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Autore: MaikoxMilo    06/01/2021    3 recensioni
La serie principale di Saint Seiya dagli occhi di Sonia, allieva di Milo. La sua vita, il suo percorso, i suoi ricordi che si intersecano e coesistono con la vita dei Cavalieri d'Oro al Santuario di Atene prima, dopo e durante la Battaglia delle 12 case fino ad arrivare al 2011, il nuovo corso per tutti, la conseguente rinascita.
Dal cap. I:
“Ti manca tuo fratello, vero?”
La fisso imbambolata per qualche secondo... giusto, mio fratello Camus! Ecco il perché di questo mio malessere, ecco a cosa stavo pensando prima, a lui... come ho potuto scordarmelo, anche se per pochi, brevi, istanti?!
“Sì, ma tu come lo sai?”
La ragazza mi sorride ancora una volta, sedendosi poi vicino a me.
“Sono tutte uguali le persone che soffrono la perdita di qualcuno, affettiva, o più banalmente fisica, è irrilevante .. si mettono in disparte e guardano il vuoto, sperando di rivedere il volto del proprio caro. Lo capisco bene, sai? Milo era così quando ha perso Camus nella battaglia delle Dodici Case...”
Per comprendere meglio la storia, è necessario aver letto la mia serie principale: "Passato... presente... futuro!", buona lettura!
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aquarius Camus, Cygnus Hyoga, Kraken Isaac, Nuovo Personaggio, Scorpion Milo
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Passato... Presente... Futuro!'
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Capitolo 17: Per amicizia, per amore e... per gelosia!

 

 

 

Siberia dell’Est, 9 febbraio 2008

 

 

“Dove diamine state già andando?!”

La voce acuta di Isaac lo raggiunse mentre, con i piedi nudi, il busto scoperto e i pantaloni del pigiama, perché altri indumenti gli davano costrizione, tentava di arrancare verso il bagno. Cercò di non dargli peso, compiendo un altro passo che gli costava fatica, ma l’allievo gli fu subito davanti, le sopracciglia arcuate, in un’espressione da perfetto maestrino e una strana piega sulle labbra. Sospirò.

“In bagno. Posso andare in bagno in casa mia, Isaac, o devo chiederti il permesso?”

“No, se vi è stato più volte detto di rimanere a letto!”

“Ho stimolo, non vorrai che mi metta a farla nel...”

“...Pannolino? Sì, secondo le direttive di Elisey!”

“Ah, da quando segui le sue direttive e non le mie?!” lo pizzicò sottilmente, infastidito dalla presa di posizione dell’allievo.

“Da… da ora, se serve per occuparvi della vostra salute, cosa che voi NON fate, da solo!”

“Ho passato l’età infantile da un pezzo, Isaac! Ora ti puoi spostare? Devo andare in bagno! E’ urgente!” ripeté per la terza volta, perentorio.

“No, la fate nel pannolino!”

“NON LA FACCIO IN QUELL’AFFARE! Posso muovermi, ne ho le forze, e ora scansati!” tranciò il discorso, spostando l’allievo con il braccio destro, sebbene muoverlo gli procurasse ancora dolore, visto che fino al giorno prima era ancora legato alla flebo.

“SIETE UNA..! - si trattenne, rendendosi conto di non poter esprimersi come avrebbe voluto, perché, così facendo, gli avrebbe mancato di rispetto - Ha ragione Milo, non so proprio come faccia a sopportarvi!”

“Uhmpf...” fu la serafica risposta del maestro, prima di trascinarsi fino al bagno e chiudersi dietro la porta con un rumore sordo.

Isaac si passò una mano tra i capelli, nervoso, prima di tornare da Hyoga e Sonia, che erano rimasti a guardare la scena senza dire una parola.

“A volte vorrei sbattergli la testa contro il muro!” spiegò, tentando di calmarsi.

“Beh, almeno si è sbloccato...” tentò di guardare il lato positivo Hyoga, ridacchiando.

“Sì, ma non gli fa bene muoversi, hai visto come era piegato? Come si trattiene la pancia, vessata ancora dal taglio e dall’ematoma? Ha ancora un male atroce, ma si alza e va come se nulla fosse, incurante di sé stesso!”

“Stai parlando di te o di lui, Isaac?” sorrise Hyoga, paziente. Suo fratello arrossì, colto in fallo, scrollando la testa borbottando qualcosa. Aveva ancora il bendaggio al petto, anche se meno serrato, gli dava un fastidio incommensurabile, meno comunque di Camus che, così ridotto, andava da solo in bagno, quando avrebbe dovuto rimanere fermo a letto.

“Di lui...” bofonchiò, rosso in viso.

“Ma tu non sei molto diverso, giusto? La lussazione, il rigetto… passavano in secondo piano per...”

“Io se devo star fermo, sto fermo!” tentò di opporsi Isaac, sempre più imbarazzato.

“Ma davvero? E da quando?!” Hyoga inarcò un sopracciglio, divertito.

“Da… sempre!” la buttò lì, ben sapendo che non era vero.

“Ricordi male!” affermò Hyoga, tirandogli appena un orecchio, prima di scoppiare poi a ridere insieme a lui, che continuava a mugugnare ma sembrava aver colto la vena ironica.

Sonia, dalla sua posizione, li osservava divertita, continuando a studiarli per comprendere meglio il loro temperamento. Erano molto diversi, per essere stati cresciuti dalla stessa persona, eppure si volevano un gran bene, come due fratelli di sangue.

Aveva ottenuto il permesso da Milo di rimanere un paio di giorni lì, ad aiutare i ragazzi a prendersi cura di Camus, ancora debole e provato. Lo Scorpione, invece, già dal giorno prima, complice i suoi doveri, era dovuto tornare in Grecia, affidando tutto a loro. L’Acquario non stava ancora bene, erano riusciti a tenerlo a bada per un po’, costringendolo a letto quando invece lui voleva già alzarsi e tornare a fare ciò che faceva prima, non sopportando l’idea di essere un peso per i suoi allievi e per la piccola. Coadiuvando gli sforzi di tutti e tre, erano riusciti a trattenerlo per le 24 ore posteriori al suo risveglio, ma quella mattina eccolo bel bello in piedi, piegato in due, traballante, una mano premuta sull’addome, a dirigersi in bagno con le sue forze per un bisogno fisico che era un po’ più che la semplice urina.

“Almeno si è sbloccato, finalmente!” ribadì Hyoga, pratico, facendo spallucce, perché in effetti il maestro, complice l’ematoma, era rimasto stitico per un serie di giorno.

“Che meraviglia… di immagine!” commentò sarcastico Isaac, incrociando il braccio libero sopra l’altro, sbuffando come una locomotiva, attendendo che Camus si palesasse fuori, cosa che infatti avvenne pochi minuti dopo.

Lo videro arrancare di nuovo, chiudendosi la porta dietro, speravano ardentemente che si dirigesse in camera, ma quando notarono che virava verso il soggiorno, sussultarono tutti e tre, capendo che non si sarebbe più rimesso a letto.

Hyoga scoccò un’occhiata preoccupata ad Isaac, le cui pupille emanavano una scintilla di sdegno. Meno tre… due… uno…

“Dove diamine state pensando di andare adesso?! A passeggiare?! Il letto è dall’altra parte!!!”

“Santissimi dei...” imprecò Camus nell’udire nuovamente il tono di Isaac raggiungerlo, prima ancora della mano dell’allievo, che lo prese per il braccio sinistro. Lo guardò torvamente, affatto docile.

“Dove pensate di…?”

“A bere dell’acqua e a sedermi in soggiorno, posso?!” domandò ironico Camus, inarcando un sopracciglio.

“No!”

“Ti stanno sfuggendo le gerarchie, Isaac… SONO IL TUO MAESTRO, non il vicino della porta accanto con cui puoi permetterti di essere in confidenza!”

“A voi sfugge la prudenza, invece!” ribatté l’allievo, cercando di non dimostrarsi ferito dalle sue parole.

Era vero, era il suo maestro a cui doveva rispetto, ma come poteva lui, Camus, ora, fare finta che non fosse successo niente? Dimenticare che lo avesse chiamato col nome che gli era sempre spettato: papà, che gli avesse rivelato finalmente che gli voleva bene. Insomma, dopo i fatti con Zima, si erano tutti presi cura di lui, come una vera e propria famiglia, non era più possibile tornare indietro!

Era proprio vero, Camus era il suo maestro, ma non solo, era un padre, un esempio, un sostegno, un, anzi, IL pilastro centrale della sua esistenza; non sarebbe stato più come prima, Isaac lo percepiva bene, eppure, una volta passata la crisi, sembrava quasi che Camus volesse ricondurre forzatamente tutto alla situazione precedente, relegando, ancora una volta, i suoi sentimenti personali dentro di sé.

“Necessito di sgranchirmi le ossa, ho le gambe atrofizzate da quanto sono stato a letto, non sto andando in missione o...”

“Perché infatti è normale nelle vostre condizioni, con un ematoma sull’addome, dopo aver avuto un arresto cardiaco, prendere e andare a spasso per la casa come se nulla fosse!”

“Non sto andando a spasso, sto...”

“Vi state muovendo e non dovreste!”

“Tu mi ostacoli e non dovresti, perché mi fai stancare!” gli ribaltò furbamente la situazione, quasi sorridendo.

“Io devo preservarvi, voi da solo non...”

“Detto da chi ha avuto un rigetto, rifiutando comunque di lasciare il mio fianco per prendersi cura di me, giusto?! Stai parlando proprio tu, Isaac?!”

“Da un Maestro incurante di sé stesso non può che discendere un allievo altrettanto...”

“IO SAREI COSA?!”

La situazione si stava scaldando, mentre i due contendenti, a dispetto della propria stanchezza, nonché di aver rischiato la vita, avevano preso a bisticciare per la solita lotta di principi.

Sonia li guardò preoccupata, ricercando il sostegno di Hyoga, con lo sguardo.

“Fanno sempre così?”

“Da una anno a questa parte sì, ogni giorno. Trovano sempre il modo di azzuffarsi...”

“Certo che devi avere una pazienza...”

“Più o meno...”

Sonia gli sorrise raggiante, dandogli una pacca sulla schiena, come a voler dire che intendeva perfettamente, e che lo capiva. Hyoga le piaceva molto, aveva una sensibilità del tutto simile a quella di Camus, sebbene anche lui, proprio come il maestro, si sforzasse di celarla con tutto sé stesso. Con lui si sentiva bene, si erano trovati a parlare spesso in quei due giorni, nonostante gli occhi del biondo fossero sfuggenti e il suo temperamento tendesse a scivolare via dalle mani di chiunque. Sonia credeva di aver inteso completamente la sua natura, era davvero un bravo ragazzo, impossibile non affezionarcisi, ma avvertiva anche qualcosa di profondo, di rotto, dentro di lui, un rimpianto, un dolore non ancora colmato.

Ad un certo punto, nel pieno della discussione, Camus ebbe un capogiro, costringendo così l’allievo a sorreggerlo con la spalla sana. Hyoga e Sonia ebbero un sussulto a quella visione, precipitandosi in avanti.

“Ecco, lo vedete?!”

Camus non rispose a quell’ultima esclamazione, intento com’era a controllare il respiro e a trattenersi l’addome con la mano destra, perché una fitta più intensa del normale gli era arrivata fino al petto.

“Maestro!”

I due allievi e la piccola erano preoccupati, lo si percepiva dal tono di voce. Camus si ritrovò nuovamente a maledire quel suo malessere che lo rendeva così fragile agli occhi delle persone che amava. Si strinse la pelle del fianco sinistro, massaggiandosela, provandone un intenso dolore, oltre al fastidio e alla perenne sensazione di peso che avvertiva da quando si era risvegliato. L’ematoma era lento a riassorbirsi, il sangue fuoriuscito dai vasi non era stato poco.

“Lo vedete che non siete in grado di...”

“Va bene! - fermò il discorso Camus, anche se ammetterlo gli costava tanto – Mi riposerò, ma sul divano, non… non voglio più stare in un letto, come se fossi malato, mentre voi vi occupate della casa e fate i lavori che dovrei fare io!”

“Ma Maestro...”

“Starò… seduto… visto che ci tenete così tanto, ma...”

“Solo seduto, davvero? Non è che poi vi viene in mente di alzarvi e lavare i piatti, o cucinare, o...”

“ISAAC… - il tono gli era salito più del dovuto, le guance gli si erano imporporate – Sta diventando davvero imbarazzante questa tua indole innata da maestrino. Starò seduto in vostra compagnia, solo… questo! Non mi sembra di chiedere molto”

“Va bene!” tagliò corto l’allievo, afferrandolo meglio da sotto l’ascella per condurlo nel soggiorno, ma ricevendo, per tutta risposta, un mormorio di lamentela.

“Posso… camminare da solo!”

“Arrancando come un disperato, piegato in due, dolorante, ma sì, potete farlo. E’ uno spreco di energie del tutto inutile, però!”

“Isaac...”

“Siete così incurante di voi stesso e, così facendo, anche di noi, gli allievi, di Sonia e Milo, che sono giunti qua apposta per voi. Perché non capite di essere più che prezioso, per noi?!” affermò con forza, arrossendo nell’imprimere enfasi in quella frase. Arrossì anche Camus. Nettamente, distogliendo lo sguardo. Anche lui sapeva perfettamente che non sarebbe stato più come prima, solo… non sapeva come avvezzarcisi. C’erano dei doveri ben più importanti in ballo, quelli venivano prima.

Isaac condusse il maestro fino al soggiorno, seguito a breve distanza da Sonia e Hyoga, che tuttavia rimanevano in disparte. Lo sistemò sul divanetto, accompagnandolo giù, nonostante Camus tentasse di opporsi. Era evidente che non volesse sdraiarsi, malgrado il dolore, cercava posizioni alternative, ma nessuna di quelle gli concedeva requie, perché l’addome gli provocava fitte violente, esaurienti circa il suo reale stato fisico, sebbene cercasse di nasconderlo agli occhi degli altri. Alla fine cedette, coricandosi in posizione supina, sospirando. Hyoga e Sonia lo raggiunsero in apprensione, mentre Isaac estraeva una coperta dall’armadio per posargliela sopra. Il gesto però venne accolto da nuove rimostranze.

“Dei, così no, sembro davvero un malato!”si lagnò, spostando con stizza la coperta di lato, gesto che lo sfiancò tantissimo.

