Storie originali > Soprannaturale > Maghi e Streghe
Segui la storia  |       
Autore: Baudelaire    11/02/2021    4 recensioni
Questa storia è liberamente ispirata alla saga di Harry Potter, ma al femminile.
Ho voluto cimentarmi, a modo mio, su questo tema.
Rebecca Bonner è una Strega Bianca e la sua vita sta per cambiare per sempre...
La stella di Amtara diCristina è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Genere: Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Questa storia si conclude qui, ma le avventure di Rebecca ad Amtara non sono finite.
Presto pubblicherò la seconda parte.
Ringrazio tutti quelli che hanno letto la mia storia, che hanno tremato, gioito, pianto insieme alla mia Rebecca.

A presto!



CAPITOLO 21
“IL FANTASMA”
 
L’ultimo giorno di scuola Rebecca, Brenda e Barbara si alzarono presto. I signori Lansbury sarebbero arrivati per le nove e avevano giusto il tempo di fare colazione e chiudere le valigie.
Quando scesero al piano terra, era il caos. L’atrio di fronte al portone d’ingresso era gremito di Streghe e dei loro bagagli. Con il graduale arrivo dei familiari, la confusione aumentò e Rebecca e le gemelle si dileguarono in Sala da Pranzo per fare colazione con calma e godersi il loro ultimo pasto ad Amtara.
Quando scesero con i loro bagagli, scoprirono che molte Streghe erano già partite.
Trascinarono le valigie lungo il vialetto e si fermarono fuori dal cancello, in attesa.
Rebecca guardò l’orologio. Mancavano dieci minuti alle nove.
Faceva già un caldo terribile.
Si voltò per un momento ad osservare l’imponente edificio che era stata la sua casa per tutti quei mesi. Il primo anno ad Amtara era volato. Era stata bene, nonostante tutto, e aveva scoperto, forse per la prima volta nella sua vita, il vero significato dell’amicizia.
Amtara le sarebbe mancata, ne era sicura. Ma era felice di rivedere la sua casa, di respirare di nuovo l’aria salmastra, di poter tornare alle sue lunghe passeggiate sul bagnasciuga. Villa Bunkie Beach le era mancata moltissimo…
Rebecca osservò le Streghe partire con le loro famiglie, provando una punta di irritazione. Se non fosse stato per il divieto impostole dalla Collins, avrebbe potuto tranquillamente usare il suo Potere per tornare a casa. Ma non aveva avuto scelta e si era vista costretta ad accettare l’invito delle gemelle a tornare a casa con loro.
Come promesso alla signora Lansbury, non aveva detto nulla a Brenda e Barbara sulla vacanza che avrebbero trascorso insieme e si chiese che faccia avrebbe fatto Barbara quando l’avrebbe vista arrivare da loro in montagna. Ricordava molto bene quanto ci era rimasta male quando Rebecca aveva deciso di passare il Natale a scuola. Ora, finalmente, avrebbero potuto recuperare il tempo perduto anche se, ripensando agli avvenimenti degli ultimi mesi, Rebecca era felice di aver passato il Natale a scuola. Aveva avuto modo di conoscere meglio Elettra e grazie a lei aveva scoperto il segreto di Garou. No, non si era affatto pentita della sua scelta, ma ora era pronta ad affrontare quella lunga estate con il cuore più leggero. Ora avrebbe potuto godere pienamente di quella vacanza in montagna, anche senza le neve.
Quando i signori Lansbury arrivarono con la loro vecchia auto bordeaux, il signor Lansbury scese subito per caricare i bagagli. Rebecca vide correre verso di loro uno Gnomo, tutto trafelato, per dargli una mano.
“Faccio da solo, grazie.” – gli disse il signor Lansbury.
Lo Gnomo, un po’ offeso, se ne andò via, borbottando qualcosa a proposito di genitori ingrati.
“Non sei stato molto gentile, papà.” – lo rimproverò Barbara.
“Che ho detto di male?”
“Agli Gnomi fa sempre piacere dare una mano. Sono qui per questo.”
“Beh, ma io non ne ho bisogno. Non volevo essere scortese.” – ribattè l’uomo mortificato. “Credi che dovrei andare a scusarmi con lui?”
Barbara alzò gli occhi al cielo. “Lascia perdere.”
Intanto, la signora Lansbury era scesa dall’auto.
“Oh, Rebecca, come stai cara?” – esclamò, correndo verso di lei e stritolandola in uno dei suoi calorosi abbracci.
