Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: aki_penn    26/08/2009    4 recensioni
Si è sempre parlato di gente "sfigata" che vuole diventare bella ricca e famosa, ma a nessuno è mai interessato se qualcuno sta bene nel suo bozzolo da nerd con una catenella da gabinetto attaccata alla porta? Beh, mio fratello stava bene così. E finchè se ne è stato nel suo piccolo paradiso di 20 metri quadrati nessuno ha mai avuto da ridire (a parte mia madre ovviamente), ma poi è arrivata quella tipa , ed è cambiato tutto, a partire dalla catenella del wc,e a finire col cercare di farlo diventare una specie di latin lover! E io sapevo che avrebbe portato guai, io lo sapevo, ma figurati se qualcuno mi ascolta mai in questa famiglia!
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'I miei venti metri quadrati' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

I miei venti metri quadrati

Tredicesimo Capitolo

Nudisti per caso

 

 

 

I miei tacchi facevano il solito rumore ritmico , mentre salivo le scale , imprecai, perché cavolo c’era sempre l’ascensore rotto?

Arrivai al sesto piano, e mi chinai a sollevare un poco lo zerbino con su scritto a lettere sbiadite “Welcome”. Come sempre sotto vi trovai le chiavi. In famiglia erano soliti  lasciarle lì, sapevo anche che il loro vicino le teneva dentro il vaso dei gerani , mentre quelli dell’interno 8 in un incavo del corrimano.

A essere abituali ospiti si imparavano un sacco di cose.

Infilai la chiave nella toppa, la girai piano in modo da limitare il rumore e la spinsi sollevandola un poco, perché non cigolasse. Quella maledetta porta era un catorcio, un ladro avrebbe potuto aprirla anche senza sapere dove erano le chiavi.

Avanzai nella stanza vuota. La casa di Joyce assomigliava alla mia, ma i muri dell’atrio non c’erano, e il salotto e la cucina erano uniti in un’unica sala. Piegai la testa da una parte, osservando il corridoio che finiva in bagno, la cui porta era socchiusa e potevo intravedere il telo plastico della doccia. C’erano delle paperelle gialle. Feci due passi facendo appositamente rumore coi tacchi e aspettai, non ci volle molto perché una porta sulla sinistra si aprisse, e con mia grande sorpresa ne uscì una testa blu, che decisamente non apparteneva a Joyce.

La ragazza , magra, bassa e decisamente in mutande mi salutò intimorita, mentre Joyce la seguì a ruota chiudendosi dietro la porta.

“ Oh, la megera blu è venuta a trovarmi” esclamò per nulla imbarazzato per il fatto che avessi interrotto qualche cosa.

“Ah, vedo che hai delle storie con le mie oche blu!” sibilai socchiudendo gli occhi, e forse nel tono misi un po’ di cattiveria.

“Beh, quella mi pare una sola, e tra l’altro si chiama Sofia” continuò tranquillo avanzando verso di me, mentre la mia oca blu recuperava i vestiti che aveva lasciato sulla sedia della cucina.

“Cosa vuoi che me ne freghi di come si chiama” sbottai con un sorriso, come se lei non fosse lì. Joyce fece una smorfia, era sempre più gentile di me con le persone.

“Rachele” pigolò la mia oca blu alle mie spalle “sabato sera andiamo al Luxury  e mi chiedevo se volessi…” non la lasciai finire e mi voltai un attimo per dirle “Non se ne parla, non esco con voi” commentai, tornando subito a guardare degli occhi Joyce che mi ricambiava con un ghigno mefistofelico stampato in faccia.

“Ho bisogno di un decespugliatore” annunciai. Joyce aggrottò le sopracciglia. “Che diamine ti serve un decespugliatore?” sbottò lui ancora in mutande.

“Non mi pare di averti chiesto cosa fai con le mie oche” lo rimbeccai io. Joyce sbuffò, e io sorrisi.

Un quarto d’ora dopo avevo ottenuto il decespugliatore.

 

 

Le pettegole della scuola già alla prima ora avevano intercettato la nuova coppia. Chi alla festa in maschera non si era accorto di nulla, di sicuro era stato informato dalle pettegole.

Le pettegole erano ormai un’istituzione. Davano i voti al vestiario delle ragazze, e di sicuro la prediletta era Nikka, che aveva spodestato Rachele dopo che quest’ultima si era tinta i capelli, spettegolavano per i corridoi, ed erano a conoscenza di pettegolezzi di ogni genere.

In realtà, per capire che Nikka e Alberto avevano una storia non c’era bisogno di essere dei pettegoli provetti, infatti chiunque aveva potuto vederli mentre si sbaciucchiavano appassionatamente sulla scalinata della scuola.

Mei era arrivato presto e si era infilato subito in classe, perciò non assistette all’arrivo della ragazza e del suo pseudo principe azzurro. Almeno quel tipo non era Pallotti. Aveva un cervello sotto il cappello da mafioso e i capelli ricci. Sospirò senza pensarci tanto e si mise a ripassare la lezione per non trovarsi impreparato a un’eventuale compito a sorpresa. Non che ce ne fossero mai stati, ma Mei era un tipo previdente.

Nel mentre Pallotti si aggirava per i corridoi alla ricerca dell’azzurra Rachele. Come aveva potuto farsela scappare alla festa? Non era Nikka, ma era davvero carina, e già che aveva perso la regina fashion della scuola non poteva farsi soffiare sotto il naso anche l’enigmatica ragazza blu. Ovviamente i suoi pensieri erano molto più semplici, probabilmente Pallotti non conosceva neanche il significato della parola enigmatico.