“Non lo siete, forse?!”

“No, sono solo...”

“...Ferito gravemente? Sì, è proprio per questo che starete a riposo!”

Isaac sembrava nuovamente sul piede di guerra, riprese la coperta per rimettergliela ottusamente addosso, perché Camus aveva la pelle d’oca ben visibile, aveva freddo a causa della febbre, ma non lo avrebbe mai ammesso.

“I-Isaac, n-non… fa sufficientemente caldo, qui, non occorre!” ributtò giù la coperta.

“Ma se state tremando!” la riprese l’allievo, risistemandogliela ottusamente sopra.

“E’… per lo sforzo, o...”

“Per lo sforzo e perché avete freddo, Maestro! Volete dissimulare anche su questo?! La vostra pelle d’oca parla da sola, quindi vi terrete la coperta addosso, oppure...”

“Non voglio litigare, Isaac...” si arrese infine Camus, probabilmente preso per stanchezza, sospirando e chiudendo gli occhi. Finalmente accettò anche la benedetta coperta, suo malgrado.

“Neanche io, Maestro, davvero! E’ solo che… è così difficile!” ammise a sua volta l’allievo, esitante.

Alla fine gli prese maldestramente la mano sotto alla trapunta, stringendola poi tra le dita con forza. Camus non riaprì gli occhi, ma si sistemò meglio sul cuscino, ricambiando goffamente la stretta. Da quello, solo da quello, il giovane Isaac capì che era davvero cambiato qualcosa tra loro, anche per lui, che pure tentava di non dimostrarlo. Il rapporto si era ulteriormente approfondito, come se, insieme, avessero aggiunto una nuova tacca, un nuovo obiettivo. Il maestro non aveva affatto dimenticato le parole che si erano scambiati nel letto, mentre lo tratteneva a sé come quando era piccolo. Sorrise fiero e orgoglioso a quel pensiero, arrossendo.

Camus era stanco, sfinito, il fatto di essere andato in bagno da solo aveva esaurito le poche forze accumulate, era così lampante, eppure si ostinava a fare di testa propria. Isaac sospirò nel pensare a quanto cocciuto fosse, sedendosi poi docilmente al suo fianco, la mano ancora intrecciata alla sua, per poi passargli l’altra, che riusciva a muovere appena perché la spalla era ancora contusa, tra i capelli per accarezzarlo. Lo vide rilassarsi sensibilmente al suo tocco, il respiro non ci mise molto a farsi sempre più profondo e ben cadenzato con il lento alzarsi e abbassarsi del suo torace, ben visibile, malgrado la pesante coperta che lo avvolgeva. Si era infine addormentato in un battibaleno, prosciugato, e menomale che diceva di essere abbastanza in forze per le incombenze domestiche!

“Siete sempre, sempre, il solito! Testardo fino al midollo! - asserì, buttando a sua volta fuori aria, prima di girarsi su un fianco, sorridergli teneramente e appoggiarsi allo schienale, chiudendo gli occhi a sua volta – Dovete riposare, Maestro!”

Sonia avrebbe voluto seguire l’esempio del suo allievo, stargli vicina, cingergli a sua volta la mano, ma se lo impediva, reputando più indispensabile il tocco degli allievi. Pensò di riflesso a Milo, una spiacevole sensazione la avvolse: chissà come stava? Sembrava un poco teso alla sola idea di dover tornare subito al Tempio.

“Se vuoi stare vicina al Maestro Camus, fai pure, Sonia, gli farà senz’altro piacere!” intervenne Hyoga, come se le avesse letto nella mente, sbalordendola.

“Se ci vado io… non c’è spazio per te!”

“Non ha importanza, ho delle faccende da sbrigare in casa, essendo quello messo meglio di salute – le fece un accenno di sorriso, dandole poi le spalle per mascherare il suo malessere, che tuttavia traspariva dal suo tono – E poi il Maestro Camus ha molto più bisogno di voi, che non di me!”

“Hyoga...”

Ma il ragazzo biondo se ne era già andato, consegnando a lei la spiacevole sensazione che stesse soffrendo per un qualche motivo. Tornò a concentrarsi sul divano, anche Isaac aveva ceduto al sonno, era appoggiato su un fianco, la mano, ora ferma, ancora tra i ciuffi ribelli di Camus, il quale si era rannicchiato inconsciamente contro di lui in modo da appoggiare la testa sulle gambe dell’allievo.

C’era un legame molto speciale tra loro, lo si percepiva distintamente, anche se, il solo pensare che Hyoga ne fosse in qualche modo escluso, le dispiaceva enormemente.

Zampettò verso il divano, sistemando meglio la coperta su Camus che, nel movimento antecedente, aveva spostato inconsciamente il braccio, che ora penzolava fuori. Glielo raccolse, soffermandosi brevemente sul quantitativo di lividi che gli doveva dolere alquanto, prima di rimetterglielo compostamente parallelo al fianco. Il divano era bello grosso, formava una sorta di elle, come quelli tipici da soggiorno, ispirava calore e comfort per essere in una sperduta isba siberiana. Sorrise tra sé e sé, prendendo posto ai piedi di Camus.

Lì rimase per una serie di minuti a fissare i volti addormentati di maestro e allievo, entrambi esausti, entrambi desiderosi di non mostrarsi fragili. Si riscosse improvvisamente a quella visione per poi rialzarsi e decidere di raggiungere Hyoga per chiedergli se avesse bisogno di una mano. Non c’era posto neanche per lei in quello scenario così intimo che faceva tenerezza al solo vedersi, lo aveva capito, non avrebbe potuto far altro per Camus in quel momento, ma per Hyoga sì; per Hyoga, che sembrava così sconfortato.

“Sonia!” la chiamò il ragazzo biondo, sorpreso nel vederla giungere nella camera. Si era messo a sistemare il letto di Camus, cambiandogli le lenzuola per metterne di nuove.

“Ti do una mano, Hyoga!” gli disse, arrossendo un poco, mentre, con gesto imbarazzato, congiungeva le mani dietro alla schiena e ciondolava un poco. A quella parole inaspettatamente il biondo sorrise sollevato, sentendosi meno solo.

“Sei… una brava bambina, Sonia, o forse farei meglio a dire ragazzina, sei già una nostra coetanea, del resto!”

Annuì con forza, contenta. Al ritorno di Milo, gli avrebbero raccontato che era stata brava e che aveva aiutato in casa quando Camus stava male. Il pensiero della carezza che gli avrebbe riservato, complimentandosi con lei, la fece quasi vibrare di felicità, mentre, trotterellando, raggiunse il giovane allievo per aiutarlo a piegare il lenzuolo.

 

 

* * *

 

 

Isola di Milos, 9 febbraio 2008

 

 

Myrto era sconcertata.

Di più, Myrto era inorridita, furiosa… talmente tanto che, se solo avesse avuto un goccio di potere, il tanto favillante cosmo che apparteneva solo a pochi eletti, sarebbe corsa al tredicesimo tempio a fare cagnara, se non addirittura scuoterlo dalle fondamenta, distruggerlo, per punire quell’abominio di istituzione per ciò che aveva perpetrato.

Fremette convulsamente, fuori di sé dalla rabbia, una rabbia atroce. Quel gesto da solo, fu in grado di procurare un grosso sussulto al corpo di Milo sotto di lei, steso in posizione prona, la schiena nuda, sporca di sangue, che lei puliva e disinfettava con premura.

“Scusami...” riuscì solo a biascicare, sforzandosi di contenersi, riprendendo a passare il batuffolo di cotone, imbevuto di disinfettante, sulle vistose ferite che spurgavano materiale organico. Ingoiò a vuoto, cercando di essere il più delicata possibile. Prima del cotone, ci aveva provato con un panno, ma era troppo ruvido per la disastrata schiena di Milo, che sopportava a stento un dolore simile, sebbene fosse Cavaliere d’Oro.

L’avevano fustigato. Le guardie del Tempio, sotto le direttive dello stesso Grande Sacerdote, o meglio, di quello che avrebbe dovuto essere il garante della giustizia sulla Terra, ma che, in verità, ne era sempre più convinta, non era altro che un tiranno. Le sentinelle avevano ricevuto ordini di punire il Cavaliere di Scorpio per essersi allontanato dal Santuario senza permesso per ragioni che Milo, tra uno spasmo e l’altro, le aveva raccontato nel viaggio di ritorno sulla sua isola. Quelle ragioni, principalmente, avevano un solo nome: Camus. Di nuovo. Sempre lui.

Era semplicemente vergognoso! Myrto si ritrovò ancora una volta ad essere schifata da tutto quello, il fatto di essere impotente la mandava ancora di più fuori dai gangheri. Milo si era trascinato difficoltosamente nei pressi dell’archivio del Santuario, dove lei aveva cominciato, da poco, la sua opera di catalogazione. Non avrebbero potuto vedersi, in teoria, colpa delle direttive dall’alto, ma lui, così forte e robusto, così scherzoso e audace, aveva avuto bisogno di rifugiarsi in un luogo sicuro e, quel luogo, era, come gli aveva accennato poco prima di svenire una prima volta, al suo fianco.

“Il Santuario… ha oltrepassato i limiti! Non esiste proprio questa cosa, NON ESISTE! Non possono davvero aver osato così tanto!” sibilò tra i denti, mentre, discostandogli ancora una volta i lunghi capelli, passava il batuffolo sul taglio più vistoso, che andava trasversalmente da scapola a scapola. Si vedeva la carne, maledizione, come avevano potuto fargli subire una sorte simile?! A lui, ad uno dei Dodici Dorati Custodi!”

“S-sarebbe andato fin peggio, se avessi avuto un rango inferiore, Myr-to… ma il Tempio non può permettersi di perdere un Cavaliere d’Oro, è andata fin bene così!”

“E’ ANDATA FIN BENE COSI’?!? Milo, ti hanno fustigato!!! Hai delle ferite terribili, che rischiano di infettarsi, e tutto perché… perché...”

“Perché mi sono allontanato dai confini del Tempio senza permesso, è giusto, è la pena per i traditori...” biascicò ancora lo Scorpione, affondando la testa nel cuscino per trattenere un gemito.

“Tu non sei andato contro alcun ordine, Milo, né hai tradito alcuno! Ti sei recato in Siberia per Camus, per AMICIZIA, come può essere punito questo?! Il Santuario, il Nobile Shion, non è più in grado di discernere le sfumature?! Siamo fuori da ogni logica!!!”

“Mmh, u-urgh...”

“Milo!” lo chiamò, con un filo di voce, in apprensione, accarezzandogli dolcemente i capelli ribelli in parte adagiati sulle candide coperte del letto. Non stava affatto bene, la punizione, riservata ai traditori, che aveva subito, lo aveva minato in profondità. Avrebbe dovuto mantenere il controllo per lui, parlargli con voce di miele, rassicurarlo, ma la verità era che Myrto, il cui animo era ormai infiammato, non era in grado di fare la crocerossina docile senza porsi domande su domande. Lei cogitava semplicemente di andare al Santuario, compiere una strage per quella tremenda punizione indecorosa, ingiusta e pure spietata, ma non aveva un cosmo, non aveva alcun potere offensivo, ciò la infervorava ancora di più.

“C-coraggio, il peggio è passato!” gli sussurrò, gli occhi lucidi di pianto, posandogli, sulle spalle e sulle scapole, delle garze pregne di una crema che avrebbe dovuto attenuare il dolore.

“L-lo so, c-ci sei tu, c-con me...” riuscì a biascicare lui a fatica, riaprendo gli occhi e sorridendogli con tutte le forze di cui disponesse.

Myrto arrossì. Così adagiato nel cuscino com’era, scorgeva solo il suo profilo, quindi un solo occhio e un angolo della bocca, ma tanto bastò per farle accelerare il cuore.

“Sei… sei febbricitante per dire cose simili? - gli chiese, trepidante, avvicinando la sua mano alla sua fronte, dove stette per una serie di secondi – Temo di sì, sei bollente!” sospirò poi, alzandosi in piedi, compiendo il giro del letto per andare a prendere qualcosa nell’altra stanza.

“Myr-to... non avercela con il Santuario, l-loro… loro fanno solo c-ciò che è giusto...”

“Ciò che è giusto, eh? -ironizzò lei, freddamente – Mi stai chiedendo l’impossibile!”

“C-ci troviamo in una situazione di crisi, il germe della rivolta, urgh, è dietro l’angolo, urgh… il Grande Sacerdote ha paura e, come troppo spesso accade, usa il pugno di ferro per farsi rispettare, anf, anf!”

“E allora ha pensato che tu lo volessi tradire?! Inaudito!”

“N-non so cosa abbia pensato, ma ero disposto a prendermi le mie responsabilità, pur di andare!”

Myrto rimase ferma immobile per una serie di secondi, i pugni chiusi, lo sguardo inaccessibile, perché gli dava le spalle, altrimenti avrebbe visto tutta la sua rabbia, la sua collera e Milo non aveva bisogno di quello, ma di stare tranquillo.

“Non può essere il Nobile Shion...” si lasciò sfuggire, ancora freddamente.

“C-Come?”

“Non può essere lui! - tagliò corto, ringhiando, avviandosi verso la porta – Rimani fermo lì, ti prendo le gocce per dormire e distendere la muscolatura, sei troppo teso!”

Milo rimase lì come richiesto, anche avesse voluto non avrebbe comunque potuto alzarsi. Si sentiva a pezzi, sdrucito, piegato. La punizione era stata tremenda e lui l’aveva accettata senza fare storie, consapevole di aver infranto una delle leggi cardine. Le guardie lo avevano frustato una, due, tre volte, poi ne aveva perso il conto, impiegato com’era a trattenere il dolore dentro di sé, a serrarlo spietatamente dentro la mascella per non farlo trapelare fuori, poiché era un Cavaliere d’Oro, doveva dare l’esempio, anche per le punizioni. Alla fine, il Grande Sacerdote aveva dato l’ordine di smettere, che sarebbe bastato quello a non fargli più ripetere l’errore di allontanarsi senza il suo permesso. Ricordava che, una volta liberato, si era comunque inginocchiato e, con rispetto, sforzandosi a mantenersi dritto, si era allontanato, prima di raggiungere Myrto, crollare, e farsi portare da lei a casa, dove lo aveva medicato con cura, finalmente al sicuro. Con lei.

