Capitolo
13 - Fear
-
Malauguratamente,
Kanato non era nella sua camera da letto, e potevo immaginare dove
altro
potesse trovarsi.
Tuttavia,
l’idea di scendere in quella stanza terrificante, dove
conservava le sue
bambole di cera, non mi elettrizzava.
A
dir la verità, l’unico che stentava a mantenere il
proprio autocontrollo era Ayato,
ma sapevo bene che non avrebbe torto un capello a Yuki.
Questo
non escludeva che avrebbe potuto optare per Natalie, ma con Kou nei
dintorni,
dubitavo fortemente che avrebbe potuto anche solo annusare
il sangue della brunetta.
Mi
armai di coraggio e scesi le scale, facendomi strada nel corridoio
semi-buio e
finalmente giunsi a destinazione.
Valutai
l’opzione di bussare, ma sentii una risata isterica provenire
da dietro la
porta socchiusa, così sbirciai all’interno e,
deglutendo a vuoto, notai Kanato
in fondo alla stanza, mentre faceva a pezzi – letteralmente
–, una delle sue
bambole.
Soprattutto
quando riguardavano Kanato.
Mi
tremarono le mani e rischiai di far cadere i biscotti.
Li
recuperai per un soffio e decisi che il vampiro li avrebbe potuti
mangiare in
un altro momento, per conto suo, non avevo intenzione di disturbare il
suo
attimo di pura follia.
Ruotai
il busto e il piatto quasi mi scivolò nuovamente dalle mani:
Kanato si era
materializzato di fronte a me, così vicino, così
pericoloso…
Stringeva
Teddy al petto, ma il suo sguardo era particolarmente febbricitante.
Kanato
posò gli occhi sui biscotti e poi mi guardò
nuovamente.
“Seguimi.”
Avrei
voluto lasciargli i biscotti e scappare a gambe levate, ma rischiavo
solo di
peggiorare la situazione, così lo seguii
all’interno della stanza.
Il
tipico odore di cera e di qualcos’altro
mi fece storcere il naso.
Passammo
accanto la bambola di cera, a cui aveva strappato gli arti e sfigurato
il viso.
Rabbrividii.
“Non
appena Shu e Reiji torneranno.”, lo rassicurai.
Per
un istante mi tornò in mente che i due erano lontani da
alcune ore, ormai, e
non avere la minima idea di dove fossero mi agitava.
D’altronde
erano in grado di cavarsela da soli, si trattava pur sempre di vampiri,
creature sovrannaturali e potenti.
Ricordò
la vocina della mia coscienza.
Ero
così assorta dai miei pensieri, che notai troppo tardi lo
sguardo di Kanato,
fisso su di me.
Aveva
finito tutti i biscotti e abbandonato il piatto sul pavimento.
“Quelli non devono
morderti! –, esclamò
all’improvviso, facendomi sussultare appena. – Non
possono rovinare la mia
bambola più bella.”
Ecco,
ci risiamo con la storia
delle bambole,
pensai fra me e me, mentre studiavo
una via di fuga.
“Oh
guarda, Teddy è caduto, poverino.”
Decisi
di distrarlo, alludendo al peluche per terra, l’ultima volta
aveva funzionato.
Ma
stavolta il vampiro sembrò ignorare le mie parole, avanzando
verso di me, con
quello sguardo spaventoso.
Avevo
constatato che i vampiri potevano rendere un morso più o
meno doloroso.
Non
sapevo se dipendesse dall’intensità con cui
mordevano, o da qualche loro abilità
specifica.
Tuttavia
i morsi di Kanato facevano male: diamine i suoi canini bruciavano sulla
pelle!
E
con una violenza inaudita: stava squarciando la carne.
“Ugh…
Kanato...”, provai a spostarlo con una mano, ma ero troppo
debole anche solo
per accarezzarlo.
“Basta.
-, mormorai. – mi gira… la
testa…”
Il
vampiro non si curò delle mie lamentele.
Nonostante
lui urlasse in preda alla rabbia e cercasse di divincolarsi, scalciando
e
rotolando, le liane non smettevano di stringersi sempre più
attorno al suo
corpo.
Seppi
che dovevo fare qualcosa.
Kanato
scalpitava, con gli occhi che parevano uscirgli dalle orbite: era
furioso, sì,
ma anche spaventato.
Così
come lo ero io.
Inspirai
a fondo e mi concentrai il più possibile.
Basta
così, basta così...
Pregai
nella mia mente, focalizzandomi sulle liane.