La trovò che tirava tranquillamente calci al distributore delle bibite perché le aveva rubato venti centesimi.

“Rachele!” esclamò concitato il biondo correndole incontro, Rachele alzò lo sguardo dal suo avversario meccanico e gli sorrise.

“Senti, mi spiace davvero tanto per l’altra sera, ma un idiota mi ha rubato i vestiti e la limousine che avevo noleggiato!” disse sperando che la ragazza credette alle sue scuse, che dette così sembravano davvero assurde.

“Tranquillo… già lo so…” disse in tono dolce , poi aggiunse sibillina “sono stata io… e comunque i vestiti te li ho bruciati…”. Sorrise ancora e girò i tacchi, e la macchinetta delle bibite sputò venti centesimi, che finirono ai piedi di un Pallotti inebetito , mentre guardava Rachele andarsene via per il corridoio.

La classe di Mei si riempì in fretta e prima che la professoressa della prima ora arrivasse le sua compagne trovarono il tempo per una profusione di chiacchiere davvero impressionante.

Isabella Gigli aveva comprato un nuovo rossetto Chanel e l’aveva pagato una fortuna. Aveva risparmiato per tre mesi la sua paghetta senza andare in giro per discoteche e pub il sabato sera per poterselo comprare. Le sue amiche erano decisamente entusiaste e si esibivano in plateali e teatrali complimenti. Mei cercò di non farci caso e continuò a concentrarsi sugli esercizi sui logaritmi. I logaritmi erano decisamente più simpatici di Isabella Gigli e delle sue amiche, che ovviamente non erano le uniche a fare rumore, infatti dall’altra parte della classe c’era chi diceva che il rossetto le faceva delle labbra orrende, qualcuno si azzardò a dire che sembravano rifatte e se si fosse  messa due gommoni in faccia nessuno avrebbe notato la differenza.

Mei cercò ancora una volta di isolarsi per non sentire quelle chiacchiere inutili, ma la sua attenzione fu attirata da un nome pronunciato da una delle pettegole “Nikka”.

A quel punto era ufficiale, i logaritmi erano passati in secondo piano.

“… si è messa con quel tipo… tu che ne pensi? Ha un cappello da mafioso, e ha un’aria così trasandata!” aveva detto una ragazza incredibilmente pallida, la cui bianchezza nivea era accentuata dal capelli corvini e lisci che le incorniciavano il viso.

“Ma è un look particolare! Ne abbiamo discusso anche la settimana scorsa… Alberto tiene molto al suo aspetto, non uscirebbe mai vestito a caso, è un abbigliamento perfettamente studiato! E a me non dispiace … Nikka a fatto veramente un buon colpo…” commentò una ragazza coi capelli più tendenti all’arancione che al rosso e degli occhiali molto spessi.

“Hai sentito? Vuole organizzare una festa per il suo compleanno nella villa di campagna di lui… pare che i Lombardi stiano economicamente bene… secondo te Nikka l’ha adocchiato per questo? non mi stupirei conoscendola…” sospirò la mora avvicinando il viso a quello dell’amica, per rendere più privata la loro conversazione.

“Credo che glil’abbia chiesto lui…  insomma si sa che Nikka è un animale da party, era sicuramente la persona più indicata per organizzargliela… di sicuro saprà cosa fare… credo che dovremmo recuperare un invito…le feste in villa sono sempre le più divertenti… ti ricordi quando hanno beccato quel Joyce Cumoli in atteggiamenti ambigui con una suora? O quando Pallotti ha spaccato il naso a un tipo perché aveva finito lo spumante? E la Pavesi ha usato uno sparaneve contro Millie? Le feste in villa sono davvero le migliori…” constatò con aria sognante mentre Mei sgranava gli occhi sbigottito. Suore? Sparaneve? Che cavolo di abitudini perverse avevano Joyce e Rachele ?

Non fece in tempo a perdersi nei suoi pensieri perché sentì il cellulare vibrargli nella tasca, lo estrasse scoprendo un messaggio non letto, sul display illuminato stava scritto a chiare lettere  Nikka.

“Mei! Vieni nella camera oscura, ho una proposta che non puoi rifiutare!!” , Mei si immaginò un tono civettuolo e allegro, ma comunque alzandosi si preoccupò di trovare una testa di opossum sul banco al suo ritorno. E poi, da quando a scuola c’era una camera oscura?

Si alzò perplesso dando un’occhiata all’orologio di metallo con le lancette fosforescenti che si sarebbero viste anche al buio.

Mancava un quarto d’ora all’inizio delle lezioni, e probabilmente le chiacchiere con Nikka, o le minacce, non si sarebbero protratte abbastanza per fargli perdere l’inizio della lezione di matematica.

Il problema si presentava però in altra forma: dove diamine era la camera oscura?

Si alzò , mentre le pettegole lo squadravano discretamente, da quando aveva cominciato a farsi vedere in giro con Nikka anche loro si erano accorte della sua esistenza.

Prima di inoltrarsi nel corridoio ci infilò la testa sospettoso, chiedendosi dove fosse l’aula adibita alla fotografia, poi si decise a uscire, arrendendosi a dover chiedere informazioni come un turista.

Come si fa a essere turisti di una scuola superiore?

Cominciò a incamminarsi speranzoso verso la presidenza, e incrociò un sedere infilato nell’armadietto degli inservienti, se così si può dire. Dall’armadietto emerse un busto e una testa blu.