Milo arcuò leggermente la schiena per provare a sistemarsi meglio, ma la fitta che ne seguì fu talmente spietata da farlo desistere dai suoi propositi. Non era affatto pentito delle sue azioni, per Camus, per Sonia, avrebbe fatto e rifatto le stesse scelte all’infinito, accettando qualsivoglia tipo di punizione. Era giusto.

Non è il Sommo Shion, non può essere lui!

Le parole della giovane donna però continuavano a ronzargli in testa, non dandogli requie, unendosi alla vocina, dentro di lui, che gli instillava il dubbio già da un po’ e, ancora, alle domande di Camus circa la vera identità del Grande Sacerdote. Che davvero non ci fosse più Shion dietro a quelle scelte? Qualcuno aveva preso il suo posto? Tremò a quel pensiero, più ancora di quanto già non stesse facendo il suo corpo scosso dagli spasmi. No, non poteva essere, dubitare dell’autorità più eccellente del Santuario era come dubitare di Atena, della giustizia, non poteva accettarlo, farlo avrebbe reso la sua vita priva di significato.

Udì a malapena il cigolare della porta e alcuni passi leggiadri arrivare alle sue orecchie. Era stremato, ma li avrebbe riconosciuti in mezzo a tanti altri.

“Myr-to...” la chiamò debolmente, stringendo i palmi delle mani sulle lenzuola, il suo dolce tocco fu su di lui, sul suo fondoschiena non ingiuriato dalla punizione ricevuta.

“Devi riposare, Milo...” gli disse ancora, mentre, con dita di piuma, scorreva sulla sua colonna vertebrale, arrestandosi prima di raggiungere le terribili ferite. Qualcosa venne posato sul comodino, le orecchie del Cavaliere di Scorpio riconobbero, dal suono, che si trattava di un bicchiere di vetro, perché ormai le palpebre erano troppo pesanti per aprirsi.

“E’ terribile quello che ti hanno fatto...” sospirò, affranta, passando con sguardo clinico, ancora una volta, sulle lacerazioni. Non era profondissime fortunatamente, ma proprio per quello dovevano dolere così tanto. Ad ogni modo, col tempo, si sarebbero cicatrizzate, fino a sparire quasi del tutto, bastava medicarle con dovizia e costanza.

“Puoi… rimanere un po’ vicino a me, prima di addormentarmi? Mi… coccoli?” le chiese ad un tratto lui, sentendosi un cretino, ma, nondimeno, manifestando esattamente il suo desiderio. Quei mesi di forzata distanza gli erano costati parecchio.

“Oh, Milo… - biascicò lei, chinandosi per regalargli un leggero bacio tra i capelli – Sono qui, non ti sforzare, rimarrò con te fino a quando non prenderai sonno, ma ora prendi le gocce, ti faranno bene, vedrai!”

Il Cavaliere di Scorpio annuì, coniugando tutte le sue forze per sorreggersi sui gomiti, che sembravano due trampolini, da quanto tremassero. La schiena gli procurava un male colossale, difficilmente sopportabile, ma la sua ferma volontà lo spinse ad allungare una mano per prendere il bicchiere, che tuttavia gli sfuggì, allontanandosi di qualche centimetro. Imprecò tra i denti.

“Non sforzarti, faccio io! - lo rassicurò lei, mentre, con la mano sinistra, afferrava il recipiente, e, con la destra, continuava ad accarezzargli i capelli per tranquillizzarlo – Eccotelo, bevi piano!”

Aiutò Milo, troppo debole per fare da solo, ad avvicinarsi per assumere così le gocce che lo avrebbero calmato, permettendogli di dormire, gli sostenne la testa, mentre il bicchiere venne svuotato fino all’ultima goccia. Ultimato il processo, lo riaccompagnò giù, dove stette, prendendo un profondo respiro e buttando fuori aria.

Myrto non riusciva più a dire una singola parola, troppo sconvolta dal vederselo così; così debole, così rotto dalla sofferenza. Milo, fin da giovanissimo, era sempre stato ciò che si poteva definire ‘un pezzo d’uomo’: dotato di un’altezza considerevole, nonché di una muscolatura estremamente sviluppata, non era mai stato gracile neanche da ragazzino, figurarsi in quel periodo della sua vita che aveva raggiunto la maggiore età e che aveva ormai raggiunto lo stadio finale della crescita.

Eppure…

La mano di Myrto si immobilizzò tra i capelli ribelli, scossa. Eppure lo avevano spezzato, lui, così risoluto e potente in battaglia, così come nella vita; lui, che poteva sollevarla come un fuscello, tenerla stretta, senza sentire il peso e la fatica, e che in quel momento, invece, non era nemmeno in grado di alzare un braccio per accarezzarla. A quel pensiero si sentì male, divenne livida e riprese a tremare.

Davvero il Santuario aveva oltrepassato il limite. Ogni. Limite.

“Myrto...” la flebile voce di Milo la raggiunse di nuovo, anche se non aveva più nulla del timbro possente che la contraddistingueva. Si sforzò di sorridergli.

“Non ti preoccupare, sono qua, te l’ho promesso, no?”

“Lo so, è il tuo tocco che mi rende tranquillo, ancora di più di questa medicina che mi hai appena dato – biascicò, stanco, sfinito – Sto crollando dal sonno, Myrto, ma ho bisogno di strapparti ancora una promessa...”

“Quello che vuoi, ma poi riposi, va bene?” lo rassicurò, alzandogli i ciuffi che gli ricadevano sulla fronte. Teneva gli occhi chiusi da quanto fosse stremato, ma si costringeva a rimanere sveglio. Non poteva cedere, prima di avergliela riferita.

“Non dire... niente… a Camus, né a Sonia...”

“Cosa?! Vuoi che non dica niente al tuo migliore amico, che è la ragione per cui sei conciato così?! Posso capire Sonia, ma Camus...”

Gli occhi di Milo si costrinsero a riaprirsi, la testa gli girava terribilmente. Buttò fuori aria, provando debolmente ad alzarsi, invano.

“Ehi, stai giù, non devi compiere sforzi! - lo trattenne lei, non sapendo in che altro modo fermarlo – Davvero vuoi che non dica niente a Camus?”

“No… è già ferito gravemente, si è conciato così per gli allievi, non gli voglio dare altri motivi di pensiero...”

“Ma Milo...”

“Promettimelo… è un affare da niente, questo, non c’è ragione che lo venga a sapere, e poi è ancora convalescente, non voglio si preoccupi così per me”

“Sei un testone, Milo, davvero! Come puoi chiedermi una cosa del genere?!”

“E vale anche per Sonia… la piccola non lo deve venire a sapere, intesi? Sarà un segreto tra me e te, ti prego, Myrto!”

“Milo… uff! – la giovane donna si ritrovò a scuotere la testa rassegnata, mentre con le dita continuava ad accarezzargli la parte bassa della schiena, ben consapevole di fargli piacere, perché quello era uno dei suoi punti cardine, adorava essere toccato lì – Farò come dici, allora, te lo prometto!”

Milo annuì brevemente, sprofondando nel cuscino, la muscolatura si sciolse ancora un po’.

“Vuoi… che continui a toccarti?” chiese lei, un poco imbarazzata. Non facevano l’amore da un po’, la distanza, i doveri, li avevano separati, ma l’attrazione non era scemata affatto, solo che non era assolutamente quello il momento per cedere alle voglie. Forse… quando Milo si fosse sentito meglio…

“Sì, mi sento tranquillo con te e… urgh, yawn – sbadigliò, non riuscendo a trattenersi – Myrto, sto crollando dal sonno, non riesco più a resistere, tu… continua, va bene?”

La giovane inavvertitamente sorrise nell’udire la sua voce così impastata, nascose la bocca con una mano, mentre con l’altra, dolcemente, gli scostò il lenzuolo dai glutei, ben sapendo che non gli dispiacesse affatto tenerli scoperti, fargli ‘prendere aria’ come diceva spesso. Con le dita tornò un poco su, massaggiandogli la parte finale della schiena, appena sopra l’osso sacro. Milo si era finalmente addormentato, era sfinito, preda della febbre, fortunatamente aveva ceduto alla stanchezza. Lo coccolò ancora con delicatezza, talvolta sistemandogli meglio le pezze sulle ferite, che avrebbero poi dovute essere ulteriormente trattate, ma per il momento meglio lasciarlo riposare, se lo meritava, visto tutto quello che aveva subito.

Si chinò ancora una volta verso di lui, baciandogli una volta la fronte e una le labbra, dove stette un po’ di più, prima di raddrizzarsi e lisciargli i capelli che sembravano avere vita propria, da quanto fossero ribelli.

“Ti amo, Milo di Scorpio, questo non dimenticarlo mai!” gli sussurrò all’orecchio, con tutta la dolcezza di cui disponesse, continuando con il suo operato

 

 

* * *

 

 

Diverse migliaia di chilometri a Nord-Est, Camus dell’Acquario riaprì stancamente gli occhi, infastidito dal rumore delle ventate, poiché fuori dall’isba imperversava una bufera, trovandovi solo il buio intorno, privo delle presenze rassicuranti di Isaac, Hyoga e della piccola Sonia. Si guardò confusamente intorno nel cercare di delineare le forme, rendendosi conto di essere adagiato nel suo letto, rimboccato nelle coperte che gli allievi gli avevano sistemato con cura addosso. Una sensazione di calore al petto lo pervase, al quale però si aggiunse una netta frustrazione per le condizioni in cui si trovava. Era sdraiato sul divano, prima, circondato dagli affetti, con la mano di Isaac a fargli da conforto, e poi si era ritrovato lì. Probabilmente aveva ceduto al sonno e quindi lo avevano fatto stendere in un posto più comodo.

Strinse con foga i pugni, serrando la mascella, mentre, con la mano sinistra si passava una mano sulla fronte, rendendosi conto di avere una pezza, che cadde al suo fianco, e di essere ancora sudato e febbricitante. Così debole. Una palla al piede…

Stava facendo perdere giorni di allenamento a Hyoga e Isaac a causa della sua debolezza, a causa del suo non essere riuscito, da solo, a risolvere il problema con la creatura. Era dovuto intervenire Elisey, a cui, come se non bastasse, doveva anche la vita, un debito che non avrebbe mai voluto avere. No con lui. Proprio con lui. A fallimento si aggiungeva fallimento.

Fremette, arrabbiato, posando la pezza sul comodino, sentendosi ancora fragile come non mai. Si era fatto vedere vulnerabile dagli allievi. Da Sonia. E anche da Milo, non se lo sarebbe mai perdonato. Sospirò, affranto, dando un colpetto, con il pugno, al materasso, gesto che gli procurò immediatamente una fitta subitanea alla pancia. Si tolse le coperte con gesto di stizza, rimanendo a petto nudo a fissare un punto imprecisato del soffitto. L’altra mano, ancora dolorante per la flebo, si posò sopra l’ombelico, come a volerselo coprire istintivamente, anche se non c’era nessuno in quella stanza, oltre a lui, ma mostrarlo a cielo aperto lo metteva a disagio. Si sarebbe voluto ricoprire, ma aveva caldo. Prese quindi il lenzuolo, ci si avvolse, ma poco dopo gli dava nuovamente noia, lo calciò via, sospirando affranto, si sentiva un’anima in pena. Girò il suo volto verso la finestra, che vibrava inseguito alla tormenta, ripensò a Zima, a ciò che aveva percepito con lei e tramite lei. Si morse il labbro inferiore.

L’incisione che gli aveva procurato Elisey per assorbire più velocemente il sangue gli bruciava ancora e sfregava con i pantaloni del pigiama, a questo si aggiungeva la perenne sensazione di costrizione alla pancia data dall’ematoma. Prese una boccata d’aria, prima di buttarla fuori, dopodiché si spostò più in giù il bordo dei pantaloni, quasi al livello dell’inguine, e stette lì immobile per una serie di secondi. Lentamente, con la mano destra, dolorante, trovò il coraggio di tracciare con le dita il taglio per saggiarne la consistenza. Era davvero come aver subito un cesareo. Qualcosa del genere, visto come era posizionato, la sensazione di vuoto, poi, era la stessa, sebbene prima, con Zima, si fosse sentito così meravigliosamente pieno. Delineò più volte l’incisione con l’indice e il medio, sussultando nel ricalcarla. Sembrava di percorrere una lama, così sottile com’era, farlo era come rivivere quei momenti, il sentirsi la pelle aprirsi, il bruciore, perché Elisey, simultaneamente, lo aveva anche cauterizzato.

 

Occorrerà un po’, ma sparirà del tutto. Ho affrettato il processo di guarigione e cicatrizzazione, non ti rimarrà alcun segno sulla pelle, non temere!

Certo che… ti avevo detto che uno Sciamano deve racchiudere in sé sia il maschile che il femminile, vero? Ed eccoti qui, con un taglio simile in tutto e per tutto ad un cesareo, come se avessi appena partorito. Divertente, ragazzo, come lo chiamiamo?

 

Gli aveva detto Elisey il giorno prima, visitandolo un’ultima volta prima di andarsene per la sua strada, con quel solito sorriso sulle labbra che poteva significare tutto e niente allo stesso tempo.

“Vai al diavolo, Elisey!” ringhiò tra i denti, infastidito dalla sua intromissione, senza la quale però sarebbe sicuramente morto. Si rimproverò ancora di essere così dannatamente debole.

Terminò di solcare il taglio con le dita, mantenendo comunque l’elastico dei pantaloni più in basso. Posò la mano al suo fianco, continuando a guardare il soffitto, preda dei suoi pensieri.

Zima… percepiva ancora la creatura su di sé, le sue lacrime, il suo tartufo che gli solcava la pelle con dolcezza. Sentiva quasi le sue emozioni, i suoi pensieri, persino là, nel luogo misterioso dove si era rifugiata. Piangeva. Sconfortata. E lui non poteva fare più niente per lei. Singhiozzò a sua volta, senza lacrime.

Non poteva fare più niente, quando invece lei gli aveva ridato la vita...

Rammentò del suo muso sul suo volto, delle sue leccate, sebbene in quel momento stesse troppo male per reagire, del suo girargli delicatamente il viso con una premura che lo faceva emozionare. Quasi automaticamente la mano destra si mosse ancora, tracciando con due dita il collo, fino alle clavicole, passandoci in mezzo e sostare così sul torace, dove si rilassò, contando i propri battiti cardiaci, esattamente come aveva fatto Zima per ridargli nuove energie che, durante il rito, gli erano scappate via.

