che dava da mangiare a un lupo poco più in alto della sua grotta. Quando lo vide in volto capì subito che era come lui, ma la sua pelle era di un bianco candido quasi abbagliante. Portava un’armatura d’argento, con un drago rosso sul petto.
Leis fece il giro dietro di lui. Fino a quando non gli fu alle spalle, con gli artigli puntati sul suo collo. – Chi sei? –
- Sono te. –
- No. Io sono me, e tu sei te. Dimmi il tuo nome. –
- Leis. –
- Se non fai il serio giuro che ti infilzo la gola. –
- Quando hai incontrato gli dei, loro ti hanno concesso un nuovo corpo, dove la tua vecchia anima non poteva più risiedere. –
- Saresti la mia anima? –
- Sì, trasformata dagli dei e fatta diventare come te da loro. Ma mi hanno trasformato nel tuo opposto. Ghiaccio. –
- Stai dalla mia parte, giusto? –
- Sto dalla parte di chi vince. –
- E chi vince? –
- Nessuno, la vita non comporta un vincitore. Alla fine perdono tutti. –
- Intendi dire che moriamo tutti, vero? –
- Sì. –
- E allora vieni con me. Perché altrimenti non sapresti dove andare. –
- Hai ragione. Ti aiuterò nella tua vendetta. –
I due rientrarono nella grotta.
- Quando intendi attaccarli? –
- Domani cominceremo a cercarli. Appena li avremo trovati li attaccheremo. Senza aspettare oltre. –
- In passato facevi piani meglio congegnati. Questo sembra quasi un suicidio. Sei sicuro che vuoi vendicare i tuoi vecchi compagni? –
- Prima di diventare così ho deciso che li avrei vendicati, o sarei morto come loro. –
- Lo so, ma questo piano mi sembra fatto per la seconda ipotesi, non per la prima. –
- E se anche fosse? Se io mi volessi uccidere? Cercheresti di fermarmi? –
- No. Perché così avrei la libertà di raggiungere gli dei. Per me sarebbe anche meglio. –
- Allora faremo come ho detto. Niente discussioni. –
Quella notte Leis dormì poco. Di sonno ne aveva ben poco. Pensava alle parole della sua anima. E se era vero? Se lui in realtà non stava cercando di fare altro se non uccidersi per raggiungere i suoi compagni? Nel suo esercito vigeva la regola che chi avesse tentato il suicidio sarebbe stato marchiato come traditore ed esiliato dalla sua città natale. Solo ora si rendeva conto della stupidità di quella regola. Se uno lì in mezzo cercava di suicidarsi era proprio perché era troppo tempo che non rivedeva la famiglia. Esiliarlo non sarebbe servito a nulla se non a dargli un motivo in più per morire.
Il mattino dopo andarono a cercare gli altri mostri in alcuni punti dove erano stati avvistati. Li trovarono in una pianura. Erano tutti quanti seduti intorno a un fuoco a cuocere della carne che molto probabilmente avevano cacciato.
Senza dare alcun preavviso, i due cominciarono ad avvicinarsi. Quando furono abbastanza vicini, l’anima di Leis lanciò un dardo di ghiaccio verso uno di loro. Questo gli si conficcò nella nuca e gli uscì dalla fronte. La Guardia si accasciò al suolo.
Gli altri ventitré si alzarono in piedi cercando il punto da cui era venuto il dardo. Crearono delle barriere intorno a loro in modo tale che i dardi si sciogliessero prima di toccarli.
Leis fece alzare il fuoco che stavano utilizzando, e lo scagliò contro uno di essi, che cominciò a correre urlando per il dolore mentre veniva bruciato. Leis cominciò a sentire il sigillo che si attivava e il cuore cominciò a bruciargli.
Quando i restanti ventidue si accorsero degli intrusi, l’anima di Leis lanciò una colonna di ghiaccio verso di loro che prese nel suo getto tre di loro, congelandoli.
Leis fece esplodere quell’involucro di ghiaccio lanciandogli una palla di fuoco. Uno dei suoi nemici lo ferì al braccio con una lancia di legno che aveva creato dal suolo. Leis gli conficcò gli artigli in testa. Senza sprigionare alcuna fiamma. L’altro cadde a terra morto.
Andarono avanti così fino a che non rimase solo la Guardia che Leis aveva conosciuto qualche giorno prima.
- Anima, fermati adesso. A lui ci voglio pensare io. –
- Come vuoi. –
Il mostro esplose in una sonora risata. – Tu? Vorresti uccidere me? Ma fammi il piacere, sarai come noi, ma io valgo mille volte tutti questi tizi che avete miseramente ucciso. E poi chi saresti tu? –
- Sono cambiato, ma non so perché pensavo che mi avresti riconosciuto. Sono Leis. –
- Oh… il capo dell’esercito. L’eroe senza macchia e senza paura è venuto ad uccidermi? Il sangue ti ha imbrattato il volto, giustiziere. –
- Il sangue dei miei nemici su di me non sta a dimostrare altro se non la mia vittoria. –
- E questa da dove l’hai presa, da un manuale per il soldato perfetto? –
- Cos’eri tu prima di diventare così? –
- Non t’interessa. –
- D’accordo, c’è un sigillo che preme sulla mia vita, e io non intendo morire prima di te. –
- Allora sembra che questo combattimento durerà un bel po’, perché guarda un po’, neanche io ho tutta questa voglia di morire. –
Leis alzò il braccio in modo solenne, la palla di fuoco gli si formò a poca distanza dal pugno chiuso. L’altro non si mosse nemmeno quando l’attacco lo investì in pieno.
- È tutto quello che sai fare? –
Appena ebbe finito di parlare, Leis gli si fiondò addosso, dandogli un pugno nello stomaco.
Gli artigli rilasciarono una sostanza all’interno del mostro.
Leis si staccò dal mostro che ora era confuso.
Il capo dell’esercito notò che sulla punta degli artigli c’era un po’ di ghiaccio. Si volse verso la sua anima. Lei annuì.
- Ti avevo detto di starne fuori. –
Poi non fece nemmeno in tempo a rigirarsi verso il nemico che lui gli aveva poggiato una mano sul petto, poi qualcosa si conficcò nel cuore di Leis, per poi uscirne con altrettanta facilità.
Entrambi caddero a terra. La Guardia visse ancora un po’, giusto il tempo per vedere l’anima di Leis scomparire nel nulla. Poi perì.
Una scossa di terremoto fece tremare il terreno, che si spaccò e buttò al suo interno tutte le cacasse delle Guardie morte, insieme a quella di Leis.
Una voce fece trasalire Leis. – Ehi amore, ben arrivato a casa. –
Lui si guardò intorno, tutti i suoi compagni dell’esercito erano intorno al suo corpo sdraiato nel nulla. – Ma voi siete tutti morti, anch’io sono morto. –
- Sì, e ora siamo di nuovo tutti insieme. Insieme a te è arrivata un’altra ventina di uomini, sai chi sono? –
Lui guardò dietro di sé, un altro uomo lo guardò e lo fulminò con lo sguardo.
- No. Non conosco nessuno di loro. –
- Bene. Allora vieni, tua figlia ti sta aspettando. –
La moglie lo tirò su, lo abbracciò e lo portò verso la figlia, che abbracciarono insieme. In lontananza Leis vide la dea degli uomini, lei gli sorrise e sparì.
Poco prima che sparisse, Leis le disse: - grazie. –
  
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