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Autore: Soleil et lune    12/02/2021    1 recensioni
Il ritorno di una guerra e la minaccia di un mostro da sventare, il tutto ambientato in una foresta dai toni fiabeschi. L'avventura e i colpi di scena si susseguono in un tornado di emozioni e strategie, il tutto per recuperare l'unico oggetto in grado di dare speranza al pianeta Terra: Chaos e i suoi servi sono tornati per riportare lo scompiglio nell'universo, ai cui estremi si trova il suo più grande e fatale alleato.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Andromeda Shun, Cygnus Hyoga, Dragon Shiryu, Pegasus Seiya, Phoenix Ikki
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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La pioggia aveva cominciato a tamburellare e noi correvamo sotto di essa, come dei dannati, inoltre era scesa la nebbia e stava cominciando ad essere complicato anche solo vedere oltre il proprio naso. Syria era divenuto per me una sagoma appena distinguibile e le nostre voci si perdevano tra un tuono e l’altro. Syria mi stava guidando per procedere verso il rubino che secondo lui avrebbe trovato, ma che non era riuscito a prendere a causa di uno strano meccanismo. Ora molti di voi avrebbero ben ragione di rimproverarmi. Difatti ho commesso una mancanza non raccontandovi la parte della nostra fuga, ma arrivando direttamente qui, soprattutto perché tra le foglie ed il vento che prometteva pioggia la nostra sirena mi raccontò come effettivamente divenne un coniglio ed io, per farmi perdonare, lo racconterò a voi.
Syria mi raccontò di essersi svegliato in mezzo al bosco. Pioveva e faceva molto freddo, disse che non pareva giugno, sarebbe potuto essere novembre. Il vento era molto forte e pareva pronto a sradicare un albero da un momento all’altro, volavano foglie e piccoli rami, forse, disse, era giunto il diluvio universale. Si alzò, guardandosi intorno, ma non vide assolutamente nulla, era tutto silenzioso e solo il soffiare del vento contribuiva a fare rumore, e qualche tuono ogni tanto, quando Giove aveva piacere. Lui camminava e camminava, ma niente, non vedeva nessuno in giro, come se fosse l’unico sul piano. Solo dopo circa mezz’ora riuscì ad intravedere, in lontananza, bagnato fin nelle ossa, una luce simile a quella di un focolare. Syria allungò il passo e poi si mise a correre, doveva ripararsi il prima possibile, ma quando arrivò vicino alla luce si rese conto che davanti a sé non aveva una casa, bensì una caverna. Non che fosse schizzinoso, ma si chiese, a quel punto, cosa ci fosse in quella caverna e quando vi entrò fece per guardarsi intorno, eppure con su somma sorpresa non c’era nessuno. Syria mi descrisse accuratamente la grotta in questione: l’edificio si componeva di un corridoio lungo trentasei metri e largo sei, le cui pareti erano formate da lunghi blocchi di pietra a filari orizzontali, che crescevano a mano a mano che ci si addentava, illuminati dalla luce delle torce appese ai muri. L’accesso avveniva tramite un’apertura alta circa cinque metri e larga due e questa entrata era sormontata da un architrave monolitico che, a detta di Syria, pareva avere il peso di molte tonnellate. Giunse infine ad una sala circolare alta sicuramente più di dieci metri al cui c’entro si trovava un enorme falò. Syria non vide altro, poi sentì un colpo alla testa e perse i sensi. Quando si svegliò si trovò di fronte al falò, legato come un salame e sentiva dei passi nella sala. Dopo un poco, da dietro il falò, vide spuntare una donna. Syria me la descrisse, partendo col principio che non fosse affatto una bella donna, per poi continuare dicendo che portava un lungo peplo viola, sulla sua vita brillavano grazie al fuoco diverse cinture d’oro, sottili e simili a catene; il viso, che non si sapeva distinguere se fosse di una giovane o una vecchia, era contornato da lunghi capelli biondi che le scendevano ai lati, cadendole placidamente sulle spalle e poi arrivare sino ai fianchi. Gli occhi erano piccoli e simili a quelli di una bestia famelica e le mani, abbastanza grandi e con lunghe dita affusolate, si muovevano veloci, in uno scatto quasi nervoso. La donna si avvicinò a lui con gli occhi che parevano spiritati e con una voce tremula formulò, guardandolo negli occhi: “I tuoi occhi…”, e fece una pausa, in cui gli respirò in faccia, per poi ripetere ancora: “I tuoi occhi…”. Syria per un attimo pensò fosse pazza, ma la donna sussultò e scrollò la testa da destra a sinistra, allontanandosi da lui con un balzo felino. Syria non riusciva nemmeno a pensare, ma non per la paura, ma per quanto quell’evento fosse bizzarro. Mi raccontò che lui non aveva paura, affatto, era solo molto curioso, infatti la donna non lo spaventava minimamente, ma anzi, la trovava quasi simpatica, almeno in un primo momento. Quella signora si voltò verso di lui, che in quell’attimo sentì un brivido percorrergli la schiena. Quando si fu allontanata Syria poté guardarla meglio: nonostante avesse un viso dai tratti senili aveva il corpo di una giovane! 