“Bene, grazie, signora Lansbury. Mi dispiace solo darvi tanto disturbo…”
“Oh, cara, non dirlo nemmeno per scherzo.” – rispose la donna, picchettandole dolcemente sulla spalla. “Per noi è un piacere accompagnarti a casa.”
“Ciao mamma, anche noi siamo felici di vederti.” – disse Barbara, con evidente sarcasmo.
La signora Lansbury abbracciò entrambe le figlie.
“Ecco qua, è tutto a posto.” – disse il signor Lansbury, chiudendo il portabagagli. “Possiamo andare.”
La signora Lansbury prese posto davanti, Rebecca salì dietro di lei, seguita da Brenda.
“Cavolo!” – esclamò Barbara, toccandosi la fronte con una mano.
“Che c’è?” – le chiese sua sorella.
“Ho dimenticato il beauty case in bagno!”
“Sei sicura?”
“Ma sì, dovevo metterlo in valigia dopo essermi lavata i denti e invece l’ho lasciato lì. Papà, dammi due minuti. Vado a prenderlo e arrivo.”
“D’accordo.” – rispose il signor Lansbury.
“Aspetta!” – le gridò dietro Rebecca.
Barbara si fermò.
“Ci vado io. Così saluto la Collins. Nella fretta della partenza, mi sono dimenticata di farlo.”
Barbara aggrottò la fronte. “Cosa?”
Ma Rebecca era già scesa dall’auto e si stava avviando a passo deciso verso la scuola.
In realtà, il saluto alla preside era soltanto una scusa. Rebecca non aveva la minima intenzione di parlare con lei, anche perché non aveva mandato giù il suo divieto di usare il Potere a scuola.
In realtà, voleva approfittare dell’occasione per salutare Amtara, che ora era immersa in un silenzio che appariva surreale, rispetto al caos di solo pochi minuti prima.
Superò agilmente alcune fate che stavano chiacchierando, evidentemente felici di poter avere nuovamente il castello tutto per loro. Poi, prima di salire sulle scale, vide un gruppo di genitori che parlavano con la preside.
“Bonner, dove stai andando?” – le domandò la Collins vedendola passarle accanto a tutta velocità.
Rebecca represse un’imprecazione. Parlare con lei era l’ultima cosa che avrebbe voluto fare.
Si fermò.
“Devo tornare in camera, professoressa. Barbara ha dimenticato il suo beauty case.” – rispose arrossendo di fronte agli sguardi incuriositi dei genitori.
Si domandò se sapessero di lei. Probabile, dal momento che tutta la scuola era a conoscenza di Rebecca Bonner e dello straordinario Potere grazie al quale aveva salvato la vita al professor Garou.
Senza attendere la risposta della preside e ignorando le occhiate curiose degli altri, si precipitò sulle scale.
Arrivò nel corridoio, vuoto, gustandosi il silenzio.
Era così strana Amtara senza le Prescelte…
Entrò in camera, andò in bagno e trovò l’oggetto che cercava proprio sul lavandino.
Sorrise tra sé, pensando alle parole di Brenda. “Se non avesse la testa attaccata al collo, mia sorella dimenticherebbe anche quella.”
Prese il beauty case e si voltò, ma si bloccò immediatamente, colpita da una luce abbagliante che proveniva dalla stanza da letto.
Schermandosi gli occhi con una mano, fece un passo indietro, spaventata.
Poi, il beauty case le scivolò tra le mani e cadde a terra.
Con il respiro mozzato, Rebecca non riusciva a credere ai propri occhi.
Attirata da quella visione, fece due passi avanti, finchè non uscì dal bagno e si ritrovò di fronte a qualcosa che era semplicemente inconcepibile per la sua mente.
Eppure non stava sognando.
Davanti a lei c’era una donna.
Quando i suoi occhi si abituarono alla luce, Rebecca per poco non svenne.
Tremando, si appoggiò allo stipite della porta, per non cadere.
Non era possibile, non poteva essere lei.
Eppure…
Rebecca trovò il coraggio di guardarla negli occhi, quegli stessi occhi che l’avevano accompagnata per una vita intera.
Era un angelo? Era reale? O era solo la sua immaginazione che le stava giocando uno scherzo di pessimo gusto? Sì, doveva essere per forza così. Non era reale, non era possibile che lei fosse lì, di fronte a lei, i suoi stessi capelli rossi, la pelle di porcellana e il suo sorriso…. Quel sorriso…
“Rebecca.”
“M-mamma?”
La donna sorrise, in un tacito assenso.