Non ci mise molto a capire che quella non era sua sorella. Era decisamente più bassa, il portamento era molto meno da Rachele , il sedere era vagamente piatto e i pantaloncini erano decisamente commerciali, sua madre non avrebbe mai confezionato una cosa del genere.

E quindi chi era?

La risposta arrivò in fretta, quando la ragazzina, parecchi centimetri più in basso andrò a sbattere arretrando contro il suo petto. Mei fece un paio di passi indietro per riprendere l’equilibrio perduto.

Lei si voltò per scusarsi e gli sorrise. “Mei” esclamò allegra. Non che lui la conoscesse, ma suppose che fosse una delle oche blu di sua sorella.

“stavo cercando un decespugliatore… credo che tua sorella ne avesse bisogno…e ho anche idea di non stargli particolarmente simpatica dallo sguardo che mi ha rivolto sta mattina quando ci siamo viste a casa di Joyce” disse più parlando a sé stessa che a Mei, poi si ricordò di averlo davanti e aggiunse “comunque io sono Sofia molto piacere di conoscerti!” esclamò gioviale dinanzi ad un attonito Mei.

Lui fece un sorriso tirato, poi decise di approfittarne “Sai per caso dov’è la camera buia? Nikka mi ha detto che dovevamo vederci lì” .

“Nikka?” chiese storcendo la bocca con disapprovazione, era un’oca blu in fondo, e l’esercito di Rachele odiava per natura Nikka e le sue guardie del corpo. Detta in termini bellici.

“Rachele non protesta se la vedo” si affrettò a mentire con un sorriso. Non che pretendesse l’approvazione di sua sorella per fare qualche cosa, ma aveva bisogno di sapere dove diamine fosse la stanza buia prima che suonasse la campana di inizio lezione, e se avesse dovuto fare da se avrebbe fatto notte.

Sofia sembrò convincersi, e gli fece un sorrisetto “ beh, se entri nella stanza delle fotocopiatrici è subito a sinistra” spiegò indicando un punto dietro di lui. Si voltò chiedendosi da quando in qua a scuola c’era anche una stanza delle fotocopiatrici, e infatti pochi metri più indietro stava una porta in vetro con attaccato un foglio sul quale troneggiava la scritta “Fotocopie”.

Si rivoltò verso la ragazza per ringraziare, ma quella era già sparita. Sbatté le palpebre perplesso, sicuramente quel modo di sparire l’aveva imparato da sua sorella. In realtà non si ricordava una precisa sparizione furtiva di Rachele, ma fu sicuro che quella fosse una sua prerogativa.

Deciso ad arrivare a destinazione aprì sicuro la porta incriminata, e richiudendola sobbalzò nel vedere Joyce seduto su una fotocopiatrice a braghe calate che leggeva il quotidiano. Il ragazzo sobbalzò a sua volta e abbassò il giornale per guardarlo negli occhi.

“Tu non mi hai visto mentre mi fotocopiavo il sedere, ok?” fece minaccioso socchiudendo un occhio. Mei annuì perplesso, poi gli sovvenne quello che aveva sentito poco prima dalle pettegole “Joyce! Sei andato a letto con una suora!?!” fece aggrottando  le sopracciglia.

Joyce alzò le spalle, sorrise e alzò gli occhi al cielo in modo malinconico “Quasi, ci hanno interrotti… poi ovviamente lei ha sciolto i voti.. ah… è stato un paio di anni fa durante una festa in villa, le feste in villa sono sempre le migliori…” fece con fare malinconico, ma Mei lo fermò prima che potesse continuare.

“Va bene va bene…” fece sottolineando le sue parole con un movimento deciso della mano, che somigliava tanto allo STOP di un vigile.

“Ah, già che sei qui, sai per caso cosa ci vuol fare tua sorella con un decespugliatore?” chiese tranquillamente ricominciando a leggere il giornale che aveva appoggiato sulle ginocchia.

“Senti, gli affari di mia sorella non li so, ne ho abbastanza di decespugliatori suore e sparaneve!” esclamò Mei scocciato, ma Joyce parve illuminarsi alla parola sparaneve.

“Oh, la sai anche tu la storia dello sparaneve? Oh, quella volta tua sorella fu fantastica, mi pare fosse per le vacanze di natale ed eravamo a...”

“Non lo voglio sapere! Torna a fotocopiarti il sedere! Io vado da Nikka!!” disse esasperato quasi urlando.

“Bye bye Darling…” lo salutò tranquillamente affondando il naso nella rubrica di sport.

La porta indicata dall’oca blu di sua sorella era a sinistra, Mei abbassò la maniglia che scoccò e annunciò la sua presenza, un filò di luce si distese sul pavimento della stanza, ma appena l’uscio si richiuse tutto piombò nell’oscurità, Mei, istintivamente cercò con la mano l’interruttore ma venne fermato da un’esclamazione un po’ stridula, che Mei riconobbe subito provenire dalla bocca di Nikka “Ehi, non ci provare, non vorrai mica rovinarmi il lavoro vero?” .

Qualche cosa si accese a poca distanza dalle sue ciglia , un accendino, che gli rivelò la presenza di una vicinissima Nikka. “Se aspetti un attimo ti abituerai alla luce fioca… razza di impaziente” ridacchiò , spegnendo l’accendino e rimettendoselo in tasca.

Mei sbatté un po’ le palpebre aspettando che i suoi occhi si abituassero alla penombra.

“Non sapevo che ti interessassi alla fotografia…” disse poi appoggiandosi stancamente al muro.