Syria la guardò più intensamente e vide con orrore che non stava sognando, quella donna era lì, di fronte a lui ed aveva un fisico giovane ed un volto senile, non era un sogno. La donna si avvicinò a lui, sorridendo maliziosamente pur non avendo nessuna idea lussuriosa. Si avvicinò a lui e guardava i suoi occhi, con grande bramosìa. Voleva i suoi occhi, così grandi, rosa, contornati da quelle ciglia nere…li voleva a tutti i costi. La donna si avvicinò sempre di più al mio amico, guardandolo con grande insistenza e quando cominciò a tendere le dita verso di lui una voce la fermò. “Fermati!”, si sentì riecheggiare nella stanza e la donna si arrestò istantaneamente, voltandosi, più per la sorpresa che per un eventuale spavento. Da dietro il falò, entrata dalla porta, vi era una ragazza. La sua pelle era olivastra, tipicamente mediterranea, i suoi capelli neri e lunghi, lasciati liberi al vento; i suoi occhi erano scurissimi e brillavano di una viva intelligenza, inoltre quella ragazza era vestita con abiti tradizionali olandesi o polacchi, o forse erano russi, Syria non riusciva a distinguere. Prontamente la graziosa straniera afferrò la donna per un braccio e la tirò indietro, dicendole che la sua ossessione per il bello stava sfociando nell’assurdo e che doveva lasciarlo andare. La donna la osservò e poi rispose seccata:” I patti sono questi, tu mi hai chiesto protezione ed io ti ho accontentata, incurante delle tue ideologie. Il minimo che mi devi è non immischiarti. Discostati!”, ed immediatamente la spintonò via con un movimento del braccio. La ragazza barcollò, ma non cadde, e come una furia spinse lei stessa la donna, che cadde. “So che lo ucciderai solo per capriccio. Se proprio vuoi i suoi occhi lascia che sia io a pendere la sua vita, così che non soffra”, disse la ragazza, e la donna accettò. “Ci penso io”, cominciò, “tu vai”, e la donna se ne andò guardando ancora i suoi occhi. Appena la donna se ne andò si avvicinò a Syria, mormorando un “Mi dispiace”, cominciando a slegarlo: “Non sarebbe mai dovuto accadere”. Quando poi lei si avvicinò Syria borbottò un ringraziamento, e la ragazza gli guardava intensamente gli occhi. Passò qualche secondo e lei affermò convinta: “Però su una cosa sono d’accordo: hai davvero degli occhi stupendi”. Syria raccontò che in quel momento arrossì, ma la ragazza disse sbrigativa che non c’era tempo da perdere e che dovevano fuggire entrambi, quella donna sarebbe tornata a breve e dovevano sbrigarsi. Subito corse fuori e Syria rimase fermo ad aspettarla, non sapendo cosa aspettarsi, e quando quella tornò la vide porgerle delle erbacce e del sale. Si avvicinò un po’ alla pira e fece a pochi metri di distanza un cerchio di sale, indicandolo poi a