Libri > Twilight
Segui la storia  |       
Autore: keska    25/08/2009    43 recensioni
Tranquilli è a LIETO FINE!
«Perché… anche la pioggia, sai» singhiozzai «anche la pioggia tocca il mio corpo,
e scivola via, non lascia traccia… non… non lascia nessuna traccia. L’unico a lasciare una traccia sei stato tu Edward…
sono tua, sono solo tua e lo sono sempre stata…».

Fan fiction ANTI-JACOB!
E se Jacob, ricevuto l’invito di nozze non avesse avuto la stessa reazione? Se non fosse fuggito? Come si sarebbe comportato poi Edward?
Storia ambientata dopo Eclipse. Lupacchiotte, siete state avvisate, non uccidetemi poi…
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Eclipse, Breaking Dawn
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'CULLEN'S LOVE ' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Edward’s POV

Edward

 

Guardai Bella, mentre scherzava timidamente con mia sorella Alice.

Aveva un piccolo sorriso e le fossette alle guance. Era proprio un angioletto, il mio angioletto. Nell’ultima settimana aveva fatto davvero tanti progressi per riprendersi dalla sua crisi, ed ora si stava riposando dopo la psicoterapia con Rose.

Ricordavo perfettamente il suo volto quando l’avevo trovata nella baita in montagna con il randagio rognoso.

Al suo solo pensiero vidi i muscoli delle mie braccia tendersi. Dovevo calmarmi. Mia sorella Rosalie, con i suoi pensieri me lo ricordava sempre, così non facevo altro che spaventare Bella.

Ma come potevo dimenticare quello che le aveva fatto?! Era terrorizzata. Era semplicemente terrorizzata. E avevo una folle paura di toccarla, di sfiorarla, perché sapevo che questa volta c’era molto più della sua carne, molto più del suo corpo da ferire. Non volevo ferire la sua anima già irreparabilmente lesa.

Ricordavo con la precisione della mia mente vampira il momento in cui si era risvegliata, nella mia camera. Rosalie diceva che era meglio portarla nella nostra vecchia casa, l’ambiente famigliare e la vicinanza con tutti gli altri l’avrebbe aiutata a superare il trauma vissuto.

Non riuscivo neppure a immaginare… chissà quali enormi pene, non ancora confessate, aveva dovuto subire.

La prima settimana era stata un inferno. Tentavo in ogni modo di esserle accanto, di cancellare ai suoi occhi il mio dolore, in modo che mi sentisse vicino e potesse riprendersi. La vedevo stare immobile, abbandonata sul letto, e mi sembrava solo un corpo, un guscio vuoto inerme. La vedevo piangere, la vedevo urlare dopo aver fatto un incubo e la vedevo sgranare i suoi occhi color cioccolato, imprigionati nell’angoscia. E mi sentivo irrimediabilmente impotente. La vedevo fra le braccia di Rose, che confortandomi con i suoi pensieri la portava in bagno per medicarla.

Quanto avrei voluto stare accanto a lei a tenerle la mano, a rassicurarla, a confortarla! Ma non si poteva fare, e Rose non mi poteva dire nulla, solo lei, solo Bella avrebbe potuto farlo.

Ma il tempo passava, e nulla migliorava. La vedevo lì nel letto, pallida, smunta, con un ago nel braccio per la sua ostinazione a non voler mangiare, a non voler parlare, a non voler muoversi. A non voler vivere.

Carlisle ci stava davvero male. Lui, il più sicuro e ottimista della famiglia, non l’avevo mai visto così abbattuto, ma la sua frustrazione nasceva dal rifiuto di Bella di essere aiutata. Dal non poter svolgere il suo mestiere, a cui aveva dedicato una vita.

Anche tutto il resto della famiglia soffriva. Emmett non scherzava più, Esme cucinava e buttava nel cestino tutti i pasti rifiutati da Bella, Rosalie stava perdendo la speranza, Jasper soffriva nel sentire tutte le sue e le nostre tristissime emozioni e Alice… Alice era quella che stava peggio. Dopo di me ovviamente.