Camus non era abituato ad ascoltarsi, ad ascoltare il proprio corpo, a toccarlo. Si vergognava, quasi si disprezzava, per lui era stato sempre difficile mostrare nient’altro che la sua pelle, mostrarla agli altri, conviverci. Non si ascoltava, pertanto i suoi bisogni venivano segregati in una parte di lui, lontani. I suoi bisogni, in effetti, per lui, non erano altro che ostruzioni fra sé e i suoi doveri, che venivano prima.

Eppure… mentre era lì sdraiato sul permafrost, con la vita che gli sfuggiva via, la creatura si era avvicinata a lui, toccandolo ripetutamente, ridandogli calore. Camus non aveva mai provato nulla di simile, si era sentito così… pieno… che quasi il vuoto che percepiva in quel momento era insostenibile per le sue membra.

Era così tornato a respirare regolarmente, il cuore -che ora sentiva palpitare trepidante sotto le sue dita- aveva ripreso a battere forte, pulsante, nell’esatto momento in cui il tartufo di Zima si era posato sul suo petto.

La creatura poi era scesa sullo sterno -lui fece lo stesso con l’indice e il medio nel rammentarlo- e, compiuto un giro dell’addome, si era poi brevemente staccata per piangere sulla ferita e risanargliela del tutto.

La mano di Camus aveva compiuto lo stesso movimento in simultanea con il rivivere quei ricordi mentalmente, e ora stava lì, sul fianco sinistro, che non aveva più alcun taglio ma era di colore violaceo e bollente, se lo strinse, provandone un intenso dolore. Chiuse gli occhi, si accorse che il suo respiro era accelerato e doveva calmarsi. Provò a rilassarsi. Anche il fianco destro bruciava, vessato da una bruciatura, l’ultima traccia visibile del tatuaggio che lo aveva unito a Zima e che era scomparso nell’esatto momento in cui la bestiola se ne era andata con l’intenzione di non tornare più. Tremò. Quelle due gocce di rugiada intersecate a formare un cuore non sarebbero più tornare, l’idea lo getto nella disperazione.

“Perdonami… perdonami per non essere stato in grado di aiutarti, Zima...” sussurrò debolmente, la mano destra ancora nell’atto di toccarsi il fianco sinistro, nascondendo gran parte della pancia. Si riscoprì tanto, tanto, stanco, senza più un briciolo di energie… perché impiegava così tanto per riprendersi? Non era da lui…

Quasi senza accorgersene crollò, il respiro si fece più regolare, il torace si alzava e si abbassava senza segni di difficoltà. Si addormentò per un tempo imprecisato.

Non seppe bene quanto tempo dopo, ma avvertì qualcosa bagnargli teneramente il volto, dandogli un po’ di sollievo dalla febbre che non gli concedeva requie da giorni.

“Z-Zima...” biascicò, ancora in stato confusionale. Quel qualcosa sul suo volto si fermò, esitando un attimo, prima di tornare su di lui. Non era una lingua, era un panno umido, che qualcuno gli veniva passato sul viso per lavare via il sudore. Si mosse appena, cercando di sistemarsi meglio, accorgendosi altresì che la mano destra gli era stata adagiata a fianco e che un qualcosa di minuto, per la sua percezione, gli toccava lo sterno. Contrasse più volte le palpebre, prima di riaprirle del tutto, salvo poi richiuderle perché la luce della lampadina, accesa proprio in quel momento, gli dava fastidio.

“S-Sonia...”

Aveva riconosciuto la piccola al suo fianco. Probabilmente era salita sul letto per essergli d’aiuto. Tremò, ricordandosi di essere a busto scoperto, ma non aveva forze sufficienti per alzarsi e recuperare le lenzuola. Sospirò, cercando di scacciare via l’imbarazzo.

“C-cosa fai qui?” le chiese, sforzandosi di guardarla, mentre lei posava la pezza sul comodino e lo fissava con ansia crescente.

“Ho… ho avuto un incubo, l’ultimo così tremendo è stato quando… quando Myrto ha rischiato di essere violentata. Avevo paura, ero inquieta, volevo chiederti se… - si fermò, arrossendo di colpo e scrollando la testa – Comunque quando sono entrata tu gemevi nel sonno, avevi l’aria di stare molto male...”

“Hai avuto un incubo?” le chiese, glissando l’argomento pertinente al suo stato di salute.

“S-sì...”

“E cosa…?”

Ma la piccola non sembrava portata a dialogare su quella cosa, aveva gli occhi sfuggenti e dolenti. Osservò con pacata timidezza il corpo di Camus, l’ematoma ancora grosso, il taglio poco sotto l’ombelico, si chinò verso di lui, appoggiandogli la mano sul ventre e tracciando con dolcezza l’incisione. L’Acquario a quel contatto sussultò, non abituato ad un gesto così spontaneo e che lo metteva in forte imbarazzo, ma poi la lasciò fare, rinfrancato da quel tocco gentile e denso di affetto.

“Ti deve fare tanto male...”

“Un po’, ma è sotto controllo. Non preoccuparti così per me, frugoletta!”

La piccola annuì, tornando a guardarlo in faccia. Sembrava tanto, tanto stremato. Camus indovinò i suoi pensieri, pertanto, sollevò faticosamente il braccio sinistro nella sua direzione, accarezzandole dolcemente i capelli, che stavano diventando davvero lunghi. Pensare al loro primo incontro… vi era una tempesta anche allora, ma di pioggia, non di neve, solo che, rispetto ad anni prima, lei aveva fatto dei passi da gigante nella crescita, il suo corpo era in piena formazione. Inavvertitamente sorrise.

“Ehi, guarirò presto, non temere, devo solo recuperare le forze!”

“Milo sostiene che anche quando stai tanto male dici di star bene, che bisogna guardarti per bene negli occhi per capire il tuo reale stato fisico...”

“Mi-Milo esagera!” esclamò lui, arrossendo, sentendosi colto in fallo.

La piccola lo guardò ancora, spostando la mano dall’addome al torace, stette un po’ lì, pensierosa. Lo toccava con una naturalezza disarmante, per il semplice desiderio di fargli percepire la sua vicinanza. Non c’era alcun genere di malizia in quelle azioni, solo tanta tenerezza, ma Camus ne era imbarazzato comunque.

“Vuoi… sdraiarti vicino a me?” le chiese ad un certo punto, battendo un poco la mano sopra le lenzuola. La piccola sembrava sconfortata, lui, del resto, era in forte disagio, affatto abituato a farsi vedere in quella NON tenuta. Si sentiva comunque protetto, attorniato dal calore, che era indispensabile in Siberia così come bella vita. Fremette un poco, emozionato.

“P-posso?” chiese la ragazzina, sbloccandosi, sempre comunque sul corrucciato andante, abbassando gli occhioni verdi, così simili ad Aiolia. Discostò la mano dalla sua pelle, forse percependo il suo disagio.

“Mi farebbe piacere, vorrei… - esitò un attimo, imbarazzato – averti vicina!” ammise, un poco tremante.

Averla vicina, come Milo, come Hyoga, come Isaac… aveva rischiato seriamente di morire e, non lo avrebbe mai ammesso, ma in quei momenti infernali, in cui la vita scivolava via, sentiva tanto freddo e… aveva avuto paura, tanta. Fissò il soffitto, la gola secca, si ritrovò ad ingurgitare aria, anziché saliva. I suoi ragazzi lo avevano salvato, il pensiero di loro al suo fianco lo aveva spinto a non arrendersi. I suoi ragazzi...

Per la prima volta dopo anni, dopo la prematura scomparsa di Fyodor, che ancora lo addolorava, Camus dell’Acquario era stato sfiorato da un calore potentissimo che credeva ormai perduto. Come tornare alla normalità, ora? Come rinunciarci? Si era sempre sentito un padre, oltre che ad un maestro, voleva bene a Hyoga e Isaac come se fossero i suoi figli, ma si era sempre sforzato di non dimostrarlo. Nessuna distrazione dai doveri, nessuna manfrina come ostacolo tra loro e il sacro compito di difensori della giustizia che li spettava. Per questa ragione, pur amandoli come sue creature, si era sforzato di rimanere duro, inflessibile, severo, a tratti implacabile, per costringerli a diventare forti. Ora quel ruolo vacillava paurosamente, sostituito da qualcosa di più caldo e di potenzialmente pericoloso: per la prima volta nella sua vita il maestro cedeva completamente il posto al padre. Non sarebbe stato più come prima… ed era un errore!

Le manine di Sonia tornarono ad accarezzargli, lievi, lo sterno, facendolo riscuotere. La piccola -per lui era ancora piccola, sebbene sapesse che aveva già avuto il primo mestruo- lo guardava con espressione profonda, preoccupata per lui, permettendosi di accucciarsi al suo fianco e abbracciarlo.

“E’ passato… quei momenti sono lontani, ora sei qui, a casa”

“S-Sonia...” la chiamò, arrochito, stringendola a sé e lisciandole i capelli con una mano: era così palese il suo stato psico-fisico dalla sua sola espressione?! In quel momento non era più in grado di celarsi agli altri? Se ne rammaricò.

“Sei al sicuro...”

“Lo so, sono con voi...” le disse, dandole un leggero bacio sulla nuca, prima di piegare leggermente la schiena e sforzarsi di prendere sia lenzuolo che la coperta per infagottare sé e la ragazzina. Gliela tirò su fino alle spalle, mentre su di sé la lasciò a coprirgli soltanto l’addome. Non aveva freddo, non ne necessitava, avvezzo com’era a quei climi rigidi, ma la piccola sì; la piccola che si appoggiava, con la mano sulla sua pelle, abbracciandolo, dandogli un calore che Camus avvertiva forte dentro di sé. E di quello ne aveva bisogno. Come ossigeno. Si affrettò a celare l’affanno, perché il gesto, nella sua semplicità, lo aveva sfiancato.

“Stai bene così?” le chiese, circondandola con la mano sinistra mentre con la destra, malgrado le fitte di dolore date dai lividi e dal fatto di essere stato legato alla flebo, le sfiorava i capelli.

“Sì, mi sento sempre al sicuro con te!” disse, chiudendo gli occhietti per tentare di appisolarsi anche se non sembrava affatto tranquilla.

Camus si chiese cosa la rendesse così inquieta, al punto di farla venire lì a chiedere un conforto ma ammutolirsi al suo chiedere spiegazioni. Decise di non incalzarla con ulteriori domande, limitandosi ad accarezzare quel corpicino irrequieto e nervoso che sembrava teso come non mai. Si ricordò che ad Isaac piacevano tanto le carezze ritmate che partivano dai suoi ciuffi ribelli fino a scendere alle scapole, il suo ometto, che ormai stava diventando grande e sempre più coraggioso. Sorrise nel sentire chiaramente quanto ci fosse legato, quanto fossero cresciuti insieme, passo per passo, mentre si impegnava a tranquillizzare Sonia con tutte le premure possibili.

“Camus… - la sua vocetta usciva a fatica. Era ancora con gli occhi chiusi, le sopracciglia aggrottate. La guardò, permettendosi di fermare la mano tra le sue scapole, esattamente come faceva con Isaac da piccolo – U-una delle punizioni per… diciamo, disubbidire al Santuario, è forse la fustigazione?”

“Perché questa strana domanda, frugoletta?”

“Tu rispondi, per favore...”

“Sì, il Grande Tempio non è mai stato troppo clemente contro i dissidenti...” sospirò, scostandole un ciuffo dalla fronte.

“Vale anche per voi Cavalieri d’Oro?” le dita le si erano strette sulla pelle del ragazzo, che sussultò di riflesso.

“Può capitare… ma noi siamo l’élite della dea, deve esserci un motivo grave per arrivare a tanto, deve sforare nell’insubordinazione vera e propria ad un ordine diretto, o...”

“Quindi… anche Milo può essere frustato?”

Il visetto della ragazzina si era fatto livido, gli occhioni le si erano aperti, spaventati, la sentì tremare contro di sé. Nello stesso istante, rabbrividì a sua volta, un arcano timore si insinuò dentro di lui.

“Sonia… perché mi chiedi questo?”

“Ieri sera ho avuto un incubo atroce, dove Milo veniva percosso brutalmente sulla schiena con una frusta e… e stanotte di nuovo, più intensamente, come se il sogno si fosse fatto più nitido perché… realizzato!” si lasciò sfuggire, torturandosi le labbra. Si strinse ancora di più a Camus, il quale ricambio quel gesto sistemandosela meglio sul petto e tornando ad accarezzarla.

“Sonia… Milo mi ha detto che aveva un permesso speciale per recarsi qui, giusto?”

La ragazza nascose ancora di più il visetto sul torace glabro del Cavaliere per non mostrare il suo cambio di espressione. Sapeva che gli era stato riferito così, e che non era vero. Gli aveva mentito per non farlo preoccupare, lei avrebbe dovuto fare lo stesso.

“S-sì”

Camus tacque per una serie di secondi, un pensiero spiacevole gli aveva sfiorato la mente, un timore. Lo scacciò con forza.

“E allora, se aveva un permesso direttamente dal Grande Sacerdote, non hai di che temere per Milo!”

Il punto era che, quel permesso, lui non lo aveva, si era recato lì di sua spontanea volontà in nome dell’amicizia che lo legava a Camus, ciò la rendeva ancora più inquieta.

“L’ultima volta che ho fatto un sogno simile… Myrto è stata quasi stuprata! - ripeté, stringendo le mani a pugno – Ho paura...”

Il rumore assordante di una ventata fuori la fece sobbalzare, non era abituata a sentire il vento urlare così forte, a Milos non succedeva, sebbene le sciroccate colpissero l’isola con forza, imbruttendo il mare. Lì in Siberia sembrava persino peggio, tutto poteva assumere caratteri inquietanti, o meravigliosi, nell’arco di un solo istante.

“Frugoletta...”

Sonia girò il volto nella sua direzione, incontrandosi con i suoi occhi, un poco rischiarati dalla lampada, che le fecero mozzare istantaneamente il fiato. Sembrava molto stanco, il suo viso era ancora pallido, a tratti lucido, perché la febbre era persistente, non lo lasciava stare, ma le iridi erano brillanti come di consueto.

