NON AVERE PAURA
*
Una via di fuga
*
Rimasero
a penzolare come due salami per una decina di secondi circa, prima che uno dei
due potesse dire qualcosa, ancora impietriti e sconvolti da quanto avevano
appena appreso.
I
due super eroi di Parigi, due icone idolatrate in tutti quegli anni da persone
di tutte le età, erano niente meno che due amici.
Lady
Bug teneva il braccio teso e ben saldo allo yo-yo e con l’altra reggeva il
colletto del costume di Chat Noir.
“Non
mollare la presa eh, Milady.” La supplicò, mentre cercava di attaccarsi come
meglio poteva al suo corpo, mancava poco prima di ritornare ad essere Adrien, prima aveva usato il suo potere speciale, per
distruggere la loro prigione e permettere a Lady Bug di usare al meglio il suo
strumento per salvarsi la vita.
“Sono
tentata.” Rispose acida, non potendo scorgere l’espressione del suo partner avvilita
e affranta, perché ancora avvolti nel buio più totale.
Solo
Chat Noir, grazie alla sua super vista, poteva distinguere la sagoma della
collega e il suo volto meravigliosamente arrabbiato.
L’aveva
avuta sotto mano per tutto quel tempo, quanto si maledisse in quel momento e si
diede dello stupido mentalmente per non essersene mai accorto, ignaro del fatto
che lei stesse facendo lo stesso pensiero, e più che arrabbiata con lui, lo era
con se stessa per non aver mai notato la somiglianza.
“E
dai, non fare così…lo sai che non potevamo rivelare
le nostre identità”.
“Potevi
trasformarti prima, così ci saremo risparmiati questa situazione imbarazzante”.
“Ah,
la colpa è mia adesso. E allora tu?”
“Si,
ma io non ho il potere di distruggere, anche se mi fossi trasformata, avrei
potuto fare ben poco.” Cercò di giustificarsi lei.
Il
terzo bip
proveniente dall’anello di Chat Noir, lo avvertiva che mancavano poco meno di
due minuti prima che si ritrasformasse.
“Forse
sarebbe il caso di parlarne dopo, non credi?”
“Si
meglio, anche perché non riesco a ragionare, non vedo niente e in più tu stai
per ritrasformarti.”
“Posso
rimediare io a questo. Davanti a noi c’è una porta, vedo se con il mio bastone…” Con la mano libera cercò l’arnese da dietro la
sua schiena “…riesco a fare leva. Tu tieniti pronta a
saltare”.
“Ok”
Annuì.
Chat
Noir allungò l’asta fino alla porta che fortunatamente aveva una fessura aperta,
appena percettibile, ma non per lui che riuscì a spalancare senza troppi
problemi, poi saltò e con un balzo arrivò fino all’apertura, e lo stesso fece
Lady Bug dopo essersi dondolata un paio di volte per darsi lo slancio.
Lui
era pronto a riceverla tra le sue braccia, per attutirne la caduta, ma lei pensò
bene di evitarle, lasciandolo con un pugno di mosche in mano.
Appena
in tempo, la trasformazione del super eroe cessò nel preciso istante che mise
il piede a terra, e l’anello sputò fuori un Plagg
affamato.
Adrien gli allungò un
pezzo di formaggio che teneva sotto la camicia.
“Puaaah! Che schifo, è pieno di polvere e calce” Lo sputò più
volte piagnucolando.
“Vedi
di fartelo bastare, mi sa che è l’unica fonte di cibo che troveremo.” Lo
rimbeccò il suo padrone.
“Sai
che ho un palato delicato, e la sabbia non rientra tra la mia dieta.”
“Non
è il momento di fare lo schizzinoso”.
“Tieni,
Plagg” Lady Bug gli allungò un macaron
speciale al frutto della passione “…era per il tuo
custode, ma sono più felice se lo mangi tu”. Rivolse ad Adrien
una finta linguaccia.
“Grazie,
Marinette, tu si che sai come trattarmi”.
Adrien inarcò un
sopracciglio “Cosa? Tu sapevi?”.
“Si,
zuccone, e ho cercato di dirtelo tante volte, ma non mi hai mai ascoltato”
Disse addentando un pezzo di biscotto.
“Ritrasformami.”
Una luce rosse avvolse Lady Bug, facendola tornare come prima e scivolare Tikki tra le mani sporche di lei.
“Tieni
zuccherino, facciamo a metà” Plagg passò un pezzo di macaron
alla sua amichetta.