Non riusciva a capire come Bella avesse potuto scegliere un destino del genere, come avesse potuto cancellare quel futuro in cui loro erano sorelle e vampire. Non riusciva ad accettarlo.

L’unico che riusciva ancora a sperare, mascherando così il mio immenso dolore, ero io. Tutto questo è impossibile. Mi ripetevo. Bella mi ama e io amo lei, nient’altro conta.

Ma non potevo ignorare la mia gola che ardeva di dolore. Perché quel dolore non aveva nulla a che fare con la sete. Quel dolore era la mia esistenza, l’unica scintilla lucente di vita, donatami da Bella, che si stava spegnendo, congelata nel mio corpo di ghiaccio.

E tutto quel dolore, portato avanti da una finta maschera di speranza, esplose nel giorno in cui Alice non poté più tacere.

Vidi nei suoi pensieri cosa aveva detto a Bella, subito dopo il mio ennesimo tentativo di parlarle, e mi fiondai immediatamente in casa, prendendo la mia sorellina tra le braccia e calmando i suoi singhiozzi. Potevo consolare almeno lei…

Ma poi, una visione… la più terribile che Alice potesse avere. Bella, la finestra, il salto. Il suo corpo esanime in una pozza di sangue. Immediatamente sentii i muscoli scattare e non mi curai più di seguire una velocità umana, ma mi precipitai a chiudere l’oggetto, causa della morte della mia unica ragione di vita.

Purtroppo, sul suo volto, nacque un’espressione ancor più dolorosa. Sentivo fortissima nella mia mente la sua sofferenza, non solo tramite i pensieri di Jasper, ma anche grazie al particolare contatto che ci legava.

Gridò, disperata. E sentivo ancora il suo grido inumano nelle mie orecchie, una straziante richiesta d’aiuto non espressa.

A quel punto ogni mia certezza cadde. Ogni speranza. Lei non era più lei. La mia solare, forte, spensierata, timida e stupenda moglie.

Il suo dolore, immenso, era troppo grande. Lo leggevo nei pensieri di mio padre. Per un umano era impossibile superare tutto quello. Il rapimento, la violenza, l’omicidio. Come avrei voluto farmi peso di tutto quel dolore! Impossibile. Parola mai esistita nel mio vocabolario di un mondo che rende possibili anche le più strane e orrende fantasie dell’uomo.

In quel momento, però, entrambi ci facevamo del male. Bella, chiudendosi sempre più dentro di sé, ed io, che potevo solo stare a guardare, immaginare le immense dimensioni del suo dolore e tentare di spartirlo con la metà della mia anima che dovevamo ancora avere in comune. Dolore, solo dolore.

Ma poi, non so perché, non so se a causa delle parole di Alice o di un’improvvisa lucidità, Bella mi aveva parlato, aveva detto il mio nome. La sua voce era tremante, aliena, piena di tutta la disperazione che provava. Ma era la sua voce e io ne avrei contemplato ogni più musicale nota.

Peccato che solo pochi minuti più tardi, la situazione si era completamente capovolta. Era stato uno strazio terribile vederla ferirsi a quel modo davanti ai miei occhi. Ancor di più perché la scelleratezza di quel gesto mi faceva capire quanto dovesse essere grande la sua angoscia.

Non potei più aspettare, non più. Non potevo più far tacere il mio istinto umano - risvegliato solo da lei - che mi gridava nella testa: aiutala! Salvala!

E così, le nostre anime, stracciate in due parti dal dolore, si erano fuse nuovamente insieme. E in quel momento l’avevo capito, ne avevo finalmente la certezza. Lei aveva bisogno di me. Non c’era bisogno che me lo chiedesse ancora, perché lei lo aveva detto: Ti amo.

E così era cominciata la sua lenta guarigione. Parola dopo parola, contatto dopo contatto. Era fragilissima, pronta a chiudersi ancora su sé stessa, e i lunghi pianti che sfogava contro il mio petto potevano solo farmi immaginare quanto soffrisse. Sapevo che tentava di controllarsi, sapevo che faceva di tutto per reprimere quelle lacrime che aveva paura di versare per amor mio. E tutto questo mi dimostrava ancor di più quanto altruista dovesse essere il mio amore, che si preoccupava di essere stata la causa di un essere immondo che aveva usto - non sapevo ancora fino a che punto - violenza su di lei.