“Che foto sono?”. Nel buio gli parve di vederla alzare le spalle “Sono foto mie…” rispose sventolandone una e appendendola al filo. Egocentrica, pensò una parte di cervello poco importante, del ragazzo.

“Ti chiederai perché ti ho cercato” cominciò lei pratica.

“Più che altro mi sono chiesto perché mai in questo posto…” disse Mei cui la camera buia da fotografo faceva venire in mente qualche cosa di hard o horror. Insomma qualche cosa che cominciasse con l’H.

Nikka lo liquidò con un gesto della mano “Oh, no, è solo perché sono molto impegnata… allora volevo dirti che ho intenzione di organizzare una festa per il compleanno di Alberto” Mei annuì mentre cominciava a vedere con più chiarezza la sagoma della ragazza nel buio. Ma non capiva  cosa centrasse in quella storia lui.

“Ho intenzione di esporti…” continuò tranquilla appendendo foto. Mei alzò un sopracciglio nel buio. “Cioè?” chiese decisamente perplesso.

“Allora… nel caso non l’avessi capito, credo che tu abbia del potenziale… insomma, sei un bel ragazzo, pulito (e lo dico perché molte persone che conosco possono tranquillamente passare una settimana senza lavarsi i denti) , educato e ben vestito. L’unica cosa che ti manca è un po’ di sprint… e credo che dovrò esporti alla festa di Alberto per farti conoscere un po’ di ragazze…” terminò incrociando le braccia e guardandolo.

“Non mi interessa conoscere della ragazze!” sbottò, più perché si sentiva un idiota a farsi trattare così, che per il fatto che fosse vero.

“Oh, ma insomma!!” fece lei guardandolo nel buio e avvicinandosi di qualche passo. “Perché diamine non ti dai una mossa? Non ci credo che non vorresti avere una ragazza, o un’accompagnatrice, o una lucciola, o una baby sitter,o un qualsiasi altro essere femminile accanto!”

Mei si schiacciò contro il muro, reggere lo sguardo della ragazza al buio era decisamente più semplice.

“Cos’è che non ti va bene nell’avere una vita sociale e avere successo con le ragazze?”

“Non capisco perché ci tieni tanto…” sibilò piano e rilassando i muscoli, mentre tornava ad abbassare i talloni che aveva alzato per appiattirsi ancora di più contro la parete.

Gli sembrò di averla fregata, ma lei si stava semplicemente fregando il mento in modo poco femminile e chic, ma tanto finché era al buio con un Mei decisamente digiuno di rudimenti sociali non le poteva succedere nulla.

“Hai mai sentito parlare di D’annunzio? Si studia al quinto anno…” cominciò lentamente. Mei annuì, e lei vide i suoi capelli muoversi e frusciare nella penombra, perciò continuò a spiegare.

“Belle donne, levrieri, lusso… voleva che la sua vita fosse un’opera d’arte” disse.

“Infatti è scappato in Francia rincorso dai creditori…” si affrettò ad aggiungere. Nikka soffocò una risatina spenta.

“Non mi pare di starmi indebitando, a parte con mia madre… in effetti l’altro giorno le ho chiesto duecento euro per fare acquisti in profumeria, non ha gradito. Ma comunque voglio che sia tu la mia opera d’arte. Sei una buona base”.

Mei sbatté un po’ le palpebre. “Che diamine stai dicendo?”

Nikka sbuffò scocciata, Mei si ostinava a non capire o a far finta di non capire. “Leonardo aveva la Gioconda, io ho te, solo che non ti dipingo… Potresti essere il mio levriero” finì con aria saccente, e sembrava davvero che fosse la sua ultima parola.

Mei rimase un attimo in silenzio, mentre si diceva che quella ragazza era fuori come un balcone, poi alla fine parlò lentamente “ Leonardo e D’annunzio? Non credi di puntare un po’ in alto… paragonarsi a…” lei non lo fece finire e lo precedette “Lo so… ma chi se ne importa se pensi che sia assurdo. Sarai il mio levriero?”chiese infine.

“Niente museruola?” si informò subito. “Promesso” rispose alzando il mignolo e aspettandolo che Mei ci agganciasse il suo. Lui rimase a guardarlo nella penombra.

“Devi attaccarci il tuo…” sospirò rassegnata dal fatto che Mei fosse sempre e comunque fuori dal mondo.

“Oh” sussultò lui eseguendo. Nikka lo strinse e si alzò sulle punte cercando di guardarlo meglio negli occhi.

“Allora , verrai alla festa di Alberto, e ci andremo con lo stesso giubbotto , va bene? Andiamo a comprarlo oggi…” disse tutto in una volta senza respirare.

“Un attimo…Alberto…” non riuscì a finire perché Nikka sapeva già la domanda e aveva anche già la risposta.

“No, non è come Pallotti. Sa che siamo amici. Il mio nuovo fidanzato è un signore. Stai tranquillo” spiegò stringendo la mascella.

“Ok” disse infine lui. Lei sorrise “Perfetto… esci prima tu, io ti seguo”.

Mei aprì una fessura e uscì sgusciando come un’anguilla. Guadagnò in due passi la porta che dava sul corridoio e a malapena sentì Joyce che da sopra la fotocopiatrice lo salutava.

Si chiuse la porta di vetro alle spalle, e nello stesso istante sentì uno strillo di donna seguito da un tonfo.

“Oddio Nikka!!” sentì dire a Joyce mentre probabilmente raspava nel suo quotidiano ai piedi della fotocopiatrice.

