21.
Passeggiando
nervosamente avanti e indietro, le mani sui fianchi e l’aria
vagamente
spiritata, Litha si bloccò unicamente per non andare a
sbattere contro il
fratello che, poggiate le mani sulle spalle della sorella,
ordinò: «Respira.
Stai diventando viola.»
Lei
sbuffò irritata ma acconsentì a obbedire e, nel
guardare l’orologio da parete,
mormorò: «Se non altro, Muath è stata
precisa, nei suoi racconti. Serve la
notte, perché gli amarok mutino.
La
levata lunare è avvenuta attorno alle due e mezza del
pomeriggio di oggi,
eppure ai ragazzi non è successo nulla.»
«Mamma
può essere tante cose, ma non è mai stata
un’inetta, per questo genere di
resoconti» si limitò a dire Rohnyn con una
scrollata di spalle. «Probabilmente,
dato che Qiugyat è
visibile solo di
notte, gli amarok prendono vita
soltanto sotto il suo sguardo.»
«O
questo, o sono le bestie più lunatiche del
pianeta» cercò di ironizzare Litha
prima di abbracciare a sorpresa il fratello ed esalare: «E se
fallissi?»
Rohnyn
la strinse a sé, sorridendo contro la sua spalla per quelle
insicurezze che
giungevano da tempi immemori, quando insieme avevano affrontato le senturion e lei si era sentita persa,
senza la presenza della madre.
All’epoca,
Litha e Muath avevano avuto un rapporto madre-figlia molto forte, pur
se
contestualizzato alla maniera dei fomoriani. Entrare nelle senturion, per Litha, era stato molto
più traumatico che per lui.
Veder
riaffiorare quelle antiche paure, perciò, lo commosse.
Dopotutto, nonostante
fosse assurta al ruolo di una dea Tuatha, e fosse la capostipite di una
nuova
era di divinità terrestri, Litha era ancora la sua
sorellina. Un po’ insicura, sempre
e comunque coraggiosa, piena d’amore e pronta a tutto per
dare il meglio di sé.
«Ce
la farai. Quei ragazzi non potrebbero essere in mani
migliori» la rassicurò
Rohnyn prima di ammiccare verso l’esterno e dire:
«Sono arrivati i tuoi futuri
discepoli. Vai a salutarli.»
Lei
assentì in fretta, diede un bacio sulla guancia a Rohnyn
dopodiché si avviò
lesta per raggiungere l’esterno di casa Saint Clair, dove i
primi alfa stavano
raggiungendo il Vigrond.
***
Curtis
stava discorrendo con Lucas in merito alla disposizione delle
sentinelle sul
perimetro di un miglio dal Vigrond, quando il poliziotto si
bloccò un istante,
assentì flebilmente e infine, con un mezzo sorriso, disse:
«Charlotte è nel
bosco, a poca distanza da qui. Ed è in compagnia.»
Lucas
assentì compiaciuto, lieto che la caparbietà
della lupa avesse avuto un effetto
benefico sul professor Sullivan. Avere l’appoggio di entrambi
i genitori
sarebbe stato di grande supporto a Mark, durante il passaggio da una
forma a
un’altra.
Nel
lanciare uno sguardo alle sue spalle, dove le fiamme nei bracieri si
levavano
alte a illuminare la spianata dove cresceva la loro piccola quercia
sacra,
mormorò: «Forse, dovremmo chiede a Iris di
indebolire lo scudo per alcuni
attimi, così da permettere a entrambi di
avvicinarsi.»
«I
ragazzi saranno meno tesi, se non lo vedranno, e lui potrà
comunque osservare
il tutto da una posizione privilegiata» dichiarò
Curtis prima di fischiare
quando vide Litha discendere le scale della veranda. «Mi
venisse un colpo…»
Anche
Lucas rimase abbagliato – in tutti i sensi –
dall’arrivo di Litha. I glifi
sulla sua pelle splendevano come un intricato firmamento nascosto sotto
la sua
pelle eburnea, messa in evidenza da un leggero abito di seta nera, che
le
lasciava libere le braccia e la schiena.