Per ogni cosa che facevo, toccarla, parlare, guardarla, dovevo controllarmi. Tentavo di ricordare tutto quello che la potesse portare a dei ricordi dolorosi ed evitavo di farlo.

Dovevo aver pazienza, dote che grazie al cielo non mi mancava. Ma che sembrava invece mancare ogni tanto a Rose.

Bella era fragile, ci mancava poco a farla sprofondare nuovamente nel suo baratro. Una qualsiasi cosa le faceva mozzare il respiro in gola, la faceva tremare, la faceva scoppiare in lacrime. Ma io mi sentivo bene. Nonostante il costante dolore che provavo, mi sentivo bene perché sapevo di poterla aiutare.

E poi ora si era ripresa così bene. Leggevo sempre nei suoi occhi il bisogno di me. Quando mi allontanavo anche solo di qualche metro, mi richiamava a sé. E se poi se chiedevo se ci fosse qualcosa che non andasse lei scuoteva il suo piccolo capo, facendo ondeggiare i suoi lunghi capelli, e mi abbracciava. Aveva solo bisogno di me. 

«Amore, torno subito» dissi avvicinandomi a lei.

Mi regalò un piccolo sorriso. «Stai andando da Carlisle?».

Mi sorprese il fatto che l’avesse scoperto così facilmente. «Sì» dissi solo. Sapevo che non ne voleva sentire parlare di medicine e non voleva che mi preoccupassi - inutilmente diceva lei - per la sua salute.

Ma il suo sorriso, stranamente, si aprì ancor di più «Bene» disse, tendendosi con il volto verso di me.

Capii cosa voleva, così mi chinai verso le sue labbra e la baciai. Erano così rari quei momenti, che non desideravo altro che sfruttarli per renderla più felice e serena.

«Entra figliolo» mi disse mentalmente Carlisle quando fui davanti alla porta del suo studio. Entrando, mi chiusi la porta alle spalle.

Da quando Bella aveva avuto quel mancamento durante la festa del suo compleanno, mi sentivo molto nervoso e preoccupato. Lei diceva sempre di sentirsi bene, che non c’era nulla che non andasse. Ma la vedevo ogni tanto portarsi una mano alla pancia, o alla bocca, e chiudere gli occhi. Come se stesse avendo un conato di vomito o un capogiro. Ero molto preoccupato.

«Sei ancora in pena per Bella?».

Annuii.

Mio padre mi fece segno di sedermi su una poltrona accanto alla sua. Era un gesto umano e non necessario, ma serviva a creare un’atmosfera tranquilla. «È successo qualcos’altro? Ti ha detto qualcosa?» mi chiese serio.

Attraversai la stanza alla mia velocità, sedendomi sulla poltrona indicata da Carlisle. «No, lo sai che non mi dice nulla… minimizzava già prima, figurati adesso. E così non fa altro che farmi preoccupare di più» confessai sconfortato.

Mio padre mi fece leggere i suoi pensieri. Lui era piuttosto tranquillo, ma riconosceva che lo svenimento accostato alla sua perenne nausea poteva destare qualche sospetto. Tuttavia aveva fatto i controlli di base, e non aveva trovato nulla che non andasse in Bella. Avrebbe voluto fare delle analisi più approfondite, ma Bella si era categoricamente rifiutata di andare in ospedale. Figurarsi che per ora era solo riuscita a fare qualche telefonata a suo padre e sua madre.

«Sì hai ragione» ammisi io allora, sconsolato. «Ma come te lo spieghi allora il suo malore, la nausea?».

«Edward, potrebbero anche essere dei piccoli attacchi di panico. Non mi sembra il caso di tartassarla con delle domande sulla sua salute, potrebbe sentirsi oppressa e reagire contrariamente a come vogliamo che reagisca».

«Già… ma se non sono attacchi di panico? Che cosa potrebbe essere, lo champagne?» chiesi sarcastico. Impossibile che fosse davvero così. Bella non avrebbe potuto bere dell’alcool con la terapia di benzodiazepine, così per il suo compleanno Alice aveva preso uno spumante analcolico.