Oddio lo dico io! Ma che schifo! Rimettiti i pantaloni… ma insomma che schifo cosa stavi facendo??” . Ridacchiò, non aveva pensato ad avvertire Joyce dell’imminente arrivo di Nikka.

“E’ così orribile senza pantaloni…?” chiese sorridendo tra sé e sé.

“Beh,..” cominciò a rispondere pensierosa Sofia che era riapparsa accanto a lui. Mei sobbalzò e saltò qualche passo più in là sbraitando “Era una domanda retorica… non volevo una risposta! Torna a cercare il tuo decespugliatore!!”.

Poi girò i tacchi e andò verso la sua classe, per poco non avrebbe perso l’inizio della lezione. Sofia alzò le spalle e se ne tornò a girare a vuoto per i corridoi. Certe persone in quella scuola sembravano lì per caso. Come se fossero turisti, in giro per le aule e i bagni come se fossero in vacanza. Magari sul tetto in periodo di esami allestivano una spiaggia per nudisti.

Sei ore di scuola passarono in fretta, e come al solito la mensa era affollata, la signora Pavesi aveva provveduto a rifornire i suoi pargoli di gustosi panini.

Joyce si lasciò cadere di fronte a Rachele che mangiava silenziosamente il suo pranzo cercando di ignorare le oche blu che straparlavano vicino a lei.

Il ragazzo impellicciato scartò il suo pranzo comprato al bar e lo addentò mentre le ragazze blu continuavano a ciarlare. Sembrava che entrambi – Joyce e Rachele – non seguissero i discorsi, parlavano di trucchi, ragazzi, capelli, ceretta, e loro rimanevano con gli occhi puntati sul cibo, come se fossero da soli. Solo Joyce a volte alzava gli occhi per dare un’occhiata ai capelli blu della sua amica. Sofia lo aveva visto un paio di volte farlo. Sguardi a lei invece non gliene riservava mai. Deglutì e tornò al chiacchiericcio delle sue due amiche coi capelli turchini.

“Allora? Quest’estate si va a Maiorca?” saltò su una delle due amiche di Sofia, riprendendosi in un attimo l’attenzione di quest’ultima che per un secondo aveva vacillato per colpa del bizzarro Joyce.

Sofia sorrise. “Direi che Maiorca sia perfetta per il viaggio di maturità… relax e divertimento, ci è andata l’anno scorso mia sorella, ha detto che è una bellissima isola!” aveva detto in tono leggero.

“Ah ha! Perfetto!” trillò la sua amica, che tra tutte sembrava essere la più organizzata, e infatti tirò fuori da chissà dove un atlante che descriveva nei minimi dettagli tutte le isole del Mediterraneo. Lo aprì con lentezza e come per magia trovò subito la pagina giusta, per poi puntarci il dito e urlare “Maiorca!!”.

Rachele alzò discretamente lo sguardo dal suo panino per puntarlo sull’oca con atlante. Joyce seguì il suo sguardo fino a posarsi sulla ragazza che aveva portato la cartina e portava un fiocchetto rosa sulla testa. Gli venne quasi da ridere. Quelle tre ragazze cercavano di imitare la sua cara Rachele, ma sarebbe stato ovvio anche per lo sprovedutissimo Mei che un affare del genere sua sorella non l’avrebbe mai indossato.

“Però cosa facciamo? Ci andiamo solo noi tre? Dovremmo pure trovare una quarta ragazza!” disse d’un tratto l’altra ragazza.

Lo sguardo di Rachele si fece meno discreto e le sopracciglia si alzarono, mentre Joyce passava gli occhi dalle oche a lei. Ghignò, come per dire “e adesso vediamo cosa succede”.

“Certo che no!” rispose la ragazza col fiocco rosa, che probabilmente era una specie di capo “Chiederò a mia cugina Ilaria di venire con noi, lei fa il quinto anno, al liceo scientifico in via Mazzini”.

Rachele non volle sentire altro, si alzò e se ne andò senza finire il pranzo, che finì dritto dritto con stizza nel bidone. Joyce fece un sorrisetto, poi seguì il suo esempio dicendo “Gente io vado a fare la pipì” . Le oche blu lo salutarono con aria sognante, e lui andò a svuotarsi tranquillamente la vescica.

 

 

Rachele conosceva tutto della casa di Joyce, e poteva entrare quando voleva. Joyce del canto suo solitamente schifava la porta di casa Pavesi, prediligendo la finestra del bagno, ma quel giorno non aveva troppa voglia di arrampicarsi su per la grondaia e si ritrovò a forzare la porta con la tessera sanitaria. Lo aveva visto fare in un film. Ovviamente nel film il protagonista usava la carta di credito, ma dato che in famiglia di carte di credito non ve ne era nemmeno l’ombra aveva dovuto accontentarsi.

Avrebbe potuto sì, usare il campanello, e farsi aprire come facevano tutte le persone normali, ma trovava che il citofono facesse un rumore più che mai molesto, e poi era impersonale. Se sentivi che ti stavano scassinando la porta non poteva essere altri che lui. Anche perché un ladro di buon senso non avrebbe mai derubato casa Pavesi.

Alla fine dopo aver lambiccato un paio di minuti, la porta si schiuse e Joyce penetrò silenziosamente nell’appartamento chiudendosi l’uscio alle spalle.

Piegò la testa da una parte vedendo la turchina Rachele che guardava sconsolata il tavolo della cucina coperto di polvere bianca. La stessa polvere che le imbrattava anche buona parte del viso.

Joyce sbatté un poco le palpebre e aspetto  che lo insultasse. Lo insultava talmente spesso che era diventata un’abitudine. Ma rimase lì sconsolata a guardare la polvere sul suo tavolo.