Syria. Il mio amico si avvicinò titubante e non capiva, finché poi la misteriosa ragazza gli disse, a chiare lettere: “Devi entrare nel cerchio, e devi essere lesto, potrebbe star tornando”. Syria entrò nel cerchio e su ordine della ragazza mangiò le erbacce: erano amare, ma Syria era molto inquieto a causa di quella…cosa, era convinto che potesse essere di tutto, meno che una donna. Dopo che ebbe fatto ciò la ragazza protese le mani verso il cerchio e disse delle strane parole, parole così strane che non mi seppe ripetere e che disse non appartenere a nessuna lingua di questo mondo. Non mi raccontò il processo di trasformazione, ma disse che fu molto doloroso e che la ragazza si era severamente raccomandata: “Non devi assolutamente e per nessun motivo suonare il flauto senza che sia necessario. Appena lo suonerai tornerai al tuo aspetto originario ma la trasformazione, se dovesse andare male, comporterebbe un infarto fulminante a causa della riacquisizione improvvisa del cosmo, inoltre anche la pronuncia del tuo nome potrebbe portarti a trasformarti, cerca di nascondere la tua identità”, inoltre era stata così imperativa che Syria provava terrore solo a sentirla. Fu così che avvenne: lentamente si trasformò in un coniglio e subito lo teletrasportò a quel piano. Si era risvegliato qui ed aveva ancora il suo flauto e poi aveva cominciato a girare, solo dopo due o forse tre ore mi aveva incontrato ed aveva compreso che era il momento. Non mi disse il nome, perché probabilmente non lo sapeva, quindi ero convinto che chiedere fosse inutile.
Tornando a noi, stavamo correndo da un po’ sotto la pioggia battente, Syria doveva aver vagato parecchio per sapere così bene la strada, ma la nebbia era così fitta che a momenti non riuscivamo a vederci. “Syria!” “Shun!”, ci chiamavamo, per non perderci di vista, ma era comunque difficile. La temperatura calò di colpo, il vento cominciò ad ululare ed ecco che in mezzo alla nebbia sentimmo i latrato dei cani, e vedemmo delle sagome venire verso di noi. Erano due uomini, vestiti con degli stracci, magri e pallidi come cenci, inseguiti da due cagne nere. Il primo riuscì a fuggire, il secondo, stremato, si nascose dietro un cespuglio, venendo poi sbranato dalle due cagne. Rimanemmo immobili, anche il mio amico deglutì, forse anche lui aveva assistito a quella scena per la prima volta, come me. Improvvisamente sentimmo dei rintocchi, simili a quelli delle campane.
Debbo essere onesto e dirvi che originariamente non ero intenzionato a raccontarvi questa parte, ma mi rendo conto che in effetti dovrei raccontarvela, del resto di cose strane ed inquietanti ne sono già successe e penso sappiate ormai che questo posto può essere tanto affascinante quanto spaventoso.