“Non
chiamarmi zuccherino, comunque
grazie” Ne morsicò un pezzo.
*
Marinette e Adrien provarono ad orientarsi, ma le macerie e la penombra
del corridoio, non erano alleati ideali.
Adrien prese dalla
tasca dei pantaloni il cellulare e con un gesto lo sbloccò ed impostò sulla
modalità torcia, poi puntò la luce sul piano di evacuazione apposto in bella
vista sulla parete.
In
lontananza si potevano udire le sirene delle ambulanze, una era appena passata
a gran velocità nei pressi dell’hotel.
“Chissà
cosa sta accadendo fuori” Sospirò Marinette.
Una
volta cessati, gli unici rumori che potevano percepire, erano quelli di un
tintinnio di acqua e la struttura che sembrava piegarsi su se stessa, ad ogni
loro passo corrispondeva uno scricchiolio.
La
corvina mise il piede in avanti, non
curandosi della piega incurvata del pavimento, e solo il repentino aiuto di Adrien, le evitò di cadere di sotto, che era riuscito ad
agganciarle la schiena con le braccia, andando poi a cadere all’indietro.
“Dobbiamo
avere occhi e orecchie dappertutto”. Le disse inchiodando i suoi occhi.
“G-grazie.” Balbettò alzandosi, troppo pericoloso rimanere
in quella posizione, ambigua, per chi li avesse visti da fuori.
Marinette strinse gli
occhi, quella pseudo caduta, stava aggravando la ferita al polpaccio che aveva
iniziato a sanguinare.
Un’altra
scossa di terremoto e quella sarebbe diventata la loro tomba.
“Scusami”
Disse guardandola negli occhi “E’ tutta colpa mia se siamo in questa
situazione” Strinse un pugno poi distogliendo lo sguardo.
“Adrien…sono io che ti chiedo scusa, avrei dovuto
trasformarmi prima.”
“La
volete smettere di darvi la colpa l’uno con l’altro e pensare ad un modo di
uscire da qui?” Plagg era alquanto irritato, forse
perché non era riuscito a mettere sotto i denti il suo solito camembert e tutto
quel zucchero lo stava mandando fuori di testa.
“Plagg ha ragione, inutile pensare al passato, troviamo una
via di fuga” Adrien illuminò la mappa leggermente
lacerata.
“Siamo
all’ultimo piano, fantastico” Disse Marinette in tono
sarcastico leggendo il numero posto in alto alla piantina.
Il
biondo per un momento si ricordò di una cosa “Papà” Biascicò a mezze labbra, era probabile che suo padre si
trovasse lì, come molta altra gente, iniziò a percorrere quei corridoi,
arrivando davanti la porta della sala conferenza, seguita dalla ragazza che gli
intimava di fermarsi.
La
porta di mogano marrone, era divelta e al suo interno solo tavolini ribaltati,
ceramiche e cristallerie erano in mille pezzi sul pavimento, come il cibo che
era stato preparato.
“C’è
nessuno?” Chiamò Adrien non ottenendo risposte “Papà?
Papà sei qui?”.
“Saranno
già stati evacuati” Constatò Marinette guardandosi
attorno e trovando la sala deserta.
“Controlliamo
noi” Dissero i due kwami prodigandosi a cercare forme
di vita umane.
Guardarono
dappertutto, sotto i tavoli rimasti in piedi, sotto il palco, dietro le tende e
nelle stanze adiacenti, ma niente, non c’era nessuno.
“Andiamo
allora” Ordinò Marinette.
*
Aprirono
la porta delle scale di emergenza e tirarono un sospiro di sollievo nel
constatare fosse intatta e agibile, una lunga corsa e sarebbero arrivati a
terra in un batter d’occhio.
Ma
i due ragazzi erano pur sempre dei super eroi, anche se al momento vestivano i
panni civili.
“Vai
tu, ti raggiungo presto” Gli disse.
“Che
cosa fai?”
“Devo
assicurarmi che non ci sia nessuno” Spiegò sorridendo, cercando di nascondere
tutta la preoccupazione.
“Non
posso lasciarti sola, e poi anch’io sono della tua stessa opinione” Non
l’avrebbe abbandonata per niente al mondo, niente e nessuno li avrebbe più
divisi, non ora che si erano ritrovati.
“Adrien.” Lo richiamò Marinette
mettendogli una mano sul braccio.
“Dimmi.”