“Che è successo?” chiese tranquillo avanzando qualche passo in cucina.

“Le oche blu vanno a Maiorca…senza di me” pigolò.

“E a te dispiace” finì lui.  “No” disse lei senza neanche sforzarsi di mentire in modo convincente.

“E questa cosa ti distrugge così tanto da darti alla droga?” chiese.

“No, idiota, è farina, stavo cercando di cucinare una millefoglie” l’aveva insultato e gli aveva regalato uno sguardo carico d’odio. Bene, era tornata la Rachele di sempre, si stava riprendendo.

“Ma non sei capace… beh, se vuoi mia sorella Jane è una cuoca spettacolare, mica come te” disse con un sorriso che alludeva chiaramente al disastro che si era creato in cucina.

“Di solito cucina mia madre” ribatté la ragazza blu alzandosi. “Scusami io non ho una madre amorevole come la tua… se fosse per mio padre mangeremmo pizza surgelata e pollo fritto da asporto tutti i giorni!”disse poi aggiunse “Tuo fratello?”

“Con Nikka” rispose scocciata lei mentre chiudeva la porta, diretta all’appartamento dell’amico.

“E questo non aiuta l’umore…”

“Già… ma fammi un favore, la prossima volta suona il campanello” disse, sapendo che avrebbe di nuovo usato la tessera sanitaria.

 

 

Se c’era una persona che conosceva tutti i negozi della città, quella persona era sicuramente Nikka. Mei non l’aveva mai vista raggiante come quel giorno, mentre la sua sciarpa lilla di tulle le svolazzava dietro. Non condivideva l’emozione, ma lo divertiva vederla così raggiante.

“Credo che gli spolverini siano chic, non trovi?” chiese a un certo punto felice guardando una vetrina.

Mei piegò la testa da una parte, e alzò le spalle. Boh, sì, erano carini… forse… ma in realtà non gliene fregava niente. Quella ragazza sarebbe andata d’accordo a chiacchierare con sua madre, che sapeva riconoscere il  cachemir e sapeva cos’erano le parigine.

“Penso che come cappotto per entrambi non sarebbe male…” disse guardando la vetrina con aria pensierosa.

Mei studiò la minuscola figura dell’amica, avvolta in un mongomeri  verde bottiglia, e una borsa di coccodrillo di un verde simile.

Una volta sua madre , quando ancora pensava di poter insegnare qualche cosa di stile al figlio, gli aveva raccontato che il verde aveva un sacco di sfumature. Certo ogni colore aveva delle sfumature, ma il verde ne aveva più di tutti gli altri, e tra di loro erano solite non abbinarsi al meglio. Però, secondo il suo modesto occhio profano, i suoi verdi si abbinavano bene tra loro. Gli venne da sorridere.

“Che c’è?” sbottò Nikka che si sentiva derisa. Mei sbatté le palpebre impaurito “Niente niente…”

“Non ti piace?” chiese alzando gli occhi al cielo.

Mei alzò le spalle. “Sinceramente?” . Lei annuì muovendo un po’ la borsetta di coccodrillo. “Non ho idea di che cosa tua stia dicendo” non poteva credere di averle risposto così, e si diede dello scemo, perché non stava zitto.

Nikka  rimase basita.

Mei avrebbe voluto fustigarsi, la prima ragazza che gli rivolgeva la parola, prima si lasciava trucidare, poi le diceva che non la ascoltava minimamente.

Ma alla fine lei sorrise.

“Almeno sei sincero… te ne frega qualche cosa di questo giubbotto?”

Mei alzò le spalle “Dei vestiti me ne è sempre fregato poco. Ma se Leonardo pensa che la sua Gioconda abbia bisogno di un giubbotto… beh…” .

Nikka sembrò contenta della sua risposta “Nikka pensa che per lei e Mei questo cappotto sia indispensabile!”.

Mei annuì “Bene… cappotto sia” .

Una volta entrati Nikka si fermò a civettare con il commesso.

Se sei ricco mandi il tuo Alfredo, o Ambrogio o Girolamo , a comprare quello che ti piace, ma se in casa si vive in due con uno stipendio da impiegato statale, difficilmente si può lasciare la mancia, come potrebbe fare il maggiordomo Alfredo. Bensì si civetta col commesso nella speranza che poi ti faccia lo sconto.

Mei aveva guardato intensamente il manichino su cui stava il giubbotto che aveva conquistato Nikka. Guardò la cintura, il colore beige chiaro, tutte le cuciture il modo, quasi frapposo, in cui cadeva sulle gambe del manichino.

Nikka gli trotterellò felice accanto “Allora cosa ne pensi?”

“Non è da donna?” chiese perplesso.

“No, è unisex, ma gli uomini non se lo mettono quasi mai perché la maggior parte sono privi di senso dello stile” . Non che la cosa lo convincesse molto … aggiunse poi “Non fa tanto maniaco dei giardinetti?”

“No, per essere un maniaco ti ci vorrebbe un impermeabile giallo e degli occhiali a goccia. Se eviti di mettertelo senza nulla sotto risolverai in fretta la situazione”

Mei alzò le spalle “O la và o la spacca”

 

Più tardi poco prima di cena qualcuno suonò alla porta. La signora Pavesi e i suoi figli si guardarono, e poi guardarono la porta. Chi poteva essere? O meglio, chi poteva suonare?