Camminammo per un po’, sentendo quei rintocchi incessanti che a mano a mano si facevano più forti, sempre più forti, per poi vedere in lontananza quello che pareva un campanile nella nebbia. Ci avvicinammo ancora e ci trovammo di fronte ad un enorme cancello arrugginito che chiuso pareva raffigurare una grande croce latina, era bloccato da un grosso catenaccio chiuso con un lucchetto. Guardai a destra ed a sinistra, il muretto di cinta che si trovava ai lati del cancello pareva senza fine ed era così alto che sarebbe stato quasi impossibile scavalcarlo. Io e Syria ci scambiammo uno sguardo, apparentemente non c’era nessuna ragione intelligente per entrare, quindi gli dissi che forse era il caso di lasciar perdere e che ci saremmo dovuti allontanare; il mio amico mi diede ragione e ci avviammo, facendo per tornare indietro, ma un rumore metallico mi fece fermare. “Cosa c’è?” mi chiese l’amico mio, ma restai immobile e guardai ancora il cancello, poi mi avvicinai ad un piccolo oggetto che avevo notato in mezzo all’erba alta: era una grossa chiave, era molto vecchia ed era arrugginita. Syria me la prese dalle mani e la guardò attentamente, corrugando la fronte come chi si interroga, dopo di che mi chiese: “Ma era in mezzo all’erba prima?”, “No” feci io, poi lui continuò dicendomi che effettivamente non l’aveva notata. Archiviammo tutto come un errore di distrazione e cominciamo ad interrogarci sul da farsi: poteva effettivamente essere una perdita di tempo e magari non avremmo trovato nulla, ma era anche vero che era il primo edificio che vedevamo nel raggio di chilometri. “Tu sai la strada, ma allora non perdiamo tempo ed avviamoci verso il rubino”, dissi a Syria, che mi rispose: “Non essere frettoloso, è vero che so dov’è, ma non so come prenderlo, indaghiamo qui, perché io prima non l’avevo trovato questo posto”. Ci pensai un attimo, ma prima che potessi dire qualsiasi cosa Syria si era già avvicinato al cancello e aveva preso in una mano il grosso lucchetto che lo chiudeva. Infilò la chiave nella serratura e la girò, in un primo momento fece i capricci, poi riuscì ad aprirla facendo una maggiore forza, il catenaccio cedette insieme al lucchetto ma la chiave si ruppe. Io e il mio amico ci guardammo un attimo, io mi avvicinai e toccai il cancello con una mano, aprendolo lentamente mentre quello cigolava. Lo aprii abbastanza da poter entrare ed entrai, Syria mi seguì subito e lasciò l’entrata aperta. Mi poggiai le mani sui fianchi, guardandomi intorno. Era un cimitero, potevamo vedere qualche cripta, delle lapidi, alcune tombe di famiglia...un cimitero normale. Mi chiesi se ci fosse un custode o qualcuno, ma lo esclusi subito, del resto era chiuso a meno che non avessimo trovato una chiave usurata, ma chi lascerebbe una chiave in bella vista, soprattutto per un cimitero tanto grande? Oltre a ciò potevo anche vedere l’incuria con cui era tenuto: alberi malati, erbacce alte fino alle nostre ginocchia e assenti in alcune chiazze, altre invece erano marroni e invece i fiori erano tutti appassiti. Camminavamo tra le tombe e le cripte, vi dirò, nessuna tomba era stata profanata: oggetti in oro ed ottone, finestre e vetrate erano intatti ed al loro posto, era solo la natura morta e il pesante silenzio che suggeriva l’abbandono di quel posto, e mi chiesi effettivamente il perché; poteva forse essere il cimitero degli abitanti della foresta? Poteva essere, ma niente smentiva ciò e niente lo confermava. Le lapidi erano quasi illeggibili, le foto strappate dal tempo o completamente assenti, ero riuscito a leggere qualche “Marie”, “Joseph”, ma niente di che, era quasi impossibile leggere, come vi dicevo. Non riuscivo ad avvicinarmi alle tombe: il fetido odore dei fiori morti mi dava alla testa, ma tra di esse trovai una lapide che mi colpì molto: inizialmente pensai che appartenesse a qualcuno che aveva fatto parte del mondo del teatro, oppure che lo avesse amato