Camus tornò ad accarezzarle i capelli, invitandola a posarsi di nuovo su di lui, accompagnò il gesto con la mano, movenza che, da sola, era in grado di rassicurarla.

“Sei al sicuro qui, la bufera è forte, ma qui, sotto le coperte, si sta bene, vero?”

La piccola annuì, tornando a concentrarsi su quel calore: “Sto bene... qui!”

“Anche Milo starà sicuramente bene, non devi preoccuparti, è un supereroe, no? I supereroi non si fanno sconfiggere da una semplice frusta!”

Sonia si ritrovò a ridacchiare sommessamente, sistemandosi meglio su quel giaciglio che era l’ampio petto del Cavaliere, così caldo, confortevole, delicato, nonché liscio e adamantino come una scultura di marmo. La ragazzina sapeva bene di non avere speranze con lui, in quel senso, eppure l’attrazione per lui, il coinvolgimento emotivo forte che covava da anni, non era scemato per niente. Si ritrovò a pensare che se Camus avesse continuato a comportarsi così con lei, in fondo, le sarebbe andato comunque bene, purché avesse continuato a coccolarla come perseguiva a fare in quel momento.

“Sai, a novembre, quando mi hai detto che… che non avevo speranze, ci sono rimasta molto male, in verità...”

Camus a quelle parole si irrigidì un poco, capendo a cosa stesse alludendo.

“S-Sonia, i-io...”

“Volevo dimostrare a Milo che ero cresciuta, invece mi sono messa a piangere come una poppante...”

“Frugoletta… credimi, non avrei mai, MAI, voluto farti male con le mie parole, ma… è la verità, Sonia, io non…”

“Lo so che non puoi ricambiare, non è colpa tua se non lo senti! – sorrise tra sé e sé la ragazzina, adagiando meglio l’orecchio per avvertire la dolce ninnananna dei battiti cardiaci di Camus – E mi va bene così, b-basta che.. sì, insomma, mi continuerai a stringere così anche dopo, a volermi bene, per come sono...”

“S-Sonia...”

Avrebbe voluto dirle che stava crescendo, che quel tipo di effusioni, probabilmente, da un certo punto della sua vita in poi, non le sarebbero bastate, desiderando altro, l’amore di un uomo, le sue attenzioni, insomma di più, che non limitarsi a qualche coccola; crescendo probabilmente avrebbe anche modificato i suoi gusti, perché Camus sapeva, era più che convinto, che quell’interessamento per lui derivasse da averla salvata dall’annegamento, da fantasie di bambina, che col tempo sarebbero scemate, ma… passavano gli anni e lei non cambiava minimamente da quel punto di vista, e lui, certo, con i suoi doveri, con le imposizioni, con la precarietà della vita stessa, non poteva certo darle nient’altro che quello. Le voleva un bene dell’anima, lo sentiva distintamente. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per proteggerla, come per Hyoga, come per Isaac, come… si irrigidì ulteriormente: come per la sorellina a cui era stato strappato all’età di 5 anni, ma l’amore nel senso più stretto del termine, quello no, era impraticabile per un Cavaliere, follia pura anche il solo anelarlo.

Sonia era come una sorella minore per lui, faceva parte della sua famiglia, ma non avrebbe potuto darle di più, non solo per la differenza di età, ma anche e soprattutto perché non se lo poteva proprio permettere.

“Ora ti starai torturando psicologicamente, lo so!” esclamò la bambina, ridacchiando, strusciandosi brevemente sulla sua pelle, prima di spostare la mano per appoggiarcisi beatamente con la guancia, con l’altra gli cinse la parte alta del fianco.

“E-ecco, i-io...”

“Va bene, come ti ho già detto! - lo rassicurò ancora, sempre più appisolata – Tanto io adesso ho Hyoga!”

A Camus scappò un mezzo soffio a metà strada tra un’esclamazione di sorpresa e un mormorio di incredulità.

“Tu hai… chi?!?” le chiese, convinto di aver capito male.

“Hyoga, il tuo allievo… Lui non può dirmi che sono troppo piccola, ho la sua stessa età, anche se, a differenza del suo fisico scultoreo, il mio sembra quello di una nanetta!”

“Da d-dove ti deriva q-questa uscita, adesso?”

“Lui è come te, ha ereditato la tua delicatezza, i tuoi modi, la tua dolcezza...”

Camus non sapeva più che pesci pigliare, era a disagio, la piccola lo percepiva bene al di fuori delle sue palpebre abbassate. Un sorriso le solcò le guance, mentre cedeva sempre di più al sonno.

“H-Hyoga sarebbe…?”

“Ti meraviglia?”

“In verità, sì… Hyoga è tutto ciò che un Cavaliere dovrebbe rigettare indietro, ciò contro cui combatto e ciò da cui devo distoglierlo. Devo spazzare via questa sua debolezza, in un modo o nell’altro, prima che sia troppo tardi per lui… o per gli altri!”

Non era riuscito a celare una punta di nervosismo nel pronunciare quelle parole, l’uscita di Sonia lo aveva spiazzato completamente e, un po’, offeso. Davvero era così simile all’allievo?! Davvero si era dimostrato così vulnerabile agli occhi della piccola, al punto da considerarlo suo simile in tutto e per tutto?! Hyoga covava in sé un inesauribile potenziale, era vero, era emotivo, sensibile, soffice… come un fiocco di neve, piuttosto che la parete di ghiaccio che gli aveva indicato il primo giorno in cui si erano incontrati e dalla quale avrebbe dovuto prendere esempio di perseveranza e inflessibilità, come faceva già Isaac in maniera splendida. Erano passati anni da allora e non c’era ancora riuscito a scacciare via la debolezza dal cuore del biondo. Più si intestardiva nel spazzarla via, più il ragazzo si attaccava in maniera malsana al ricordo della madre morta, unico sostegno, a suo dire, unica ragione di vita…

Ora, una notte di febbraio 2008, in una sperduta isba sferzata dal vento, veniva fuori che lui, Camus dell’Acquario, difensore dell’undicesima casa dello zodiaco e Sciamano dei Ghiacci, era invece fatto della stessa pasta di Hyoga delle Nevi, la stessa fragilità, la stessa sostanza, che lui aberrava.

Assottigliò le palpebre, infastidito, osservando un punto fisso sopra di lui, il cuore a mille nel suo petto, mentre, con gesto di stizza, calciava brevemente il fondo del letto: lui così simile a Hyoga, ma figurarsi!

Sospirò, affranto, tornando a concentrarsi su Sonia, che si era addormentata sul suo petto. Le scostò gentilmente un poco il volto per poterla osservare meglio, tracciando al contempo il suo profilo con gesto delicato. La sua testolina venne poggiata sulla sua spalla, mentre i ciuffi un poco ribelli le ricadevano disordinatamente sulla fronte. Sorrise timidamente. Aveva ragione Milo: dormiva ancora come una bambina, con la bocca dischiusa in una piccola ‘o’, dalla quale usciva, quieto, il suo respiro. Le mani erano ancora appoggiate sul suo petto, invece, semi-aperte, le dita un poco alla rinfusa.

Camus distese il braccio con lentezza per chiudere la luce della lampada senza svegliarla, ultimato il processo, riprese a sfiorarla con gesti sinuosi. Si rilassò completamente tra le coperte, permettendosi di chiudere a sua volta gli occhi. Avvertiva distintamente il respiro della ragazzina, oltre che al suo, quello lo tranquillizzava, facendolo sentire a suo agio, il caldo delle coperte che lo avvolgevano, la sicurezza di una casa, di una famiglia, a confronto con la bufera che infuriava fuori, ai pericoli, ai doveri del Cavaliere e del Maestro. Li lasciò andare quella volta, li cacciò via, concentrandosi invece sul momento, sul conforto di essere vivo, attorniato dalle persone che amava.

Si lasciò condurre dal sonno fino alle porte dell’incoscienza, prima di accedervi, e rese conto così di essere, forse per la prima volta, genuinamente felice di vivere.

 

 

* * *

 

 

11 febbraio 2008

 

 

“Palla di neve in arrivo!!!” urlò estasiata Sonia, cercando di acciuffare, con gli enormi guantoni che le avevano dato, quanta più neve fosse possibile. Non era facile, però! Nonostante la nevicata, i fiocchi di neve si erano congelati immediatamente appena toccata terra… o forse erano già congelati mentre danzavano in aria?! Sia Hyoga che Camus le avevano spiegato che lì, in inverno, le precipitazioni atmosferiche consistevano in pioggia congelatasi, non neve, una pioggia che veniva chiamata “polvere di diamanti” e che rendeva l’aria etera, luccicante, a volte tersa, come le illuminazioni natalizie. Il fiocco non aveva il tempo di assurgere alla sua forma definitiva, troppo il freddo, ed ecco svelato il misterioso fenomeno. Tuttavia, la farina bianca che ricopriva il terreno sembrava proprio neve, la piccola non riusciva a capacitarsene.

“Non combinerai niente, così, piccola peste irrefrenabile! - ridacchiò tiepidamente Hyoga, raggiungendola e accucciandosi al suo fianco -Devi fare così!” le disse poi, protraendo le mani vicino alle sue, che raspavano per terra nel tentativo di ammucchiare neve, tentando di compiere una delle magie che gli aveva insegnato Camus.

Gli occhioni della ragazzina si spalancarono meravigliati, mentre il palmo di Hyoga si chiudeva sui cristalli di neve e una luce azzurrina scaturiva da lì, accattivante. Quando il biondo ebbe ultimato il processo, la riaprì, rivelando una palla di neve perfettamente tondeggiante.

“Eccola”

“U-uau, p-posso?!” chiese timidamente Sonia, accennando a prenderla ma ritirandosi subito dopo nella paura di rovinarla.

“Certo, è tua!” gli sorrise ancora Hyoga, permettendosi di scompigliarle i capelli.

“E ci posso fare quello che ci voglio?”

“Sì”

“Non si scongelerà?”

“A queste temperature, no!”

“E-ecco, allora io...” le sue dita si chiusero sulla palla di neve, che emanava ancora una luce bellissima. La sollevò un po’, se la fece rigirare tra le mani, sorridendo.

“Vorresti farci un pupazzo di neve, o...”

Hyoga non ebbe il tempo di finire, che si ritrovò la pallina in testa, disfatta, tra i suoi capelli, e le risate sempre più forti di Sonia che si teneva la pancia e quasi rotolava nella neve dal divertimento.

“Sembri l’omino Michelin, Hyoga, ahahahhaha! - ridacchiò Sonia, le lacrime agli occhi che si congelarono all’istante – Non dovevi dare una mano alla tua nemica in questa battaglia, pessima mossa da Cavaliere!” lo prese scherzosamente in giro, piegata in due.

“Mi hai gabbata, ma… - rispose il biondo, ridendo a sua volta, prima di prenderla inaspettatamente da sotto le ascelle e sollevarla, gesto che la ragazzina non si aspettava e che la meravigliò molto – Il protocollo da Cavaliere mi impone di affrontare l’avversario ad armi pari, e tu… eri in forte svantaggio!”

Sonia gonfiò le gote, fintamente offesa, prima di girarsi a forza, far sbilanciare Hyoga e farlo cadere, per poi salirgli, senza troppi complimenti, in grembo.

“Allora recuperiamo subito questo svantaggio! In guardia!” esclamò, fiondandosi a capofitto su di lui a suon di pizzicotti, come gli aveva insegnato Milo. Il ragazzo, a differenza di lei, era molto meno coperto, aveva più parti di pelle esposta, un’ottima occasione per lei, che invece, imbacuccata com’era, dalla testa fino alla punta dei piedi, non aveva zone vulnerabili.

“Ahi, no! Aha! Va bene, va bene, chiedo venia, non dovevo sottovalutarti!” si scusò Hyoga, parecchio suscettibile al contatto fisico. Pareva soffrire il solletico, un altro punto a suo favore, la situazione andava ribaltandosi

Nella foga i due presero a rotolare nella neve, del tutto presi dal gioco e dal divertimento, come non accadeva da un bel po’ per entrambi. Senza doveri, senza impegni, come due semplici ragazzini delle Medie. Nient’altro.

Isaac osservava la scena in disparte, seduto sul permafrost, la faccia leggermente imbronciata, una strana sensazione di fastidio alla bocca dello stomaco. Non voleva unirsi a loro, né ostacolarli, però tutta quella leggerezza, la noncuranza con cui passavano quei giorni lo irritava non poco.

No, non era quello ad irritarlo, ragionò, stringendosi alle ginocchia mentre, affinando lo sguardo e l’udito, continuava a guardarli, abbastanza vicini alla sua postazione ma apparentemente lontano anni luce, da sentirsi un estraneo, una terza parte non contemplata nella scena...

“Attenta! - la avvertiva intanto il biondo, acciuffandola e avvolgendole meglio la sciarpa davanti alla bocca – Le labbra sono molto delicate!”

“Hyoga! La sciarpa mi ostruisce, non posso levarmela?”

“No, su questo il Maestro Camus è stato categorico e… lo sono anche io!”

“Ma uffi, mi sono abituata a questo gelo!”

“Non ci si abitua mai a questo freddo, meglio avere una copertura in più che una in meno, gli effetti del congelamento si sentono dopo!” le disse, deciso, prima di lanciarle a sua vola una mini pallina di neve, che le colpì la pesante giacca.

“Mi hai gabbato tu, questa volta!”

“Succede quando perdi la concentrazione sul campo di battaglia!” cantilenò Hyoga, facendole l’occhiolino, prima di subire un nuovo agguato da parte della piccola, che gli saltò addosso e gli cinse il busto vivace, pronta a continuare il loro raffronto.

...Effettivamente era la ragazzina il problema, nonché la ragione del suo fastidio. Isaac sbuffò sonoramente dirigendo lo sguardo altrove. Da quando l’allieva di Milo di Scorpio era arrivata, non c’erano che occhi che per lei, quelli sempre dolci di Hyoga, ma anche quelli di Camus, che non aveva mai visto così brillanti nel guardare qualcuno.

Qualcosa gli bruciò dentro a quel pensiero, dandosi al contempo una botta di idiota. Si stava rivelando un poppante e, non lo avrebbe mai ammesso, ma… più si rendeva conto che la ragione era proprio per la ragazzina, più non si dava pace per essere caduto in una cosa così tanto stupida. E in quel momento, vicino al mare, anche se non si capiva molto bene il confine tra la banchisa e la distesa d’acqua, Isaac si chiese da cosa fosse derivata quell’inaspettata gelosia che gli rodeva dentro.