I
piedi nudi sfioravano l’erba rinsecchita dal freddo come se
camminassero su
velluto e, quando la donna si avvicinò ai suoi futuri
postulanti, questi le si
inchinarono spontaneamente, loro malgrado abbacinati da tanto splendore.
Persino
uno sciocco avrebbe capito quanto potere si annidava in quelle carni di
meravigliosa fattezza e, quand’anche Iris si
affiancò alla dea – il potere del lændvettir
già risvegliato – Lucas seppe
che avrebbero visto scintille, quella notte.
Sperò
soltanto che fossero di pace, e non di guerra.
***
Litha
sorrise ai giovani dinanzi a lei, carezzando a turno la loro guancia
destra
dopodiché, lanciato uno sguardo a Iris, che sfrigolava come
se fosse stata
percorsa da corrente a basso voltaggio, domandò:
«Fino a dove puoi spingerti,
con lo scudo?»
«Gunnar
e io abbiamo provato più volte, a estenderlo, ma pare non
avere confini, almeno
per il momento. Tutto starà a vedere quando l’akhlut si abbatterà su di
esso. A quel punto, vedremo quale effetto
ha sui poteri divini» le spiegò Iris guardandosi
intorno prima di aggiungere:
«C’è un buon odore, nell’aria.
Ma come mai, salvia, rosmarino e incenso?»
«La
salvia ha un potere purificante in molte culture, così come
il rosmarino, e
l’incenso mi aiuta a concentrarmi» le spiego Litha,
strizzando l’occhio. «Non
si può mai sapere.»
«Ogni
aiuto è ben accetto» dichiarò allora
Iris mentre Lucas si avvicinava a grandi
passi verso di loro. «Fenrir…»
«Mia
Hati… siete pronti?» esordì lui,
sorridendole prima di guardare a turno i
presenti.
Lo
scudo, sopra di loro, turbinava come un vento di tempesta, pur non
muovendo
neppure una foglia attorno a loro. Osservarlo rischiava di diventare
ipnotico e
più di un lupo, solo a stento, era riuscito a distogliere lo
sguardo da esso,
dopo aver avuto l’ingenuità di scrutarlo.
Tutti
assentirono, nel frattempo, alle parole di Lucas che, volgendosi verso
i
presenti, levò le mani ed esclamò: «Che
la cerimonia di Mutazione abbia inizio!
Gli alfa si posizionino attorno al Vigrond come prestabilito, mentre i
sei lupi
da me scelti si affianchino ai nostri giovani mutanti!»
«Mi
fa sentire molto Wolverine, questa cosa dei mutanti»
mormorò Liza, facendo
sorridere nervosamente i suoi due compagni di avventura.
Lucas
ammiccò al suo indirizzo – avendola ovviamente
sentita – e, mentre ogni membro
del cerchio di licantropi si predisponeva attorno al Luogo di Potere,
Iris si
pose al suo esterno e, levando le mani, elevò ulteriormente
il suo scudo,
rendendolo quasi solido.
Molti
furono i sospiri di sorpresa, poiché quasi nessuno aveva mai
visto i poteri del
lændvettir utilizzati a
quel modo e i
tre giovani, nello scorgere la cupola dorata innalzarsi attorno a loro,
mormorarono sgomenti: «Miseria. Ladra. Ma che
è?»
La
cupola si allargò fino a contenere anche l’ultimo
alfa presente nel Vigrond,
ivi compresi Diana, Rachel, Helen e Richard, che rimasero comunque
defilati, in
piedi sulla veranda, intenti a osservare da lontano l’intera
scena.
«E’
davvero la nostra Iris a fare tutto questo?»
mormorò ammirata Rachel, prendendo
sottobraccio il marito.
Lui
le sorrise, annuendo fiero e, nel tornare a osservare quello spettacolo
di
luminescenze dorate, asserì: «A quanto pare, i
tempi in cui aveva paura di se
stessa sono ampiamente passati.»
Helen
assentì ammirata e Diana, nello stringersi le braccia al
petto, sussurrò piena
di meraviglia: «L’aria è satura di
elettricità. E’ davvero impressionante.
Sento i capelli che mi si rizzano sulla nuca.»
