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Autore: arabesquessence    07/02/2021    1 recensioni
Capitolo I.
Clelia, Luciano, Carlo e il bimbo in arrivo lasciano definitivamente Milano per iniziare una nuova vita insieme lontano dai malpensanti e dal dolore del passato. Quale sarà la destinazione del tassì che la sera stessa lascia la Piazzetta?
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'La nuova vita dei Cattegaris'
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“Siamo arrivati.”

A quelle parole Clelia, non del tutto assopita ma con gli occhi chiusi e la testa china sulla spalla di Luciano, si destò.
Carlo invece non si era perso nemmeno un secondo di quel viaggio, era troppo euforico per addormentarsi. Se ne stava sul sedile posteriore del tassì accanto ai genitori con le manine incollate al finestrino appannato, il naso arrossato e lo sguardo pieno di stupore.
Luciano depositò un tenero bacio sulla tempia di Clelia, accoccolata a lui.

“Sei pronta?” lei annuì col capo. Il ragioniere pagò il tassista e lo ringraziò per la sua cortesia nell’indicare loro un luogo dove pernottare e per averli portati a destinazione.

Per tutta risposta l’uomo gli allungò un cartoncino. “È stato un piacere. Il posto è questo, dite che vi manda Oreste, i proprietari sono amici miei. E se doveste avere ancora bisogno di me, questo è il mio numero.”

Li aiutò a scaricare la valigie, per poi infilarsi nuovamente in auto e lasciare il vialetto ghiaiato della pensione. Rimasero per qualche minuto nel cortile a contemplare la facciata dell’edificio. Clelia socchiuse gli occhi e inspirò a pieni polmoni, quasi per accertarsi di essere viva e di non star sognando. Il freddo pungente della sera, ormai tarda, la avvolse inebriandola. Fu quando sentì la mano di Luciano sulla sua che ne ebbe la certezza, era più viva che mai.
Entrarono nella pensione e vennero accolti all’istante da un’atmosfera calda e accogliente. Lo stile era rustico, con archi e mattoncini a vista, ma a primo impatto appariva confortevole, luminosa e pulita, e soprattutto immersa nella tranquillità delle campagne torinesi, requisito di cui avevano bisogno in quel momento per fermarsi a processare con calma il turbinio di emozioni da cui erano ancora sopraffatti e a programmare il loro futuro più prossimo insieme.

“Sembra confortevole”. Concluse Luciano dopo essersi guardato attorno con circospezione attraverso gli occhiali leggermente abbassati. Un rughetta gli si formò tra le sopracciglia, come ogni volta in cui era pensieroso o concentrato.

“Cosa ne pensi?”

Clelia gli sorrise rassicurandolo. “Andrà benissimo.”

Si avvicinarono all’area della reception e, posando le valigie, il ragioniere suonò il campanello posto sul bancone di legno massiccio.
Alcuni secondi dopo un signore poco più basso di lui, leggermente gobbo e sulla settantina fece capolino da dietro una tenda di cordoncini sottili e chicchi di legno che rivelò un gabbiotto simile a retrobottega.

“Buonasera e benvenuti!” li salutò calorosamente. “Non ci aspettavamo di ricevere ospiti a quest’ora” e sembrava veramente compiaciuto che qualcuno avesse scelto di soggiornare in quella piccola pensione un po’ sperduta che forse ai più sarebbe passata inosservata.

“È stata una decisione tempestiva dell’ultimo minuto” Luciano si voltò a guardare Clelia per un istante “Ma ora che siamo qui non tornerei indietro per nulla al mondo”.

Lei tentò di mascherare un sorriso imbarazzato e le guance assunsero subito un colorito roseo. Luciano sembrava essersi dimenticato del resto del mondo. Succedeva spesso quando era in presenza della donna. L’uomo dietro al bancone cercò di intercettare i loro sguardi e si schiarì la voce con espressione furba di chi aveva perfettamente capito di trovarsi di fronte alla quintessenza del vero amore.

“Cioè…non- non tornerei indietro perché questo posto sembra davvero molto confortevole… complimenti. Abbiamo fatto proprio bene a fidarci di Oreste.” Luciano si riprese allentandosi leggermente la sciarpa al collo e sistemandosi meglio gli occhiali sul naso con un dito.

“Ahh ma siete amici di Oreste! Allora ci vuole un certamente un trattamento di tutto riguardo.” esclamò allegramente illuminandosi a quel nome. “E ditemi, quanto intendete fermarvi?”

“In realtà non sappiamo…” intervenne Clelia scambiando una rapida occhiata con Luciano “Non abbiamo ancora deciso.”

“Oh poco male! C’è spazio e potete trattenervi per tutto il tempo che riterrete opportuno. Abbiamo la camera che fa per voi, padronale con annessa stanza per il piccolo” affermò il proprietario rivolgendo un sorriso a Carlo che si strinse timidamente al cappotto della madre. Clelia gli avvolse un braccio intorno alle spalle.

“Che nome segno?”

“Famiglia Cattaneo.”

A quelle parole gli occhi di Clelia brillarono per l’emozione. Era tutto talmente bello che ancora non si era abituata. Quasi come se quella felicità così a lungo desiderata fosse tanto preziosa quanto delicata, come un cristallo da maneggiare con cura per paura di scalfirlo.

“Molto bene.”

Luciano porse il suo documento e lui e Clelia insistettero per lasciare un acconto ma l’uomo non sentì ragione. Liquidò la questione con un “a fine soggiorno” e diede loro la chiave. “Ma ora passiamo alle cose importanti. Avete cenato? Sarete affamati. Rosa! Rosaaa!”