Tutto aveva preso avvio dalla mattina precedente, quando, alle prime luci del sole, lui era sceso dalla sua camera per entrare in quella del maestro, e lì li aveva trovati nel letto insieme, abbracciati. Camus non stava ancora bene, non si era svegliato, infatti, nonostante avesse il sonno leggero in genere, ma la piccoletta sì, aveva aperto gli occhioni verdi come i suoi, anche se di sfumature diverse, e aveva sbadigliato, sollevandosi un poco dall’ampio petto del Cavaliere per guardarlo. Lo aveva salutato, se lo ricordava appena, perché in quel momento qualcosa si era smosso in lui, una sensazione di profanazione, di intimo violato, come se qualcosa di loro gli fosse stato strappato. Non aveva detto niente, solo un leggero mormorio di assenso, prima di girarsi con stizza e andare a preparare la colazione.

Un episodio fortuito, si era detto. Probabilmente la ragazzina aveva avuto paura della tormenta e si era annidata nel letto di un distrutto Camus, che non riuscendo ad opporsi per la debolezza, aveva acconsentito. Già, un unico caso… tuttavia quella stessa mattina, di nuovo, l’aveva trovata nel letto del maestro, bel bella lei, come se niente fosse, avvolta dalle forti braccia del Cavaliere. Si era quindi ripetuta la scena della mattina prima, con lei che si svegliava, lo salutava e lui che non ribatteva, ancora più infastidito.

Non era più un caso fortuito: al maestro piaceva dormire con la piccola accoccolata, percepiva calore da lei, stava bene, ed era una cosa talmente intima per lui, il dormire con qualcun altro, che ciò doveva dimostrare il profondo attaccamento che provava per lei. Per lei, già…

Isaac fremette, rimproverandosi tra sé e sé: “Me la sto davvero prendendo per queste stupidate?! Dopo tutto ciò che è successo i giorni scorsi? - si chiese, stringendo i pugni – E’ ovvio che Camus abbia altre persone affezionate a lui, perché ne sono così stupito? E’ normale che abbia un’altra vita, al di fuori da quest’isba, al di fuori della Siberia, ma...”

Tornò a concentrarsi sulla scena davanti a sé, Sonia e Hyoga continuavano a ridere tra loro, totalmente distesi come Isaac non aveva mai visto suo fratello, che sembrava quasi aver trovato il suo posto nel mondo grazie alla marmocchia.

Il suo posto nel mondo…

Isaac credeva di averlo trovato a sua volta, al fianco di Camus, al fianco dello stesso Hyoga. Nessuno gli avrebbe più strappato nulla, nessuno avrebbe più osato, come già era successo alla sua famiglia di origine, eppure…

Era strasicuro di avere un rapporto speciale con il maestro, un rapporto inviolabile, sacro, superiore a tutto e tutti. Camus non si era mai comportato così con qualcun altro, mai, ciò che avevano vissuto insieme in quegli anni, maestro e allievo, anzi no, padre e figlio, era qualcosa di inimmaginabile per la gente comune; qualcosa che aveva reso il loro legame inossidabile. Non c’era nulla di più forte di quello, al mondo, Isaac lo sapeva bene, eppure…

Si girò di scatto, frastornato, non volendo mostrare la sua espressione agli altri due che si stavano divertendo un mondo tra loro. Serrò le palpebre.

Camus aveva altri legami. Non solo, aveva altri legami ugualmente speciali e insostituibili. Non c’era solo lui, nella sua vita… quella concezione lo fulminò, semplice, lineare, neanche fosse stata una grande rivelazione, poi… allora perché reagiva così?!

Non c’era solo lui nella sua vita… c’erano Milo, Sonia, chissà quanti altri, chissà…

Per Isaac invece non c’era altri che lui; lui e suo fratello Hyoga, la sua vita ruotava su di loro e, in quel momento, di soppiatto, il Fato, o chissà chi per esso, era venuto a soffiargli all’orecchio quell’ovvietà, che pure gli pesava da impazzire.

Non c’era solo lui, già… il cuore di Camus era immenso, poteva ospitare un sacco di persone. Il suo, no!

Si ritrovò ben presto gli occhi annacquati, la gola secca, un sorriso amaro a solcargli le labbra tremanti.

“Isaac… cosa c’è che non va?”

La voce di Hyoga lo raggiunse di soppiatto, da dietro, lui, non aspettandoselo, sussultò, affrettandosi a celare il malessere.

“Non eri a giocare con Sonia?” chiese di riflesso, non guardandolo comunque in faccia. Si sentiva dannatamente sporco, soprattutto con lui, che sapeva subire il peso di essere (erroneamente, tra l’altro!) un’eventualità e non una costante.

“Le ho implorato una pausa di 5 minuti, ora è là ad ammucchiare neve per la nostra battaglia!” sorrise ancora il biondo, indicandogliela. Effettivamente la ragazzina aveva già fatto meticolosamente un mucchietto diversi metri più in là.

“Capisco”

“Cos’hai? Non è da te stare così in disparte, hai ancora male alla spalla? Sei preoccupato per il Maestro Camus?”

“No, è che solo… niente!” si affrettò a ripiegare, sospirando per poi sedersi nuovamente sul permafrost, incurante del freddo. Hyoga lo seguì a ruota. Probabilmente, data la sua sensibilità, aveva captato qualcosa.

“Ti conosco da anni, ormai, non è da te un simile atteggiamento. C’è qualcosa che non va con Sonia?”

“N-no, figurati, sarà allieva di un altro Cavaliere d’Oro, ha la nostra età, potremmo definirla una nostra collega, se non una compagna, ma...”

“Ma il suo arrivo qui ti ha mandato in crisi...”

“S-sì… NO! Volevo dire di no!” arrossì. Guardando altrove.

“Vale la prima risposta, sai?” gli fece notare il biondo, sorridendo malinconicamente, non insistendo più sul discorso. Se Isaac desiderava parlare lo avrebbe fatto, non aveva senso costringerlo.

“A te… lei… piace?”

“S-sì, mi ci trovo molto bene”

“Aaaaah la tua prima cotta!” ammiccò con lo sguardo, dandogli gomitate tra il costato che ebbero solo l’effetto prima di irrigidirlo, e poi di farlo sobbalzare.

“Cosa vai a pensare, Isaac?! NON IN QUEL SENSO!!!”

Isaac si ritrovò ben presto a ridere sommessamente, un poco sollevato nello spirito, come accadeva di frequente quando parlava con suo fratello. Poco dopo si ricompose, riaprì gli occhi, che si erano nel frattempo fatti un poco bui.

“Anche il Maestro stravede per lei… hai visto come se la guarda e se la coccola quando dorme? - chiese di riflesso, cambiando tono di voce, che si fece un poco implacabile – Con noi… non si è mai comportato così!”

Non era corretto, Isaac lo sapeva bene, aveva mentito sia a sé stesso che al fratello di mille avventure, la formulazione giusta sarebbe stata: “PRIMA, si comportava così solo con me...” ma non poteva ammetterlo. Non poteva. Non proprio davanti a Hyoga, poi. Era dannatamente stupido e privo di senso, non si dava pace per essersi abbassato a provare sentimenti così meschini.

“Allora è questo il problema… - anche il tono di voce del biondo si era fatto paurosamente freddo, lo sconvolse fin dal profondo, mentre l’amico e fratello gli rivolgeva uno sguardo implacabile, uno sguardo non suo, che lo fece accapponare – Non sei abituato ad essere messo da parte, non sei abituato a… essere una seconda scelta, per questo reagisci così!”

“Hyoga, cosa stai…?”

“Penso che Camus ti abbia viziato un po’ troppo, in certe circostanze...”

Isaac si alzò di scatto in piedi, indietreggiando di qualche passo, prima di sbattere più volte le palpebre, quasi tramortito: non era affatto da Hyoga essere così brutale, anche se, lo sapeva, erano pensieri che serbava comunque dentro di sé.

“...sai, Isaac… - il tono del fratello si era fatto nuovamente dolce, così come il suo viso, ne ebbe una sensazione strana, come di risveglio di soprassalto da un incubo che fino a poco prima gli si era annidato nella mente – Io posso capirti, so cosa significa essere una seconda, o una terza, scelta...”

“N-no, Hyoga, tu non sei… non lo sei! Camus vuole bene anche a te!”

Isaac si era un poco riscosso, tornando a sedersi vicino a lui, ancora confuso. Chi gli aveva rivolto parola, prima? Non era stato il suo compagno, non era da lui, quell’atteggiamento così ostile, eppure, ne era consapevole, se non fosse stato di animo così gentile si sarebbe per davvero espresso così. Con chi… aveva discorso? Perché quella strana pesantezza nel petto?

“O-ora non mi vorrai dire che non è così, Isaac, è evidente, lo sai anche tu… - gli disse ancora, fremendo nitidamente e stringendo la mano sinistra a pugno per dar sfogo ai suoi sentimenti. Se non fosse stato così nobile, proprio come il maestro, lo avrebbe preso a cazzotti in faccia, probabilmente, e se lo sarebbe forse anche meritato, visto che rivelare una cosa così a lui era come mettere il dito nella piaga – Proprio per questo dico che non ti devi preoccupare, amico mio: il legame tra te e Camus non sarà mai messo in discussione, avrai sempre un luogo privilegiato dentro al suo cuore, non puoi esserne soppiantato in alcun modo, dovresti saperlo...”

“Hyoga...”

“E’ così, sai? - gli sorrise malinconicamente, prima di discostare lo sguardo – Avete vissuto così tanto, siete persino cresciuti insieme… per cui non temere, non c’è alcun nemico, né ostacolo, che ti dividerà da lui. Vi siete compenetrati vicendevolmente, ed è meraviglioso, questo, serbalo sempre dentro di te, perché hai una fortuna immensa… Isaac...”

Fu il suo turno di alzarsi e voltarsi dall’altra parte, del tutto incapace di reggere ancora a lungo quel confronto. Hyoga, il timido e insicuro Hyoga, che aveva vissuto male, in silenzio, il fatto di non riuscire ad entrare nel cuore di Camus, lo stava rassicurando, proprio lui, il primo a soffrire di una situazione simile. Davvero poteva essere così egoista?! Davvero stava provando un sentimento di velato astio per una ragazzina che aveva avuto solo la colpa di entrare a sua volta nella vita del maestro e rimanerci? Come lui, come suo fratello, come Milo…

Isaac non si dava pace per continuare a provare quel sentimento ingiusto, eppure più guardava la piccola, in quel momento intenta ad ammirare, con tanto di bocca aperta, la polvere ghiacciata che cadeva dal cielo, più sentiva muoversi dentro di lui qualcosa di immenso e distruttivo, di fuori controllo, che ben si miscelava alle sue emozioni intense e tendenti al nero. Quanto tempo aveva impiegato, quella ragazzina, per entrare nel cuore del suo giovane maestro? Era stata più veloce di lui, o meno? Che vissuto avevano, insieme, per essere così vicini, così… intimi? Strinse con foga i pugni, arrabbiato, frastornato, fratturato. La osservava torvamente, un misto di gelosia e senso di profanazione, ancora. E se Camus, ultimato il loro addestramento, ormai completamente maturi, li avesse poi snobbati?! In fondo, il loro rapporto, era partito come un legame docente-discente, mentre la ragazzina… poteva, forse, essere di più, molto di più.

Isaac sobbalzò, spaventato, come ridestatosi da pensieri troppo cupi e nefasti. Che andava a pensare?! Aveva ragione Hyoga, completamente! Loro erano molto di più di quello, ne era sicuro, nessuno li avrebbe incrinati, né spezzati, nessuno li avrebbe separati, come invece era accaduto con la sua famiglia d’origine a causa di quella gente cattiva, o come per Lisakki. Nessuno!

“Io invece assecondo i tuoi impulsi, Isaac! Hai proprio ragione: la ragazza, pur sembrano così innocente, è un pericolo, una scossa alla nostra stabilità, al nostro nucleo famigliare difficoltosamente assemblato!”

Isaac sussultò a quelle parole, voltandosi incredulo dietro di sé nello scorgere nuovamente Hyoga, ancora seduto, sogghignare sinistramente. Così brutale… così mostruoso… non poteva essere lui!

“Chi diavolo sei tu? Anche prima sei intervenuto! Non sei mio fratello, lui non parlerebbe mai così!” lo incalzò, mettendosi istintivamente sulla difensiva.

Inaspettatamente ‘Hyoga’, o chi per esso, si alzò in piedi affiancandosi a lui. Isaac si irrigidì di riflesso, ma l’essere non sembrava avercela con lui, anzi, appoggiava le sue pulsioni. Gli circondò le spalle come un vecchio amico, indicandogli nuovamente la ragazzina pochi metri più in là.

“Quella Sonia è un problema per la nostra famigliola, è subentrata qui, ha INVASO la nostra quotidianità in un momento di debolezza e sussiste come un pericolo...”

“Lei sarebbe un pericolo?! Cosa vai cianciando?! E’ una mia compagna, sarà allieva di Milo di Scorpio e, insieme, combatteremo per la giustizia su questo pianeta!”

“Tu lo dici, perché te lo stai raccontando, Isaac… ma le avverto le tue pulsioni interne, SONO le tue pulsioni interne, non la vorresti qui, vorresti solo che quel Cavaliere la venisse a riprendere. Non puoi mentirmi, ti sento, meglio di chiunque altro!”

“Insomma, chi diavolo sei?!”

“Oh, sai chi sono, lo sai bene! Sono nato da te, SONO te, la parte più cupa di te. Allo stesso modo, rappresento la vetta che vorresti raggiungere, il tuo ideale, il tuo esempio, forse solo Camus è un mio pari. In effetti, mi ostruisce non poco il tuo maestro, mi ostacola, anzi CI ostacola, perché non ci ha mai capito, non TI ha mai capito, Isaac!!”

“S-sparisci dalla mia mente!”

“Io non posso sparire, sono te, come detto poc’anzi… ma puoi fai scomparire quella ragazzina, hai il potere per farlo!”

“Per essere me parli un po’ troppo per i miei gusti! Vattene via subito, o io...”

Gli cominciarono a sibilare le orecchie, la testa prese a girare, tanto che si dovette trattenere il volto con le mani. Sembrava di muoversi in tondo ad una velocità vertiginosa, eppure le gambe erano ben ancorate al suolo, erano ferme, perché quindi...”