Fu
in quel momento che uno dei corvi di Liza si precipitò dal
cielo per affiancare
Iris e, gracchiando furioso, diede il la
a un secondo genere di spettacolo, ancor più increbile del
primo.
Se,
fino a quel momento, lo scudo era sembrato a tutti una semplice cupola
traslucida e dalle colorazioni dorate, quando Muninn lanciò
quel grido
d’allarme al suo arrivo, Iris scattò in risposta,
senza neppure attendere le
parole di Liza.
Lo
scudo divenne totalmente solido e si ampliò ulteriormente,
fino a contenere
l’intera casa e parte del bosco, inglobando anche le
sentinelle più prossimali
al Vigrond.
Tra
lo stupore generale, Iris digrignò quindi i denti, si
piegò su un ginocchio per
poggiare la mani sul terreno e rendersi più stabile
dopodiché, piena di furore,
estese lo scudo anche nel sottosuolo, così da non lasciare
nulla di intentato.
A
quella vista, Litha aggrottò la fronte, si volse lesta verso
i ragazzi – ora
tesi come corde di violino – e, rivolta a Liza,
domandò: «Sta arrivando?»
Lei
assentì pallida, lanciando uno sguardo turbato al suo corvo,
e mormorò: «Si
trova a circa tredici miglia da qui. Huginn l’ha individuata
in mezzo al bosco,
e l’ha subito detto a Muninn, così che potessimo
prepararci.»
«Quel
corvo ha due occhi formidabili. Comunque, il fatto che akhlut
non stia usando la sua super-velocità è indice
del fatto che
sta risparmiando le forze per me, perciò sarà
meglio accelerare il tutto»
chiosò la dea prima di guardare turbata i tre giovani e
domandare: «Voi non
avvertite alcuno stimolo alla mutazione, vero?»
«Nessuno.
Temo che, fino a mezzanotte, non succederà nulla. Per
questo, akhlut ci sta attaccando
ora… per avere
il tempo di averci sotto il suo controllo prima
che sia troppo tardi» sospirò Liza,
scrutando turbata l’imponente scudo
difensivo eretto da Iris.
«E’
proprio quello che temevo sarebbe successo. Mi spiace, ragazzi, ma
dovremo
cambiare strategia, a questo punto» aggrottò la
fronte Litha, cogliendoli del
tutto di sorpresa.
«Che
intendi dire?» esalarono quasi in coro i giovani prima di
venire bloccati alle
spalle dai lupi che, in teoria, avrebbero dovuto badare alla loro
privacy
durante la mutazione.
«Questo
contrattempo ci obbliga a forzare la natura degli amarok,
anche se avrei preferito non farlo…»
mormorò Litha con tono
spiacente e occhi lucidi di contrizione. «…
perciò, visto che la bestia dentro
di voi non se la sente di uscire con le buone, la farò venir
fuori con le
cattive.»
Ciò
detto, estrasse rapida uno stiletto e, prima che i giovani potessero
rendersi
conto di quello a cui sarebbero andati incontro, Litha li
colpì al collo con
precisione millimetrica, recidendo loro la carotide.
Il
grido spontaneo dei Wallace e di Diana si unì a quello
più lontano di Donovan,
inglobato entro il cerchio protettivo dello scudo assieme a Charlotte e
perciò
testimone di ciò che era appena avvenuto.
Trattenuto
da quest’ultima perché non raggiungesse il Vigrond
per bloccare quello
stillicidio provocato volontariamente, l’uomo le si
rivoltò contro esclamando:
«Li vuole forse uccidere!? Li ha colpiti alla carotide! Si
stanno dissanguando!»
La
donna, però, lo trattenne senza alcuna difficoltà
e, pur se torva in viso,
dichiarò con semplicità: «Non credere
che sia stato fatto senza motivo. Per far
emergere le creature della notte serve il sangue e, nel caso specifico,
il loro sangue. Gli amarok
saranno spinti a uscire per non morire e, nel momento stesso
in cui ciò avverrà, le ferite si rimargineranno.
Quelle creature se ne fanno un
baffo di colpi così lievi. Sono esattamente come noi, quanto
a potere
rigenerativo e, per certi versi, sono ancor più potenti,
visto che l’argento
non li danneggia.»