«Credo che sarebbe bene aspettare, se si dovessero presentare dei sintomi rilevanti o se la nausea dovesse ancora perdurare, allora faremo immediatamente degli altri controlli» mi disse Carlisle. Poi mi mise una mano sulla spalla. «Sta continuando a prendere una sola compressa al giorno?».

«Sì, dal giorno del suo compleanno» dissi, passandomi una mano fra i capelli. Era molto migliorata dal punto di vista dell’umore, e ne ero molto felice. Ormai parlava tranquillamente con il resto della famiglia, mangiava più o meno regolarmente, e scherzava persino. Stava palesemente meglio. Certo, ogni tanto si perdeva in lontananza con lo sguardo, o senza che neppure se ne accorgesse dai suoi occhi scendevano alcune lacrime. Ma per fortuna, con la mia presenza o quella di Jasper, riusciva a riprendersi in fretta, come se nulla fosse successo.

«Come sta? Ha avuto delle altre crisi?» mi chiese mio padre interrompendo il veloce flusso dei miei pensieri.

«Fortunatamente solo una volta». Sospirai. «Il problema è la notte… Si sveglia più volte urlando e poi ci rimette tantissimo a riaddormentarsi. Per questo è sempre così stanca».

Carlisle aprì un cassetto della sua scrivania e prese dei fogli. «Forse dovremmo abbinare dei sonniferi per la notte, e vedere così come va. Manda Emmett in farmacia a prenderli».

«Edward» sentii nella mia testa il richiamo di mia sorella Rosalie. «Bella sta aspettando te per mangiare. Mi sembra piuttosto agitata… Non so… Ha detto di non disturbarti e che ti aspetterà, cosa stai facendo ancora lì?».

«Cosa c’è?» chiese mio padre notando il mio sguardo assente.

«Bella… Rosalie dice che è strana…». Corrugai le sopracciglia. C’era qualcosa che mi padre non mi aveva detto, per cui Bella era agitata. «Che cosa mi devi dire?» chiesi curioso.

Mio padre mi sorrise. «Dobbiamo parlare».

Lo invitai a proseguire.

«Bella è molto perspicace, lo è sempre stata. Ha notato che non andiamo a caccia da un po’ - più di tre settimane per l’esattezza - e che la maggior parte di noi fatica a starle accanto» modo gentile per escludersi «così mi ha chiesto di dire a tutti che vorrebbe che andassimo a caccia, stanotte per la precisione».

Lo guardai stranito. I suoi pensieri mi dicevano che si aspettava una reazione da me, ma io non capivo. «Certo, va bene, andate pure» dissi dopo un po’.

«Edward» mi richiamò mentalmente mio padre «anche tu».

Improvvisamente mi alzai a velocità inumana, facendo cadere la sedia a terra. «Lasciarla?» chiesi sbigottito «lasciarla sola?!».

«Edward, calmati» mi disse Carlisle sia con i pensieri che con le parole.

«No che non mi calmo! Io non la lascerò affatto».

Carlisle sospirò, scuotendo il capo. «Sapeva che avrebbe reagito così».

Ora capivo il motivo della sua agitazione. Impossibile. Io non l’avrei lasciata. Affatto. Decisamente impossibile.

«Vuoi aspettare fino al giorno della sua trasformazione? Fra due mesi?» chiese Carlisle con un sopracciglio alzato.

«Perché no» feci, non credendo neppure io stesso alle mie parole.

Carlisle sospirò.

«Bene. Non aspetterò due mesi, ma non verrò neppure stanotte con voi. Non ho intenzione di lasciarla completamente sola» dissi determinato, battendo un pugno sulla scrivania. Se non fosse stata di legno massello si sarebbe già rotta.

«Invece dovresti» mi disse Carlisle, con la mia stessa convinzione. «Primo, perché nei hai bisogno, non vai a caccia da un mese, e non puoi ridurti in questo stato, guardati» disse indicando la mia immagine allo specchio.