Finalmente
si districarono, ritirandosi man mano, fino a svanire nel nulla.
Mi
avvicinai a lui, tremante, come potevo assicurarmi se fosse ancora
vivo?
I
vampiri non hanno bisogno di respirare.
Ma
forse hanno un cuore che palpita nel petto.
Senza
pensarci due volte, mi accovacciai sul suo petto, ma nulla, non
c’era alcun
suono all’interno della cassa toracica.
Mi
portai una mano alla bocca.
Non
potevo averlo… ucciso.
Sobbalzai.
Kou
era in piedi alle mie spalle.
“Io…
io non volevo ucciderlo.”, sussurrai, la voce incrinata dal
pianto imminente.
“No!
–, quasi urlai, balzando in piedi e indietreggiando, per
mantenere una distanza
di sicurezza. – Non voglio farti del
male…”
“Sei
stata tu a creare quelle cose?”
Le
lacrime mi offuscavano la vista, mentre continuavo a lanciare occhiate
al corpo
esanime di Kanato.
“Mitsuko,
va tutto bene, devi solo aiutarmi a capire.”
Il
vampiro era visibilmente confuso, ma doveva sapere, grazie al suo
occhio
magico, che non stavo mentendo.
Il
che tramutò la sua confusione in… Preoccupazione?
Paura?
Comprensibile,
anche io ero terrorizzata.
Come
a proteggersi,
disse una vocina nella mia testa: gli facevo davvero paura?
Scossi
il capo, le lacrime mi bagnavano il viso.
“Da
quanto tempo?”
“Un
paio di giorni.”, dichiarai.
“Com’è
possibile?”
“Non
lo so! -, gridai esasperata. – Credi che avrei fatto del male
a Kanato,
altrimenti?”
Il
pensiero di averlo ucciso mi causava una serie infinita di pugnalate
nel petto.
Kou
era a pochi passi da me, aveva abbassato la mano e alternava lo sguardo
tra me
e il vampiro steso sul pavimento.
“Non
ti avvicinare!”, tuonai.
“Non
mi farai del male. Sei l’ultima persona al mondo che sarebbe
capace di ferire
qualcuno.”
Più
osservavo Kanato, più mi mancava l’aria.
Poi
un movimento impercettibile delle dita.
“Kanato,
puoi sentirmi?
Kou
mi imitò.
Il
vampiro dai capelli viola socchiuse gli occhi e mi sfuggii un
singhiozzo di
sollievo.
“Grazie
a Dio…”, mormorai.
“Non…
non riesco ad alzarmi.”, esalò, tentando
nuovamente e fallendo.
Kou
diede una rapida occhiata al Sakamaki.
“Non
posso alzarmi, mi fa male tutto!”, gridò Kanato
isterico.
“Credo
abbia le ossa spezzate.”, comunicò il Mukami.
Rimasi
a bocca aperta, fin troppo sbigottita per parlare.
Gli
ho spezzato le ossa?
“Non
toccarmi! –, sibilò Kanato. – E
dov’è il mio Teddy?”
Raccolsi
quel benedetto peluche da terra e glielo consegnai.
Il
vampiro strinse l’orsacchiotto a sé.
Mi
sentii comunque colpevole.
“No,
io non volevo!”, provai a dire, ma Kanato continuava ad
urlarmi contro di
andare via e io continuavo a piangere disperata.
Kou
mi prese per un braccio.
“È
meglio andare.”
“No,
non posso lasciarlo così.”, protestai, mentre il
biondo mi trascinava fuori.
“Manderò
qui suo fratello, tu sei troppo scossa. E non mi sembra che con lui si
possa
ragionare.”
“Non
posso affrontare le mie amiche, ora!”
“Natalie
è dovuta correre a casa, suo padre non si è
sentito bene. Yuki l’ha
accompagnata, ti fanno le loro scuse.”
Assimilai
l’informazione.
Loro
erano sempre al mio fianco, mentre la mia vita era sempre fin troppo
incasinata
affinché io potessi fare lo stesso.
Le
lacrime non smettevano di scendere.
Ma,
dopotutto, anch’io lo ero.
ANGOLO
AUTRICE
Ne approfitto per
ringraziare tutti coloro che stanno seguendo la mia storia, chi
l’ha inserita
nelle preferite/ricordate/seguite e in particolare SeiraBrizzi.
Vi invito a lasciare un
commento, un giudizio o anche una critica, tutto è ben
accetto.
Un saluto, Nephy_