«Già…
e se non mutassero?!» la rimbeccò
l’uomo, cercando invano di sfuggire alla sua
presa.
Avrebbe
davvero dovuto guardare il figlio morire dinanzi ai suoi occhi, e senza
avergli
chiesto scusa per la sua viltà?
«Te
lo ripeto. Niente è stato fatto senza motivo. Sentivamo
già da giorni l’odore
degli amarok provenire dai loro
corpi. Muteranno tutti e tre. Diversamente, Litha non si sarebbe spinta
ad
agire in maniera così drastica. Si sarebbe limitata a
portarli via da qui. Ha
il potere per farlo, e non esito a credere che si sarebbe
già mossa, se avesse
anche solo pensato che quei ragazzi non sarebbero diventati amarok» si limitò a
dire Charlotte, lo
sguardo fisso sui corpi dei tre giovani che, accucciati a terra,
tremavano come
foglie.
Non
aveva dubbi che, per un genitore, scene simili sarebbero rimaste
sedimentate
nella mente per sempre, ma era vitale
che quei ragazzi mutassero prima che l’akhlut
sopraggiungesse. Dovevano mutare all’interno
dell’ambiente protetto del
Vigrond, ed essere legati a Litha prima che giungesse il mostro che
aveva
portato tanto scompiglio.
Litha
era l’unica che poteva combattere contro di lei, da quel poco
che avevano
capito e, se lei fosse stata impegnata in battaglia, nessuno avrebbe
legato i
ragazzi in modo definitivo, con il rischio che il nemico ne
approfittasse.
Ogni
cosa doveva avvenire prima della
battaglia finale, e questo avrebbe voluto dire sopportare la vista del
dolore
di quelle giovani creature.
Trattenuto
a forza da Charlotte, Donovan si chiuse in un mutismo dolente, non
sapendo se
dover credere alle parole della donna o se temere il peggio. Quando,
però, vide
Liza piegarsi all’indietro e strapparsi di dosso –
come se niente fosse – il
peso di ben due licantropi, seppe che qualcosa, effettivamente, stava
accadendo.
La
giovane lanciò un grido in tutto simile a un ululato, a cui
seguirono quelli di
Mark e Chanel.
In
fretta, i licantropi mollarono la presa sui tre giovani e Litha,
tergendosi una
lacrima dal volto assieme ai residui del sangue dei tre giovani che lei
aveva
lappato, si incise una mano con lo stiletto usato in precedenza.
A
quel modo, anche loro avrebbero potuto suggere il suo sangue,
così da
completare il rito.
Fu
in quel momento, però, che lo scudo sussultò, si
contrasse ed ebbe un rimbalzo
improvviso e Iris, con un grido che interruppe lo stato di trance in
cui tutti
erano caduti, urlò: «E’
arrivata!»
In
fretta, Litha si accostò a Liza, già ormai
pienamente formata nelle sue nuove
sembianze di lupo, gli abiti distrutti e arricciati attorno alle sue
agili
zampe color canna di fucile.
Aiutandola
a liberarsi da quegli indumenti inutili, le sorrise impacciata, la
abbracciò e,
offrendole la mano ferita, declamò con voce incrinata dal
pianto, ma più che
udibile da tutti: «Il Dagda
Mòr ti
reclama, amarok. Io sarò
la tua
padrona, d’ora innanzi. Bevi il mio sangue e sii
mia.»
Liza-lupo
reclinò il muso per suggere dalla ferita aperta e, ancora,
un secondo colpo
violentissimo fece tremare la cupola difensiva. Iris, al tempo stesso,
si
imperlò di sudore in volto e prese ad ansimare per lo sforzo.
Deve
le fu subito accanto per sorreggerla fisicamente, non potendo fare
altro per
aiutarla e, avvolte le spalle della compagna, le diede un bacio sulla
tempia e
resse completamente il suo peso perché si concentrasse sullo
scudo.
Litha
guardò turbata la nuova amica, timorosa che potesse cedere
prima del termine
della cerimonia, ma Iris assentì al suo indirizzo e
ringhiò: «Mutali! Resisterò
fino a che non avrai finito. A qualsiasi
costo.»