Avevo due ustioni al posto delle occhiaie e le guance tirate. Gli occhi… erano neri come una notte senza stelle. Distolsi lo sguardo. Avrei sopportato un’altra notte.

«Secondo» fece ancora Carlisle «perché mi ha chiesto di rimanere sola».

«Te l’ha chiesto lei?» chiesi sbigottito.

Poi sentii dei passi umani e un respiro pesante dietro la porta.

«Entra, Bella» disse Carlisle, lanciandomi un’occhiata ammonitrice.

Lei aprì titubante la porta e entrò nello studio con passo incerto. Il sangue che le imporporava le guance fece istintivamente salire nella mia gola un fiotto di veleno. Aveva ragione, dannazione. Ero proprio ridotto male.

Aprii le braccia e lei si sedette sulle mie ginocchia. La strinsi a me, inspirando il suo irresistibile odore.

«Gliel’hai già detto?» chiese a Carlisle con la sua debole e melodiosa voce umana.

Lui le sorrise. «Sì, ne stavamo discutendo proprio ora».

Lei annuì, mordicchiandosi un labbro. Poi posò i suoi grandi occhi marroni nei miei. «Ti prego» sussurrò, fissandomi di sottecchi «vai».

Sospirai. Riusciva sempre a convincermi. Ma questa volta non avrei cambiato idea. «No Bella, non ti lascio sola» dissi determinato.

Lei chiuse gli occhi. Poi sospirò, riaprendoli, seria. «Va bene» disse. Mi stupì il fatto che si fosse convinta così velocemente. Si sollevò in piedi e andò verso la porta. Poi l’aprì. «Emmett, Jasper».

Immediatamente i miei fratelli si pararono davanti a me. In quel momento capii le sue intenzioni. Non aveva affatto cambiato idea. Dovevo immaginarlo, Bella era testarda.

Mi guardò con determinazione. «Ne ho già parlato agli altri» disse, e in quel momento nello studio comparve anche il resto della famiglia. «Sono tutti d’accordo, non avercela con me. Stanotte tu andrai a caccia, che lo voglia o no».

«Edward, ha bisogno di rimanere sola», pensò Rosalie.

Alice mi guardò «Andrà tutto bene, l’ho visto. Sarà importante per lei sapere di avercela fatta».

Scossi il capo, e vidi Jasper e Emmett avvicinarsi determinati.

 «Bella» sibilai, frustato e preoccupato.

I suoi occhi si fecero grandi sul suo viso pallido e smunto, ma sostenne il suo sguardo. «H-ho bisogno che voi andiate. S-se… se davvero mi avete detto la verità» farfugliò, studiando rapidamente i nostri volti in cerca di una conferma «se davvero non c’è pericolo per me, non c’è motivo perché non rimanga sola».

«Ci sono invece!» esclamai, facendola trasalire e arretrare istintivamente. Presi un respiro per calmarmi.

Distolse per un attimo lo sguardo, dirigendolo verso la finestra e facendolo diventare vitreo, lontano. La sua voce era piatta e monocorde quando disse «vorresti dirmi che Jacob è ancora vivo?».

Trasalii. Non aveva più pronunciato il suo nome. «No».

Lentamente si volse nuovamente a guardarmi. Piegò il capo da un lato, sperando di piegare anche me con la sua logica.

«Questo non cambia nulla».

«Perché?».

«Non è Jacob il pericolo per te adesso».

«Ah no?» mi domandava, i suoi piccoli pugni chiusi frementi di una tremante rabbia e paura.

«Tu stessa sei il pericolo per te! Stai ancora troppo male».

Un fremito. Un singhiozzo. Tutti gli occhi della mia famiglia su di lei, pieni di pena. Bella che fuggiva in lacrime. Io che correvo da lei per bloccarla senza curarmi della mia velocità vampira. Bella che urlava spaventata dal mio tocco e dalla mia velocità, gettandosi a terra e mettendo le braccia a coprirsi il capo, come a proteggersi.

«Amore, sono solo io!».

«Non mi toccare, non mi toccare!» urlava senza fiato, tutto il suo minuscolo corpo violato scosso violentemente, involucro di una mente ferita che non era più lì con me. «Ah!» l’urlo più agghiacciante «non mi toccare!».