Passi svelti seguiti da un “Arrivo, arrivo!” si fecero sempre più vicini finché da quella che era la zona di ristoro della pensione emerse la figura di una donna, anch’ella sulla settantina, ma a differenza dell’uomo mingherlino, di costituzione più robusta, con i capelli raccolti in una crocchia e fili argentei che spuntavano dalla cuffietta bianca. Si pulì le mani sul grembiule ricamato prima di alzare la testa. “Luigi, cos’hai da strillare tanto? Stavo chiudendo la cucina…”

“Rosa, abbiamo ospiti. Credo non abbiano ancora cenato.”

La donna tentò di districare la cordicella degli occhiali dalla collana e li inforcò sul naso. Rivolse l’attenzione incuriosita ai nuovi arrivati e il suo volto si illuminò.

“Ooh ma che bella famiglia!” battè le mani entusiasta “Prego cari, seguitemi, da questa parte!” con un cenno della mano li invitò a raggiungere la sala del ristorante.

“È tardi, noi non vorremmo disturbare…” esordì Clelia scrupolosa lanciando uno sguardo all’orologio al polso. “Basterà un bicchiere di latte caldo per il bambino.” Indicò Carlo, che nel frattempo sembrava aver preso più confidenza con il posto, discostandosi dal cappotto della madre e facendo percorrere alla sua automobilina giocattolo il bordo del bancone.

“Non accetto un no come risposta, non manderò i miei ospiti a letto senza averli prima rifocillati. Sarete infreddoliti… vi va del risotto con i funghi? Ne è avanzato un po’, era il piatto del menù di questa sera.”

Clelia, il cui languorino aveva ormai preso il sopravvento da un’ora buona trasformandosi in vera e propria fame, accettò di buon grado ringraziandola.

“Amore, allora io porto su le valigie e vi raggiungo, va bene?”

“Non si preoccupi signor Cattaneo, ci penserà mio figlio tra un attimo. Potete seguire mia moglie intanto.” Luciano fece un cenno di ringraziamento col capo e Luigi gli sorrise amichevole.

Il ragioniere sfilò il cappotto a Clelia appendendolo ad una gruccia insieme al suo per poi invitarla a procedere, accompagnandola affettuosamente con la mano sulla schiena. Intanto Carlo, che a malapena si era lasciato sfilare sciarpa, guanti e cappello dalla madre, si era già guadagnato un posto di fiducia sotto l’ala di Rosa, che gli aveva permesso di seguirla in cucina per rubare i trucchi del mestiere.
 
***
 
“Dorme?”

Sentendo la porta della stanza di Carlo richiudersi, Clelia fece capolino dal bagno mentre finiva di spalmare la crema sulle mani, già in tenuta da notte, con una vestaglia rosa antico aperta che lasciava intravedere la sottoveste in raso color avorio.

“È stato difficile ma alla terza volta che Pinocchio è finito nella pancia della balena è crollato.”

Clelia si lasciò sfuggire una risatina pensando che in fondo aveva fatto bene a portare anche i libri di favole preferiti di Carlo su sua insistenza. “Per lui è tutto nuovo, sarà elettrizzato. Anche io non ho sonno…”

“Dovrei leggere qualcosa tra le righe…?” Luciano, che aveva già riposto con cura la giacca del completo su una sedia, allentò il nodo della cravatta sfilandola e lasciandola ricadere sul letto seguita dal gilet. Le rivolse uno sguardo ammiccante avvicinandosi e posandole le mani sui fianchi al di sotto della vestaglia per poi attirarla leggermente a sé e depositarle un bacio sul collo, prolungando il contatto delle labbra con quella pelle morbida e dal profumo così familiare.

“Luciano sono seria…” Clelia si sedette sul bordo del copriletto color carta da zucchero continuando a tenergli la mano per non rompere quel contatto che tante volte le aveva dato sollievo. Il ragioniere la vide rabbuiarsi e prese posto accanto a lei rafforzando leggermente la presa sulla mano di Clelia.

“So che era la cosa giusta da fare ma a volte mi chiedo se ho sbagliato a sradicarlo da così tanti posti, dalle sue amicizie…”

Luciano le scostò una ciocca di capelli dal viso e le accarezzò la guancia cercando di intercettare i suoi occhioni luccicanti nella penombra della stanza illuminata dal pallore della luna. “Hai sempre preso le decisioni per il suo bene. Vedrei che si abituerà in fretta ai cambiamenti. E poi hai visto com’era felice stasera? Era il suo sogno stare tutti insieme. E anche il mio.” Clelia abbozzò un sorriso socchiudendo gli occhi e godendosi quel tocco così delicato, gentile, rassicurante.

“Hai ripensamenti?” proseguì lui attribuendo quel silenzio al suo essere pensierosa.

“Mai. Non ho ripensamenti. Su nulla. Sto solo iniziando a realizzare. Improvvisamente tutto sembra più grande di noi, quello che ci aspetta… il mondo sembra più grande. Ce la faremo?”

“Certo che ce la faremo, un passo alla volta. Abbiamo superato qualunque cosa e sono convinto che ci aspetti una vita meravigliosa, per quanto ora tutto possa sembrare folle e spaventoso. Siamo insieme e liberi di amarci. Noi quattro. Questo è ciò che conta.”

Luciano le sfiorò la pancia con una carezza e lei si sporse ad abbracciarlo facendosi cullare dalle sue braccia. Rimasero così stretti per minuti che sembravano un’eternità. Clelia sollevò leggermente la testa osservando la luna attraverso la finestra e in quell’istante pensò che sì, in fondo ce l’avrebbero fatta anche questa volta. Ce la facevano sempre.
   
 
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