A
Dev non piacquero per nulla quelle ultime parole, e tanto meno a Litha
che,
senza perdere altro tempo, strinse la mano ferita per far sgorgare
altro sangue
e offrirlo quindi a Mark.
Il
lupo, in tutto simile a Liza – con l’eccezione
degli occhi, che erano rimasti
verde smeraldo come, per la ragazza, erano tutt’ora grigio
colomba – leccò la
ferita di Litha prima che questa venisse offerta anche a Chanel.
A
quel punto, però, Iris squarciò la notte con un
urlo terrificante e, crollando
tra le braccia di un terrorizzato Devereux, lasciò cadere lo
scudo di colpo,
come se le fosse stato strappato di mano da
un’entità superiore.
«Iris!»
ringhiò turbato Dev, stringendosi al petto la moglie mentre akhlut penetrava entro lo scudo con il
furore negli occhi e le mani serrate a pugno, pronta a dar battaglia.
Sia
gli amarok che i licantropi le
ringhiarono
contro ma, prima che potessero attaccarla, Litha levò un
braccio per fermarli e
sibilò, rivolta alla nemica appena giunta:
«Affronta me, maledetta!»
«Con
sommo piacere… così potrò riavere
indietro ciò che mi spetta di diritto»
replicò la donna, lanciando un’occhiata famelica
in direzione dei tre giovani
lupi, sulle cui fauci erano ancora evidenti i segni freschi del sangue
di
Litha. «Legarli a te è stato il tuo ultimo errore.
Ora distruggerò te, poi
distruggerò tutti loro per aver cercato di
fermarmi.»
«E’
da vedersi» la minacciò Litha, espandendo il
proprio potere per contrastare
quello crescente di akhlut.
«Non
qui! O distruggerete tutto!» esalò con voce roca
Iris, reggendosi alle braccia
di un preoccupatissimo Devereux per poi balzare in piedi e, a sorpresa,
correre
verso Litha.
«Salta!»
gridò quindi la licantropa, gettandosi contro la dea a
braccia aperte.
Litha
colse al volo il suggerimento e, mentre la sua coscienza già
si proiettava
verso un luogo isolato in cui combattere, Iris la afferrò e,
assieme, si
catapultarono via dal Vigrond, cogliendo del tutto di sorpresa akhlut.
Quest’ultima
osservò il punto ove, fino a un istante prima, si era
trovata la sua nemica e,
non vedendola più, ululò di rabbia prima di
correre via per trovarla, lasciando
a un secondo momento la sua vendetta.
Ogni
persona – o animale – presente nel Vigrond rimase
in silenzio per alcuni
attimi, lo sconcerto padrone di tutti loro finché Devereux,
piegandosi in
avanti con aria sconvolta, si guardò terrorizzato le mani
ricoperte di sangue.
Subito,
Lucas fu da lui, al pari di uno sconcertato Rock ma Dev, nel mostrare
loro le
sue mani tremanti, scosse il capo ed esalò:
«E’… è di Iris, non
mio… ma non so
dove fosse ferita. Si è lanciata su Litha prima che potessi
capirlo.»
Richard
e Rachel lo raggiunsero proprio in quel momento, mentre Diana accorreva
accanto
ai tre lupi neri ancora nel mezzo del Vigrond.
Nel
piegarsi accanto al genero, Richard domandò turbato:
«Cos’è successo, Dev?»
Lui
lo osservò sperduto, mormorando tremulo:
«E’ ferita. E’ ferita… e io
non ho
potuto far niente per lei.»
Rachel
si portò le mani al volto per soffocare un grido di terrore
ma, prima ancora di
poter dire qualcosa, lo sgomento crebbe ulteriormente quando vide i tre
giovani
amarok correre via
all’improvviso,
come guidati da un silenzioso richiamo.
«No,
aspettate!» gridò invano Diana, scrutandoli
sparire nel fitto del bosco.
Donovan,
a sua volta, li osservò correre via a velocità
incredibile e Charlotte, nel
lasciarlo finalmente andare, aggrottò la fronte e
mormorò turbata: «E’
possibile che stiano tentando di raggiungere la loro nuova
padrona.»
Lui
la guardò pieno di timori e la donna, spiacente, non
poté aggiungere altro.