La invitò a continuare con quello che gli stava per dire.
“S-sono contenta che sei tu Chat Noir.”
Il
biondo l’abbracciò forte “Non sai quanto mi sto odiando in questo momento per
non aver capito prima che tu eri sempre stata accanto a me, Milady.”
“Quanto
lo sto facendo io in questo momento?” Chiese sorridendo per cercare di
nascondere le lacrime “Adrien, io…”
La
zittì poggiandole l’indice sulla bocca “Dopo, ora pensiamo ad uscire da qui”.
Chiusero
la porta antipanico e proseguirono la ricerca, muniti di torcia, un estintore
estirpato dalla parete e un tubo di metallo.
“Sbrighiamoci”
Dissero all’unisono partendo alla ricerca di superstiti, sperando di non
rimanere vittima di quella trappola e di doversi pentire di quella decisione
presa.
Erano
riusciti ad ispezionare cinque piani grazie anche ai loro kwami
che senza problemi, potevano oltrepassare la materia e quindi anche le stanze
che da fuori erano sbarrate per il crollo del tetto, potevano venire
controllate senza tralasciare niente, per soli i ragazzi, sarebbe risultato
impossibile spostare travi o ammassi di detriti in poco tempo, anche se fossero
stati trasformati.
Le
scale principali erano libere, così poterono camminare senza fatica.
Mancava
poco per raggiungere il pian terreno, e Marinette
aveva bisogno di fare una piccola pausa, la gamba le stava facendo male e il
dover camminare scalza e mezza nuda tra quei corridoi, pieni di sassi
appuntiti, non aiutava, in più, sentiva freddo, e quei brividi la costrinsero a
massaggiarsi le braccia, per scaldarle.
“Che
fai?” Chiese ad Adrien intento a togliersi la camicia
ormai sgualcita del tutto, passando da un bianco candido a un grigio.
“Hai
freddo, non ho una giacca, così ti aiuto come posso.”
“E’
incredibile come in una situazione del genere cerchi di metterti in mostra” Lo
schernì, e distogliendo lo sguardo per la vergogna, si andò a posare in una
giacca abbandonata proprio al bordo del corridoio “…rivestiti!”
Gli ordinò indossando il capo più grande di lei di un paio di taglie.
“Messaggio
recepito: niente spogliarello per Milady”
“Risparmialo
per le tue fan”
“Noto
una punta di gelosia, o mi sbaglio?” Si avvicinò pericolosamente al suo volto.
“Ti
sbagli” Rispose spostandosi un po’.
“Però…se non ricordo male, eri anche tu una mia fan, quindi,
quello di prima era un invito?” Sapeva come metterla in scacco e in imbarazzo,
la cosa lo divertiva sempre un sacco.
“Hai
detto bene: ero” Lo allontanò definitivamente
puntando sul suo petto muscoloso le sue esili braccia.
“Comunque,
basta chiedere” Sorrise sghembo, e per fortuna che lei gli stava dando le
spalle e non poteva vedere la sua faccia andare a fuoco, altrimenti non avrebbe
esitato ad usare l’estintore che si portavano appresso.
*
Tra
un battibecco e l’altro, finalmente erano arrivati al piano terra, che sembrava
l’unico luogo a non aver subito gravi danni, e come tutti gli altri piani
dell’hotel che avevano setacciato, controllarono stanza dopo stanza, non
tralasciando niente.
Sarebbero
usciti più tranquilli da lì, sapendo di non aver lasciato indietro nessuno.
S’incontrarono
davanti l’ingresso principale, pronti per partire per le prossime tappe: villa
Agreste che era quella più vicina, per passare poi per la boulangerie
di Marinette ed infine gli ospedali, la priorità era
quella di rintracciare i loro genitori.
“Non
c’è nessuno” Gli urlò Marinette uscendo dalla sala
della colazione e fermandosi sopra un tappeto persiano.
“Nemmeno
qui” Adrien si stava avvicinando a lei, quando
un’altra scossa fece tremare la terra.
Il
lampadario di cristallo sopra la testa di Marinette
si staccò, lei non riusciva a muovere le gambe, sembrava come se qualcuno le
avesse rese di pietra.
“Attenta!”
Senza pensarci, il biondo si lanciò in suo salvataggio, scaraventandola appena
in tempo via da quella trappola.
Un
dolore lancinante al fianco.
Il
respiro che diventava sempre più affannoso.
Il
buio.
*
continua