Gli sguardi della mia famiglia erano su Alice, in attesa che rivelasse la sua visione. Solo Bella guardava ancora me, supplicandomi con lo sguardo che non aveva ancora perso la sua fierezza.

«Dormi, amore» un bacio sulla fronte. Buio. Un bacio sulle labbra, e un vero, raro sorriso di Bella, uno di quello che non vedevo… da tempo, l’indomani mattina.

Alice si volse a guardarmi. «Andrà tutto bene» pensò.

Sospirai, malvolentieri. Il mio istinto mi diceva che non era la cosa giusta da fare, ma le visioni di mia sorella mi dicevano che non avevo scelta. Rilassai le spalle e annuì seccamente, di malavoglia. Prima ancora che allargassi le braccia Bella era corsa a rifugiarsi sul mio petto, sollevata.

Mezz’ora dopo ero in camera mia insieme a lei, seduta sulle mie ginocchia. Indossava una morbida vestaglia che arrivava fino a metà coscia, con sotto dei pantaloncini di cotone bianco con gli svolti della stessa seta azzurra del pezzo di sopra.

«Sei arrabbiato con me?» mi domandò preoccupata, studiandomi.

Sospirai, e non le risposi. Non ero arrabbiato, ma solo maledettamente preoccupato. Come dirglielo senza farla dubitare di sé stessa? «Non voglio lasciarti sola» mi arresi a dire infine.

Sentii una sua mano calda sulla guancia. «Dormirò tutta la notte e quando domani mi sveglierò tu sarai lì accanto a me. Non mi accorgerò neppure della tua assenza. E poi…» disse, mordicchiandosi il labbro.

Le misi un dito sotto il mento, sollevandolo. «E poi?» chiesi.

Lei prese un piccolo respiro. «Domani mattina ti racconterò tutto, promesso» mi gettò le braccia intorno al collo e strinse con tutta la sua forza. «Ce la farò… tutto» sussurrò determinata.

Posai una mano sui suoi capelli morbidi. Quel pomeriggio avevamo fatto molti passi avanti durante una seduta di psicoterapia. Era una terribile sofferenza per lei raccontarmi i suoi ricordi dolorosi, ma per me era necessario per sapere e per Rosalie era necessario per superare il trauma.

Sbadigliò. «Sono stanca» mormorò, la pelle pallida e le occhiaie sotto gli occhi, accucciandosi in posizione fetale. Era più stanca di prima, di quando era solo un’umana. Adesso era un’umana ancor più fragile e ferita.

Rosalie entrò nella stanza. «Carlisle ti ha prescritto dei sonniferi, cosa ne pensi di cominciare da stasera?» chiese gentile a Bella. Mia sorella aveva completamente cambiato atteggiamento con lei. Ora spartivano molto più di quanto non avessi voluto…

Lei scosse il capo, accucciandosi maggiormente contro il mio corpo. «No Rose… ce la faccio…».

Mia sorella le sorrise. «Va bene, qualora ne avessi bisogno te li lascio sul mobiletto del bagno, quello sopra il lavandino».

Annuì lievemente.

La dondolai un po’ sul mio corpo, ma nonostante fosse stanca non si addormentava. Così la portai a letto e mi stesi accanto a lei, sussurrando la sua ninna nanna nel suo orecchio e maledicendo il momento in cui mi sarei dovuto staccare da lei.

Si muoveva irrequieta nel letto, ma ancora non riusciva a dormire. La lasciavo abbracciarmi come meglio credeva, ma non riusciva a prendere sonno.

«Sicura che non vuoi prendere un sonnifero?» le chiesi allora.

Scosse il capo, chiudendo le sottili palpebre rosate. Aspettammo ancora, ma non riusciva ad addormentarsi.

«Fa caldo» mugugnò infine.

Mi venne un’idea. La presi fra le braccia e mi sollevai in piedi. Posai la sua testa nell’incavo del mio collo e, nonostante i suoi deboli rifiuti, le misi addosso una copertina, fino a coprirla completamente. Passai diverso tempo così, passeggiando per la stanza e cullandola, massaggiandole la schiena con la mano libera. Ogni tanto interrompevo la mia ninna nanna per baciarle la fronte.