Sperò soltanto che quei ragazzi sapessero il fatto loro, o
quella cerimonia non
avrebbe avuto più alcun senso.
***
Vedere
Litha affondare lo stiletto nel collo di Liza fu, per Mark, il momento
più
terrificante mai vissuto, più ancora dell’orrendo
spettacolo che, anni prima,
aveva scorto a casa degli zii.
Oltre
a non esserselo aspettato – non avevano affatto
parlato di quell’eventualità!
– la sola idea di veder morire Liza
dissanguata e ai suoi piedi, lo terrorizzò al punto tale da
renderlo incapace
di provare dolore per se stesso.
Senza
quasi rendersene conto, la cercò con lo sguardo e con le
mani, mentre quelle
della ragazza erano premute, tremebonde, sulla ferita grondante sangue.
Quando
i loro sguardi infine si trovarono, riflessero solo paura,
un’immane paura
senza fine. Fu in quel momento che anche Mark venne colpito e, tra
loro, passò
il medesimo terrore, la medesima ansia, la medesima paura di non
ritrovarsi
più.
Si
accorse solo fuggevolmente delle mosse di Litha, delle sue dita sporche
del loro sangue e delle sue
lacrime cariche
di contrizione. Tutto ciò che riusciva a cogliere erano gli
occhi grigi di
Liza, spalancati e pieni di domande al pari dei propri.
Solo
alcuni istanti dopo, però, quella paura si
tramutò in sorpresa e, di colpo,
Liza non fu più solo la
sua Liza, ma
anche qualcos’altro. Come lui non fu più solo
Mark, ma divenne qualcosa di
diverso.
Fu
un cambiamento così radicale, così istantaneo da
colpirlo con maggiore forza
della vista del sangue che le aveva imbrattato gli abiti come un
sudario di
morte.
All’improvviso,
lei fu in grado di scacciare i due lupi che, fin lì,
l’avevano trattenuta e,
proprio in quel momento, per lui giunse il richiamo del sangue, lo
stesso che
molto probabilmente aveva percepito anche Liza.
Ne
imitò quindi le movenze, liberandosi dei lupi che lo
trattenevano e, al pari di
Liza e Chanel, gridò al mondo la sua nuova natura.
Il
corpo seguì quel grido, mutando repentinamente e con una
facilità quasi
imbarazzante, come se ogni cellula del suo essere non avesse atteso che
questo.
Ossa, tessuto e muscoli si fusero in nuove forme, i sensi mutarono, le
sensazioni si espansero e il suo nuovo Io prese vita.
Nella
sua mente esplose un’unica, improvvisa parola; padre!,
ma Mark non vi fece caso più di quel tanto. La sua nuova
natura esigeva tutta la sua attenzione.
Trovarsi
a quattro zampe non gli parve poi neppure tanto strano, così
come non fu strano
accettare il sangue offertogli da Litha. Paradossalmente, si spiacque
per le
lacrime che vide scorrere dai suoi meravigliosi occhi di ametista,
quasi che
quel pianto fosse qualcosa a cui porre rimedio a ogni costo.
Fu
in quel momento che le percezioni mutarono ancora, presero una decisa
direzione
e, mentre la loro nemica faceva la sua apparizione, trovarono infine
una
collocazione finale.
Litha.
La loro dea. La loro sovrana. Colei che li avrebbe guidati fino al loro
ultimo
respiro vitale, li osservava piena di contrizione e orgoglio assieme.
Non
vi furono però altri abbracci, baci o preghiere di
ringraziamento. Un tremendo colpo
metapsichico fece vibrare ogni fibra del terreno, così come
lo scudo di Iris
che, come sbriciolato da un colpo di maglio, crollò.
Mark
la osservò turbato mentre, ferita e in preda a una sincope,
crollava tra le
braccia del marito. Quella vista riportò inspiegabilmente a
galla le parole di
prima, ma lui le scacciò.
Doveva
badare a che la sua dea non venisse ferita!
“Quella
maledetta ha un potere tremendo!”
La
voce di Liza, chiara e limpida, gli giunse nella mente come se lei gli
avesse
parlato all’orecchio e il giovane, nel volgersi verso la
ragazza con
espressione confusa, esalò: “Posso
sentirti!”