Rebecca si coprì la bocca con entrambe le mani.
Era proprio lei.
Banita era lì, ad un passo da lei e le tendeva la mano.
“Tesoro, vieni, non avere paura.”
Ma Rebecca non riuscì a muoversi.
“N-non è possibile. Sei proprio tu?”
“Si, sono io. Vieni, avvicinati.”
Rebecca mosse un piccolo passo, senza mollare la presa sullo stipite della porta. Era certa che se lo avesse lasciato sarebbe crollata a terra. Le gambe le tremavano e il suo cuore stava per esploderle nel petto.
“Tu… tu sei morta.” – balbettò.
“Sono tornata indietro, per te.” – rispose la donna, senza smettere di sorridere.
“Credevo che queste cose accadessero solo nei sogni. Non è possibile…”
“Ormai dovresti avere imparato che non c’è niente di impossibile.”
Rebecca fece un risolino nervoso.
Stava forse impazzendo? Era in quella stanza per puro caso, solo perché Barbara aveva dimenticato quello stupido beauty case. E sua madre aveva deciso di mostrarsi a lei proprio in quel momento. Perché non era venuta prima? Non sapeva quanto avesse sofferto dopo la sua morte? Perché soltanto ora?
“Sono venuta per parlarti.”
“Di cosa?”
“Di molte cose. Ma non ho molto tempo.”
“Perché proprio adesso? Perché non sei venuta prima?” – replicò Rebecca, con le lacrime agli occhi.
Avrebbe voluto correre da lei e abbracciarla, ma non era Banita, era solo l’ombra di ciò che era stata. Quell’abbraccio sarebbe stato inconsistente, vuoto, privo di calore.
“Perché mi è stato concesso solo ora.” – rispose la donna facendosi tutto ad un tratto seria. “Non possiamo mostrarci a voi. Ma stavolta hanno fatto un’eccezione.”
“Hanno fatto? Chi?”
“Non ha importanza. Ora devi ascoltarmi, Rebecca. Io non me ne sono mai andata. Ho sempre vegliato su di te. Sempre.”
“Mamma…” – mormorò Rebecca, ma le parole le morirono in gola.
Soffocò un singhiozzo e non potè impedire alle lacrime di scendere. Le lasciò scorrere, sperando che portassero via tutto il dolore tanto a lungo accumulato.
“Tesoro, non piangere. Lo so che ti senti sola…”
No, la verità era che non lo sapeva. Avrebbe tanto voluto dirle cosa significasse restare a Villa Bunkie Beach senza di lei, senza il suo calore, senza il suo conforto. Si, ci aveva provato ad essere forte, ma la sua vita non era più la stessa da quando se n’era andata. Avrebbe voluto gridarglielo in faccia, ma le parole non uscirono.
Rebecca, le braccia abbandonate lungo i fianchi, piangeva sommessamente.
Sua madre era venuta per lei, ma se ne sarebbe andata via di nuovo, stavolta per sempre. Come avrebbe potuto sopportarlo? Non sarebbe stato meglio se non fosse venuta? Perché era lì? Perché voleva riportare a galla tutto il suo dolore?
Eppure, la dolcezza che lesse nel suo sguardo cancellò tutta la sua rabbia. Banita era lì, sorridente, dolce, amorevole, come era sempre stata. Oh, quanto avrebbe voluto sentire ancora una volta le sue braccia attorno a lei! Una sola, ultima volta!
“Da quando me ne sono andata non ho mai smesso un solo giorno di proteggerti. Sempre. Quel pugnale d’argento…”
Rebecca sgranò gli occhi. “Sei stata tu?” – mormorò.
Banita annuì.
“Ma io…. Credevo appartenesse a Cogitus…”
“No. Sapevo che con quello avresti potuto ucciderlo e salvare le Prescelte e Garou. Solo un’arma d’argento avrebbe potuto spezzare la maledizione di Posimaar e uccidere il suo fedele alleato.”
“Non lo sapevo…”
“Tesoro, sei stata magnifica, e incredibilmente coraggiosa. Sono così fiera di te…”
Rebecca non rispose. Non aveva minimamente immaginato che Cogitus fosse sotto l’incanto di una maledizione del Demone Supremo, né tantomeno che occorresse una lama d’argento per ucciderlo.
Senza l’aiuto di sua madre, non sarebbe mai riuscita a sconfiggerlo e probabilmente non sarebbe sopravvissuta. Sarebbero morti tutti, lei, le ragazze e Garou.