Non suonava più nessuno alla loro porta. La signora del terzo piano, quella coi dodici gatti  era solita bussare, Joyce entrava dalla finestra, la portinaia aveva la chiave e la spagnola che si doveva sposare invece iniziava a urlare prima ancora di essere arrivata al pianerottolo dei Pavesi.

Rachele alzò le spalle “Vado io!”disse stancamente.

Aprì la porta e sbatté le palpebre, stupita di trovarsi un’oca blu davanti. L’aveva riconosciuta, era quella che sia chiamava Sofia.

“Mi chiedevo se volessi venire a Maiorca con noi” chiese con un sorriso e senza preamboli. Rachele la guardò incerta, probabilmente Sofia non l’aveva mai vista, così, decisamente spiazzata.

“Certo che no, io non rimpiazzo nessuna cugina!” aveva sbottato, ma si vedeva che non era ben sicura di quello che stava succedendo, sbatté la porta per chiuderla, e si inciampò nell’aria  finendo a sedere sul pavimento.

La signora Pavesi fece capolino dalla cucina “Tutto a posto cara?”. Rachele alzò le spalle.

“Diciamo che sono viva” rispose abbacchiata. Non ci capiva più niente, prima impazziva per togliersi di mezzo le oche blu, poi non la invitavano in vacanza e impazziva, poi la invitavano e impazziva lo stesso. Non si capiva più.

Dall’altra parte della porta un’allibitissima Sofia se ne stava in piedi sullo zerbino. Si voltò lentamente verso la sommità della rampa delle scale, dove stava seduto un ridanciano Joyce. Si era messo lì perché Rachele non lo vedesse, quando avrebbe aperto la porta.

“ehm…” lei non sapeva cosa dire, cosa si poteva dire dopo che una senza quasi motivo ti sbatteva la porta in faccia urlando?

Joyce scese lentamente le scale che li separavano dicendo “Le ha fatto piacere… davvero…”

“Quindi verrà a Maiorca con noi?” domandò lei continuando a non capire, quando ormai lui le era arrivato affianco.

“Certo che no… ma le ha fatto piacere che voi glielo abbiate chiesto… ti va un panino?”

In casa Pavesi la situazione tra le due donne di casa si era pressappoco congelata, mentre Mei faceva la spola tra bagno e camera da letto, mentre si faceva la barba.

Rachele era rimasta a sedere a gambe incrociate davanti alla porta con aria spaesata, mentre sua madre sulla soglia della cucina la guardava con aria preoccupata.

D’un tratto la ragazza parve svegliarsi, e si voltò di scatto per parlare con sua madre che sobbalzò “Mi insegni a cucinare la millefoglie?” chiese di botto. Gli occhi della signora Pavesi si illuminarono “Tesoro, hai intenzione di darti all’arte culinaria…?”

Rachele boccheggiò “Non proprio mamma… ma se la vuoi vedere sotto questo aspetto sei liberissima”

 

Mei si era ritrovato a correre come un idiota, come aveva fatto a perdere così tanto tempo a scegliere cosa mettersi per la festa in villa del ragazzo di Nikka, e di non aver scelto niente?

Era uscito nudo, solo con il giubbotto e le mutande, e per di più era anche in ritardo. E come avrebbe spiegato a Nikka che nell’indecisione aveva optato per il nudismo?

Era diventato pazzo forse? Non era mai stato un ragazzo avventato, il Mei dell’anno prima non sarebbe mai uscito nudo. Il Mei dell’anno prima non sarebbe nemmeno uscito, ma quelli erano altri problemi. E a quel punto, mentre correva alla fontana dei giardinetti, dove si erano dati appuntamento, doveva anche inventarsi una scusa plausibile per il suo arrivo decisamente spoglio. Gli avevo rubato i vestiti? Era andato a fuoco l’armadio?

No, non esistevano scuse plausibili, o lontanamente intelligenti. Era un emerito idiota , e se lo ripeté per l’ennesima volta quando scorse Nikka in lontananza che lo aspettava accanto agli zampilli della fontana.

Rallentò la corsa, proprio frenando davanti a lei, che gli sorrideva raggiante, truccata perfettamente, col viso incorniciato da due lunghi ed eleganti orecchini d’argento.

Come avrebbe fatto a dire a una perfezionista simile che era arrivato fin lì decisamente nudo? Tra l’altro iniziava a sentire un discreto freschino, dato che ormai Natale era alle porte.

“Buona sera Mei” disse con voce vellutata allungando il collo per dargli un bacio sulla guancia.  

Mei si sentì avvolgere dal profumo delicato di Nikka.

Deglutì, intorpidito dal profumo. “Nikka devo dirti una cosa…” pronunciò faticosamente quando lei gli prese le mani per condurlo chissà dove.

Lei si fermò e gli strinse ancora le mani tra le sue, che erano freddissime. “Anche io e…”

“Sono nudo, non sapevo che vestiti mettermi e sono venuto in mutande” sbottò infine. Nikka lo guardò per qualche secondo sbattendo le palpebre perplessa.

Mei fu sicuro che stesse per esplodere.  Ma alla fine lei sorrise e rise perfino, in un moto irrefrenabile. Appoggiò la fronte al suo braccio, poi finalmente quando ebbe ripreso fiato e riuscì a guardarlo senza ridere troppo disse “Anche io, sono in mutande…!!” poi ricominciò a ridere senza sosta, a lui scappò un sorriso.

E così anche alle impeccabili come Nikka e Rachele succedevano cose strane, la prima che usciva di casa nuda, la seconda che crollava davanti all’invito di una ragazzina blu.