La
lupa che era Liza assentì, replicando: “Lo
ipotizzavo come possibile, visto che anche i licantropi possono
farlo.”
“Vi
sento tutti
e due, ragazzi” si
intromise Chanel, guardandosi intorno con espressione turbata mentre akhlut, distrutto lo scudo di Iris, si
avvicinava al centro del Vigrong guardandoli con bramosia.
“Ha capito che non siamo più liberi, ma ci vuole
ugualmente per sé.”
“Capirai!
Sarebbe un peccato sprecare tre amarok
nuovi di zecca!” brontolò Mark,
mettendosi istintivamente in
posizione di difesa.
Litha
si piegò in avanti, lo sguardo duro e pronto a dar battaglia
e Liza, turbata,
disse: “Preparatevi a combattere.
Potrebbe aver bisogno di noi.”
“Il
solo
pensiero di poter mordere il culo di quella stronza mi riempie di
gioia”
sibilò Chanel,
fissando l’akhlut con
espressione
feroce.
“Aspettiamo
le
direttive di Litha, però… non dobbiamo essere un
impiccio, per lei” sottolineò
preventivo Mark, fissando le sue nuove compagne d’avventura
con espressione
torva.
Le
due lupe assentirono ma Iris scompaginò ulteriormente le
carte, allontanandosi
a sorpresa dalle braccia del marito per gettarsi su Litha in un
disperato
tentativo di allontanare la battaglia – e akhlut
– dal Vigrond.
Quando
le due donne svanirono e l’akhlut
gridò di rabbia repressa prima di andarsene per dare loro la
caccia, i tre lupi
si guardarono intorno con espressione stranita e dissero quasi in coro:
“Ma dove sono finite?!”
Al
pari loro, i presenti apparvero alquanto turbati, oltre che assai
sorpresi da
quel cambio improvviso di scenario. Vi furono commenti tesi, grida di
terrore –
da parte di Dev – e un sommovimento nelle parti
più esterne del Vigrond.
Fu
in quel momento che Mark percepì la presenza del padre a
poche centinaia di
metri da lui. Rapido, ne cercò la presenza, ma il richiamo
di Litha fu più
importante di tutto e, al pari delle sue compagne, lasciò
perdere ogni cosa e
corse via.
Non
ci fu tempo per parlare con i suoi genitori, né spiegare
come lui si sentisse o
come percepisse se stesso in quelle nuove vesti. Litha aveva bisogno di
loro, e
loro sarebbero accorsi.
Solo
questo importava.
***
Il
rombo della Moul Falls riverberava nell’ampio canale in cui
si gettava con
fragorosa potenza, e che rendeva quel luogo un anfiteatro naturale
adatto a
quello scontro tra dee.
Le
rocce calcaree avrebbero retto più che bene i contraccolpi
psichici delle due
divinità e, proprio grazie alla forma emisferica di quel
luogo, per Iris
sarebbe stato più semplice creare uno scudo più
robusto e forte.
Pur
se ferita – akhlut
l’aveva morsa a un
fianco con qualcosa che, in mancanza di una definizione più
precisa, potevano
solo essere dei denti metapsichici – Iris era riuscita a
recuperare in fretta
coscienza di sé, rendendosi conto del pericolo corso da
tutti.
Il
Vigrond non aveva ancora potere sufficiente per reggere una simile
battaglia e,
se fossero rimasti lì, tutto sarebbe andato distrutto nel
raggio di decine,
forse centinaia di metri, coinvolgendo con tutta probabilità
la stessa
Clearwater.
Trovare
un luogo più isolato e sì, più
tranquillo in cui combattere, era stata una
necessità impellente, necessità che Litha aveva
colto al volo, comprendendo
appieno il suo piano.
Insieme,
quindi, si erano spostate altrove, nel primo luogo che Litha aveva
scovato
nella memoria a breve termine di Iris e lì, senza troppi
complimenti, la dea
aveva cicatrizzato col proprio potere le ferite dell’amica.
Quest’ultima,
osservandosi il fianco ustionato e in via di guarigione,
sbuffò contrariata e
infine disse: «Ormai abbondo di cicatrici. Dev
dovrà faticare un sacco per
trovare una spanna di pelle buona.»