a tal punto da far mettere sulla propria lapide due facce tipiche delle rappresentazioni teatrali: una era felice e l’altra era triste, forse arrabbiata, ma comunque mi metteva molto a disagio. Syria nel frattempo si era avvicinato alla sezione ebraica, lasciandomi di fronte a quei visi composti da grossi buchi per narici, bocca ed occhi. Miei cari ascoltatori, non vi nascondo che provai molto disagio nel guardarli, ma notai anche che, soffermandomi su di esse, il cielo si faceva ancora più scuro, pareva quasi che stesse scendendo la notte. Si alzò il vento, ed io distolsi lo sguardo da quelle maschere così inquietanti per poi portarlo sui rami che seguivano il vento e mentre vedevo le foglie staccarsi da deboli rami – ed alcuni di essi cadere – sentii un altro rumore metallico che mi fece riportare lo sguardo sulla maschera. Notai però qualcosa che sporgeva dalla narice di una delle due maschere: era un laccetto verde, simile a quello dei surgelati. Mi abbassai e lo feci dondolare, poi lo sfilai dalla narice. Questo laccetto era un sorta di anello, usato come portachiavi, infatti ad esso erano attaccate due o più chiavi, erano usurate come la chiave del cancello ma forse erano ancora utilizzabili senza che si rompessero. “Syria-“, lo chiamai, ma lui non c’era. “Syria!”, urlavo, “Syria!!”, niente, tutto silenzio, di Syria non c’era traccia. Sospirai e presi tra le mani le chiavi, guardandole ancora, poi sentii una voce alle mie spalle sussurrarmi dolcemente: “Shun…”. Mi voltai, ma non vedevo nessuno, nemmeno un’ombra. “Chi c’è?” chiesi guardandomi intorno “Syria sei tu?”. Cominciai a vagare, ma l’aria si faceva sempre più pesante e diventava difficile respirare…mi chiesi, sospirando, se prendere le chiavi fosse stata effettivamente una buona idea. Le guardai e cercai di capire cosa potessero aprire…forse una cripta o una tomba di famiglia, ma in mano avevo il niente, solo un paio di chiavi che non sapevo cosa avrebbero potuto aprire. “Shun…”, sentii ancora, stavo cominciando a perdere la pazienza, ma riuscii a distinguere la voce: era una voce femminile e senile, molto debole, ma al contempo mi pareva estremamente triste. Continuavo a girarmi, ma intorno a me vedevo solo tombe, cripte, ed alberi morti…poi notai uno che mi parve molto singolare, infatti pareva quasi avere un viso da anziana, con quel naso grande, gli occhi piccoli e il viso rugoso…era quasi buffo! Ridacchiai tra me e me, poi però la corteccia…parlò!
“Non ridere di me maleducato!”, disse la voce, facendomi sobbalzare e spaventandomi tanto che caddi col sedere a terra…la guardai attonito e la corteccia sbuffò, la sua voce era la stessa che avevo sentito. “S-Sei tu che mi hai chiamato poco fa?”, balbettai quasi con un filo di voce, poi lei continuò e disse: “Si, sono io, cos’è che ti ha fatto tanto ridere?”, il suo tono era spazientito ed io non sapevo come cavarmi fuori dalla terribile figuraccia appena fatta, ma la…donna albero? Non so, ebbe misericordia e mi guardò pietosa, dicendomi che non importava, ma che aveva bisogno di me. Mi alzai e mi scrollai di dosso la terra, poi lei continuò: “Devi sapere che io appartengo ad una razza di ninfe, ossia le Amadridi, le ninfe degli alberi. Un tempo facevo parte del corteo di Chaos, ah, che bei tempi in cui potevo danzare con le mie compagne, ma ahimè ormai non posso più, perché sono vecchia e Chaos, non contento, mi ha trasformata in questo albero morto, in mezzo alle lapidi, e così le mie compagne per ninfe più giovani e belle. Giovane ragazzo, tu mi devi aiutare, fammi ritornare ancora giovane e bella, così da potermi allontanare da questo posto, perché la nebbia è opprimente e la pioggia mi soffoca”. Dispiaciuto per lei decisi di aiutarla, ma effettivamente come avrei potuto fare? Non sapevo come farla ringiovanire, quindi ruppi il silenzio in cui mi ero chiuso e le chiesi, tutto d’un fiato: “Cosa devo fare per farti tornare giovane e bella? Io non sono di qui, non trovo il mio amico e non so cosa fare”. Lei mi osservò, in silenzio, ma ebbi un’idea. “Ascolta”, le dissi, “facciamo un patto: se io ti aiuto a tornare giovane e bella tu mi aiuterai a prendere il rubino che si trova incastonato nel muro di questo piano, ci stai?”, lei strabuzzò gli occhi, chiedendomi: “Sei pazzo? Chaos ci ucciderà entrambi, nessuno può prendere quei rubini!”