“Sono venuta per questo. Dovevi saperlo, Rebecca, dovevi sapere che io sono con te, sempre, in ogni momento. E dovevi sapere quanto io sia orgogliosa di te.”
“Oh mamma…”
“So quanto hai sofferto, tesoro mio, so quanto ti è costato affrontare tutto questo da sola. Ma sei stata incredibile, hai imparato ad usare il Potere, hai salvato delle vite…”
“Perché non sei venuta prima?” – sbottò Rebecca, tra le lacrime. “Io avevo bisogno di te!”
“Te l’ho detto. Non potevo.”
“Avresti potuto mandarmi un segno, qualunque cosa… Ero sul punto di mollare tutto…”
“Però non l’hai fatto! Sei andata avanti e ce l’hai fatta! Sapevo che sarebbe andata così, perché sei mia figlia. Ce l’hai nel sangue.”
Ce l’hai nel sangue… glielo aveva ripetuto così tante volte, quando era piccola.
“E’ stato terribile.” – disse, asciugandosi le lacrime.
“Lo so. Ma ora sei più forte. Sei diventata una vera Prescelta.”
“Non m’importa!”
“Invece deve importarti! Questo è quello che sei, è il tuo destino.”
“Torna da me.” – la supplicò. “Ti prego.”
“Io ci sono. Non me ne sono mai andata.”
“Non è vero…” – mormorò Rebecca, disperata, ma ormai consapevole che presto anche quel miraggio se ne sarebbe andato per sempre.
“Mi stanno chiamando. Devo andare.”
“Aspetta…”
“Ricorda sempre le mie parole, amore mio. Mi hai reso una madre orgogliosa. Sono fiera di te.”
“Ti prego, non andartene..”
“Ti voglio bene. Vivi la tua vita meravigliosa. Io veglierò sempre su di te.”
“Mamma..”
Banita svanì e il cuore di Rebecca ripiombò nel buio.
 
“Ci hai messo un secolo!” – esclamò Barbara, quando la vide arrivare.
Erano tutti scesi dall’auto e la stavano aspettando.
“Scusate. La Collins aveva delle cose da dirmi…” – si giustificò Rebecca, evitando i loro sguardi.
Non era scesa subito, ancora troppo sconvolta per quello che era accaduto. Si era seduta sul letto, aspettando che il cuore rallentasse i battiti e respirando a fondo.
Poi si era asciugata le lacrime e aveva sceso le scale, con il cuore in tumulto e un’angoscia profonda che le opprimeva il petto.
Aveva ignorato le occhiate incuriosite delle fate ed era uscita dal portone, nel sole del mattino, senza più voltarsi indietro.
“Ti senti bene?” – le domandò Brenda.
Rebecca avrebbe voluto urlare.
“Sì, perché?”
“Sei un po’ pallida.”
Rebecca non rispose e salì in macchina.
Non l’avrebbe mai più rivista, lo sapeva. Ma era stato bello poter parlare di nuovo con lei, anche se per poco, rivedere il suo volto dolcissimo, sapere che non l’aveva abbandonata.
No, sua madre non sarebbe mai morta, non finchè sarebbe vissuta nel cuore di sua figlia.
Il signor Lansbury avviò il motore e partì.
Rebecca si voltò per guardare, un’ultima volta, le bianche mura di Amtara, fino a che non sparirono dietro la prima curva.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
JACK
 
“Ha fallito! Quel miserabile!”
Jack strinse convulsamente il bicchere di vino tra le mani e lo scagliò contro lo specchio davanti a lui. Il vetro s’infranse e un rivolo rosso scivolò giù lungo la superficie.
“Non ha alcuna importanza.” – sussurrò la voce. “Questo era solo l’inizio.”
“NO!” – gridò Jack. “Lei doveva essere mia!”
“E lo sarà. A tempo debito.”
“Non avrei dovuto fidarmi di lui… così debole… così stupido…”
“Inutile piangere sul latte versato. Ora devi guardare avanti, trovare un altro modo.”
“Sì, ma quale? QUALE?”
Jack si prese la testa fra le mani, disperato.
“Sta calmo. Forse ho un piano…”
Lentamente, Jack alzò la testa.
Fissò la sua immagine spezzata, riflessa nello specchio in frantumi e ascoltò.
Quando la voce finì di parlare, un ghigno feroce gli increspava le labbra.
Finalmente, Rebecca Bonner sarebbe stata sua.
 
 
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale > Maghi e Streghe / Vai alla pagina dell'autore: Baudelaire