«Ti amo» farfugliò ad un certo punto.

Sorrisi. L’amavo davvero, così tanto. Ed era così debole e fragile. Come avrei potuto separarmi da lei, anche solo per una notte? «Anch’io ti amo, ora dormi».

Continuai a cantare, a cullarla e passeggiare per la stanza. L’amavo. L’amavo e l’adoravo indiscutibilmente. Quando tutto questo sarebbe passato, avrei trascorso la mia serena eternità con lei.

Quando la sua piccola e carnosa bocca rossa si aprì lievemente, lasciando passare un respiro pesante, capii che si era addormentata. Delicatamente, attento a non svegliarla, la misi a letto, rimboccandole le coperte e donandole un ultimo bacio.

Sospirai. Staccarsi dal mio angioletto sarebbe stato difficilissimo, eppure dovevo farlo.

 

Bella

        

Mi sentivo un po’ in colpa per il modo con cui l’avevo costretto ad andare a caccia. Non volevo che soffrisse. Standomi accanto soffriva sia fisicamente, sia per la sua debolezza emotiva, per cui non riusciva più a sopportare sia il mio che il suo dolore. Sentivo di dover avere la prova che stavo meglio, e stare per una misera notte da sola mi pareva una buona idea. Volevo provare a me stessa che era arrivato il momento. Quel momento.

«Domani mattina ti racconterò tutto, promesso» dissi con fermezza, tentando di imprimere decisione nelle mie parole. «Ce la farò… tutto».

Già quel pomeriggio ci avevamo provato, ma mi ero interrotta poco prima di arrivare a finire il racconto.

Eravamo in giardino, sotto l’ombra di un albero, perché secondo Rose essere in un ambiente così tranquillo avrebbe aiutato.

«Pendi la mano di Edward» disse «e poi, piano, fai tre respiri».

Feci come mi diceva e piantai i miei occhi in quelli scuri del mio amore.

«Racconta» disse lei «dall’inizio».

«Era…» mi schiarii la gola «era mattina. Mi ero svegliata da poco e pregavo che il tempo non passasse più, che lui non venisse mai da me» mentre parlavo vedevo le immagini, vivide, comparire dinanzi ai miei occhi. «Ma così non fu» dissi con dolore. «Uscii sul balcone, gridando, ma lui mi riprese e mi scaraventò sul letto» Ricacciai indietro le lacrime, non potevo già piangere. Edward mi strinse con maggior forza la mano. «Cominciò a baciarmi… Prima la bocca e poi… il corpo… il collo… dappertutto…» presi un grosso respiro. Vedevo la sofferenza nel volto di Edward.

«Continua» mi incitò Rose.

«Strappò la maglietta da un lato… e…» mi tremarono le labbra, tentai di rallentare il respiro, portandomi una mano al petto. Dopo un minuto circa, continuai «infilò la mano sotto la maglietta… e… e…». Non riuscii a trattenere ancora le lacrime, che iniziarono a cadere copiose dai miei occhi.

Edward mi strinse a sé. Soffriva, soffriva troppo. E il fatto che non andasse a caccia da molto tempo non faceva che peggiorare le cose.

«Ha cominciato a toccarmi» piansi «e-e io u-urlavo… mi dimenavo ma… lui era troppo forte… e… corsi in bagno… vomitai, ma… lui mi riprese… subito…» i singhiozzi mi forzavano il respiro, facendomi scontrare contro il suo petto. «Mi sbatté contro il muro, tenendomi i polsi…».

Edward mi staccò un attimo da sé, guardandomi negli occhi. «È per questo che hai reagito in quel modo quando l’ho fatto io?».

Annuii, gettandogli nuovamente le braccia al collo. «Scusami… io non volevo…».

Rose mi passò una mano sulla schiena. «Calmati un po’, prenditi del tempo» mi disse dolce.

Aspettammo che i singhiozzi cessassero, tuttavia non riuscii ad arrestare le lacrime.