“Non ci posso credere! Siamo due disadattati!! Ora si che siamo dei maniaci dei giardinetti!!” esclamò come se non avesse mai riso così tanto in vita sua.

“E adesso?” chiese Mei con un sorriso un po’ preoccupato”Andiamo alla festa?”

Lei lo guardò alzando le sopracciglia “E cosa facciamo? Non ci togliamo il giubbotto per tutta la serata?”. Mei alzò le spalle dubbioso.

“Io dico che è meglio un bel posto all’aperto dove non sia disdicevole non togliersi il giubbotto!!” esclamò con Mei che si trovava assolutamente d’accordo.

E così Nikka disertò la festa di compleanno del suo nuovo ragazzo per andare a prendere un gelato alla baracchina dei gelati al parco, in compagnia del nerd, pseudo opera d’arte Mei.

Quando tornò a casa stava ancora ridacchiando, anche se aveva un freddo cane. Era stato buffo, Nikka gli aveva raccontato un sacco di cose su Chanel e colleghi, e lui non aveva capito assolutamente nulla, ma era comunque contento come una Pasqua. Andò dritto in bagno intenzionato a farsi una doccia calda, ma si trovò un po’ spiazzato, e fece un salto all’indietro quando vide sua sorella seduta per terra accanto al gabinetto. Lei lo guardò dal pavimento e gli sorrise “Ben tornato fratellino”

“Tutto a posto?” chiese lui perplesso. Sapeva della spiccata simpatia che sua sorella provava per gli alcolici , ma non l’aveva mai vista post vomitata. E di sicuro in quel momento non si sentiva in gran forma.

Si sedette come lei, con le spalle appoggiate alle piastrelle del muro e i piedi allungati lungo il pavimento, in modo che solo il water li dividesse.

“Sono andata a consegnare una torta a una ragazza blu… amo essere scortese, ma forse a volte esagero. Poi sono andata a bere in giro…”.

Mei sospirò guardandola, poi disse “Questi vestiti non li ha fatti mamma, vero?” indicando contemporaneamente ciò che indossava la sorella.

No, decisamente il top era troppo succinto per essere opera di mamma. Aveva quello e delle bretelle dorate, mentre in testa portava un cerchietto con un fiore nero. Di sicuro l’abbigliamento era ricercato, ma non erano cose di competenza della signora Pavesi.

Rachele alzò le spalle “Joyce” disse con semplicità senza guardarlo e muovendo un po’ la lattina che teneva ancora in mano.

“Joyce si mette quella roba?” Mei sapeva che l’amico irlandese aveva idee strane in quanto ad abbigliamento, ma non poteva certo immaginarselo conciato così.

“NO, SUA SORELLA!!” sbraitò subito Rachele. Mei si tranquillizzò, non fece in tempo a mettersi seduto per bene che sua sorella gli mise davanti la birra.

“La metti via? Non mi va che la mamma la trovi in giro domani mattina”.

Mei la guardò per un attimo poi trangugiò ciò che era rimasto nella lattina, per non aver nemmeno il tempo di mandarlo giù prima di sputarlo schifato nel water. Rachele si mise a ridere sguaiatamente rischiando di tirare una testata al gabinetto.

“Rimarrai astemio tutta la vita?”

Mei alzò le spalle “Temo di sì”. Rachele diede un’occhiata alla Gioconda con gli occhi censurati con lo scotch.

“Sai che dicono che la Gioconda del Louvre non sia la vera Gioconda? O meglio, quella che davvero ossessionò Leonardo è una donna più giovane, in un dipinto incompleto, ed è conservato da un collezionista anglosassone…”

Mei annuì in attesa che sua sorella dicesse qualche cosa d’altro, e infatti “Credo che sia ora di andare. Devo svelare altri misteri, buona notte stupido opossum” disse alzandosi barcollante e sparendo in corridoio.

 

 

Non stavo dormendo, come al solito, ma ero in un beato dormiveglia, con la guancia schiacciata contro il materasso e i capelli sulla faccia, quando la porta si aprì lentamente facendo entrare un filo di luce che mi illuminò la schiena.

“Che ci fai qui?” chiese Joyce tranquillo chiudendo la porta ed eliminando il filo luminoso.

“Non mi andava di dormire a casa mia” biascicai con la bocca storta per la posizione. Joyce alzò le spalle si tolse l’odioso pellicciotto arancione e si lasciò cadere a braccia aperte sul letto come un crocifisso instabile.

“Dimmi una cosa” dissi dopo un po’ di silenzio, lui muggì un assenso.

“Chi cavolo è Darcy?” sbottai tenendomi su la testa su una mano. Lui si girò stancamente verso di me.

“Mia sorella” disse per poi ricadere come in coma sul cuscino.

“No” sentenziai altera “Tu hai due sorelle, e si chiamano Jane ed Emily, come Jane Austen e Emily Dickinson” spiegai saccente.

Joyce ridacchiò “Te lo ricordi… no, Darcy è la figlia di mia madre, ha tredici anni. L’apparecchio per i denti , gli occhiali, le lentiggini e vive nella verde Irlanda”

“Darcy è un nome da uomo” dissi come per trovare per forza qualche cosa che non va per forza.

“E’ unisex…” ribadì lui. Sospirai.

 “Buonanotte idiota” dissi girandomi dalla mia parte del letto.

“Buonanotte stronza” rispose lui facendo lo stesso.

 

 

 

Grazie mille a chi ha letto e commentato, spero di non deludervi con questo nuovo capitolo, forse è un po’ troppo lungo, ma volevo metterci anche un po’ di paranoie by Rachele.

 

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: aki_penn