. “O questo”, dissi imperterrito “o io proseguirò per la mia strada”, allora la signora anziana si vide costretta ad accettare le mie condizioni. Con un sospiro cominciò a dirmi come fare, mentre io la ascoltavo con le mani sui fianchi: “Devi arrivare alla fonte che si trova nel centro del cimitero. Se ti immergerai troverai una botola, con l’aiuto di un catenaccio in ferro e la dovrai aprire. Una volta aperta l’acqua passerà al suo interno e tu dovrai scendere lungo le scale nel centro esatto della cupola in cui finirai e raccogliere il calice di vino al centro del tavolo. Fai attenzione a non cadere, inoltre alcuni gradini sono rovinati dal tempo o mancano, fai attenzione”. Ascoltate attentamente le istruzioni presi a correre, ma la voce della donna mi fermò: “Shun!”, disse, “per orientarti lascia che ti dia questo”, e dai suoi rami cadde un tizzone ardente. La guardai confuso, poi lei mi indicò, con i secchi rami, una piccola gabbietta in ferro, abbastanza grande da infilarci il tizzone. Mi chiesi se fosse lì apposta, dopo di che la presi, la aprii e raccolsi il tizzone, mettendolo al suo interno. Lasciai la vecchia burbera e mi avventurai in quel labirinto fatto di lapidi. Continuai a correre ma non trovai niente, finché non mi ritrovai dinnanzi ad una grandissima fontana dalla base circolare, al cui centro si ergeva la statua di Poseidone. “Julian…ti fai trovare anche qui…”, pensai, poi ripensai a quel che aveva detto la donna e mi avvicinai al bordo. Era disgustoso, l’acqua era di un marroncino assai poco rassicurante e vedevo legnetti e foglie sporche galleggiare sulla superficie, inoltre l’odore che proveniva dall’acqua era atroce, non sapevo se puzzasse più quella…o la tuta che Mylock usava per fare sport. Comunque, cominciai a vagare in quel liquido che arrivava fino alle mie ginocchia, era difficile anche camminare, quel liquido era parecchio denso…e non ci tenevo a scoprire il motivo. Improvvisamente inciampai e caddi in mezzo all’acqua, un po’ me ne entrò in bocca ed io tossii come un dannato, disgustato come non mai, sentendone anche il sapore in bocca e il mio disgusto aumentò ulteriormente, finché non mi calmai e sotto la mia mano non sentii qualcosa di simile ad un catenaccio. “Trovato!” dissi esultando, poi tirai la catena, era robusta e pesante e dopo un paio di tentativi riuscii a spalancare lo sportello, aprendolo e aspettando che l’acqua entrasse nella botola. Finalmente la fontana si svuotò ed io rimasi a fissare per un po’ l’entrata della botola, tecnicamente la stanza al di sotto della botola non si sarebbe dovuta allagare? Decisi di farmi poche domande e pensai a quel che dovevo fare…anche se ormai il tizzone si era disperso, forse era stato portato via dalla corrente…infatti non lo vedevo, ma non me ne curai, ormai ero abituato ad andare alla cieca. Scesi lungo le scale, a mano a mano diventavano sempre più buie, ma prima che potessi sprofondare nell’oscurità sentii un cigolio, poi improvvisamente sentii qualcosa rompersi sotto le mie gambe, poi sprofondai nel buio, urlando, poi un dolore alla testa, infine il buio.
 
 
NOTE AUTRICE: Hoiiiiiii!!!!!!!!! Sono tornata dopo una lunga assenza! Scusatemi, ma ci ho messo un po’ a scrivere il capitolo, sperando che sia di vostro gusto! Avete qualcosa da criticarmi? Scrivetemelo pure, il mio obbiettivo è migliorare! Vi ingrazio intanto per aver letto, un bacione grandissimo ed alla prossima, boiiiiiiiiiiiiiii!!!!!!!!
 
 
 
   
 
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