Litha
si guardò intorno guardinga, replicando:
«E’ solo un abbozzo. Dopo te la
sistemerò meglio. Come stai, piuttosto?»
Iris
si risistemò la felpa sul fianco lesionato e, torva,
dichiarò: «Ora che mi hai
rattoppato, sto meglio. Non mi aspettavo un colpo metapsichico. Lo
scudo doveva
servire solo per colpi diretti. Reali.»
«E
chi lo sapeva che quella bastarda poteva farlo?» si
lagnò irritata Litha. «Ora
potresti bloccarla?»
«Sì,
ora che conosco il trucco, io e Gunnar possiamo provvedere in tal
senso.»
Litha
assentì, si guardò intorno per un istante e
infine disse: «Bel posto, per una
battaglia.»
«Ci
volevo venire con Dev e Chelsey…»
dichiarò Iris, tergendosi fuggevolmente una
lacrima di rabbia. «… e si vede che la cosa mi
è rimasta impressa più di quanto
pensassi.»
«Beh,
cascasse il mondo, ma ci verrai. Te lo prometto»
mormorò lapidaria Litha
mentre, al limitare dell’anfiteatro naturale delle Moul
Falls, faceva la sua
comparsa akhlut.
Iris
aggrottò la fronte, eresse nuovamente lo scudo e, rivolta a
Gunnar, disse: “Dovrai combattere
anche tu, stavolta. Il
lato metapsichico lo lascio a te.”
“Sarà
un piacere
snudare metaforicamente la spada dopo tanti secoli. Non preoccuparti.
Sul
fronte mentale, tu e Litha sarete protette. Non ci coglierà
più di sorpresa” le promise
Gunnar. “Dopodiché,
dovremo fare due
chiacchiere con il giovane amarok.
Qualcosa non mi torna.”
Iris
si sorprese di quell’ultimo accenno, ma preferì
accantonarlo per un secondo
momento. Giunti a quel punto, dovevano solo pensare a combattere.
Nell’erigere
quindi la barriera attorno a loro, la estese fino a farla combaciare
perfettamente con le pareti del canyon, così da avere una
spalla ulteriore, e
fisica, cui appoggiarsi.
Akhlut la osservò
crescere e crescere e, scoppiando a ridere, esalò:
«Cosa pensi di fare? La
distruggerò al pari della prima!»
«Puoi
anche provarci, ma credo che stavolta non riuscirai»
replicò beffarda Iris,
scrocchiando platealmente le dita della mani prima di rivolgersi a
Litha per
aggiungere: «Vai pure. Io proteggerò il
circondario dai vostri poteri.»
«Bene.
Ora mi sento più tranquilla» dichiarò
Litha, tornando a sfolgorare come altre
volte Iris l’aveva vista fare.
I
glifi presero vita sotto la sua pelle e i capelli, letteralmente,
divennero
elettrici, galleggiando attorno al suo volto come una nube
temporalesca.
L’abito scelto per la cerimonia non era il massimo, per
guerreggiare, ma ormai
non c’era tempo per indossare qualcosa di meglio.
Lo
avrebbero gettato e basta, una volta vinta la battaglia.
Già
pronta a combattere, Litha però si sorprese nel desiderare
accanto a sé i
propri amarok e, prima ancora di
rendersene conto, li chiamò perché potessero
esserle vicini. Non tanto per
combattere, quanto per avere un loro supporto morale.
Era
mai possibile che il legame tra amarok
e akhlut prevedesse anche quello, o
era lei come persona a volerli
accanto?
L’avvicinarsi
bellicoso di akhlut la
obbligò a
raccogliere e accantonare quei pensieri per un altro momento e, mentre
la sua
mente si chiudeva a ogni altra distrazione, corse verso la nemica per
colpire.
N.d.A.: Che succederà, ora? I ragazzi sembrano essere stregati dalla presenza di Litha e sentono l'esigenza impellente di aiutarla, di essere con lei. Sarà un effetto dato dal pericolo, o la mutazione non è andata come volevano? Quanto ad akhlut, si lascerà scappare la ghiotta possibilità di avere un nuovo amarok , secondo voi?