«Bella» mi chiese Edward «cosa ti ha fatto?».

Presi un respiro attraverso le labbra tremule. «Continuava a toccarmi… baciarmi… ovunque… Io chiamavo te… ero disperata… dicevo il tuo nome… l’unica cosa che potessi fare…». Mi bloccai. Mi bastava chiudere gli occhi per vedere come tutto era andato a finire. Il dolore, fisico ed emotivo che ero stata costretta a subire. Il senso di violazione…

«Che cosa ti ha fatto?» ripeté Edward.

«Si è arrabbiato… mi… ha graffiato… strappato i pantaloni…», serrai con più forza le palpebre.

Edward si irrigidì completamente.

«Sentivo… il suo bacino contro il mio…». Mi costrinsi a prendere un respiro. «Basta!» urlai.

Edward mi distolse dai miei pensieri, chiedendomi ancora se volessi prendere un sonnifero. Risposi di no e tentai di concentrarmi per dormire. Purtroppo però tutta quella agitazione mi aveva lasciata innaturalmente accaldata.

Lui mi prese fra le braccia, sistemandomi una copertina addosso e passeggiando nella stanza canticchiando e cullandomi, nel tentativo di farmi addormentare. Mi sentivo bene fra le sue braccia. Mi sentivo protetta. E ora sapevo che ogni cosa sarebbe andata per il meglio. Gliel’averi detto, il giorno dopo… Ne avevo già parlato con Rose, volevo tornare a vivere a casa nostra. «Ti amo» sussurrai.

«Anch’io ti amo, ora dormi» mi rispose dolcemente, dondolandosi sui talloni e ricominciando a cantare teneramente.

Mi lasciai cullare in quel paradiso fatto solo di Edward, e scivolai in un tenero e dolce sonno.

 

Edward

 

Erano passate cinque ore ormai. Cinque ore di caccia, cinque ore di separazione da Bella. Cinque ore di pena.

Eravamo tutti più o meno sazi, ma avvertivo dai pensieri dei miei familiari che ci saremmo fermati tre altre ore, in modo da stare tranquilli per un po’. Ci eravamo spinti piuttosto lontano, visto che stavamo cacciando in gruppo numeroso.

Sospirai, serrando la mandibola. Volevo solo tornare da Bella. Mi mancava sentire il suo lento respiro mentre dormiva, il movimento armonico del suo petto, la morbidezza dei suoi capelli sparsi sul cuscino. Avevo bisogno di tenere la situazione sotto controllo e sapere che stava bene. Se avesse avuto un incubo? Se fosse stata spaventata? Se avesse avuto un attacco di panico?

Lasciai andare il corpo esanime di un puma appena dissanguato. Mi leccai le labbra, unica parte del mio corpo sporca di sangue. Sapevo ancora cacciare senza sporcarmi.

Mi sedetti su un grosso ramo di un albero e controllai il cellulare. Nessuna chiamata persa, nessun messaggio. Me l’aveva giurato, mi avrebbe chiamato se fosse accaduto qualcosa. Sbuffai, irritato.

Emmett mi raggiunse e mi mise una mano sulla spalla «Vuoi già tornare a casa dalla tua Bellina?!».

Sospirai, perendomi con lo sguardo nel panorama. «Tanto non me lo permetterai, vero?».

Lui si mise una mano sul cuore, con fare scherzoso. «Oh no impossibile. Ho fatto giurin giurello, mignolino mignoletto con la mia sorellina umana, impossibile!».

Alzai gli occhi al cielo.

In quell’istante, Alice lasciò andare la presa sulla sua preda.

Tutta la famiglia smise di cacciare e si voltò ad osservare i nostri occhi vacui.

Un’immagine terribile prese forma nelle nostre menti.

Bella, mortalmente pallida. I capelli color cioccolato sparsi intorno a lei.

Svenuta a terra sul pavimento dorato della mia stanza.

La sua mano bianca e immobile, semi-aperta e stesa in avanti.

Accanto alle sue dita la nuova boccetta di sonniferi.

Vuota.

 

   
 
Leggi le 43 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Twilight / Vai alla pagina dell'autore: keska