“Osserva...”

Isaac si trovò a spalancare le orbite, il suo corpo parve quasi contorcersi su sé stesso, mentre, nelle due cornee, si imprimevano due immagini diverse, due luoghi quasi opposti, due soggetti che, pur nella loro differenza strutturale, erano entrambe vittime. Vittime di lui, della sua furia.

Il ragazzo quasi cadde all’indietro davanti a quelle visioni, il suo cervello non era più in grado di catalogare quale fosse l’immagine corretta. Tremò, prima di crollare, ma ‘Hyoga’ gli cinse anche il fianco come se avesse un tentacolo al posto del braccio, facendolo appoggiare contro di sé, in un gesto di pura possessione che non era affatto da lui. Lo costringeva ad una posizione ritta, sebbene Isaac, in quel momento, sentisse un folle bisogno di svenire e perdere coscienza, tanto era il dolore.

“Osserva… - si raccomandò ancora il falso Hyoga, implacabile – Questo è il tuo reale potere, puoi far sparire tutto ciò che non ti va a genio per difendere ciò in cui credi, puoi farlo!”

“N-non lo farò… Sonia non ha fatto niente, è innocente, non...”

“Lo è per davvero? Anche l’altro ragazzino che vedi, sì, quello con i capelli rossicci e quegli strani segni sulla fronte, è innocente?! Chi lo dice?! Sei solo tu a decidere, tu il giudice… sono davvero così innocui per te?!”

Isaac era sempre più confuso. Dall’occhio di destra gli arrivava, ancora l’immagine di Sonia, anche se la sua attenzione era ai suoi piedi, al ghiaccio sottostante… se solo si fosse rotto, quel ghiaccio… probabilmente la ragazzina si sarebbe presa un bello spavento, quanto bastava per convincerla ad andarsene; dall’altro occhio, invece, il sinistro, la cui orbita gli faceva un male insopportabile, da desiderare di cavarselo via, gli sopraggiungevano immagini di tutt’altro genere: un ragazzino chiaramente ferito, in effetti dai capelli rossi e da degli strani caratteri distintivi, abbracciato su uno scrigno dorato, che stava difendendo con le unghie e con i denti.

Due immagini così diverse… due tempi apparentemente lontani, ma contraddistinti dalla stessa, perenne, pulsione, lo stesso, vacuo, desiderio di toglierli dalla sua strada. Di… sbarazzarsene!

“Allora? Sono innocenti per te?”

“U-urgh...”

“Falli sparire… asseconda le tue pulsioni, la tua REALE forza”

In quell’istante il ghiaccio si incrinò pesantemente sotto i piedi della piccola, che tuttavia non si accorse di niente, così presa com’era a guardare la polvere ghiacciata.

“Ancora, di più… forza!”

“N-no...”

“Tu sei il giudice!”

Un primo calcio venne sferrato alla schiena del ragazzino, che sobbalzò dolorante, continuando comunque a proteggere quel dannato scrigno della Bilancia con tutto sé stesso. Una rabbia atroce lo invase, implacabile: chi diavolo era quel moccioso, perché si permetteva di fare l’eroe?! Perché gli era stata concessa quell’opportunità, mentre a lui no?! Non la meritava, forse?! Non ne era… degno?!?

“C-cosa mi stai facendo fare?! Non ti permetto di dominarmi, n-non...”

“Pensi ancora sia un’esistenza aliena fuori da te, Isaac? Non lo sono, non ti sto dominando, io SONO te!”

“N-non è vero io non… NON SONO COSI’!”

“Non sei così perché non mi hai ancora accettato completamente, solo questo; non sei così perché gli insegnamenti del tuo maestro contrastano con la mia essenza, solo per questo non sei ANCORA così!”

“Io non sarò mai così, n-non...”

“Tu vuoi semplicemente che Sonia si prenda un bello spavento in modo da andarsene, vero? Chi si crede di essere, lei, per essere entrata così agevolmente nel cuore di Camus?!”

“B-Basta!!!”

“Allo stesso modo, chi crede di essere quel marmocchio che vedi davanti a te, che è stato addestrato da un altro Cavaliere d’Oro e che fa quello che non è stato concesso a te? E’ forse migliore di te? Perché lui ha potuto fare l’eroe e tu no?”

“U-urgh...”

“Siete stati addestrati da due Cavalieri d’Oro, ma lui è lì, a difendere ciò per cui è nato, tu no, sei diventato il cattivo in questa storia… ti sembra giusto?!”

“N-no, io...”

“Eliminano! Elimina Kiky...”

Una serie di calci… aveva perso il conto di quanti gliene aveva inferti, eppure quello sciocco ragazzino che giocava a fare l’eroe era ancora ottusamente lì, sanguinante, dolorante, ma sempre lì, a difendere ciò in cui credeva. Per un solo istante, Isaac si rivide completamente in lui, nell’occasione che gli era stata strappata, ciò lo fece infuriare ancora di più.

A lui veniva strappato sempre tutto… TUTTO!

Un grido, seguito da un rantolo sommesso, raggiunse le sue orecchie: stava premendo forte con il piede sulla sua schiena, un goccio di pressione in più e gli avrebbe spezzato la colonna vertebrale, altro che fare l’eroe. Eppure non demordeva. Che irritante spina nel fianco!

Tsk! - rumoreggiò, sempre più iroso, sempre più implacabile – Bene allora, morirai abbracciato a quel contenitore… così nell’aldilà ti loderanno!”

Del resto, era quello che voleva, no? Giocare a fare l’eroe prevedeva dei rischi, era la dura realtà e, quel rischio, molto spesso, conduceva alla morte.

Sollevò la gamba, preparandosi ad infliggere un nuovo calcio. Sarebbe stato più semplice schiacciarlo fino a rompergli la schiena, ma, non seppe perché, non lo fece.

E’ LA TUA FINE!”

“Scaccia via Sonia, in modo che non interferisca più con voi, con noi… che se ne stia in Grecia, lontana dalla Siberia, lontana da Camus… non dovrebbe essere nessuno per lui, non si deve permettere di rimanere qui impunemente!”

Già, quella ragazzina non avrebbe dovuto essere niente per il maestro, non era sua allieva, non avevano trascorso anni insieme, non gli aveva salvato la vita, al contrario suo. Probabilmente si vedevano di rado e non avevano neanche avuto un vissuto in comune, perché allora quel rapporto così profondo?! Perché accadeva sempre, sempre, che ciò che avesse di più caro gli venisse strappato?!? SEMPRE, DANNAZIONE!

Senza che Isaac se ne rendesse nitidamente conto, le sensazioni di quegli ultimi mesi si accuirono e, con esse, anche il senso di perdita sempre più imminente, quel continuo senso di inquietudine, quel temere di non avere più molto tempo da passare con Camus e Hyoga. Rabbrividì a quell’ultimo pensiero.

No, non poteva permetterlo, NO!

Di nuovo, una rabbia atroce lo invase, non riusciva più a controllarla, doveva espellerla, subito. Strinse con foga i pugni, guardando con ira il ghiaccio sotto i piedi della piccola.

“Cedi...” sibilò tra i denti.

Muori...” pensò intensamente l’altro sé stesso, mentre la gamba gli si sollevava per darsi maggior spinta.

Il ghiaccio su cui la piccola si appoggiava, in quell’istante, implose da sotto, alcune schegge la ferirono, mentre urlante, provava a coprirsi il volto con le braccia. Isaac riuscì ad accorgersi appena di ciò che stava perpetrando, che l’intervento di Hyoga, la sua voce, lo riscosse dal profondo, facendogli aprire gli occhi.

“ISAAAAAAC!” urlò suo fratello, come per avvertirlo, mentre si precipitava in tutta fretta verso la piccola, proiettata all’indietro, afferrandola giusto in tempo impedirle di finire in acqua, perché una notevole porzione di ghiaccio si era spaccata, aprendo una voragine. La scena aveva lasciando lui impietrito, sbigottito, sul posto.

Fermati, basta!!!”

L’altro Isaac si immobilizzò a sua volta sul posto, come quella volta di due anni prima in cui era successo l’incidente a Sonia. Non lo dimostrò nel volto, ma anche in quel caso si sentì scosso per una serie, interminabile, di secondi. Rimase a guardare i movimenti affannati di chi era stato un fratello per lui, che si trascinava a stento, respirando appena dopo i colpi subiti e l’emorragia consistente, ma arrancava comunque risolutamente verso il ragazzino, con una grinta che non gli aveva mai scorto durante l’addestramento. Era cambiato. Si era affinato. Diventando migliore, contrariamente a lui.

Va meglio?” gli chiese al piccolo, con un filo di voce, posandogli una mano sulla schiena e sforzandosi di sorridere per fargli coraggio.

Ah, sì, adesso sì, u-urgh... beh, hai visto, Hyoga? Non ho abbandonato lo scrigno, io ho resistito come un vero Cavaliere!”

Ho visto, Kiky, però ora riposati e lascia a me Isaac, non vorrai prenderti tutto il merito della sua sconfitta… riposa tranquillo e non temere, nuove imprese ti attendono!” gli disse ancora, prendendolo delicatamente in braccio per poi adagiarlo compostamente a terra.

Isaac lo guardò in una parvenza di distacco, ma dentro di lui qualcosa si era smosso: Che cosa era diventato?! Quanto si era allontanato dagli insegnamenti del suo sacro mentore?! Come… era stato possibile?!

“Cosa… cosa sto diventando?!” esclamò tra sé e sé, mettendosi le mani tra i capelli nel vedere Hyoga tornare verso di lui, stringendosi la piccola al petto. Era chiaramente ferita, l’espressione rotta dal dolore, il respiro dispnoico, la pelle pallida.

“Isaac, dammi una mano, forza! Non so cosa sia successo, proprio non lo so, ma dobbiamo portarla subito all’isba, il Maestro saprà cosa fare!” esclamò urgentemente Hyoga, cercando disperatamente di attirare la sua attenzione.

Riuscì infine a rianimarsi, precipitandosi a sua volta nella loro direzione per prestare le prime cure, rigettando disperatamente indietro tutte le incertezze di quel momento, l’incubo sfumato che aveva visto, le parole di quel mostro. Tutto.

Tentava disperatamente di rifiutarlo, di non abbandonarsi a lui, ma aveva ragione quell’essere, lo aveva riconosciuto e, cosa ancora più raccapricciante, aveva provato davvero la sensazione che non fosse un’ingerenza esterna, in alcun modo!

Era… era... intessuto nel suo corpo, senza possibilità di equivoco!

 

Questo è il tuo devastante potere, Isaac… Io sono te, tu non puoi essere nessun altro che me! Siamo destinati a crescere insieme!

 

 

* * *

 

 

Camus passeggiava nervosamente per il soggiorno dell’isba, finalmente in grado di muoversi liberamente anche se farlo gli costava dolore e fatica. Continuava ad indossare solo i pantaloni del pigiama, gli unici che gli davano un po’ di comodità, per quanto fregassero comunque sulla ferita. Aveva appena preparato un impacco per l’ematoma e girava con quello legato in vita. Avrebbe forse dovuto star fermo e riposare ancora, ma i prolungati giorni in cui era stato costretto al riposo lo avevano fiaccato più delle sue stesse condizioni fisiche, per cui, cercando di non curarsi del dolore che provava ad ogni più piccolo movimento, armeggiava con un pentolino per farsi una tisana calda.

Hyoga ed Isaac erano usciti a giocare con la piccola Sonia, e si erano allontanati. Lui glielo aveva lasciato fare, ben consapevole che presto, il più presto possibile, sarebbero ricominciati gli allenamenti per i suoi due allievi, con il doppio dell’intensità perché, di tempo, ne avevano perso abbastanza.

L’acqua era infine giunta ad ebollizione, Camus chiuse il fornello, preparando poi l’infuso di menta e di qualche altra erba miracolosa presente nella generosa taiga siberiana. Tornò a sedersi, mentre, socchiudendo gli occhi permetteva al profumo caratteristico di penetrare nelle sue narici, che ne furono colme. Gli piaceva molto la fragranza della menta e della mentuccia, lo rendeva tranquillo e lo faceva stare bene.

Fortunatamente i ragazzi e la piccola erano fuori, lasciando finalmente lui solo con i suoi pensieri, che conducevano tutti a Milo. L’amico non si era più fatto sentire da quando era tornato in Grecia. Gli aveva lasciato Sonia con la promessa che l’avrebbe richiamato al più presto per accordarsi su quando venirla a riprendere, e poi era sparito. Non era assolutamente da lui!

Come se non bastasse, si sentiva inquieto. Sonia aveva fatto un sogno circa le condizioni del Cavaliere di Scorpio, chiedendogli ripetutamente conferma che, in casi normali, Milo non avrebbe potuto essere fustigato. Lui l’aveva rassicurata come aveva potuto ma, in verità, un dubbio piuttosto grande lo aveva invaso, anche se aveva tentato di nasconderlo: e se DAVVERO era successo quel che la piccola temeva? Se Milo avesse subito la punizione per lui? Per essere venuto a soccorrerlo?! Certo, l’amico gli aveva assicurato che aveva ottenuto un permesso speciale, ma… era poi vero?

Camus lasciò la tazza fumante sul tavolino, rialzandosi in piedi senza riuscire a nascondere una smorfia di dolore, per poi andare a prendere il cellulare che miracolosamente, quel giorno, prendeva. Stette diverso tempo a fissare lo schermo, mentre con l’altra mano si massaggiava più volte la pancia, sostando sul taglio, che gli dava così tanto fastidio. Si immobilizzò per una serie di secondi, prima di attivare il tasto della chiamata e accostarsi il cellulare all’orecchio.

Attese… uno, due, tre squilli, che continuarono per diversi secondi. Fu quasi sul punto di mettere giù quando, finalmente, dall’altro capo, qualcuno rispose.

“Milo!” non riuscì a trattenere un tono d’urgenza nel chiamare il suo migliore amico, non riuscì a mascherare la preoccupazione, ma quando dall’altro lato ottenne finalmente la risposta, tutta quell’apprensione si incartò su sé stessa, mascherandosi.

“Ehm… Camus?”

Non era la voce del suo migliore amico… non era neanche una voce maschile, a dirla tutta. Fremette un poco, prima di tramutare il suo tono di voce in uno molto più freddo e gelido.

“Myrto?! Ora prendi anche gli altrui cellulari?!”

La reazione non si fece attendere.

“Beh, buongiorno anche a te, Camus! E’ un vero piacere sentirti dopo così tanto tempo!” ironizzò lei, calcando sull’ultima frase.

“Cosa fai con il cellulare di Milo?!”

“Lui non può rispondere e allora...”

“...E allora hai deciso di entrare nel suo intimo, mi sembra giusto!”

“Io non sto entrando da nessuna parte, chiaro?! Semplicemente il cellulare suonava, volevo chiuderlo ma ho sbagliato tasto, tutto qui!”

Non gli disse che lo voleva fare per non svegliare Milo, ancora addormentato sul suo grembo, dopo che il giorno prima era stato malissimo per le frustate. Non aveva avuto un attimo di pace, così in preda ai deliri, alla febbre, alla sofferenza, e lei non lo aveva lasciato un attimo. Ora, quella mattina, finalmente aveva trovato un po’ di pace, ed ecco subito l’Acquario a chiamarlo. Myrto, di primo acchito, avrebbe voluto per davvero buttare giù, ma poi vi aveva letto il numero di Camus, si era detta che probabilmente si era preoccupato, cosa vera, perché il tono strozzato con cui aveva chiamato il suo compagno creava pochi fraintendimenti, ma eccolo subito a fare il supponente come suo solito, davvero insopportabile.

“Cosa fai… ?”

Il tono denigratorio non era sfuggito alle orecchie esperte di Myrto.

“I cazzi miei… non sono affari tuoi quel che succede qua in Grecia!”

“Lo sono, invece… è il mio migliore amico e lo stai portando alla follia, Myrto! Sei diventata archivista, giusto? Era un’occasione perfetta per lasciarlo un po’ stare, perché ciò che inseguite è una chimera, lo sa lui e lo sai tu, MA NO! Dovete continuare a...”

“A COSA?! A TROMBARE?!? E’ QUESTO CHE PENSI?! ANCHE SE FOSSE, NON SONO CAZZI TUOI, CAMUS!”

Silenzio dall’altra parte della cornetta, come se si fosse gelato il tempo. Myrto si sforzò di riportarsi alla calma, prendendo boccate d’aria. Aveva alzato un po’ troppo la voce, rischiando di svegliare Milo, che tuttavia, stremato come era, si era mosso appena, sistemandosi meglio sul suo grembo e nascondendo un poco il viso. La giovane donna sorrise tristemente, sistemandogli meglio le coperte e accarezzandogli i capelli lunghi e ribelli. Così fragile tra le sue braccia, così fedele anche nei confronti del suo migliore amico, così… unico! Camus, ne era più che convinta, non riusciva a capire quanta fortuna avesse avuto ad averlo al suo fianco, quanto avesse fatto per lui, e sofferto, avrebbe tanto voluto dirglielo ma aveva promesso di mantenere il segreto.

“Lui dov’è?”

Tornò la voce di Camus, glaciale più di prima, forzatamente piatta, perché l’Acquario, quando si arrabbiava, difficilmente alzava i toni, li abbassava e, ogni volta, era un brivido in più.

“Nella… doccia” si sforzò di mentire, sebbene gli costasse un po’.

“Bene, quando esce puoi dirgli…?”

“Ha una missione per conto del Grande Sacerdote, non sarà libero fino a stasera… credo...”

“E’ lo stesso, quando puoi digli di chiamarmi, perché Sonia è ancora qui con i miei allievi e...”

“Sta bene la piccola? I tuoi allievi l’hanno ben… accettata?”

Camus tacque per un’altra manciata di secondi, prima di sbuffare.

“Come non sono cazzi miei quel che succede lì in Grecia, allo stesso modo non sono affari tuoi quel che succede qui in Siberia, è chiaro?”

“TU! B-brutto...”

“Ah, e Myrto...”

La giovane donna si era trovata a sobbalzare per il tono adoperato che precludeva ad una bomba appena sganciata destinata a scoppiare.

“Non mi importa il tuo giudizio su di me, puoi pensare quello che vuoi, non mi tange! Non significhi nulla per me...”

“Ne sono consapevole… vale lo stesso per me!” sibilò lei fra i denti.

“Ma so per certo che la tua presenza indebolisce e confonde Milo ancora di più, e lui è il mio migliore amico. Urlami quanto ti pare, odiami, ma non cambio idea: dovresti allontanarti da lui, per sempre! La vostra scappatella da ragazzini è durata anche fin troppo!”

“Scappatella da ragazzini?! Come ti permetti?! I-io...”

“Lascialo andare, Myrto! Lui è un Cavaliere di Atena, tu, ora, un’adepta all’archivio del Santuario, non potete in alcun modo...”

La goccia che fece traboccare il vaso.

“Ora stammi bene a sentire, PEZZO DI MERDA, ho sopportato i tuoi sermoni troppo a lungo, ORA E’ IL MIO TURNO DI DIRTI LA MIA OPINIONE!”

“...”

“Sei tu, non io...”

Contrariamente alle aspettative, il suo tono pareva tornano ad una forzata calma, un mormorio appena accennato, un ringhio.

“Io sarei cosa…?”

“Un qualcuno che non merita di avere uno come Milo al suo fianco! Non ti sopporto, TI ODIO! E sai, perché?”

“No, non lo so, suppongo me lo chiarirai tu a breve...” era la volta di Camus di ironizzare, sempre con quel tono denigratorio.

“Perché nonostante questo, nonostante tu sia una merda di persona, Milo sarà sempre, sempre, al tuo fianco, non ti abbandonerà mai! Potrebbe sacrificare tutto, scendere a patti con la sua coscienza… abbandonare me… ma non ti lascerà mai, sarà sempre con te, con te che lo tratti da schifo, con te che non capisci mai un cazzo di niente, una beata minchia di niente… MA SARA’ CON TE, SEMPRE!”

Le era uscito un singhiozzo, non avrebbe voluto, dimostrava così, proprio davanti a Camus, di patire quel loro legame indissolubile, quel legame che, sapeva, per quanto Milo la amasse, era irraggiungibile, quella unione di anime che sembrava affondare le proprie radici in vite precedenti, in qualcosa che superava i confini fisici.

Si riprese comunque in fretta, affondando il magone dentro di sé, prima di continuare.

“Per quanto tu sia uno stronzo patentato, lui ti adora, e mai mi sognerei di mettermi tra te e lui, di augurarti di separarti da lui perché così soffrirà di meno! Anche se lo penso veramente, Camus! Tu porterai alla distruzione il tuo amico, gli spaccherai il cuore, lo so io, lo sa lui, lo sai anche tu probabilmente, ma… m-ma lui vuole te, te e nessun altro, ed io non sono così meschina, come te, da desiderare che tu scompaia dalla sua vita, sebbene sappia bene queste cose...”

Silenzio da entrambe le parti. Camus era rigido in posizione eretta dopo quello sfogo, Myrto era china su sé stessa, gli occhi chiusi, le lacrime a fior di palpebre, la mano ancora tra i capelli della persona che amava e che era troppo stanca per reagire a quel baccano, che probabilmente non percepiva neppure, da quanto fosse devastato.

“E’ stata molto istruttiva questa telefonata con te, Myrto… - il tono era un po’ meno ironico, per quanto comunque pizzicante, sembrava quasi triste, ma era stato pronunciato sempre con un gelicidio che faceva accapponare la pelle – Quando puoi, di’ a Milo ciò che ti ho detto… ti saluto!”

E riattaccò senza ulteriori giri di parole. La giovane donna rimase per un tempo indefinito ad osservare lo schermo ormai nero, prima di riprendersi e gettare il cellulare in fondo al letto.

“Fanculo anche a te, Camus! - sibilò, prima di calmarsi e tornare a coccolare Milo, che si era mosso appena, invocando il nome del suo migliore amico e poco dopo quello di lei, nel sonno. Chissà cosa stava sognando, poi... – Sei davvero un essere più che speciale, Scorpio, un tesoro da custodire… e da preservare!” sorrise tristemente lei, passando ad accarezzarlo anche con l’altra mano e chinandosi verso di lui per posare un leggero bacio sulla sua fronte.

“A-anche tu...” barbugliò lui, impastato, facendola ridacchiare di riflesso. Gli capitava spesso di parlottare nel sonno.

Nella sua isba, nel suo rifugio, anche Camus aveva gettato, con stizza, il cellulare sul divano, ricordandosi appena di dover bere la tisana ma, nondimeno, non avendone più voglia. Si sedette difficoltosamente dall’altro lato, la consueta fitta di dolore partì dall’addome per poi perdersi nel braccio destro. Non ci diede peso. Socchiuse gli occhi, nascondendoli tra le mani, incurvandosi un poco.

Non lo aveva certo dimostrato al telefono, ma le parole di Myrto lo avevano colpito brutalmente e affondato. Era vero, Milo non si meritava un caso umano come lui, un casino ambulante, una spina nel fianco incapace di dimostrare, a sua volta, quanto ci tenesse. Era inabile a ricambiare tutto il calore che riceveva, tutto il profondo affetto che lo legava a lui, come un fratello, anzi, come molto di più. Non ci riusciva e non si dava pace, su quello la critica della giovane donna era ineccepibile, ma non gliela avrebbe mai data vinta. MAI.

Sospirò pesantemente, si scoprì di tremare, non per le ferite, non per le ripercussioni sul suo corpo, ma per il raffronto avuto proprio con Myrto. Si morse il labbro inferiore trattenendo uno spasmo dentro di lui, introiettando le sue emozioni per farle svanire senza renderle più percettibili all’esterno. Trascorse diverso tempo in quella posizione, non seppe bene quanto, ma abbastanza; abbastanza per permettere a Hyoga e Isaac di raggiungere l’isba, entrare sbattendo la porta, e farlo sobbalzare, tanto da rimetterlo in piedi con uno scatto. Ancora prima che i due ragazzi facessero capolino, Camus percepì che la situazione era drammatica.

Vide per primo Hyoga, tutto trafelato, con in braccio la piccola Sonia, chiaramente ferita e incosciente e, dietro di loro, un tumefatto Isaac, sconvolto fin dai recessi dell’anima.

“Hy-Hyoga, I-sa… - non riuscì a terminare la frase, le gambe gli si erano mosse per precipitarsi verso la piccola chiaramente sofferente, la prese tra le braccia, sebbene il biondo la sostenesse ancora contro di sé, spaventato a morte – C-cosa le è successo? P-perché…?!”

“N-non lo so, Maestro! I-il ghiaccio… è come se fosse imploso da sotto, aprendosi completamente come una faglia! Lei e stata ferita dalle schegge e sbalzata via e… e… vi prego, Maestro, fate qualcosa, ho evitato che finisse in acqua, ma è ferita!” provò a spiegarsi Hyoga, gli occhi spalancati dalla paura mentre Camus, tentando di celare la sua, di paura, la sollevò tra le braccia e se la strinse al petto.

Isaac, rimasto in disparte, ancora più sconvolto del biondo, non riuscì a far altro che guardare fisso la scena davanti a lui, mentre gli occhi del maestro, severi, acuminati, per un breve istante, si incrociarono con i suoi, prima di dargli le spalle e concentrarsi sulle condizioni della piccola.

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Auguri a tutti e buon anno, innanzitutto ^_^

Dunque, in principio Isaac non doveva essere altro, almeno in questa storia, che una sorta di Guest Star, ma poi il piccolo e forte Isaac, come lo chiamerebbe Camus, si è insinuato qua dentro e non ne vuole proprio sapere di togliersi, dando a me occasioni per approfondirlo.

Ancora una volta picchio sul rapporto tra Camus e Isaac, perdonatemi, non mi stancherei mai di parlare di loro due, ancora una volta sto cercando di rendere il personaggio coerente con l’opera del manga.

Isaac… e la visuale che ho io su di lui, che qui vi viene proposta. Purtroppo, basandomi sull’opera originale, non posso non nascondere anche le azioni perpetrate dall’Isaac Generale degli Abissi, che picchierà brutalmente l’indifeso Kiky, non posso… e ancora mi sto a scervellare su come sia possibile che, partendo dagli ideali dell’addestramento, lui poi diventi così.

Ecco qui la mia risposta, racchiusa in questo capitolo e, in parte, nel prossimo.

Sappiamo, da Parallel Hearts, che avvaloro l’ipotesi che Isaac abbia scelto di schierarsi con Poseidone DOPO la morte di Camus, colui che considera un padre, che chiama papà in quest’ultimo periodo, il basamento centrale della sua esistenza… ma questo come si spiega col trattamento a Kiky? Ebbene, è perché il ragazzo, in fondo, si rivede molto in lui, nell’occasione che ha perso, nel futuro che gli è stato strappato, e agisce di conseguenza. Oltre a questo… Isaac, per me E’ il Kraken… il Kraken fa parte di lui, lo si vedrà nel prossimo capitolo, si nutre della sua rabbia, è un potere immenso difficile da controllare, una forza distruttiva che lo rende, almeno ora, assai più forte di Hyoga, che pure erediterà tutto da Camus.

Vi è un principio malvagio in lui, che dipende dalle sue emozioni, come si è visto, che lo spinge ad attaccare Sonia per difendere ciò che considera suo.

Il parallelo tra Kiky e Sonia è evidente, il fatto che sia Hyoga, suo fratello, a fermarlo entrambe le volte è chiaro.

Isaac per me NON è cattivo. E’ un personaggio che amo alla follia, e che voglio portare avanti in queste storie, farlo crescere, a prezzo di immani sacrifici. Il suo destino è quello di perdere, e perdere, le persone per lui più importanti, ciò lo spingerà a diventare sempre più forte, nel disperato tentativo di imbrigliare questo potere.

Mi dilungo molto sui momenti fluff perché, come saprete, il tempo a loro disposizione non è poi così tanto, essendo che, in questa versione, Isaac sparirà a settembre del 2008, quindi fra 7 mesi circa.

Dovrei aver finito anche questa volta e… ah, i dialoghi in neretto, che raffigurano la scena del pestaggio di Kiky, sono in larga parte presi dall’anime, un momento toccante, bellissimo, reso ancora più magistrale dai doppiatori italiani, io ho solo cambiato i nomi proprio, rendendoli come quelli del manga.

Grazie a tutti come sempre e un caro saluto :)

  
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